Strumenti di mercato innovativi nella fornitura di servizi ecosistemici. Possibili applicazioni del greening

Strumenti di mercato innovativi nella fornitura di servizi ecosistemici. Possibili applicazioni del greening
Istituto Nazionale di Economia Agraria

Introduzione

L’identificazione di misure con un buon livello di costo efficacia rappresenta un aspetto prioritario nel dibattito in corso sui futuri scenari per le politiche agricole e per lo sviluppo rurale al fine di garantire la fornitura di beni e servizi ambientali a costi ragionevoli per la società. Nelle proposte di regolamento della Commissione europea per la nuova Pac 2014-2020 le questioni ambientali occupano una posizione di rilievo anche tra le misure del primo pilastro, dove viene destinata una quota pari al 30 per cento dell’ammontare complessivo degli aiuti disaccoppiati ad alcune misure obbligatorie conosciute come greening, o "inverdimento" della Pac. Il tentativo di ancorare il sostegno al reddito degli agricoltori alla fornitura di beni pubblici è rappresentato da tre misure specifiche: la diversificazione colturale, il mantenimento della superficie attualmente destinata a colture foraggere permanenti e la presenza in ogni azienda di superfici non coltivate definite aree di interesse ecologico (Ecological Focus Areas - Efa).
Il dibattito sull'efficacia in termini ambientali e sui costi che gli agricoltori dovranno sostenere è molto vivace e vede contrapposte diverse tesi su come migliorare l'attuale strutturazione delle misure (Povellato, 2012; Matthews, 2012). Le misure, infatti, hanno effetti diversificati sulle imprese a seconda dell'evoluzione nel tempo degli indirizzi produttivi. In particolare l'obbligo di mantenere i prati permanenti crea, in molti casi, una condizione di squilibrio tra quanti hanno mantenuto le superfici e quanti hanno convertito i prati a seminativo in anni precedenti. Il caso contrario si presenta con l'obbligo delle Efa: le aziende che nel passato hanno eliminato le siepi e le altre aree non coltivate si ritrovano a doverle reintrodurre, mentre vengono in qualche modo "premiate" le aziende che hanno mantenuto un tessuto semi-naturale tra i campi coltivati.
Per limitare il più possibile gli effetti negativi sul reddito delle imprese, si potrebbero attivare meccanismi alternativi di applicazione degli standard, pur garantendo che l'obiettivo ambientale sia perseguito in misura adeguata.
In questo contributo viene analizzata l'applicabilità alle aziende agricole di uno strumento di mercato basato sull’emissione di "obblighi negoziabili" che consentirebbe una migliore modulazione delle misure al greening riguardanti le foraggere permanenti e le Efa in un'area di pianura. Questo studio mette in luce gli impatti economici e ambientali derivanti dalla creazione di un mercato per un servizio ecosistemico - rappresentato dal carbonio atmosferico stoccato nel suolo dell’area della pianura veneta - che può essere scambiato tra le singole aziende agricole. Le simulazioni sono state realizzate in base alle informazioni strutturali ed economiche ricavate dalla banca dati Rica.

Il meccanismo di "floor-and-trade"

