Ritorno alle “terre alte”: l’adozione di terrazzamenti in abbandono nel Canale di Brenta

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Ritorno alle “terre alte”: l’adozione di terrazzamenti in abbandono nel Canale di Brenta
a Regione Veneto, Direzione Urbanistica e Paesaggio

Introduzione

Questo articolo descrive un progetto di recupero territoriale e insieme di ricerca sociale sviluppato nell’area di studio del Canale di Brenta (VI) fra il settembre 2010 e il febbraio 2013, denominato Adotta un terrazzamento, che ha coinvolto un gruppo di persone non originarie della valle nella coltivazione dei versanti montani, storicamente destinati all’agricoltura ma al momento attuale in stato avanzato di abbandono.
La ricerca ha affrontato le attività del progetto senza disconoscere il coinvolgimento che queste comportavano, facendo proprio un approccio operativo, che considera come in taluni ambiti la complessità e la mutabilità dell’oggetto di ricerca non consentano di intervenire solo su alcune variabili e […] si deve interagire con le variabili tutte insieme, essendo i gruppi con cui lavorare già precostituiti (Cardano, 2011).
A partire da questo approccio, la ricerca ha sviluppato un percorso di riflessione che è partito dai dati relativi agli esiti sia territoriali che sociali del progetto e si è allargato a trarre considerazioni sui fenomeni di ritorno all’abitazione ed alla coltivazione di aree montane in via di spopolamento, ad opera non solo di abitanti locali ma anche di cittadini provenienti da altre zone, sensibili a obiettivi quali la conservazione del territorio e una maggiore qualità della vita (Guiseppelli, 2005).
Questa tematica di ricerca è stata affrontata negli ultimi anni da studi a livello internazionale (Cipra, 2008), che hanno di volta in volta descritto le esperienze di ritorno come degli esempi di neo-ruralismo (Van Der Ploeg, 2009) piuttosto che come l’istaurarsi di una rinnovata relazione fra città e campagna (Donadieu, 2006; Convenzione delle Alpi, 2010). Anche in Italia negli ultimi anni si è avviata una ricognizione delle esperienze di ritorno all’abitare nelle valli alpine e al nuovo utilizzo produttivo dei terreni in abbandono (Corrado, 2011; Dematteis, 2011; Varotto, 2013), i cui esiti hanno offerto al progetto sperimentale qui descritto elementi di confronto e prospettive d’interesse per esaminare le attività realizzate e i risultati riscontrati.

Presentazione dell’area di studio

L’area montana in cui le attività si sono sviluppate è quella del Canale di Brenta, una stretta valle con orientamento Nord-Sud della lunghezza di circa 25 km situata nelle Prealpi Venete, in Provincia di Vicenza (Figura 1).

Figura 1 - Individuazione e carta dell’area di studio


Fonte: Elaborazione a partire dalla Carta Tecnica Regionale Numerica del Veneto, 2009

In epoca antica la valle si caratterizzò soprattutto come luogo di passaggio fra la pianura veneta e l’area tridentina (Signori, 1981; Signori, 1995). A partire dal ‘400 la valle ospitò attività di produzione manifatturiera e commercio del legname (Perco e Varotto, 2004).
Lo sviluppo territoriale della valle ebbe una svolta a partire dal XVIII secolo, con la concessione da parte della Repubblica di Venezia per la coltivazione del tabacco, che andò ampliandosi nel corso dell’Ottocento fino a assumere il ruolo di monocultura (Vardanega, 2006). La tabacchicoltura indusse gli abitanti alla costruzione di estesi terrazzamenti agricoli sui versanti per ricavarne superficie coltivabile, portando nel tempo ad una nuova configurazione territoriale (Figura 2).

