Le esperienze innovative tra produttori e consumatori

Le esperienze innovative tra produttori e consumatori

Abstract

Il contributo presenta una riflessione su attività promosse da consumatori, produttori e altri attori della filiera, che si concretizzano in patti di collaborazione. Tali esperienze, che vanno oltre la ridefinizione del rapporto tra produzione e consumo di cibo, sembrano essere rilevanti per la capacità che assumono nel favorire processi di cambiamento sociale nei sistemi alimentari locali.

Introduzione

Nel corso degli ultimi anni, il processo di innovazione del sistema agro-alimentare è identificato nello sviluppo di network alimentari localizzati e sostenibili (Brunori e Rossi, 2011). Gli studiosi hanno elaborato i concetti di Alternative food network e, più recentemente, di Civic food network (Renting et al, 2012; Rossi et al, 2013), che mettono in evidenza la componente “civica” delle nuove relazioni fra produttori e consumatori. La finalità di queste reti è di sostenere il cosiddetto modello di produzione contadino (Van der Ploeg, 2018), che garantisce da un lato una maggiore qualità della produzione riferita non solo alla genuinità e alla freschezza dei prodotti, così come la capacità di riproduzione delle risorse naturali, quali la terra, l’acqua, le piante, dall’altro lato assicurare la possibilità per i consumatori di avere un cibo sano. Secondo alcuni recenti studi (ETC, 2017) i contadini sono i principali o unici fornitori di cibo per oltre il 70% della popolazione mondiale, mentre la catena alimentare industriale, tra le maggiori responsabili delle emissioni di gas serra, fornisce cibo al restante 30%.
In Italia il cuore dell’agricoltura è costituito da piccole e medie aziende che rappresentano la maggioranza per numero rispetto alle dimensioni aziendali. Si tratta di aziende di piccola scala, che comprendono anche aziende a conduzione familiare (Corsi, 2015) e che, come dimostrano alcune ricerche (Sotte e Arzani, 2015), hanno una Produzione Standard (Ps)1 molto limitata rispetto alle imprese agricole di grandi dimensioni che, pur essendo per numero inferiori, gestiscono una Superfice agricola utilizzata (Sau) maggiore e riescono ad avere una Ps notevolmente superiore.
Il dibattito scientifico sulle aziende di piccola e media scala è legato sempre più al ruolo che possono svolgere nei contesti locali territoriali. Infatti, mentre da un lato c’è chi sostiene che sia necessaria per l’agricoltura una ristrutturazione basata sulla specializzazione, sull’adeguamento delle dimensioni aziendali e sull’introduzione delle nuove tecnologie a forte matrice industriale, altre ricerche (Brunori, 2012) dimostrano che imprese di piccole dimensioni che sono state in grado di adeguarsi ai contesti e all’emergere di nuovi bisogni sociali legati al cibo e all’agricoltura attraverso nuove relazioni sociali con una varietà di soggetti, possono superare le criticità dimensionali con l’adozione di strategie (ad esempio la diversificazione) e modelli organizzativi in grado di conciliare produttività e sostenibilità, innovazione e tradizione, competitività e solidarietà.
Da queste considerazioni scaturiscono una serie riflessioni più ampie sulla rilevanza dell’agricoltura di piccola scala e familiare come opportunità per favorire sistemi alimentari locali sostenibili (Dansero et al., 2019). Numerose ricerche (Calori, 2009; Potito e Borghesi, 2015; Vulcano, 2018) dimostrano che in ogni parte del mondo esistono esperienze che hanno saputo declinare in modo efficace i temi della centralità delle relazioni sociali sulla strumentalità dei rapporti economici, contribuendo, quindi, alla creazione di forme di commercializzazione e produzione basate su relazioni solidali e di fiducia (Potito e Borghesi, 2015).
La chiave di lettura che si propone per la valorizzazione del modello di piccola agricoltura locale è riconducibile alla presenza di rapporti sociali collettivi che implicano forme di solidarietà organizzata tra produttori e consumatori, i quali producono, vendono e acquistano prodotti locali di qualità, sempre più integrati con le caratteristiche agro climatico ambientali locali.
La metodologia del presente lavoro si basa su: (a) un’attenta analisi documentale che ha permesso di esplorare i risultati di studi e ricerche di recente realizzazione e incentrati su esperienze innovative fra produttori e consumatori, unitamente ad altri studi di più ampio respiro su Alternative food network e Civic food network; (b) la partecipazione a gruppi di ricerca nazionali su sistemi locali alimentari sostenibili e la realizzazione di specifiche indagini; (c) l’esperienza diretta in attività innovative fra produttori e consumatori in Calabria.