Lo strumento dei permessi scambiabili non ha mai avuto un'applicazione diffusa nel settore agricolo, dove si è preferito agire con politiche di regolamentazione (command and control) o con misure di incentivazione (pagamenti agroambientali) e, più recentemente, con misure ibride come la condizionalità. Le proposte di strumenti alternativi di mercato sono rimaste, finora, confinate nel dibattito accademico e meno frequentemente sono entrate nella discussione politica. Un interessante esempio è rappresentato dal meccanismo di quote scambiabili di superfici - definito floor-and-trade (FT) - proposto inizialmente dalla Country Land and Business Association (Cla, 2009) e successivamente ripreso dalla fondazione Rise (2009). Il meccanismo floor-and-trade sostanzialmente prevede di assegnare a ogni azienda un quantitativo minimo di beni ambientali che devono essere forniti alla società al fine di garantire la sostenibilità delle attività produttive e giustificare, se del caso, il sostegno pubblico ricevuto dal settore. Il "quantitativo minimo" di questi beni potrebbe assumere diverse forme come quote di superficie agricola destinata a determinati usi quali ad esempio prati e pascoli, superfici non coltivate in set-aside ecologico, siepi e muretti a secco mantenuti in azienda, ecc.. In sostanza gran parte degli “obblighi di inverdimento” delle superfici aziendali potrebbero appartenere a queste categorie di uso del suolo.
L’idea di base che anima il presente contributo è che l'assegnazione di questo obbligo, legata alla possibilità di negoziarlo con altre aziende agricole, possa creare un nuovo mercato in cui uno specifico servizio ecosistemico (SE) associato ad un determinato uso del suolo agricolo diventa il bene ambientale scambiabile. Quindi, nel caso in cui la quantità di un determinato bene ambientale a disposizione di un'azienda eccede il quantitativo minimo obbligatorio (floor) si genera un "credito" che può essere scambiato (trade) con aziende che, in virtù della forte intensità e specializzazione produttiva, hanno maggiore convenienza ad acquisire la quota minima da altre aziende piuttosto che realizzarla in proprio. L'elasticità del sistema, rispetto ad un requisito obbligatorio e uguale per tutte le aziende, consente di allocare le attività di produzione di beni ambientali e di alimenti in base ai rispettivi costi opportunità raggiungendo un'allocazione più efficiente (Povellato, 2010). I punti critici nell’implementazione del meccanismo di quote negoziabili sono rappresentati dalla misurabilità del servizio agro-ecosistemico oggetto di intervento e l’identificazione dell’area di negoziazione, oltre che dai costi di transazione generati dal meccanismo di scambio.
Un aspetto fondamentale riguarda la misurabilità del servizio agro-ecosistemico associato e oggetto del FT, il che nel caso dell’attività agricola a differenza di quelle industriali, presenta diverse complicazioni per gli effetti esterni diffusi e non facilmente quantificabili (Longhitano, 2012). Per questo motivo, generalmente, si prendono in considerazione particolari usi del suolo e pratiche agricole come proxy degli effetti ambientali. In questo studio il servizio ecosistemico di riferimento è rappresentato dalla quota di carbonio stoccata nel suolo dalle superfici a prati e pascoli (PP) che, tra i sistemi agricoli erbacei, presentano un’elevata efficienza di stoccaggio. I PP rappresentano la forma più estensiva della foraggicoltura e spesso si tratta di agrosistemi confinati in aree precluse ad altre utilizzazioni agricole o dove si vogliono enfatizzare aspetti di tipo ambientale-paesaggistico. Questi sistemi definiscono un sistema biologico dinamico molto complesso con un ruolo extraproduttivo non indifferente dovuto anche alle peculiarità del ciclo del carbonio. Un altro aspetto piuttosto importante riguarda la dimensione dell'area all'interno della quale è possibile effettuare lo scambio dei crediti. Se le aree fossero molto estese, infatti, si potrebbero verificare effetti redistributivi rilevanti - ad esempio le zone montane più dotate di crediti "ambientali" potrebbero compensare le zone di pianura più intensive - ma con un effetto di miglioramento ambientale complessivo piuttosto ridotto. Al contrario una modulazione più ripartita delle aree oggetto di scambio potrebbe comportare una migliore distribuzione dei servizi ecosistemici (ad esempio si potrebbe stabilire che un valore minimo di servizio ecosistemico da produrre all'interno delle aree di pianura).