Figura 2 - Una immagine aerea del paesaggio terrazzato sopra Valstagna


Fonte: G. Medici 2006

L’estensione dei terrazzamenti andò allargandosi fino agli inizi del ‘900, accompagnando la crescita demografica, improntando il sistema di vita delle comunità locali (Perco e Varotto, 2004).
La coltivazione del tabacco è rimasta l’attività produttiva dominante fino al secondo dopoguerra, quando si verificò un crollo diffuso della produzione, che non si prestava alle nuove forme di agricoltura estensiva e meccanizzata. Nell’arco di alcuni decenni (1960-1990) il numero delle coltivazioni diminuiva fino quasi a scomparire (del 90% nel Comune di Valstagna; fonte Istat, cit. in Tres e Zatta 2006). La popolazione si riduceva in misura minore (34% in media; Tres e Zatta 2006), ma gli abitanti della valle hanno trovato impiego estesamente nell’industria, rafforzando la dipendenza economica della valle dalla pianura antistante.
Alla fine degli anni ’90 è emerso un interesse per le aree terrazzate da parte del mondo della ricerca scientifica, di cui si è andati a studiare quello che è stato definito un paesaggio dell’abbandono (Varotto, 2000). I terrazzamenti si presentavano ormai in prevalenza ricoperti dal bosco, con le strutture in rovina e minacciate da crolli. In questa prospettiva sono stati sviluppati alcuni progetti di ricerca promossi dalle Università di Padova e di Venezia, dal Club Alpino Italiano e della Regione Veneto, nel periodo che va dal 2000 fino al 2010 (Fontanari e Patassini, 2008; Scaramellini e Varotto, 2008).

Il progetto di recupero territoriale a uso produttivo

La sperimentazione di Adotta un terrazzamento si collega al lavoro di ricerca svolto dall’Università di Padova nel progetto europeo Alpter (Fontanari e Patassini, 2008). Durante l’ultimo anno di tale attività è stata registrata una richiesta pervenuta all’amministrazione comunale di Valstagna per l’affidamento di un terreno incolto di pubblica proprietà da parte di due abitanti del vicino centro urbano di Bassano del Grappa; dopo che la richiesta era stata accolta il riuso produttivo dei terrazzamenti ha dato un esito positivo, portando al recupero e alla nuova coltivazione dei terreni, e in seguito anche un’associazione Scout ha avanzato una richiesta analoga (Figure 3 e 4).

Figure 3 e 4 - Il primo terrazzamento affidato alle cure di privati, nel Comune di Valstagna (VI), prima e dopo i i lavori di recupero e di nuova coltivazione degli affidatari


Fonte: foto dell’Autore, settembre 2008 e giugno 2009

La ricerca ha seguito con interesse queste attività spontanee di riuso dei terrazzamenti (Salsa, 1998; Varotto, 2009). Tale esperienza è stato considerato come un punto di partenza che ha condotto a sviluppare l’idea del progetto Adotta un terrazzamento, volto ad allargare la pratica messa in atto da un caso isolato ad un progetto di recupero territoriale.
Nell’elaborare il sistema di gestione per l’affidamento dei terreni si è andati a identificare i soggetti necessari allo svolgimento delle attività, che si possono sintetizzare nell’elenco che segue:

  • le istituzioni locali, al fine di inserirsi nel quadro delle attività di manutenzione del territorio esistenti;
  • gli abitanti urbani, che costituivano il bacino in cui reperire i partecipanti alle attività di recupero;
  • la comunità locale, il cui ruolo di accompagnamento e supporto al progetto appariva fondamentale;
  • infine l’università, che ha svolto un ruolo di facilitazione dell’iniziativa per la sua gestione e monitoraggio.

Rappresentanti di questi soggetti si sono riuniti il 31 agosto 2010 per costituire un comitato denominato Adotta un terrazzamento in Canale di Brenta, allo scopo di dare una riconoscibilità e una forma giuridica alla struttura gestionale del progetto (Margheri 2008).
Il comitato ha assunto anzitutto la funzione di contattare i proprietari locali per acquisire in affidamento i terreni incolti. A tale scopo con la collaborazione del Dipartimento di Diritto privato e del lavoro di Padova è stato sviluppato un modello di Contratto di comodato d’uso modale (Figure 5 e 6), che prevedeva la concessione gratuita dei terreni per 5 anni, a fronte dei lavori che garantissero il loro recupero e manutenzione.

