Introduzione
“Il riscaldamento climatico è un fenomeno inequivocabile, come risulta attualmente in forma evidente dalle osservazioni sugli aumenti delle temperature medie al suolo e negli oceani, dai fenomeni ampiamente diffusi dello scioglimento delle nevi e dei ghiacciai e dall’aumento del livello medio del mare (…) L’aumento a livello globale delle concentrazioni di anidride carbonica è dovuto principalmente ai combustibili fossili e ai cambiamenti di utilizzo dei suoli, mentre quello del metano e del protossido d’azoto sono dovuti principalmente all’agricoltura” (IPCC, 2007a)(1). Queste due affermazioni contenute nel quarto Rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) da poco reso pubblico evidenziano il ruolo fondamentale attribuito al settore agricolo-forestale nella variazione della concentrazione nell’atmosfera di gas ad effetto serra (Greenhouse Gasses, GHG) e, quindi, nei processi di cambiamento climatico.
Dal primo Rapporto dell’IPCC del 1990 si sono andate confermando le evidenze empiriche e le spiegazioni su base scientifica della presenza di processi di cambiamento climatico su scala globale (di cui l’innalzamento delle temperature medie è solo uno degli indicatori più macroscopici) (2), sulla loro correlazione con alcune trasformazioni nelle forme d’uso del suolo in aree rurali e sulla maggiore vulnerabilità degli ecosistemi agrari.
Nel tentativo di delineare i problemi posti dai cambiamenti climatici al settore primario, nelle pagine che seguono verranno sinteticamente evidenziati, nella prima parte del lavoro, i principali dati sulle emissioni di GHG riferibili al settore primario. Nella seconda parte verranno passati in rassegna alcuni dei modelli descrittivi e di simulazione sviluppati per evidenziare il ruolo che il settore primario svolge o potrebbe giocare nelle politiche climatiche. Nella terza parte si cercherà di evidenziare come il settore agricolo-forestale viene considerato nell’implementazione della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (Rio de Janeiro, 1992) e del suo principale strumento attuativo degli impegni di riduzione dei GHG: il Protocollo di Kyoto, approvato nel 1997 ed entrato in vigore in forma vincolante per i paesi sottoscrittori nel febbraio 2005. Nelle considerazioni conclusive si farà riferimento ai problemi più specifici legati all’attuazione delle politiche climatiche nel settore agricolo italiano.
Il ruolo del settore agricolo-forestale nelle emissioni di gas di serra
Il settore primario è, in misura diversa, responsabile dell’emissione di alcuni principali gas di serra: anidride carbonica (CO2), metano (CH4) e protossido di azoto (N2O) (3). L’agricoltura è stimata responsabile di circa il 30% delle emissioni di GHG di origine antropica (FAO, 2003) Dall’agricoltura hanno origine il 50% e il 70%, rispettivamente delle emissioni di CH4 e di N2O (Tabella 1). Le attività agricole (non includendo quelle forestali) sono responsabili del 5% delle emissioni di CO2; la deforestazione del 20% circa (IPCC, 2000).
Tabella 1 - Aumento della concentrazione dei principali GHG dall’era pre-industriale al 2005 (ppm: parti per milione; ppb: parti per miliardo)
Fonte: IPCC, 2000 e 2007a
Può essere interessante esaminare più nel dettaglio i dati più recenti sul livello di emissioni per i tre principali GHG che interessano il settore agricolo e forestale.
La concentrazione di anidride carbonica, il più importante GHG di origine antropica, è aumentata da 280 parti per milione (ppm) dell’era pre-industraile a 379 ppm nel 2005. Negli ultimi 650.000 anni la variazione di CO2 naturale è oscillata sempre entro valori di 180-300 ppm. Nel periodo 1995–2005 si sono registrati i maggiori tassi di variazione della CO2 con una mdia di 1,9 ppm per anno (nel periodo 1960–2005 la media annua è stata di 1,4 ppm).
Il settore agricolo-forestale è la principale causa delle emissioni di CO2 dopo i combustibili fossili: negli anni Novanta le emissioni medie annue associate all’uso dei terreni sono state stimate pari a 5,9 Gt (Gigaton), benché con un grado di incertezza particolarmente ampio (da 1,8 a 9,9) (IPCC, 2007a).
