Le aree agricole ad alto valore naturale in Italia: una stima a livello regionale

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Le aree agricole ad alto valore naturale in Italia: una stima a livello regionale
a CRA-CREA
b Consiglio per la ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura (CRA), Unità di ricerca per le produzioni legnose fuori foresta
c Consiglio per la ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura (CRA), Unità di ricerca per le produzioni legnose fuori foresta
Istituto Nazionale di Economia Agraria

Introduzione

I sistemi agricoli a bassa intensità, per gran parte testimonianza di un uso tradizionale del territorio, hanno un’importanza fondamentale per la conservazione della biodiversità fornendo habitat a numerose specie animali e vegetali. Questo avviene in particolare in Europa, dove si è sviluppato il concetto di agricoltura ad alto valore naturale (Baldock et al., 1993), proprio per indicare un tipo di agricoltura, risultante dalla combinazione tra l’uso del suolo e determinati sistemi agricoli, che per le sue caratteristiche rappresenta una risorsa di biodiversità. Si tratta, in particolare, di un’agricoltura a bassa intensità compatibile con un’elevata presenza di vegetazione semi-naturale o di un’agricoltura che conferisce al paesaggio un aspetto a mosaico definito da una copertura del suolo diversificata e ricca di elementi semi-naturali e manufatti. In Italia questi sistemi agricoli possono essere associati, principalmente, ai pascoli semi-naturali, ai prati permanenti, ai frutteti tradizionali e ai seminativi estensivi (Trisorio et al., 2012).
La conservazione dell’agricoltura ad alto valore naturale (Avn) rientra tra gli obiettivi strategici della politica europea sia agricola sia ambientale ed in particolare rappresenta una delle priorità assegnate alla Politica di sviluppo rurale; inoltre, a livello nazionale è stata inclusa tra gli obiettivi specifici della Strategia Nazionale per la Biodiversità1.
Gli Stati membri, al fine di adempiere a quanto prescritto in merito al monitoraggio e alla valutazione dei Programmi di sviluppo di rurale, hanno dovuto procedere all’individuazione delle aree agricole Avn definite come aree in cui “l’agricoltura rappresenta l’uso del suolo principale (normalmente quello prevalente) e mantiene o è associata alla presenza di un’elevata numerosità di specie e di habitat, e/o di particolari specie di interesse comunitario”. Queste sono distinte in tre tipi: 1) aree con un'elevata proporzione di vegetazione semi-naturale (es. pascoli naturali); 2) aree con presenza di mosaico composto da agricoltura a bassa intensità ed elementi naturali e strutturali (es. bordi dei campi, muretti a secco, nuclei di bosco o boscaglia, filari, piccoli corsi d'acqua, ecc.); 3) aree agricole che mantengono specie rare o un'elevata proporzione di popolazioni di specie di interesse conservazionistico a livello europeo, nazionale o regionale (Andersen et al., 2003; Paracchini et al., 2008). A tal fine sono stati definiti alcuni indicatori comuni (Beaufoy et al., 2008; Lukesch e Schuh 2010) e tre approcci principali per il loro calcolo, sostanzialmente legati al tipo di informazioni utilizzate (copertura del suolo, sistemi agricoli e specie di interesse per la conservazione).
