Lo sviluppo integrato territoriale nelle aree rurali: alcuni casi studio

Lo sviluppo integrato territoriale nelle aree rurali: alcuni casi studio

Introduzione1

Il presente articolo presenta alcuni risultati emersi dalla ricerca Inea su “La governance delle politiche in aree rurali” nell’ambito delle attività della Rete Rurale Nazionale 2007-2013 (AA.VV., 2011), che aveva come obiettivo l’analisi della “governance” dello sviluppo rurale e delle politiche pubbliche ma che ha consentito – anche grazie ad alcuni casi studio – di affrontare l’analisi dei processi di sviluppo nelle aree rurali, mettendo a fuoco le interdipendenze produttive e le connessioni tra imprese e settori.
Sono state analizzate alcune aree sufficientemente diverse dal punto di vista strutturale2 che hanno evidenziato interessanti differenze nelle strategie delle imprese, nella dinamica dei rapporti tra le imprese oltre che con le istituzioni e le altre organizzazioni, nell’uso degli strumenti e delle opportunità messe a disposizione dalle politiche pubbliche, specie quelle basate sui fondi strutturali comunitari.
L’analisi dei casi studio consente di individuare alcune interessanti traiettorie di trasformazione dei sistemi locali che rafforzano la capacità di integrazione produttiva tra imprese e settori e che sottolineano la rilevanza dei processi di sviluppo territoriale e di valorizzazione delle risorse locali così da offrire alcune indicazioni per le strategie di sviluppo per altre analoghe aree rurali.