Il caso studio

Il caso studio è stato definito sul potenziale di carbonio stoccabile a livello del suolo nelle aree di pianura del Veneto al fine di stimare gli impatti economici a livello aziendale e i relativi effetti ambientali rispetto a diversi scenari di policy. La fornitura del servizio ecosistemico è funzione di diversi parametri sito-specifici riguardanti, oltre il tipo di suolo e copertura vegetale, le pratiche di coltivazione esercitate, la topografia, la storia dell’uso condotto, il microclima, ecc.. Per semplificare le elaborazioni richieste, lo studio ha confrontato due sistemi colturali: i seminativi (SM) e le foraggere permanenti rappresentati dai prati e pascoli (PP), in relazione alla quantità di carbonio stoccata annualmente nel terreno (tonnellate di C/ha) definendo due scenari di intervento alternativi e confrontandoli con la situazione di partenza (baseline). Il primo scenario, che in qualche modo ricalca l'attuale impostazione del greening, prevede l’imposizione di obblighi di coltivazione per ogni azienda avente superficie agricola utilizzata a colture erbacee (Sau erbacea), il secondo invece è relativo all’implementazione di un meccanismo floor-and-trade su quote di PP scambiabili. In entrambi gli scenari si è ipotizzato di raggiungere tre soglie minime aziendali di superficie a PP, pari rispettivamente al 5%, al 10% e al 15%. L’assunzione di base è che il passaggio dall’agrosistema più intensivo (SM) a quello più estensivo dei PP implica un incremento di SE.
Per simulare l’offerta teorica di carbonio potenzialmente sequestrabile da suoli agricoli destinati a foraggere permanenti è stato utilizzato l’approccio minimum data (MD) proposto da Antle e Valdivia (2006), partendo dai valori medi indicati in letteratura. In particolare, nell’applicazione al caso studio sono stati utilizzati i risultati biofisici emersi dalla simulazione del modello Cesar dei flussi di carbonio sequestrabili per diversi utilizzi del suolo nel continente europeo per i quali nel caso di PP si stima una media annua dei flussi di carbonio stoccato di 0,52 tonnellate per ettaro, contro i -0,84 tonnellate ad ettaro nei seminativi intensivi (Vleeshouwers e Verhagen, 2002). L’adattamento dell’approccio MD ha consentito di stimare l’offerta teorica di SE spazialmente definita, combinando gli aspetti biofisici sito-specifici con informazioni più generali di natura economica sui sistemi agricoli analizzati. Più precisamente, sono stati determinati i costi opportunità (ovvero la differenza tra i margini lordi) legati alla stessa conversione dal primo al secondo sistema colturale e viceversa.
Nella situazione di partenza (baseline) la scelta dell’ordinamento produttivo dipende esclusivamente dalla rimuneratività che usi alternativi del suolo (SM e PP) possono avere, pertanto l’agricoltore sceglie il sistema a seminativi o prato-pascolo in funzione dei rendimenti unitari, caratterizzando un equilibrio privato in cui la fornitura di SE è subordinata esclusivamente alla convenienza economica. L’equilibrio privato si basa sulla massimizzazione dei profitti attesi espressi dai relativi margini lordi e le scelte gestionali sono determinate dal segno del costo opportunità in ogni singola azienda. Quindi, se il costo opportunità (ovvero la differenza tra margine lordo SM e PP) è positivo, le superfici saranno allocate maggiormente a seminativi, nel caso opposto sono i sistemi a PP ad essere più convenienti e quindi si alloca una maggiore superficie a queste colture. Per semplicità si è assunta l’assenza di costi aggiuntivi nel passaggio da un agrosistema all’altro. Una volta definita l’allocazione delle superfici è stata stimata l’offerta potenziale di SE seguendo la procedura precedentemente descritta. Partendo dalla conoscenza della quota unitaria media di carbonio sequestrato e dei costi opportunità per ognuno dei sistemi agricoli, è stato possibile calcolare la funzione di distribuzione e determinare il valore atteso dell’offerta di SE1. Le informazioni economiche necessarie per simulare le decisioni sull’uso del suolo sono state ricavate dal campione Rica per il Veneto (540 osservazioni), relativo all’anno contabile 2007. L’analisi è stata limitata ai sistemi agricoli erbacei destinati/destinabili a seminativi e prati e pascoli e le aziende considerate riguardano soltanto quelle con superficie agricola utilizzabile e ricadenti nella zona altimetrica di pianura, in quanto dovrebbero essere quelle interessate in maggior misura dalla conversione colturale o trasferimento di crediti. I sistemi considerati sono stati distinti in due macroaggregati: il sistema SM costituito da cereali, leguminose da granella, piante industriali, ortive, floricole, foraggere avvicendate, e altre colture erbacee in genere, e il sistema PP rappresentato da prato monofita e polifita, pascoli, prati-pascolo permanenti e pascoli incolti produttivi. Per ogni macroaggregato sono state computate le variabili di bilancio necessarie per calcolare la distribuzione dei costi di opportunità. Le elaborazioni descritte sono state riportate all'universo della popolazione di aziende sul territorio della pianura veneta, attraverso opportuni coefficienti di ponderazione.

Risultati e discussione

Lo scenario iniziale (baseline) evidenzia come in Veneto, su una Sau di 545.260 ettari destinata a colture erbacee, solo il 6% è occupato da foraggere permanenti (32.715 ha). Considerando le tre soglie minime richieste per soddisfare la quota minima di Sau a PP dovrebbero essere destinati rispettivamente 27.263 ha (5% della Sau "erbacea"), 54.526 ha (10%) e 81.789 ha (15%). Pertanto, nel caso di soglia del 5% non dovrebbe essere necessaria un'ulteriore conversione, mentre negli altri due casi (10% e 15%) è necessario convertire parte della superficie SM a PP (Tabella 1).

Tabella 1 - Ripartizione della superficie a prato e pascolo per classi di SAU erbacea allocata a PP

Fonte: elaborazioni su dati Rica.