Tra le diverse forme d’uso del suolo, il ruolo maggiore per quanto riguarda le emissioni di CO2 è giocato dalle foreste. Le foreste boreali e temperate hanno attualmente una capacità fissativa (sink) di carbonio di 0,7±0,2 Gt/anno (4), non in grado di compensare i processi di deforestazione tropicale che comportano una emissione netta annuale di 1,6±0,4 Gt C. La concentrazione in atmosfera del metano è aumentata dai valori in epoca pre-industriale di 715 parti per miliardo (ppb) a 1732 ppb negli anni Novanta, per arrivare a 1774 ppb nel 2005 (negli ultimi 650.000 anni la concentrazione naturale è variata entro i 320 e i 790 ppb). I tassi di crescita delle emissioni antropogenetiche sono andati diminuendo a partire dai primi anni Novanta. L’agricoltura (attività zootecniche e dinamica dei suoli) è considerata la prima causa delle emissioni, ma il contributo del settore come quello di altre fonti è molto incerto (IPCC, 2007a).
Per quanto riguarda il protossido d’azoto, la concentrazione in atmosfera è aumentata da 270 ppb dell’epoca preindustriale a 319 ppb in 2005. Il tasso di crescita delle emissioni si è stabilizzato a partire dal 1980. Più di un terzo delle emissioni sono di natura antropica e l’agricoltura è considerata la causa principale.
I dati finora riportati si riferivano prevalentemente ai flussi di GHG e alle concentrazioni di queste nell’atmosfera. Il settore primario, come si è visto, è nel complesso un emettitore netto di GHG, ma alcune forme di utilizzo dei terreni agricoli e forestali consentono, e potrebbero consentire sempre più nel futuro, di aumentare le quantità temporaneamente fissate di CO2. La Tabella 2 riporta una stima dell’attuale capacità di fissazione; tale capacità è collegata all’evoluzione del settore e, quindi, alle politiche agricole e di sviluppo rurale, a quelle energetiche e climatiche che influiscono sulle modalità di gestione dei terreni (si veda la terza parte di questo contributo), così come alle capacità di reazione “spontanea” del settore al processo stesso del cambiamento climatico.
Tabella 2 – Stock globale di carbonio nella vegetazione e nel suolo (fino a un metro di profondità) nei diversi biomi terrestri
Fonte: IPCC, 2000.
Gli impatti dei cambiamenti climatici sul settore primario sono un tema particolarmente complesso e incerto (Olesen e Bindi, 2002): la produzione biologica tende, infatti, ad aumentare a seguito di maggiori concentrazioni di CO2 grazie ad un effetto diretto di “fertilizzazione” che aumenta la capacità fotosintetica e un effetto indiretto legato ad un incremento dell’efficienza delle piante nell’utilizzo dell’acqua. Questa maggior capacità di produzione biologica potrebbe avere un impatto positivo se venisse valorizzata per la produzione di stock a lungo periodo di permanenza (suoli con maggiori livelli di sostanza organica e prodotti legnosi). Temperature più alte aumentano, tuttavia, il tasso di respirazione eterotrofica, l’evapotraspirazione, l’attività di molti fitopatogeni. La variabilità delle precipitazioni, con la maggior frequenza di eventi estremi, l’aumento della nuvolosità, le più alte deposizioni di azoto, la variazione dell’ozono troposferico, la diversa disponibilità di risorse idriche di superficie sono altri impatti dei cambiamenti climatici che comportano effetti sulla capacità di produzione biologica e cambiamenti di segno difficilmente prevedibili nella struttura degli ecosistemi agrari e forestali. Si tratta di processi molto complessi anche per la variabilità territoriale delle condizioni del settore e le ancora scarse conoscenze su molti meccanismi di causa-effetto, sulle sinergie e i feedback.
In questo contesto problematico, l’applicazione del principio di precauzione rappresenta un’opzione ormai impraticabile: il cambiamento e già in atto e non resta che comprenderlo con i migliori modelli interpretativi, definendo politiche di mitigazione nella logica della riduzione del danno.