Struttura produttiva e processi di trasformazione nei sistemi locali

Il caso delle Langhe

Le Langhe rappresentano un’area che, nei primi decenni del dopoguerra, appariva come prevalentemente agricola e in fase di progressivo spopolamento.
I motori dello sviluppo per l’inversione di tendenza economica e demografica sono stati, inizialmente, l’integrazione degli insufficienti redditi agricoli della collina e dell’alta collina con i redditi (e l’occupazione) del settore industriale relativamente diffuso attorno ad Alba e a Bra3 che consentiva di mantenere una quota relativamente alta di popolazione residente in aree a basso reddito agricolo e, successivamente e in maniera crescente, la strategia e gli investimenti per la riqualificazione della produzione vitivinicola in un’area deputata alla coltivazione di vitigni prestigiosi.
Negli ultimi 15-20 anni il sistema locale si è progressivamente trasformato in direzione di una progressiva integrazione con altre attività complementari (dalla produzione agricola di qualità alla trasformazione industriale, all’integrazione tra prodotti agro-alimentari di qualità e le tradizioni gastronomiche del territorio) che hanno consentito di valorizzare le risorse locali per l’attrattività turistica, anche grazie alle iniziative e alle politiche che hanno favorito l’agriturismo, sino ai più recenti progetti di valorizzazione dei beni culturali e delle tradizioni del territorio. Vi è stato, dunque, un progressivo processo di cambiamento sia dei comportamenti imprenditoriali che della capacità di coordinamento che ha consentito di indirizzare le Langhe verso un processo di sviluppo integrato territoriale. La forte identità territoriale e il senso di appartenenza della popolazione hanno certamente contribuito a perseguire un sentiero di sviluppo autonomo e di elevata integrazione economica.
Oggi le Langhe presentano un quadro particolarmente robusto sia in termini strutturali che dal punto di vista della dinamica economica. Innanzitutto, il distretto agro-alimentare che caratterizza profondamente il sistema produttivo locale è organizzato attorno a circa 11.000 imprese di cui quasi 8.800 operanti nel settore agricolo in senso stretto e circa 2.000 nei settori industriali e terziari collegati (700 imprese nell’industria di trasformazione dei prodotti agricoli, 1.000 intermediari commerciali ma anche 150 imprese che forniscono servizi alle imprese agricole) (Garavaglia, 2009; Garofoli 2011a). Questo denso tessuto di imprenditorialità, di saperi diffusi e di competenze professionali specifiche sono alla base della competitività e della buona posizione del sistema locale sul mercato nazionale e internazionale.
L’elevato numero di produttori vitivinicoli (3-4.000 produttori e circa 1.000 imbottigliatori) determina un sano meccanismo di competizione e di emulazione. Il Consorzio del Barolo e del Barbaresco (con 460 aziende associate) ha svolto un ruolo determinante sia nella direzione del continuo miglioramento della qualità del prodotto che nella direzione della costruzione di una forte immagine del prodotto a livello internazionale. La strategia del Consorzio sembrerebbe, ad un’analisi comparata (per un confronto con il Chianti, cfr. Romano, Tudini, 2011), particolarmente aperta e e costruita attraverso un processo di condivisione tra gli operatori economici.
Il punto di forza del sistema locale è centrato su risorse umane pregiate (preparate, competenti e ad alto livello professionale), a partire dall’imprenditorialità, passando per i tecnici, i professionisti, gli esperti di settore per giungere ai manager che recentemente hanno integrato la capacità gestionale delle imprese che restano ancora oggi prevalentemente a proprietà familiare.
La produzione di qualità (in un territorio relativamente ristretto e con caratteristiche pedologiche non riproducibili e date le scelte del Consorzio di non espandere, comunque, la produzione) permette un buon posizionamento internazionale, il controllo dei prezzi da parte dei produttori e la difesa dei redditi lungo tutta la catena di produzione.
Con riferimento alle dinamiche economiche, le Langhe presentano, inoltre, le migliori “performance” relative (rispetto alla regione nel suo insieme e alle altre aree piemontesi) in termini demografici, occupazionali (anche nell’artigianato, nei servizi e nel commercio), di attrattività di flussi turistici (specie dall’estero) (Aimone, Landini, 2004).
Dal punto di vista del cambiamento strutturale si può identificare una progressiva trasformazione del sistema locale dal modello di distretto agro-industriale ad un modello di sviluppo integrato territoriale che è stato determinato dalla crescita di unità produttive e di occupazione nei servizi turistici che sono strettamente collegati ai prodotti e alle risorse del territorio. Per usufruire dei prodotti e dei servizi del sistema produttivo locale si sviluppano successivamente il turismo vitivinicolo, il turismo gastronomico, il turismo culturale con tutti i riflessi sullo sviluppo dei servizi connessi e con la progressiva “complessificazione” del sistema economico locale e il conseguente arricchimento e ampliamento dei saperi e delle competenze professionali mobilitabili.
Non è quindi un caso che il territorio delle Langhe sia divenuto uno dei luoghi più interessanti per l’organizzazione di eventi culturali. È sufficiente pensare al ruolo del Premio Grinzane Cavour, alla costituzione della Fondazione Emanuele da Mirafiore e della Fondazione Cesare Pavese, all’organizzazione di parchi letterari e di ecomusei. Così come non si deve dimenticare l’emergere di nuovi attori innovativi (“Slow Food” e “Eataly”, per esempio), con gli effetti di traino nella percezione di nuove opportunità di valorizzazione delle risorse del territorio.
Infine, sembra particolarmente rilevante sottolineare la forte integrazione tra istituti di credito e attività produttive che è stata costantemente monitorata e salvaguardata dalla società locale e che sottolinea il ruolo cruciale assunto dalle banche locali4, giacché ha consentito un effettivo funzionamento del cosiddetto “capitale di prossimità” che ha favorito la trasformazione delle risorse finanziarie locali in investimenti produttivi.