Dopo un primo lavoro pubblicato già negli anni novanta (Beaufoy et al., 1994), gli studi sulla caratterizzazione e sulla stima della superficie agricola Avn si sono intensificati per rispondere alle esigenze di monitoraggio e valutazione delle politiche agro-ambientali.
Tra questi, i primi sono stati realizzati a livello europeo (Andersen et al., 2003; European Environment Agency 2004; European Environment Agency 2005a; Paracchini et al., 2006; Cooper et al., 2007), successivamente, e in modo crescente, si sono sviluppati anche a livello nazionale (es. Pointereau et al., 2007). Nonostante il continuo affinamento delle metodologie di stima e di analisi il quadro generale attualmente disponibile risulta piuttosto eterogeneo (Peppiette 2011). Ciò è da attribuirsi alle molteplici scelte metodologiche legate all’estrema variabilità nella disponibilità di dati e nei caratteri dei territori oggetto di indagine.
Una prima stima delle aree Avn in Italia, basata sugli approcci di copertura del suolo e dei sistemi agricoli, si trova in Andersen et al. (2003); stime successive (Paracchini et al., 2006; Paracchini et al., 2008) sono state basate sui dati di copertura del suolo di Corine Land Cover (Clc) integrati con varie altre fonti di dati a diversa scala, fra le quali un ruolo di rilievo hanno avuto le mappe dei siti importanti per la biodiversità (Natura2000, Important Bird Areas, Prime Butterfly Areas). Nel lavoro di Trisorio (2006) e Povellato e Trisorio (2007) sono stati invece combinati dati Clc con dati sulla ricchezza di specie di vertebrati.
Questi lavori sono stati di riferimento per le stime realizzate dalle Autorità di Gestione, nell’ambito dei Programmi di sviluppo rurale, per implementare gli indicatori relativi alle aree agricole Avn previsti dal Quadro comune di monitoraggio e valutazione. Tuttavia, le stime regionali non consentono di definire un quadro nazionale omogeneo poiché non sono comparabili tra loro essendo basate su metodi diversi.
Al fine di pervenire ad un quadro uniforme a livello nazionale basato su un metodo coerente con quanto delineato a livello comunitario (Lukesch e Schuh 2010), la Rete Rurale Nazionale ha attivato una linea di ricerca finalizzata all’analisi dell’agricoltura Avn. In questo ambito è stata elaborata una prima mappa, con dettaglio provinciale, basata sull’approccio dei sistemi agricoli, utilizzando i dati dell’Indagine Istat sulle strutture agricole (Trisorio et al., 2012).
Anche il presente lavoro segue un metodo uniforme a livello nazionale, ma si differenzia dal precedente perché segue l’approccio della copertura del suolo e prevede l’integrazione di dati campionari di uso del suolo con dati di tipo naturalistico. L’obiettivo dell’analisi è duplice: a) fornire un quadro orientativo, a livello nazionale e regionale, della distribuzione e dell’estensione delle aree potenzialmente Avn, distinte per tipi; b) proporre un metodo per classificare le aree selezionate secondo diversi livelli di “valore naturale”.