I modelli interpretativi e di scenario sviluppati per il settore agricolo-forestale
Le attività agricolo-forestali con effetti migliorativi nei bilanci dei GHG possono essere classificate in tre categorie:
- le attività che portano ad una crescita dello stock del carbonio o a una riduzione delle emissioni nelle coltivazioni, negli allevamenti zootecnici, nelle pratiche forestali senza cambiamenti nelle forme d’uso dei suoli (razionalizzazione dell’impiego di fertilizzanti e combustibili fossili, allungamento dei turni forestali, …);
- il cambiamento delle forme d’uso del suolo (rimboschimenti, conversione di seminativi in pascoli, …) o la prevenzione di cambiamenti con effetti negativi (difesa antincendio, deforestazione);
- la produzione di materiali ad accumulo di carbonio (legname con lunghi cicli di vita) o con effetti sostitutivi di carbonio fossile (produzioni di bioenergia).
Alle tre categorie può essere sommata una quarta categoria degli interventi misti (ad esempio una piantagione a biomasse su terreni agricoli per la produzione di biocombustibili).
Per lo studio degli impatti sulle emissioni di GHG di queste tipologie di interventi sono stati sviluppati diversi modelli; una loro classificazione può partire dalla distinzione tra modelli a scala micro, che simulano gli impatti di singoli investimenti aziendali o per tipologia di coltura sullo stock e i sink di GHG, e modelli macro per l’analisi delle analoghe variabili e per la simulazione di politiche a scala regionale, nazionale o internazionale.
Modelli micro
I modelli micro (o “bottom up”, secondo un frequente sistema di classificazione - IPCC, 2007b) più ampiamente utilizzati si concentrano sulle variabili fisiche e sulle relazioni tecniche per evidenziare l’andamento nel tempo della capacità fissativa e degli stock di carbonio associati a determinate pratiche gestionali agricole. Tra i modelli più impiegati possono essere ricordati: FULLCAM, GORCAM e CO2FIX (vedi Scheda 1 fine articolo). Si tratta di modelli deterministici che consentono, con modalità trasparenti, di definire e valutare diverse ipotesi di scenario. Ai modelli possono essere facilmente associati dati sui costi per individuare le opzioni più efficienti.
Sempre a livello micro sono stati sviluppati una serie di approcci per analisi più di taglio economico, dove l’obiettivo è quello dell’individuazione dei modelli organizzativi più efficienti in termini di costi marginali di riduzione delle emissioni o, in termini più generali, di rendimento economico degli investimenti (si tenga in considerazione che l’introduzione di molte pratiche finalizzate alla riduzione delle emissioni comporta non solo un cambiamento nella struttura dei costi, ma anche dei ricavi e non sono infrequenti condizioni di win-win).
Facendo riferimento alla rassegna degli studi di settore realizzata da Povellato et al. (in stampa), tra i modelli di minimizzazione dei costi marginali possono essere ricordati i lavori di De Cara et al. (2005), De Cara e Jayet (2001), Deybe e Fallot (2003), Gillig et al. (2004) e Hediger et al. (2005), mentre, nella seconda categoria di studi, vanno compresi quelli di Gallagher et al. (2003), Wier et al. (2002) e Wong e Alavalapati (2003). Elemento fondamentale di interesse di queste analisi è il confronto tra l’efficacia di diversi strumenti delle politiche agricole, ambientali e climatiche (strumenti di comando e controllo come i vincoli alle emissioni rispetto a strumenti di mercato quali ecotasse, incentivi, permessi di emissione, …).
Un campo d’indagine in cui i modelli interpretativi e di simulazione stanno velocemente crescendo è quello legato all’analisi degli impatti e dell’efficienza delle politiche di sviluppo delle coltivazioni a finalità energetica (Ericsson et al., 2004; Henke et al., 2004; Rozakis e Sourie, 2005; Rozakis et al., 2001; Vollebergh, 1997).
Modelli macro
Per la contabilizzazione delle emissioni/fissazioni di GHG collegate alle attività e forestali l’IPCC ha sviluppato delle linee guida (Penman et al., 2003) che costituiscono il modello di riferimento per la costruzione dei bilanci nazionali e la stima delle emissioni da parte dei diversi paesi che hanno sottoscritto la Convenzione Quadro per i Cambiamenti Climatici e che stanno implementando il Protocollo di Kyoto. Due sono le possibili metodologie per la stima della quantità di carbonio fissata:
- quella basata sulla somma algebrica di incrementi e diminuzioni degli stock di carbonio nei periodi in esame (Flux Method);
- quella basata sul confronto di due dati inventariali degli stock di carbonio relativi a due periodi diversi (Stock Change Method).