Figure 5 e 6 - Contratto di comodato d’uso per l’affidamento dei terrazzamenti abbandonati e relativo regolamento operativo

Fonte: Comitato Adotta un terrazzamento in canale di Brenta, 2010)

D’altra parte il comitato andava ad accogliere al suo interno coloro che intendevano avviare le attività di ricoltivazione dei terrazzamenti. La struttura di gestione ha così assunto il suo ruolo definitivo, raccogliendo i terreni in abbandono (con un’estensione totale che è cresciuta fino a circa 4 Ha) e andando a valorizzarli come un patrimonio territoriale a disposizione dei nuovi coltivatori.
Il comitato si è riunito quindi nel settembre del 2010 per identificare i luoghi dove dare inizio ai lavori, prendendo in considerazione alcuni criteri relativi alle aree terrazzate:

  • la rilevanza dei siti sotto il profilo storico, culturale e paesaggistico;
  • la necessità di un intervento per la stabilità dei versanti, legata al loro stato di conservazione;
  • l’idoneità dei terreni ad un recupero produttivo, legata alla presenza di acqua e alla vicinanza da una strada, nonché all’identificabilità dei proprietari.

Tali aspetti hanno portato a individuare i siti di Val Verta (Figure 7 e 8) e della contrada di Ponte Subiolo: uno d’interesse per lo stato di degrado avanzato e la necessità di una messa in sicurezza della valle, il secondo per l’idoneità al recupero grazie alla vicinanza della strada comunale.

Figure 7 e 8 - Fotografia del sito pilota di Val Verta (Tres e Zatta, 2006) e elaborazione Gis del Catasto del Comune di Valstagna della stessa area con evidenziati i terreni interessati dal progetto


Fonte: elaborazione dell’Autore

All’inizio dell’ottobre 2010 sono state così avviate le attività di recupero. Durante i primi due anni del progetto l’affidamento dei terreni ha condotto al riuso di 80 terrazzamenti (v. sotto). Quelli che si vanno a descrivere nel prossimo paragrafo sono i risultati conseguiti sia sotto il punto di vista territoriale che sotto quello socio-economico, relativi al coinvolgimento in prima persona degli abitanti dei centri urbani nelle nuove coltivazioni.

Sintesi degli esiti operativi del progetto

Al fine di registrare e presentare i risultati ottenuti sono stati definiti fin dall’avvio delle attività 2 set di dati per il monitoraggio del progetto, con l’obiettivo di considerare i diversi aspetti dell’indagine (Lodatti, 2012):

  • quadro geografico dei terrazzamenti interessati dal progetto;
  • quadro sociale dei partecipanti alle attività di recupero.

Gli indicatori del quadro geografico descrivono le caratteristiche dei terrazzamenti oggetto dei lavori, in particolare quelle collegate all’attività di riuso agricolo. Le informazioni del quadro sociale si riferiscono invece ai partecipanti al progetto, con l’obiettivo di delineare alcuni elementi del profilo sociale presso cui le proposte dal progetto hanno riscosso interesse.
Andando ora a esaminare i dati raccolti, si può tracciare un resoconto sintetico dei risultati del progetto dopo più di 2 anni di attività, dall’ottobre 2010 al febbraio 2013.
Il quadro geografico dei terrazzamenti restituisce un totale di 80 terreni recuperati, con una superficie complessiva di 4 Ha. L’estensione media degli appezzamenti è di 400 m, con un range che va dai 100 ai 2000 m. L’altezza media dei muri è di 2 m, con un range da 1 a 7 m. I dati legati alla fattibilità del recupero comprendono la distanza media da una strada, di 80 m, e quella da un punto acqua, di 30 m. L’uso dei terreni prevalente è l’orticoltura per l’autoconsumo (80%), segue a distanza l’uso ricreativo (10%, legato alle associazioni), l’apicoltura (5%) e altri usi (5%, quali la viticoltura, l’olivicoltura o la coltivazione di menta).
Il quadro dei partecipanti al progetto restituisce un totale di 73 affidatari di terrazzamenti. L’età prevalente è fra i 50 e i 65 anni (50%), seguita da 35-50 anni (28%) e infine da 18-35 (18%, il restante sono associazioni). La provenienza geografica dei partecipanti è solo in piccola parte dall’area di studio (13%), per la maggioranza dai centri urbani limitrofi (50%, ad es. Bassano d.G., Marostica, Rosà, ecc.), in parte minore da aree più lontane quali Vicenza e provincia (13%), Padova e Treviso e provincia (5%), Venezia e provincia (5%). Significativo infine è il dato sul livello di istruzione dei partecipanti, che vede più del 50% dei partecipanti in possesso di un diploma superiore o di una laurea.