Il caso di Manzano e dei Colli Orientali

Il secondo caso che viene qui analizzato riguarda l’area di Manzano e dei Colli Orientali in Friuli. Si tratta di un’area caratterizzata dalla presenza di un distretto industriale in un ambito prettamente rurale.
Il distretto della sedia ha fatto registrare una fase di vorticosa ascesa industriale negli anni sessanta e settanta per l’assenza di barriere all’entrata delle imprese (soprattutto in considerazione della bassa quantità di capitale necessario per l’avvio di nuove imprese) che ha favorito una accentuata natalità imprenditoriale e per l’elevata flessibilità del mercato del lavoro (per l’esistenza di una vasta riserva di forza lavoro proveniente dal settore agricolo), cui è, tuttavia, seguita una fase di rapido declino negli ultimi 15 anni.
Il distretto di Manzano è passato da un’occupazione di 15-16.000 addetti negli anni di massima espansione ai circa 7.000 di oggi e da 1.300-1.400 imprese a circa 700 imprese (AsdiSedia, 2011).
Le maggiori difficoltà del distretto si sono manifestate nella posizione internazionale delle imprese con notevoli differenze rispetto agli altri distretti del legno e mobilio in Italia. Le esportazioni del distretto si sono, infatti, dimezzate nell’ultimo decennio, come conseguenza di un debole posizionamento sul mercato internazionale (determinato da una diffusa strategia di competizione sui costi) e per la mancanza di capacità strategiche nella gran parte delle imprese che ha impedito di seguire percorsi di trasformazione più coerenti rispetto alle tendenze del mercato e del gioco competitivo.
In altri termini, sembra di poter notare l’assenza di un “leader” o di un “pivot” dello sviluppo locale (Garofoli, 1991) che potesse favorire un coordinamento leggero e un indirizzo strategico del sistema produttivo. Ciò ha determinato l’incomprensione delle dinamiche in atto e l’incapacità non solo di anticipare il cambiamento ma addirittura di innescare reazioni adeguate da parte del sistema produttivo locale.
A fronte di queste dinamiche nel settore industriale il settore agro-industriale ha invece, negli ultimi anni, attirato sempre più l’attenzione degli operatori economici e dei “policy maker”.
È, infatti, possibile riscontrare sia una crescente attenzione ai prodotti tipici locali (Doc, Docg, Dop) sia il recupero delle tradizioni gastronomiche con i conseguenti effetti anche sulla promozione turistica. Si assiste, inoltre, alla costituzione di consorzi e ad aggregazioni di imprese per l’introduzione sul mercato di prodotti di qualità e per la loro promozione sul mercato nazionale e internazionale.
Numerosi imprenditori industriali hanno avviato attività nel settore vitivinicolo sia per il recupero della “memoria” del territorio e delle sue antiche origini sia per la ricerca del prestigio sociale, determinando una sorta di “nuova aristocrazia” che si lega alla proprietà terriera in aree di elevata qualità paesaggistica.
Le imprese del settore vitivinicolo hanno effettuato ingenti investimenti tecnologici per la produzione di vini bianchi di qualità e questo processo è stato accompagnato da un ruolo cruciale del Consorzio Colli Orientali che raggruppa oltre 200 soci, i 3/4 dei quali sono (anche) imbottigliatori e che presentano, dunque, una propria etichetta. La promozione del prodotto è ritenuta, infatti, la variabile cruciale per il successo del settore e per questo necessita di una adeguata massa critica che non sarebbe raggiungibile dai singoli produttori.
È interessante notare come stia prevalendo, nell’area, l’idea di promuovere i territori piuttosto che i vitigni, specie dopo l’utilizzazione della denominazione di origine del “Friulano”, seguendo quindi la tipica strategia francese nel settore vitivinicolo che lega il nome del vino al territorio. L’utilizzazione della denominazione “Friulano”, dopo l’impedimento dell’utilizzo della denominazione “Tocai” ha, inoltre, favorito la promozione dell’immagine del territorio che può essere estesa anche ad altri prodotti agro-alimentari e alla gastronomia dell’area, consentendo di valorizzare le cosiddette “economie di scopo”.