Se questi approcci costituiscono i modelli “top down” di riferimento nelle analisi basate su criteri tecnico-biologici, sono poi disponibili una serie di modelli interpretativi a livello macro specificatamente di taglio economico che prendono in considerazione il ruolo del commercio, del progresso tecnologico, delle condizioni generali di benessere associate a determinate politiche.
I modelli economici possono essere raggruppati in base alla classica distinzione tra modelli ad equilibrio parziale, che si concentrano sul settore agricolo-forestale, ponendo il resto dell’economia come condizione esogena predeterminata, e modelli di equilibrio generale che cercano di cogliere la dinamica complessiva dell’economia a fronte di cambiamenti nelle forme l’uso dei terreni agricolo-forestali conseguenti a determinate politiche. Anche in questo caso, facendo riferimento alla rassegna curata da Povellato et al. (in stampa), tra i modelli interpretativi ad equilibrio parziale possono essere ricordati gli studi di Ignaciuk et al. (2004) e Saunders e Wreford (2003), mentre tra quelli ad equilibrio generale i lavori di Bosello e Zhang (2005), Gottinger (1998), Jensen et al. (2003) e Rae e Strutt (2003).
Dalla lettura dei risultati dell’applicazione dei modelli interpretativi si ricava un consenso generalizzato sul fatto che le riforme in atto nelle politiche agricole e forestali dovrebbero portare, o stanno effettivamente portando, ad una riduzione dell’impatto del settore primario sulle emissioni di GHG. In particolare, su scala europea, la riforma della Politica Agricola Comunitaria, soprattutto a seguito della Mid-term Review, sta comportando il ridimensionamento di parte delle attività agricole, la diffusione di pratiche a minor impatto ambientale (eco-condizionalità, uso e smaltimento di composti azotati, misure agro-ambientali e forestali) e delle colture energetiche e, quindi, ad una significativa riduzione delle emissioni di GHG e ad un aumento dei sink di carbonio.
Sulla priorità da accordare alle diverse tipologie di intervento non c’è un accordo generale anche per la presenza di diverse condizioni ambientali, di diversi costi-opportunità nell’impiego delle risorse e differenti approcci nella valutazione finanziaria ed economica degli investimenti. Tra le pratiche a cui l’IPCC e i diversi studi di settore tendono a dar priorità possono essere ricordate per i terreni agricoli: le lavorazioni conservative, zero e minimum tillage; la diffusione di colture perenni di copertura e con elevato approfondimento radicale; l’impiego di rotazioni colturali appropriate e l’aumento della sostanza organica nel suolo con l’utilizzo dei residui colturali, di fertilizzanti organici e di compost; la gestione efficiente dei fertilizzanti e dell’acqua; la riforestazione e il recupero dei suoli degradati; la diffusione di coltivazioni energetiche. Per la gestione dei terreni forestali: la riduzione dei processi di deforestazione e di degrado; il rinfittimento, l’allungamento dei turni e la conversione dei cedui in fustaie; la prevenzione anti-incendio e degli attacchi parassitari; la produzione di prodotti legnosi a ciclo di vita lungo (per edilizia, ad esempio) e a finalità energetica.
Soprattutto per le misure forestali, in sede IPCC (2007a e 2007b) si tende ad evidenziare la presenza di possibilità per interventi a costi molto contenuti, visti i benefici congiunti collegati alla tutela della biodiversità, alla regolazione del ciclo dell’acqua, alla produzione di energie rinnovabili, alla creazione di opportunità occupazionali, con positivi effetti per le politiche di lotta alla povertà.
Le politiche
Con l’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto, nel febbraio 2005, il settore agricolo-forestale è stato formalmente riconosciuto come uno strumento utilizzabile nell’ambito delle strategie da mettere in atto per la mitigazione dei cambiamenti climatici e, nello specifico, per la fissazione della CO2. Il Protocollo prevede per gli Stati aderenti diverse percentuali di riduzione delle emissioni di GHG da raggiungere nel periodo 2008-2012, rispetto ai valori del 1990, e un obiettivo generale di riduzione del 5,2% (6,5% per l’Italia). Gli articoli 3.3 e 3.4 del Protocollo sono quelli di interesse principale per definire il ruolo del settore primario nelle politiche di implementazione dell’accordo (vedi Scheda 2, in fondo all'articolo).