Figure 9, 10 e 11 - Un terrazzamento prima delle attività recupero nel sito pilota di Ponte Subiolo, lo stesso terrazzamento dopo i primi lavori di recupero e infine all’avvio dei lavori di coltivazione da parte degli affidatari



Fonte: foto dell’Autore, dicembre 2010, marzo 2011 e giugno 2011

Quattro questioni in evidenza

Al termine della presentazione del progetto si vogliono passare in esame una serie di questioni che nel corso delle attività si sono imposte all’attenzione dei partecipanti, in quanto centrali per il recupero produttivo dei terreni incolti e insieme problematiche nel quadro attuale di governance. Tali criticità sono esaminate qui di seguito, considerandone anche l’importanza per un recupero dei terreni incolti a scala più ampia nelle aree montane, tratteggiando le soluzioni pur provvisorie che il progetto ha potuto mettere in campo.

La procedura di accorpamento fondiario

La questione della proprietà dei terreni in abbandono risulta basilare per la possibilità di un recupero produttivo, nell’area di studio come in altri ambiti montani, perché tali zone sono caratterizzate da un grado notevole di frammentazione fondiaria a causa delle forme vigenti di successione tra gli eredi. Questo problema rimanda a una riflessione di più ampio respiro da anni in corso a livello nazionale, come testimoniano le osservazioni e il dibattito di cui è al centro (Vardanega, 2007) che ha condotto anche all’elaborazione di un progetto di legge presentato alla Camera (Quartiani, 2008). Va considerato d’altra parte come tale disegno di legge prevedesse una procedura di pubblico esproprio dei terreni rimasti incolti per un numero sufficiente di anni, misura che appare lesiva della proprietà individuale, e probabilmente per questo non ha trovato consenso al livello legislativo. Questo esito porta a considerare l’importanza della forma con cui si vanno a rimettere in uso le proprietà agricole improduttive, che dovrebbe consentire da una parte il riutilizzo produttivo e dall’altra una tutela degli interessi privati. La soluzione messa in campo dal progetto in questo senso ha corrisposto a tali esigenze di mediazione fra istanze diverse, quelle della proprietà e quelle di manutenzione del territorio, attraverso la forma del comodato d’uso che, seppur provvisoria e volutamente debole, consente una nuova forma di agricoltura, capace di garantire sia i proprietari che la cura delle aree terrazzate.
Nell’area di studio si deve anche notare come il crollo del valore dei terreni nell’ultimo mezzo secolo ha portato spesso a non registrare gli atti di successione, così che allo stato attuale vi sono terreni che contano un alto numero di eredi, dei quali alcuni sconosciuti o emigrati altrove. Il progetto ha quindi avviato le attività su terreni i cui proprietari erano noti, ma in seguito è stato necessario un lavoro di ricerca catastale capillare e di contatto con gli interessati, i quali a volte si sono potuti individuare solo attraverso la conoscenza degli abitanti locali.
A fronte di tale complessità fondiaria, allora, la scelta di un compromesso nella soluzione del problema della proprietà della terra si è rivelato strategico, consentendo una operatività rapida a fronte di una possibile reversibilità della concessione in uso, andando a mediare fra le istanze dei diversi attori sul territorio, consentendo l’istallazione dei nuovi agricoltori nei campi terrazzati.