Partendo dalla definizione di costo opportunità introdotta nel paragrafo precedente, è stato possibile discriminare in linea teorica le aziende in debito di superficie a PP rispetto a quelle che hanno un surplus e, ipotizzando la presenza di un meccanismo floor-and-trade, verificare in presenza di quale prezzo (costo opportunità) diventa profittevole per le aziende agricole in debito (credito) acquistare (vendere) le quote obbligatorie di PP, piuttosto che convertire parte della loro superficie aziendale. A titolo di esempio si riporta in figura 1 la situazione che si crea nel campione analizzato con una soglia di obbligo al 10%. In questo caso quando il costo opportunità di auto-produrre PP assume valori al disotto del punto d'incontro delle due curve, l'azienda destina i terreni agricoli a foraggere permanenti per quote acquistabili da aziende in deficit e viceversa.

Figura 1 – Relazione tra costo opportunità e superficie negoziabile nel caso di implementazione del floor-and-trade per PP sul 10% di SAU erbacea

Fonte: elaborazioni su dati Rica

I processi di riallocazione conseguenziali ai due interventi messi a confronto mettono in luce alcuni interessanti risultati. Sotto il profilo economico, nel caso dello scenario di obbligo le aziende con deficit di Sau a PP subirebbero perdite in termini economici per soddisfare le soglie obbligatorie di superficie variabili tra -3% e -9%, mentre nelle aziende in surplus non si avrebbe nessun effetto (Tabella 2). Viceversa, nel caso in cui fosse implementato il meccanismo floor-and-trade, le perdite sarebbero molto più contenute - con variazioni massime del -3% nel caso di soglia al 15% - e con una significativa redistribuzione del reddito a favore delle aziende con surplus che nella migliore delle ipotesi aumenterebbero il proprio reddito del 15% circa.

Tabella 2 – Variazioni di reddito per scenario di policy

Fonte: elaborazioni su dati Rica.

Anche in termini di fornitura di servizio ecosistemico, (carbonio stoccato nel suolo in conseguenza dell'incremento di PP) il risultato finale è diverso a seconda dello scenario di policy adottato. In questo caso è lo scenario di obbligo a mostrare una maggiore offerta del servizio con incrementi proporzionali alle quote convertite, mentre nel caso dello scenario FT i quantitativi di SE risultano significativi soltanto all'aumentare della soglia d'obbligo (Tabella 3). Tuttavia, in termini di costo-efficienza il meccanismo di permessi negoziabili appare migliore rispetto allo strumento obbligatorio, considerando per quest’ultimo un costo complessivo gravante sulle aziende di 723 € per tonnellata di carbonio contro una perdita di reddito stimata nel caso del FT di 73 €/tonn e di 209 €/tonn rispettivamente per le soglie del 10% e del 15%. Queste prime evidenze suggeriscono quindi che misure basate su quote negoziabili possono rappresentare strumenti molto innovativi nel migliorare la produzione agricola di SE ma allo stesso tempo riducendo al minimo le perdite di reddito, sebbene in questa analisi non siano stati computati gli eventuali costi di gestione che implicherebbe un simile mercato.

Tabella 3 – Offerta potenziale del servizio ecosistemico (C stoccato) per scenario di policy

Fonte: elaborazioni su dati Rica.