Definito l’oggetto e le modalità di rendicontazione, il Protocollo lascia liberi i governi nell’individuare gli strumenti economici più opportuni per raggiungere gli obiettivi di riduzione.
La maggior parte dei paesi occidentali (Italia compresa) che hanno ratificato il Protocollo hanno optato per non rendicontare le attività agricole nel primo periodo di attuazione delle proprie politiche climatiche (Ciccarese et al., 2006). La gestione forestale è stata selezionata da alcuni paesi (tra cui l’Italia). Con l’esclusione delle attività agricole dai propri bilanci i paesi hanno implicitamente riconosciuto che i costi marginali di abbattimento delle emissioni in questo settore sono mediamente più elevati rispetto a quelli di altri settori, a parte altre considerazioni di carattere economico (costi di transazione nell’organizzazione dei sistemi di inventariazione) e non (necessità di stimolare innovazioni tecnologiche nel campo del risparmio energetico e ridurre la dipendenza da fonti fossili).
Nell’Unione Europea lo strumento di mercato più significativo direttamente finalizzato a ridurre le emissioni di GHG è lo Schema di mercato delle quote (European Union’s Emissions Trading Scheme – EU-ETS), approvato con la Direttiva 87 del 2003 e reso operativo nel gennaio 2005. Lo Schema, basato sulla modalità organizzativa “cap and trade”, impone ad un serie di comparti economici più energy intensive di non superare annualmente un tetto di emissione (“cap”), specificato per ogni impianto. Le imprese possono, tuttavia, ridurre le proprie emissioni rispetto al cap allocato tramite interventi di risparmio energetico o la riduzione dei livelli di produzione, mettendo sul mercato (“trade”) le quote di emissione non utilizzare a favore di imprese con esigenze opposte. Rispetto a misure alternative di comando e controllo lo strumento è ritenuto particolarmente efficiente in quanto premia le imprese che operano a costi marginali inferiori.
Nel definire lo schema di funzionamento dell’EU-ETS, la Commissione Europea, contrastando diverse aspettative sorte nel mondo agricolo e forestale, ha escluso la possibilità che gli investimenti nel settore primario possano essere utilizzati per generale crediti spendibili nel mercato europeo delle quote. Le prese di posizione della Commissione sono state a questo riguardo molto esplicite: l’EU-ETS è finalizzato a ridurre permanentemente le emissioni, gli interventi nel settore primario sono giudicati temporanei, di incerta misura e non comportano significativi trasferimenti tecnologici. Tra le lobby del settore agricolo e forestale si è manifestata una reazione negativa a tali decisioni e l’invito a riconsiderarle dopo il primo periodo di funzionamento dello Schema, invito che ha trovato la Commissione in una posizione di sostanziale chiusura.
Rimane aperta la possibilità che le imprese coinvolte nell’EU-ETS utilizzino a fini energetici le biomasse, come altre rinnovabili, nei propri impianti con la riduzione delle proprie emissioni di CO2 e, tramite l’acquisto delle materie prime o di energia, con una valorizzazione economica delle attività agro-forestali. Questa valorizzazione non avviene, tuttavia, tramite un esplicito e diretto coinvolgimento del settore primario nello scambio di quote.
Ai singoli governi dell’UE è data peraltro la possibilità di ampliare il campo di applicazione dell’EU-ETS a nuovi settori economici e di affiancarlo ad altri strumenti per raggiungere gli obiettivi del Protocollo (certificati verdi e bianchi, carbon tax, imposizione di standard minimi di efficienza energetica, …). Tra questi, seguendo l’esempio di alcuni Stati negli USA, una possibilità è quella legata alla creazione di Registri per le attività agricole e forestali, cioè di sistemi di inventariazione, certificazione e monitoraggio su scala nazionale dei sink di carbonio collegati ad investimenti nelle singole proprietà. La presenza di un Registro può consentire di sviluppare uno schema di mercato integrativo all’EU-ETS basato sullo stesso meccanismo di “cap and trade” (5).
Per completare il quadro degli interventi che interessano il settore primario nelle strategie di riduzione delle emissioni è opportuno fare un accenno alle iniziative che in forma volontaria imprese, enti locali e perfino singoli operatori realizzano per neutralizzare parzialmente o totalmente le emissioni di cui sono responsabili. Nel caso degli enti locali questi interventi compensativi sono programmati nel quadro della realizzazione di Agende 21 locali o di Piani energetici. Tra gli interventi compensativi che permettono alle imprese o a singole attività economiche di qualificarsi con il titolo “Zero carbon emission”, “Carbon neutral company” o equivalenti figurano anche quelli relativi alla realizzazione di piantagioni, alla riduzione dei processi di deforestazione, alla produzione di bioenergia, alla riduzione delle emissioni nelle attività agricole.