Politiche e strategie di sviluppo

L’utilizzo delle politiche di sviluppo

Passando ad analizzare l’utilizzazione delle strategie e delle politiche di sviluppo si notano interessanti differenze nei casi studiati che saranno brevemente ricordate5.
Nelle Langhe gli operatori economici ed istituzionali hanno presentato diversi piani di sviluppo territoriale utilizzando gli strumenti di volta in volta previsti. Nel territorio sono state, dunque, avviate varie iniziative di supporto all’economia locale utilizzando sia il patto territoriale sia i progetti Leader che i progetti di filiera. I risultati più significativi delle politiche di sviluppo hanno riguardato i progetti che hanno rafforzato l’integrazione delle attività agro-industriali e agrituristiche.
Si può, inoltre, notare una buona interazione tra Regione, da un lato, ed Enti Locali e associazioni/consorzi, dall’altro, che ha determinato l’avvio di alcune iniziative importanti con particolare attenzione alla valorizzazione delle risorse culturali e paesaggistiche del territorio. I risultati più rilevanti su questo fronte sono stati certamente quelli che hanno consentito l’organizzazione degli ecomusei e la costituzione del Museo del vino sino al recente avvio delle procedure per la candidatura al riconoscimento dell’Unesco come patrimonio dell’umanità.
Le azioni avviate dimostrano una notevole capacità di mobilitazione di attori diversi (pubblici e privati), con la consapevolezza di dover mettere in relazione competenze diverse e complementari per il raggiungimento di obiettivi condivisi e partecipati nell’interesse della collettività locale.
Sembra di poter osservare l’esistenza di due orientamenti strategici condivisi tra gli attori pubblici e privati: l’orientamento alla qualità del prodotto come “mission” del territorio e l’attenzione diffusa alla capacità di promozione dei prodotti locali come condizione necessaria per il raggiungimento degli obiettivi dello sviluppo del territorio.
Il risultato finale di questo complesso meccanismo di interazione di strategie e politiche di sviluppo è la progressiva costruzione, non so quanto consapevole tra gli operatori locali, di un vero e proprio sistema integrato territoriale.
Nell’area dei Colli Orientali in Friuli, invece, la “governance” dello sviluppo locale è stata a lungo assente come conseguenza di una insufficiente attenzione alle politiche e alle azioni di sviluppo.
Nel passato, quando il processo di sviluppo e di industrializzazione procedeva rapidamente in modo spontaneo, le istituzioni pubbliche, lo Stato locale, le Associazioni di categoria, le autonomie funzionali, le banche hanno assecondato le scelte imprenditoriali e non hanno compreso i rischi di crisi e dissoluzione del distretto. In altri termini è mancata una riflessione critica sul modello, sulle sue caratteristiche ma anche sui suoi punti deboli; gli “stakeholder” hanno sostanzialmente abdicato al loro ruolo di accompagnatori del processo di sviluppo.
Per questo motivo l’utilizzo delle politiche di sviluppo procedeva, nel passato, favorendo interventi settoriali e aziendali piuttosto che interventi di sostegno dello sviluppo territoriale. Questo spiega, forse, perché nella programmazione 2000-2006 non è stata formalmente introdotta nella regione la progettazione integrata territoriale6, che è stata invece utilizzata nelle altre regioni italiane.
Nell’area vi è stata, inoltre, qualche difficoltà nella valorizzazione degli strumenti del Programma Leader (che sono stati riservati esclusivamente alle aree di montagna) e si nota anche un ritardo nella applicazione di alcune strumentazioni specifiche (distretti industriali, progettazione integrata territoriale, ..).
Ciò nonostante, si deve sottolineare una notevole inversione di tendenza con l’approccio allo sviluppo territoriale e con i nuovi strumenti introdotti nell’ultimo ciclo di programmazione (2007-2013). Il Programma di Sviluppo Rurale (Psr) rende compatibili gli obiettivi di competitività con l’attenzione allo sviluppo territoriale: viene introdotta la programmazione integrata (territoriale e di filiera con i Pit e i Pif), con modalità aperte e flessibili che consentono l’introduzione di nuovi approcci e di nuove modalità di intervento che favoriscono l’introduzione della cooperazione tra le imprese. I risultati dei primi anni di applicazione degli strumenti della nuova programmazione sono abbastanza buoni (Cisilino, Cutrano, 2010) nonostante siano ancora presenti alcune criticità che determinano difficoltà per una piena integrazione intersettoriale e territoriale (Garofoli, 2011b).

La “governance” dello sviluppo locale: alcune considerazioni dalla comparazione dei casi