Considerazioni conclusive

La richiesta di nuovi strumenti, che siano in grado di integrare gli obiettivi ambientali nelle politiche di settore a fronte dei fallimenti delle misure adottate finora, sta emergendo anche nel dibattito sulle prospettive per la riforma della Pac. Gli strumenti di mercato, come il meccanismo di quote negoziabili (floor-and-trade) presentato in queste pagine, sono ritenuti in grado di sostituire gli strumenti più tradizionali. È forse prematuro pensare che questi temi siano già entrati nell'agenda politica, ma una valutazione basata su dati empirici può aiutare a capire quali implicazioni si possono avere dall'introduzione di questi strumenti innovativi. Le simulazioni hanno evidenziato un costo per le aziende relativamente modesto rispetto al vantaggio ambientale potenzialmente conseguibile con l’implementazione del FT che, almeno teoricamente, si conferma come un valido strumento in grado di ottimizzare la fornitura di servizi ambientali a costi ragionevoli per la società, consentendo di raggiungere una soluzione di tipo win-win.
Non mancano, ovviamente, i punti deboli anche in questi strumenti innovativi, soprattutto per quanto riguarda i presumibili costi amministrativi addizionali necessari per la realizzazione di un mercato efficiente e regolato e i costi di transazione che si dovranno accollare gli agricoltori interessati alla compravendita di quote negoziali. Ulteriori analisi sono, quindi, necessarie per garantire l'effettiva praticabilità di questo tipo di strumenti.
Vanno inoltre analizzate più accuratamente le implicazioni in termini spaziali degli impatti ambientali. Il caso di studio presentato non necessita di particolari condizioni sito-specifiche rispetto ad altri obiettivi come la conservazione della biodiversità - le Efa della proposta di greening, ad esempio - o la riduzione dell'inquinamento, dove la distribuzione spaziale ha implicazioni notevoli in termini di efficacia ambientale. Sotto questo profilo l'applicazione di quote obbligatorie indiscriminate in aziende di dimensioni generalmente ridotte garantisce una distribuzione spaziale relativamente omogenea, peraltro criticata da quanti ritengono più appropriato applicare queste misure in base a una pianificazione territoriale più articolata (Mahé, 2012). L'applicazione di meccanismi FT genera una distribuzione basata innanzitutto sulla rilevanza del fattore economico, quindi un'analisi georeferenziata potrebbe aiutare a capire come si distribuiscono le quote scambiate tra le aziende (Longhitano e Povellato, 2011). Una migliore conoscenza della distribuzione spaziale consentirebbe di introdurre limitazioni agli scambi tra aree o altri sistemi di incentivazione che favoriscano la creazione di SE adeguati.
Infine, va sottolineata l'importanza di avere a disposizione dati locali più precisi e/o fonti amministrative credibili per implementare simili analisi. Per questo la banca dati RICA offre grandi potenzialità in particolare alla luce delle recenti innovazioni sui metodi di rilevazione che nel prossimo futuro riguarderanno la registrazione puntuale delle quantità fisiche degli input produttivi come i fertilizzanti oltre che altre informazioni sulla quantità di acqua irrigua effettivamente consumata, fitofarmaci, georeferenziazione, ecc.. Le nuove richieste effettuate dalla Commissione europea (Reg. 385/2012) per la revisione del sistema dell’intera rete contabile agricola europea (Farm Accountancy Data Network - Fadn) dovrebbe favorire la creazione di un solido sistema di indicatori agroambientali.

Riferimenti bibliografici

  • Antle J. M., Valdivia, R.O. (2006), Modelling the supply of ecosystem services from agriculture: a minimum-data approach, Australian Journal of Agricultural and Resource Economics, 50

  • Cla (2009), Private solutions to public problems. Developing environmental markets, Country Land and Business Association, London.

  • Longhitano D. (2012), La valutazione dei servizi ecosistemici. Proposta per un approccio termoeconomico. Paper prepared for the 1st Aieaa Conference “Towards a Sustainable Bio-economy: Economic Issues and Policy Challenges”, Trento (Italy)

  • Mahé L.P. (2012), Do the proposals for the CAP after 2013 herald a ‘major’ reform?, Policy paper n. 53, Notre Europe.

  • Matthews A. (2012), Greening the CAP: the way forward, Paper prepared for the 126th Eaae Seminar "New challenges for EU agricultural sector and rural areas. Which role for public policy?", Capri (Italy)

  • Longhitano D., Povellato A. (2011), Policy Measures for Rural Landscape: mandatory versus floor-and-trade mechanisms, Paper presented for the 2nd International Conference on Landscape Economics, Padua/Italy

  • Povellato A., Longhitano D. (2011), Cost Effectiveness of Cap Greening Measures: An ex-ante Evaluation in Italy, in proceeding of the Oecd Workshop "Evaluation of Agri-environmental Policies", Paris, forthcoming

  • Povellato A. (2010), "Floor and Trade": un nuovo meccanismo per incentivare la sostenibilità in agricoltura? Agriregionieuropa, Anno 6 n. 21 [link]

  • Povellato A. (2012), Il dibattito sul greening e l'agricoltura italiana, AgriRegioniEuropa, Anno 8 n. 29 [link]

  • Rise (2009), Public goods from private land, Rural Investment Support for Europe Foundation, Brussels

  • Vleeshouwers, L.M. e Verhagen, A. (2002), Carbon emission and sequestration by agricultural land use: a model study for Europe, Global Change Biology, 8

  • 1. Per maggiori dettagli sulla metodologia e sulla sua applicazione si veda Antle e Valdivia (2006) e Povellato e Longhitano, 2011.
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Comments

La lettura di questo interessante studio mi induce a proporre per i programmi di attuazione una divisione territoriale capillare, l'individuazione di areali sui quali operare questo genere di scambi e di conseguenza compensare in maniera più equa e precisa le dispersioni dovute alle diverse realtà territoriali.

Commento originariamente inviato da 'Campesi Alvaro' in data 08/12/2012.