Gli investimenti compensativi nel settore primario hanno un certo sviluppo grazie anche alla presenza di agenzie di servizio (6) che offrono un portafoglio di possibili interventi. Le garanzie fornite sulla veridicità dei crediti vanno dalla certificazione da parte di un ente terzo, ad un controllo di parte seconda dei crediti generati dall’attività.
Le iniziative di compensazione sono al momento sporadiche, spesso legate a politiche di green marketing più che all’assunzione di un coerente profilo di responsabilità sociale e ambientale da parte dei promotori, ma sono tuttavia utili perché consentono di sperimentare nuove linee di intervento, dimostrando al pubblico e ai policy maker che, nella logica dell’“agire localmente e pensare globalmente”, le politiche di riduzione sono tecnicamente ed economicamente fattibili.
Conclusioni
Grazie ad una intensa attività negoziale, all’Italia è stato concesso un limite di rendicontabilità per le misure di gestione forestale (art. 3.4 del Protocollo) relativamente elevato: 10,2 milioni t CO2/anno, pari a più del 10% del totale dell’impegno di riduzione delle emissioni ufficialmente assunto dall’Italia. Nei piano nazionale si ipotizza inoltre di rendicontare per l’art. 3.3, relativo ai rimboschimenti, ulteriori 6 milioni di t CO2, di cui la metà connessi ai fenomeni di espansione naturale del bosco su ex coltivi. Ad un prezzo di 5 €/t e facendo riferimento ai 5 anni in cui verrà attuata la prima rendicontazione delle emissioni italiane si tratta di un “servizio” offerto dal settore forestale valutabile intorno ai 400 milioni di Euro (7). Sembrano legittime le aspettative da parte dei proprietari forestali rispetto ad una internalizzazione di tale servizio.
In effetti, con il Decreto del 2.2.2005 del Ministero dell’Ambiente, si è manifestata formalmente una volontà politica di organizzare un “Registro Nazionale dei Serbatoi di Carbonio Agro-Forestali”. Il Registro dovrebbe monitorare tutti i terreni potenzialmente interessati alle attività agricole e forestali sul territorio italiano, di fatto solo quelle forestali dal momento che il governo ha scelto per ora di escludere le attività agricole dal sistema di rendicontazione del Protocollo. Nel testo di una delibera ministeriale di attuazione del Registro che non ha ottenuto il consenso delle Regioni si affermava che “in assenza di uno specifico atto di denuncia della proprietà dei crediti di carbonio operato, presso il Registro, dal proprietario del serbatoio o dell’area che li ha generati, ed in accordo con gli impegni internazionali dell’Italia, lo Stato, per mezzo del Registro, può utilizzare, senza costi aggiuntivi, tutti i crediti di carbonio generabili in conseguenza di attività di uso del suolo, variazione di uso del suolo e forestali”. Secondo questa proposta, dunque, lo Stato può detenere i diritti sulla funzione di fissazione e vige la legge del silenzio-assenso nella cessione di questi diritti allo Stato. Tutta la materia è ancora aperta e non si intravedono soluzioni di breve periodo. Sulla questione grava poi il problema dei costi di realizzazione del Registro e di funzionamento dello stesso, costi che (dal momento che le sole superfici forestali interessate sono più di 10 milioni di ettari), costituiscono da una parte un vincolo oggettivo all’implementazione dello strumento, dall’altra un campo di grande interesse per i fornitori dei servizi di inventariazione, monitoraggio, certificazione e di controllo amministrativo.