Si è già ricordato come nelle Langhe sia abbastanza forte il raccordo tra Regione e sistema locale e come ciò sia alla base di una rilevante capacità di mobilitazione degli attori pubblici e privati. Ciò che è ulteriormente possibile notare è la coerenza e l’elevata integrazione tra investimenti pubblici e investimenti privati: gli investimenti privati hanno favorito l’integrazione intersettoriale soprattutto a seguito dell’ingresso degli imprenditori locali nei nuovi settori in espansione – nel settore turistico ma anche nel settore vitivinicolo – con l’avvio di iniziative ben strutturate, più capitalizzate e con capacità strategiche (e di management) più robuste, che consentono un adeguato potere contrattuale nel posizionamento sul mercato. La “complessificazione” del sistema produttivo locale che ne consegue va dunque nella direzione di un rafforzamento e di una integrazione territoriale che rende più efficace e sostenibile nel tempo l’intero sistema produttivo. L’interazione implicita tra le decisioni degli operatori privati e le decisioni degli operatori pubblici mostra, dunque, l’esistenza di una coerenza del disegno strategico che può essere definito come una “governance” informale di un sistema complesso7.
Nei Colli Orientali del Friuli il processo di “governance” è, invece, molto diverso e il ruolo maieutico dell’operatore pubblico è ancora prevalente. In Friuli l’interesse degli operatori socio-economici ed istituzionali nei riguardi dello sviluppo territoriale emerge progressivamente a partire dalla diffusione della conoscenza degli strumenti della progettazione integrata.
La Regione Friuli – Venezia Giulia si muove in controtendenza rispetto ad altre aree e regioni con l’introduzione ritardata della progettazione integrata ma anche con nuovi strumenti per lo sviluppo locale (ci si riferisce alle Agenzie di Sviluppo dei distretti industriali – Asdi -, alle associazioni dei Comuni – Aster) che consentono l’ingresso di nuovi attori (esperti, progettisti, Amministrazioni locali, associazioni di comuni) nella riflessione e nella capacità di avanzare e gestire proposte di sviluppo locale. Ciò ha consentito di attivare una strategia di animazione e di sensibilizzazione degli attori locali la cui conseguenza è l’accresciuta partecipazione di attori pubblici e privati alla riflessione sulle tematiche dello sviluppo locale. I comuni e la società civile iniziano a partecipare a progetti di sviluppo e si assiste non solo alla crescente attenzione allo sviluppo locale, ma anche ad un rafforzato interesse e ad un entusiasmo diffuso rispetto alla possibilità di riflettere, discutere e lavorare per il futuro del territorio8 che non si riscontrano ormai quasi più in altre aree in Italia.
Le ultime considerazioni devono essere indirizzate alla crescita delle risorse umane mobilitabili nel territorio e delle “capabilities” per la “governance” dello sviluppo locale.
Nelle Langhe si è assistito, negli ultimi anni, ad un rilevante innalzamento della qualità delle risorse umane utilizzate dal sistema produttivo locale, specie di quelle utilizzate dalle imprese. Ciò è avvenuto sia con un rilevante miglioramento delle competenze degli imprenditori, dei manager e dei tecnici sia con l’ingresso di nuovi esperti e consulenti per la gestione del sistema nel suo aggregato. Ciò nonostante sembra che vi sia la necessità di formare ulteriori “capabilities”, specie nelle competenze per la mobilitazione degli attori e per una più ampia partecipazione all’implementazione delle strategie di sviluppo locale.
A Manzano e nei Colli Orientali si nota l’insufficienza di “capabilities” per la progettualità dello sviluppo territoriale, nonostante il ruolo determinante esercitato, in questi anni, dagli esperti/consulenti tra i progettisti e coordinatori dei progetti attualmente attivi (Garofoli, 2011b).
Per quanto riguarda le prospettive future, nelle Langhe il modello di sviluppo sembra fortemente orientato allo sviluppo endogeno (Garofoli, 1992, Vazquez Barquero, 2002) e sostenibile, con la progressiva formazione di un sistema integrato territoriale, che ha fatto crescere le connessioni e le interdipendenze produttive a livello locale, oltre a rafforzare il posizionamento esterno. Probabilmente gli sforzi dei prossimi anni devono essere indirizzati a garantire una nuova spinta all’imprenditorialità (anche sociale) del territorio e a consentire il mantenimento di una adeguata capacità progettuale dell’intero sistema. A Manzano e nei Colli Orientali si è notato un notevole cambiamento dei comportamenti degli attori locali che ora si manifestano fortemente favorevoli ad iniziative di sviluppo territoriale; vale a dire si è compreso che lo strumento del Pit, introdotto nel Psr, potrebbe essere esteso, nel prossimo futuro, a tutto il sistema economico. Su questo tema occorrerà, dunque, lavorare nei prossimi anni, rafforzando le competenze professionali per la gestione del sistema produttivo territoriale. Oggi si nota, infatti, soprattutto l’insufficienza di competenze professionali per la lettura comparata dello sviluppo e per l’apprendimento dalle “buone pratiche”, oltre alla necessità di rafforzare le competenze manageriali per l’introduzione di strategie adeguate da parte delle imprese locali.