Materiali e metodi

L’analisi è stata basata su diverse fonti di dati territoriali disponibili su scala nazionale:

  • il database Agrit 2010 del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali che riporta, per celle quadrate di lato pari a 10 km di un reticolo nazionale, le stime delle coperture percentuali della Sau (Superficie agricola utilizzata) e di alcuni usi del suolo (box 1);
  • la mappa vettoriale di Clc riferita all’anno 2000 (European Environment Agency 2005b) dalla quale è stato derivato lo sviluppo lineare dei margini degli ambienti naturali e semi-naturali);
  • la Banca dati Natura 2000 del Ministero dell’Ambiente per la parte riguardante le informazioni sulla presenza di specie animali e vegetali di interesse conservazionistico nei siti Sic e Zps.

A partire da questi tre tematismi è stato costruito un sistema informativo geografico per sovrapporre le celle Agrit alla mappa Clc e ai punti centroidi dei siti Natura 2000.
La valutazione è stata riferita all’unità minima per la quale si disponeva di dati per tutti e tre gli strati informativi, ossia alla cella Agrit, sulla base della presenza di agricoltura a bassa intensità di gestione e di tre criteri derivati dalla sopra citata tipologia di Andersen et al. (2003):
1) elevata proporzione di vegetazione semi-naturale;
2) presenza di elementi naturali, semi-naturali e strutturali del paesaggio;
3) presenza di specie di interesse per la conservazione della biodiversità a livello europeo.
L’analisi del valore naturale per tutti e tre i criteri ha avuto come tappa preliminare la selezione delle classi di copertura/uso del suolo Agrit a bassa intensità di gestione. Sono state selezionate le seguenti classi di uso del suolo: riso, erba medica, prati avvicendati, terreni a riposo o senza colture in atto, vite, olivo, frutta a guscio, prati permanenti, pascoli, orti e frutteti familiari annessi ad aziende agricole, alberi fuori foresta. Nella selezione sono state considerate esclusivamente le aree attualmente a gestione attiva, compresi i terreni a riposo. Le due classi riferibili alle foraggere permanenti (pascoli e prati permanenti) sono state ritenute le più idonee a rispondere al primo criterio, mentre gli altri usi del suolo sono stati considerati nell’applicazione del secondo criterio. A livello di ogni cella, la presenza di questi usi ha permesso di stimare una superficie preliminare di aree agricole potenzialmente Avn. Con l’obiettivo di distinguere diversi gradi di valore naturale, alle celle interessate dalla presenza degli usi selezionati sono stati attribuiti dei punteggi sulla base dei seguenti caratteri: la copertura percentuale complessiva delle foraggere permanenti (criterio 1), le densità di due elementi strutturali del paesaggio (criterio 2), gli alberi fuori foresta (in termini di copertura percentuale) e i margini degli ambienti naturali e semi-naturali (in termini di densità lineare misurata in m/ha), e il numero di specie di ambienti agricoli minacciate, segnalate per i siti della rete Natura 2000 che ricadono all’interno delle celle (criterio 3). Per ogni carattere è stato calcolato un indicatore crescente, legato alla sua distribuzione di frequenza nelle diverse celle.
In analogia con quanto proposto da Pointereau (2007), alle unità di analisi sono stati attribuiti dei punteggi per ognuno dei tre criteri, combinando quelli ottenuti per i relativi indicatori. I risultati di queste classificazioni sono stati, infine, combinati in una nuova classificazione di sintesi, attribuendo ad ogni cella la classe più elevata fra quelle assegnate secondo i singoli criteri.

Risultati

Il metodo illustrato in questo lavoro ha fornito un quadro della situazione nazionale, con riferimento sia alla superficie, sia alla distribuzione geografica delle aree agricole potenzialmente AVN. In particolare è stato possibile per ciascuna unità di analisi territoriale (cella) produrre una stima sia delle superfici relative ai tre tipi di aree agricole potenzialmente Avn, corrispondenti ai tre criteri applicati, sia della superficie totale di aree agricole potenzialmente Avn, ripartita per classi di valore naturale. I risultati dell’analisi sono stati riportati in termini numerici nella tabella 1 e illustrati da mappe (Figura 1) che hanno la funzione di rappresentare la distribuzione del fenomeno sul territorio.

Tabella 1 - Superficie potenzialmente ad alto valore naturale nelle regioni italiane, distinte per classi di valore naturale


Fonte: nostre elaborazioni su dati Agrit2010, Clc2000 e Natura 2000

Figura 1 - Mappe di distribuzione delle aree agricole per classi di valore naturale secondo i criteri 1 (figura a), 2 (figura b) e 3 (figura c) e mappa di sintesi (figura d) derivata dalla combinazione dei punteggi dei tre criteri

 


Fonte: nostre elaborazioni su dati Agrit2010, Clc2000 e Natura 2000
Legenda: 0: assenza aree agricole Avn; B: presenza di aree Avn di valore basso; M= presenza di aree Avn di valore medio; H: presenza di aree Avn di valore alto; HH: presenza di aree Avn di valore molto alto