Da ultimo, merita un accenno una questione relativa alla tipologia di interventi forestali utilizzabili ai fini del Protocollo. Per essere rendicontabili, le attività forestali devono, oltre ad aver avuto inizio dal 1990, essere - come già ricordato - intenzionali e conseguenti a interventi diretti e volontari, non osservabili in uno scenario “business as usual” (Ciccarese et al., 2006). Sembra che questa condizione possa essere oggetto di interpretazione elastica, ma evidentemente l’inclusione ipotizzata dal piano italiano di riduzione delle emissioni di quelle attività che si sarebbero effettuate o verificate comunque, anche in assenza del Protocollo (ad esempio la ricolonizzazione naturale di prati e pascoli abbandonati da parte della vegetazione arborea o la crescita spontanea di boschi in condizioni marginali), si presta ad una fondata critica di utilizzare strumentalmente il settore forestale per non fare quelle scelte nel campo del risparmio e della riconversione energetica che rappresentano i veri punti critici delle politiche di riduzione delle emissioni di gas di serra. Da queste considerazioni risulta evidente che si è ben lontani dall’aver impostato una chiara politica di governance delle attività agricole e forestali ai fini della riduzione delle emissioni di GHG, anche senza considerare i problemi legati al coordinamento di queste politiche con quelle di sviluppo rurale ed energetiche.
Note
(1) Disponibile su [link]
(2) In media 0,76 °C (0,57 °C-0,95 °C, intervallo di confidenza del 90%) è l’aumento della temperatura globale terrestre dal 1850-1889 al 2001-2005 (IPCC, 2007a).
(3) Si tenga in considerazione che i GHG hanno diversi effetti sui fenomeni di riscaldamento globale misurati tramite l’indicatore Global Warming Potential (GWP) che è impiegato, per esigenze di omogeneizzazione, per convertire i diversi gas in CO2 equivalenti. Nell’arco di 100 anni una molecola di CH4 ha un GWP 21 volte superiore ad una molecola di CO2, una molecola di N2O, 310 volte.
(4) Pari a 1,6 Gt di carbonio, con un campo di variazione da 0,5 a 2,7 Gt.
(5) A titolo esemplificativo gli obblighi del rispetto di tetti di emissioni potrebbero essere allargati al settore del trasporto commerciale e il mercato aperto ai crediti legati ad attività agricole-forestali.
(6) Numerose sono le organizzazioni estere, per lo più d’oltreoceano, che offrono questi servizi: www.co2e.com, www.b-e-f.org, www.carbon-clear.com, www.carbonneutral.com, www.carbonplanet.com, www.carbonfound.org, www.climatebiz.com, www.co2balance.com, , www.e-bluehorizon.com, www.climatefriendly.com, www.greenbiz.com, www.myclimate.org, www.nativeenergy.com, www.thec-changetrust.org. Alcune agenzie sono specializzate nel finanziamento di progetti forestali: www.growaforest.com, www.treesforlife.org.uk, www.carbonfix.de. In Italia operano AzzeroCO2 (www.azzeroco2.it) e LifeGate (www.impattozero.it).
(7) Si tratta di un dato dello stesso ordine del Valore Aggiunto complessivo attribuito annualmente nella contabilità nazionale alle produzioni forestali (legname e prodotti non legnosi). In sede ministeriale, assumendo un prezzo di riferimento di 20 €/t, si è arrivati a stime molto superiori.
Tre modelli per la stima dei bilanci dei GHG a livello micro: FULLCAM, GORCAM e CO2FIX La funzione principale di FULLCAM (1) (Richards et al., 2005) è di stimare le variazioni negli stock e nelle emissioni di carbonio e azoto quando si realizzano cambiamenti di uso del suolo introducendo nuovi sistemi di gestione. FULLCAM modella tutti gli stock di carbonio e azoto e l’andamento dei flussi tra piante, residui, lettiera, suolo, minerali, prodotti legnosi e atmosfera. Il programma è composto da cinque sub-modelli, ciascuno dei quali analizza aspetti specifici dei cicli di carbonio e azoto e delle missioni di GHG. Note (1) Disponibile sul sito [link]
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I principali contenuti del Protocollo di Kyoto relativi al settore agricolo-forestale (Anderle et al., 2002) Art. 3.3: l’articolo riguarda le attività di afforestazione, riforestazione e deforestazione ovvero i cambiamenti permanenti nell’uso del suolo (da non forestale a forestale e viceversa). Stabilisce che tutte le quantità di carbonio immagazzinate nel suolo e nel soprassuolo a seguito di tali attività, qualora siano state realizzate tra il 1° gennaio 1990 ed il 31 dicembre 2012, dovranno essere obbligatoriamente contabilizzate e considerate ai fini del raggiungimento degli impegni di riduzione delle emissioni. |
Riferimenti bibliografici
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