Le lezioni da trarre

Qualche breve considerazione finale soprattutto per ragionare sulle opportunità dello sviluppo rurale in Italia o, meglio, dello sviluppo locale e territoriale nelle regioni rurali del nostro paese.
Innanzitutto, va sottolineata la necessità di coniugare l’attenzione ai prodotti di qualità agro-industriali con il mantenimento e la costruzione di un’immagine del territorio di qualità. La percezione da parte di consumatori della qualità del territorio di provenienza dei prodotti è elemento strategico per il posizionamento differenziale delle imprese agro-industriali di qualità del nostro paese e la sola garanzia della durabilità di questo modello di sviluppo. Ciò significa anche rafforzare la responsabilità sociale nei riguardi del futuro delle aree rurali e, quindi, dell’approccio dello sviluppo territoriale.
La seconda lezione di carattere generale riguarda la possibilità di perseguire un processo di trasformazione dell’economia e della società locale in direzione di un sistema integrato territoriale che rafforzi le connessioni e le interdipendenze produttive e, di conseguenza, le opportunità di ingresso di nuove imprese e di creazione di nuova occupazione in una logica di sviluppo endogeno e controllato dagli operatori locali rafforzando l’identità territoriale e la consapevolezza diffusa sulle sfide del futuro.
Infine, per queste aree in cui si mobilitano competenze diverse, non solo tipiche ed esclusive del settore agricolo, sembra opportuno riproporre il concetto di “sviluppo agropolitano”, introdotto da John Friedmann, alla fine degli anni ’70 (cfr., ad esempio, Friedmann, Weaver, 1979), che si crede sia particolarmente utile ai nostri scopi. L’attenzione dello sviluppo “agropolitano” è rivolta ad aree rurali legate strettamente a centri urbani di piccola dimensione, che producono beni e servizi di qualità: sono necessarie competenze che siano capaci di valorizzare i prodotti; sono necessarie la ricerca e la formazione; è necessario il coinvolgimento di altri attori (al di fuori del settore agricolo), occorre saper fare comunicazione e saper entrare in mercati diversi. C’è, quindi, un problema di integrazione di competenze, per risolvere il quale sono necessarie delle funzioni che possono sembrare di tipo urbano, ma che oggi si possono svolgere perfettamente anche in città di piccola dimensione e in aree rurali; questa integrazione tra competenze e settori consente, in qualche modo, di superare la tradizionale dicotomia città-campagna. Uno sviluppo “agropolitano”, di fatto, riesce a integrare lo sviluppo rurale con le capacità e le potenzialità dei centri urbani.
In conclusione, in una prospettiva di questo tipo, il territorio diventa attore dello sviluppo. Si apre uno spazio fondamentale, in termini di strategie e di politiche di intervento e di sostegno allo sviluppo locale, sostanzialmente in termini di pianificazione strategica. Organizzare un progetto integrato territoriale significa predisporre un patto per lo sviluppo e realizzare un’azione di sviluppo locale; vuol dire pianificare lo sviluppo locale e saper costruire un’interpretazione condivisa tra gli attori locali (all’interno della comunità delle imprese e dei cittadini di quel territorio) sul posizionamento relativo del territorio, sulle opportunità economiche da cogliere, sugli obiettivi da perseguire e sul percorso da avviare e realizzare. Uno sviluppo, dunque, integrato, con una strategia di territorio e di sistema, che sia basato prevalentemente sull’ “up-grading” delle risorse locali e sull’integrazione di saperi e competenze tecnico-professionali.

Riferimenti bibliografici

  • AA.VV.(2011), Politiche, istituzioni e sviluppo rurale: i processi di “governance”, Inea - Rete Rurale Nazionale 2007-2013 – Ministero delle Politiche Agricole, Roma, 2011

  • Aimone S., Landini S. (2004), Distretto dei vini Langhe, Roero e Monferrato (L.r. 20/99).