I valori più elevati per il tipo 1, collegati alla presenza di prati e pascoli con maggiore estensione, si riscontrano principalmente nelle parti montane delle Alpi e delle Prealpi, in alcune zone dell’Appennino centrale e su alcuni rilievi montuosi meridionali (Gargano, Pollino), della Sardegna (Gallura) e della Sicilia interna; per il tipo 2 i valori più elevati si registrano nell’Italia centrale e in alcune aree prealpine e preappenniniche (ad es., nelle Prealpi venete, in Piemonte meridionale ed in Toscana meridionale); per il tipo 3 questi sono in relazione alla presenza di aree umide (corsi d’acqua, zone umide costiere ecc.) e quindi di specie di particolare valore conservazionistico.
Oltre ai dati di superficie in valore assoluto, risulta interessante valutare i risultati ottenuti in termini relativi, rispetto alla Sau in ogni regione. A livello nazionale più di metà della Sau (51%) è potenzialmente ad alto valore naturale, e il 16% ricade nelle classi di valore più elevato (H e HH); a livello regionale la situazione si presenta molto diversificata, con percentuali di Sau ad alto valore naturale comprese fra un minimo del 32% (Veneto) e un massimo del 92% (Valle d’Aosta). Come mostra il grafico in figura 2, sia la quota di Sau ad alto valore naturale sia l’importanza relativa di ciascuno dei tre tipi al suo interno variano molto tra le diverse regioni. Ciò è legato al fatto che, sebbene l’agricoltura Avn sia generalmente connotata da un’elevata presenza di vegetazione semi-naturale, da un uso del suolo estensivo e diversificato e dalla ricchezza di elementi semi-naturali, questa assume in ciascun territorio caratteristiche specifiche e peculiari. Le caratteristiche geomorfologiche del territorio italiano rendono infatti particolarmente vario il paesaggio agricolo non solo a livello nazionale ma anche regionale e sub-regionale.

Figura 2 - Percentuale di Sau regionale potenzialmente ad alto valore naturale ripartita per criteri


Fonte: nostre elaborazioni su dati Agrit2010, Clc2000 e Natura 2000

Spicca, in particolare, la quota molto elevata di Sau ad alto valore naturale in Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige e Liguria, benché in termini assoluti si tratti di superfici ridotte. Limitando l'osservazione alle due classi di valore naturale più elevato (alto e molto alto), in generale queste comprendono delle porzioni modeste di Sau, uguali o inferiori al 10%, mentre il fenomeno è molto diverso in Sardegna e in alcune delle regioni più montane, dove incide soprattutto il criterio 1, e laddove, soprattutto al nord, la presenza di specie minacciate (criterio 3) ha pesato di più nell'individuazione di aree Avn. Gli aspetti del paesaggio (criterio 2) sembrano riferibili soprattutto alle zone collinari della dorsale appenninica, poiché incidono maggiormente nell’Italia Centrale (Toscana, Marche, Umbria) spingendosi a sud fino al Molise e alla Campania.