La diffusione della policoltura

Passando a considerare l’uso produttivo dei terreni recuperati va valutata la sua funzione di manutenzione territoriale e anche di conservazione di un paesaggio storico, che in una condizione marginale come quella del caso di studio acquista un’importanza non secondaria. In questo senso una della caratteristiche che si è imposta all’attenzione per il riuso produttivo è la policoltura praticata dai nuovi coltivatori, con l’accostamento di coltivazioni orticole e filari di vite, così come di apicoltura e prati permanenti, che ha consentito un adeguamento alle condizioni poste dai diversi terreni (pendenza, raggiungibilità, disponibilità d’acqua), senza il ricorso ad un’alterazione del paesaggio terrazzato con interventi di maggiore entità, che sarebbero risultati necessari per sviluppare coltivazioni estensive e meccanizzate.
Anche in questo caso il progetto ha scelto una strada di compromesso fra le necessità di tutela del territorio, che nel caso di studio erano programmatiche, e quelle di un riuso non semplicemente conservativo ma produttivo, fondamentale per il progetto a livello operativo. Le nuove coltivazioni avviate sui terrazzamenti, con il loro mosaico di terreni lavorati e prati, vigneti e arnie, presentano una specificità che le distinguono tanto dall’uso agricolo precedente (monocoltura del tabacco), quanto dalle coltivazioni estensive praticate nella pianura. Questa trasformazione non giunge ad un’alterazione strutturale del territorio, che nel caso delle aree terrazzate è sconsigliabile sia a livello di stabilità dei versanti che di conservazione del paesaggio.
Si impone allora all’attenzione il ruolo che può rivestire la policoltura per un uso agricolo che coniughi l’uso produttivo con la tutela del territorio, ruolo che potrebbe essere promosso anche a livello pubblico, tramite diverse forme di strumenti di sostegno finanziario.
In questo senso un primo segnale può riscontrarsi nella proposta per la Politica Agricola Comunitaria nel prossimo periodo 2013-2020 (Commissione Europea, 2011) che fra i requisiti per il riconoscimento dei pagamenti diretti alle aziende include, a differenza del passato, anche il seguente: gli agricoltori provvedono affinché almeno il 7% dei loro ettari ammissibili […] sia costituito da aree di interesse ecologico come terreni lasciati a riposo, terrazze, elementi caratteristici del paesaggio, andando così a riconoscere anche la funzione ecologica e paesaggistica svolta dall’agricoltura.

L’accesso dei piccoli proprietari agli strumenti di sostegno finanziario

Queste riflessioni portano a considerare un'altra questione rilevante, quella della possibilità di fruire per il recupero dei terrazzamenti delle politiche di sostegno all’agricoltura. Tale supporto si manifesta come una necessità soprattutto per i lavori di ricostruzione dei muri di sostegno in pietra, che possono nell’area di studio raggiungere anche un’altezza di 6-7 m e oggi richiedono l’utilizzo per gli interventi di un’impresa di costruzione, con un conseguente aumento del costo per la loro realizzazione.
A questo scopo possono adattarsi ad esempio alcune misure previste dal Piano di Sviluppo Rurale 2007-2013 quale la 323a, che tra i suoi obiettivi annovera proprio quello di incentivare la conservazione e la riqualificazione del patrimonio architettonico e degli elementi caratterizzanti il paesaggio nelle aree rurali. Un problema si evidenzia però quando il proprietario del terrazzamento è un privato e non un’azienda agricola, per la difficoltà di accesso agli strumenti di finanziamento che questo comporta. Infatti la grande maggioranza delle misure del Psr prevedono quali destinatari gli enti pubblici e le aziende agricole, non i privati proprietari di terreni. Ciò per alcune misure di finanziamento può essere strategico, ma probabilmente il campo di applicazione potrebbe essere allargato per interventi come il recupero del paesaggio rurale che si presenta come un tipico patrimonio diffuso e presente nelle proprietà anche di semplici privati.
Una sperimentazione di questo tipo è stata svolta parallelamente al progetto Adotta un terrazzamento nell’ambito del Piano di Sviluppo Rurale della Regione Veneto (Lodatti, 2012). La sperimentazione ha consentito di realizzare alcuni interventi di interesse (vedi Figure 11-12-13), d’altra parte però ha evidenziato alcune problematiche inerenti l’accesso ai finanziamenti da parte dei piccoli proprietari, dovute alla percentuale bassa di co-finanziamento prevista per i privati e alla procedura amministrativa richiesta per inoltrare la domanda, che prevedeva l’incarico ad un tecnico specializzato per la stesura di un progetto, andando ad aggravare ulteriormente i costi.