  • Quadro Socioeconomico e territoriale, Quaderno dell’Ires Piemonte, Ires Piemonte, Torino, gennaio 2004

  • AsdiSedia (2011), Piano di Sviluppo per il rilancio del Distretto della Sedia, Agenzia per lo sviluppo del distretto industriale della sedia, Manzano

  • Baldasso O. (2004), Il modello di programmazione della progettazione locale integrata

  • Report regionale Friuli Venezia Giulia, Progetto Sostegno alla Progettazione Integrata nelle Regioni del Centro Nord, Formez, Roma

  • Cisilino F., Cutrano S. (2010), La sfida dei progetti integrati territoriali in Friuli Venezia Giulia, Agriregionieuropa, anno 6, n. 20, marzo

  • Friedmann J., Weaver C.(1979), Territory and Function, Edward Arnold, London

  • Garavaglia L. (2009), Cluster produttivi e traiettorie di sviluppo nei territori del Cuneese, I Quaderni della Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, n. 5, 2009

  • Garofoli G. (1991), Modelli locali di sviluppo, Franco Angeli, Milano

  • Garofoli G. (ed.) (1992), Endogenous Development and Southern Europe, Avebury, Aldershot

  • Garofoli G. (2011a), Sistema integrato territoriale e “governance” dello sviluppo nelle Langhe, in AA.VV., Politiche, istituzioni e sviluppo rurale: i processi di “governance”, Inea - Rete Rurale Nazionale 2007-2013 – Ministero delle Politiche Agricole, Roma, 2011

  • Garofoli G. (2011b), Le politiche di sviluppo locale a Manzano e nei Colli Friulani Orientali, in AA.VV., Politiche, istituzioni e sviluppo rurale: i processi di “governance”, Inea - Rete Rurale Nazionale 2007-2013 - Ministero delle Politiche Agricole, Roma, 2011

  • Romano D., Tudini L, (2011), Sistemi locali a forte connotazione rurale: il Chianti e la Garfagnana, in AA.VV.(2011), Politiche, istituzioni e sviluppo rurale: i processi di “governance, Inea - Rete Rurale Nazionale 2007-2013 – Ministero delle Politiche Agricole, Roma, 2011

  • Vazquez Barquero A. (2002), Endogenous Development, Routledge, London and New York, 2002

  • 1. L’autore ringrazia i due anonimi “referee” per i commenti e i suggerimenti ricevuti.
  • 2. I casi studio, attraverso l’analisi di campo, della ricerca Inea sono stati quelli della Garfagnana, del Chianti, delle Langhe e dei Colli Orientali nel Friuli, nonostante in queste pagine si faccia riferimento prevalentemente agli ultimi due casi condotti direttamente dall’autore di questo articolo.
  • 3. L’integrazione della Ferrero con il territorio rappresenta un caso esemplare che consente l’integrazione dei redditi con pluriattività, con occupazione industriale e con il reddito prodotto (prevalentemente con lavoro part-time) nell’agricoltura dell’alta collina, soprattutto con la coltivazione del nocciolo.
  • 4. Non è forse un caso che la Banca di Alba, attraverso alcune recenti fusioni, è divenuta la più grande Banca cooperativa di tutto il paese almeno per quanto riguarda il numero dei soci (oltre 30.000).
  • 5. Per un’analisi più dettagliata si rimanda ai testi che presentano i risultati delle ricerche (Garofoli, 2011a; Garofoli, 2011b; Romano, Tudini, 2011).
  • 6. Nel DocUP ob. 2 per il periodo 2000-2006 della Regione Friuli - Venezia Giulia non si ritrova il concetto di Progetto Integrato nonostante vengano richiamate specifiche strumentazioni già sperimentate positivamente nella fase programmatoria precedente (con l’ob. 5b e con il Programma Leader II) e finalizzate ad un’ottica di integrazione e addizionalità (Baldasso, 2004).
  • 7. Tra gli strumenti di sostegno dello sviluppo rurale è prevalente l’utilizzo del I asse. Nell’Alta Langa c’è una “governance” più formale delle politiche pubbliche e sono, dunque, più rilevanti i programmi Leader + e l’Asse IV, ma nella Bassa Langa sono soprattutto la forte interazione tra gli attori privati e la capacità di individuare una strategia comune di sviluppo che permettono di integrare i finanziamenti pubblici nei processi di trasformazione economica.
  • 8. È opportuno sottolineare come il Progetto Integrato di Filiera (Pif) di Corno di Rosazzo, che vede una elevata partecipazione di attori pubblici e privati e che è coordinato dal Comune di Corno di Rosazzo, rappresenti un caso particolarmente esemplare di un pacchetto di azioni coordinate di sviluppo integrato territoriale (Garofoli, 2011b).
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