Discussione

La stima della superficie nazionale potenzialmente Avn ottenuta è in linea con quella riportata in Paracchini et al. (2008), condotta su scala europea, sebbene la distribuzione regionale mostri alcune differenze dovute al diverso metodo seguito. Nel presente lavoro, infatti, è stato adottato un approccio omogeneo su tutto il territorio nazionale, e non criteri differenti per le diverse zone biogeografiche; sono presenti, inoltre, differenze nell’insieme degli usi del suolo inclusi nel computo delle aree agricole potenzialmente Avn, dovute sia alle diverse fonti di dati utilizzate nei due lavori, sia alla scelta fatta in questa sede di includere solo gli usi del suolo associati ad una gestione attiva del terreno agricolo.
L’utilizzo dei risultati dell’indagine campionaria Agrit 2010 come principale fonte di dati rappresenta un cambiamento notevole rispetto alle procedure proposte in letteratura. In mancanza di una mappa di uso/copertura del suolo più dettagliata per il territorio nazionale, si è deciso di non basare l’analisi sulla mappa fornita da Clc, ma di usare i risultati dell’indagine Agrit per due principali motivi: 1) il database Agrit contiene informazioni che vengono annualmente aggiornate; 2) le stime si basano su un rilevamento più dettagliato, in termini di schema di classificazione, e più accurato rispetto alla mappa Clc. A fronte di questi indubbi vantaggi il database di natura campionaria presenta anche degli svantaggi rispetto all’uso di una mappa: non è possibile localizzare con precisione le aree Avn (si può solo stimarne la presenza nell’ambito di una cella) ed inoltre le stime di copertura percentuale fornite per singole celle sono di tipo campionario e sono, pertanto, soggette ad una certa aleatorietà.
Un altro elemento da considerare riguarda la scelta degli indicatori, ed in particolare di quelli di complessità del paesaggio che, generalmente, hanno avuto scarsa applicazione con l’approccio della copertura del suolo (Peppiette 2012). Il rilevamento Agrit fornisce infatti dati sulla copertura degli alberi fuori foresta che si sono rivelati molto utili per individuare i paesaggi più complessi. Un altro indicatore è stato invece derivato dalla mappa Clc e riguarda la lunghezza dei margini delle aree boscate e degli ambienti naturali e seminaturali, riprendendo quello adottato da Pointerau et al. (2007) che si riferiva invece soltanto alla lunghezza dei margini delle formazioni boscate. Si ritiene infatti che tutti i margini con gli ambienti naturali e seminaturali, e non solo quelli con le foreste, possano contribuire a rendere il paesaggio più complesso e potenzialmente in grado di ospitare una elevata ricchezza di specie o specie di interesse per la conservazione. Un limite dell’analisi consiste nella natura stessa dei dati a disposizione e nella difficoltà dunque di conoscere l’effettiva associazione dei caratteri strutturali del paesaggio con le colture considerate di alto valore naturale.
Come evidenziato dai risultati di questo studio, il territorio italiano presenta due tipi opposti di paesaggio agricolo: quello molto semplificato delle pianure (Pianura padana, zone costiere, valli dei fiumi principali) dove si è sviluppata un’agricoltura intensiva e quello complesso delle zone collinari, pedemontane e montane, dove l’agricoltura è in mosaico territoriale con gli ecosistemi forestali, questi ultimi dominanti nelle parti più montuose.
Nel paesaggio più semplificato delle pianure, gli interventi volti a diversificare l’habitat (ad es. con la ricostituzione di fasce di alberi e arbusti ai margini dei campi un tempo componenti del paesaggio tradizionale di queste zone) o a conservare i caratteri di maggiore naturalità ancora presenti potrebbero avere un impatto positivo sulla biodiversità se si considera il valore che assumono determinate specie, ad esempio dell’avifauna legata alle aree umide (evidenziato, nelle cartine, da valori elevati del terzo criterio considerato). Al contrario, nei paesaggi più complessi delle zone collinari, pedemontane e montane, che spesso mantengono più visibili i caratteri dell’agricoltura tradizionale, la biodiversità è generalmente più elevata, a condizione che l’uso del territorio riesca a mantenere la maggiore varietà possibile di habitat e di specie. Queste aree sono minacciate principalmente dal rischio di abbandono colturale con conseguente aumento dell’uniformità del paesaggio e perdita di biodiversità (Vos 1993; Acosta et al., 2005; Rocchini et al. 2006).

Conclusioni

La necessità di monitorare l’agricoltura Avn e di valutare l’effetto della politica di sviluppo rurale sulla sua conservazione è stata confermata anche per il prossimo periodo di programmazione (2014-2020). Un’appropriata caratterizzazione e identificazione dei principali sistemi agricoli Avn presenti sul territorio nazionale resta pertanto una condizione necessaria per un’efficace definizione degli interventi finalizzati alla loro conservazione.
La mappa di sintesi proposta in questo lavoro, che offre una rappresentazione della distribuzione dell’agricoltura Avn in Italia, riflette per grandi linee le principali specificità del territorio rurale nazionale. Un suo aggiornamento nel tempo potrebbe fornire un supporto nel processo di monitoraggio e valutazione sia nell’attuale che nella prossima fase di programmazione della politica di sviluppo rurale.
L’approccio adottato a scala nazionale potrebbe fornire criteri per stabilire la priorità degli interventi e costituire un utile quadro di unione per applicazioni a livello regionale o locale basate su informazioni di maggiore dettaglio e sulla conoscenza del territorio. Ciò al fine di una più esatta localizzazione dei diversi tipi di aree agricole Avn e, successivamente, delle principali pratiche e sistemi agricoli che contribuiscono al loro mantenimento.

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