Figure 12, 13 e 14 - Intervento di recupero dei terrazzamenti presso S.Giorgio di Solagna (VI). L’intervento è stato co-finanziato dal Piano di Sviluppo Rurale 2007-2013 (misura 323a, azione 3) e realizzato dai volontari della Associazione Pro Loco di Solagna



Fonte: Foto dell’Autore, 2012

Tentativi di applicazione delle politiche di sostegno all’agricoltura possono quindi produrre alcuni interventi significativi, ma stentano a esprimere appieno le loro potenzialità, mostrando alcune debolezze nella capacità di incidere sul territorio da parte del Piano di Sviluppo Rurale quando si tratta di tipologie di interventi con caratteristiche specifiche, quali sono quelli sui terrazzamenti.

Il coinvolgimento della società civile

Una maggiore efficacia in termini di diffusione capillare ed effetti sul territorio ha di fatto dimostrato il progetto Adotta un terrazzamento che ha puntato, piuttosto che sul sostegno pubblico, sul coinvolgimento della società civile (anche esterna all’area di studio), con risultati capaci di incidere significativamente sulla manutenzione delle aree terrazzate (gli 80 terrazzamenti recuperati in 2 anni) tramite la procedura di affidamento in comodato d’uso.
A questo riguardo si può notare che la partecipazione di parte pubblica è stata anche in questo caso importante per la sua funzione di garanzia dei lavori attuati (da parte del Comune) e di gestione (da parte dell’Università), ma è stato il coinvolgimento diretto dei cittadini delle aree urbane a consentire la conservazione e il nuovo utilizzo produttivo di parti significative del patrimonio terrazzato.
Si può allora considerare come per aree caratterizzate da una marginalità economica, quando essa si accompagna a un valore territoriale e storico rilevante, possano mostrarsi efficaci meccanismi che con modalità diverse coinvolgono la società civile, tanto più in un momento storico come quello attuale dove scarseggiano le risorse pubbliche. Una considerazione che nel caso di studio viene rafforzata dalla forma di recupero produttivo che i cittadini coinvolti hanno messo in atto, più adatta a mantenere nel tempo i terrazzamenti rispetto ad interventi di restauro una tantum.
Queste considerazioni potrebbero essere rafforzate da uno sguardo gettato a esperienze straniere di più o meno lunga data quale quella della Custodia del territori in ambito catalano, nata alla fine del secolo scorso, o quella ormai secolare del National Trust inglese. Modalità diverse di collaborazione fra pubblico e privato che entrambe, con procedure diverse, si fanno forti del sostegno da parte di associazioni ed enti locali per la conservazione di un patrimonio economicamente marginale ma significativo dal punto di vista territoriale e culturale, portando a risultati di grande interesse, sia sul piano della conservazione che su quello della valorizzazione.
Queste sono alcune delle problematiche operative sollevate da un progetto che, nato come un piccolo intervento sperimentale, ha mostrato una capacità significativa di autoalimentarsi, fino a fornire indicazioni sulle potenzialità offerte da forme di collaborazione pubblico-privato per la conservazione e il recupero di aree agricole di valore in stato di abbandono, andando a offrire un contributo su prospettive che riscuotono sempre maggiore interesse anche in ambito nazionale italiano.

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