Oltre il consumo e la produzione: storie diverse, motivazioni simili

A livello internazionale si è registrata la diffusione di nuove forme di relazioni basate su rapporti sociali collettivi, che si traducono in patti fra produttori, consumatori e altri soggetti territoriali della filiera. Le pratiche più organizzate si diffusero sin dagli anni 60 in diverse parti del mondo.
In Giappone un primo gruppo di consumatori si organizzarono per l’acquisto collettivo e concordato di prodotti agricoli locali di qualità. Nel 1965 gli stessi, infatti, per far fronte alla diffusione di cibi prodotti con pesticidi importati dagli Stati Uniti d’America, e per contrastare il calo della popolazione locale impegnata in agricoltura, hanno promosso un rapporto diretto e gestito da agricoltori locali. Questo modello organizzativo che è stato definito teikei, è un termine traducibile con “patto”, “relazione di scambio”.
Esperienze analoghe si diffusero nei contesti europei, sotto l’influsso delle idee di Steiner, basate sull’armonia fra uomo e natura, le quali stimolarono la nascita di comunità di persone motivate a trovare un rapporto diretto, nel lavoro nei campi, per una agricoltura biodinamica2. Nel 1985, nel Massachusetts viene fondato il primo gruppo di agricoltura sostenuto dalla comunità (Community supported agricolture – Csa). Le Csa si sono sviluppate, in seguito, in varie parti del mondo, dagli Stati Uniti, all’Australia e Nuova Zelanda, fino a Gran Bretagna, Olanda, Danimarca e Ungheria.
In Germania, dall’esperienza delle casse rurali, nasce il movimento della Collettività per l’economia rurale (Landwirtschaftsgemeinschaftshof).
In Francia i rapporti fra produttori e consumatori su base locale presero avvio nel 2001 con la creazione della prima Associazione per il mantenimento dell’agricoltura locale (Association pour le maintien de l’agriculture paysanne – Amap), sulla scia dell’esperienza delle Csa.
Dal 2004 le esperienze di teikei, Csa e Amap, hanno creato la rete mondiale Réseau International Urgenci che unisce  diverse realtà ed esperienze di rapporti collettivi organizzati tra produttori e consumatori, impegnati nella distribuzione locale del cibo (Calori, 2009).
Dagli anni 70, iniziano a diffondersi, inoltre, strumenti in grado di favorire lo sviluppo sostenibile dei mercati locali, i Sistemi di garanzia partecipata (Participatory guarantee system – Pgs), in quanto contribuiscono alla costruzione comune di un sistema di conoscenza e verifica periodica tra i soggetti coinvolti, con l’ausilio di supporti tecnici condivisi. Questa iniziativa, supportata a livello internazionale dalla Federazione dei movimenti per l’agricoltura biologica (International federation of organic agriculture movementsIfoam) vede una sempre più ampia partecipazione di produttori e consumatori in tutto il mondo.
Un’altra esperienza è rappresentata dalle Cooperative alimentari (Food cooperatives – Fc), nate negli Stati Uniti, nelle quali tutti i soci nel ruolo di proprietari, gestori e clienti, dedicano una quota del loro tempo alla gestione delle attività. Tali esperienze rappresentano punti di distribuzione alimentare democratici, in cui i membri della cooperativa prendono collettivamente le decisioni riguardanti la produzione e la distribuzione del cibo. Nella maggior parte dei casi, le Cooperative alimentari considerano le pratiche agricole sostenibili la loro priorità (Knupfer, 2013).
Si segnalano, inoltre, i Sistemi comunitari di scambio (Community exchange system – Ces), uno strumento che può rivelarsi molto utile per lo sviluppo delle reti alimentari, poiché fondati sul principio del rapporto di reciprocità. Difatti, le comunità coinvolte, commerciano e scambiano i loro beni e servizi, sia a livello locale che a distanza, operando senza denaro. I Ces possono essere considerati gli eredi dei Sistemi di scambio e commercio locale anglosassoni (Local exchange trade system – Lets), basati su “monete sociali” (Biolghini et al, 2018).
In Italia le esperienze innovative di relazioni fra produttori e consumatori si manifestano nell’ambito del panorama delle “economie sociali e solidali”, che dagli anni Novanta costituiscono l’ambito culturale in cui si sviluppa maggiormente il discorso della relazione sociale come parte integrante di pratiche di consumo. Le caratteristiche di questo mondo danno forma a un senso più generale e a legami stabili che vanno oltre il semplice atto di vendita e acquisto. L’esperienza più rilevante delle forme dirette è rappresentata dai Gruppi di acquisto solidali (Gas), che da un sistema di valori e di regole di riferimento, organizzano acquisti collettivi di beni alimentari, ma non solo. Con il concetto di solidarietà si fa riferimento a diverse sfere d’intervento, che vanno dalla preferenza per i piccoli produttori locali, alla cura per gli effetti ambientali, alle condizioni di lavoro connesse alla produzione, ecc. Dalla diffusione di queste esperienze nel 2002 si è creata la Rete di Economia Solidale (Res), che ha promosso la creazione di Distretti di economia solidale (Des).
Negli ultimi anni, sulla scia delle pratiche di economie sociali e solidali, si stanno sperimentando nel contesto nazionale forme di produzione e distribuzione che fanno riferimento alle esperienze descritte in precedenza. In particolare, sono presenti Sistemi di garanzia partecipata (Pgs), Gruppi di agricoltura sostenuto dalla comunità (Csa), Cooperative alimentari (Fc) e Sistemi comunitari di scambio (Ces).
Le principali esperienze di Sistemi di garanzia partecipata sono state avviate di recente in cinque regioni (Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio e Campania). In alcuni casi sono attività che si muovono a livello locale e regionale, mentre in altre il percorso di coinvolgimento attivo si è allargato in ambito nazionale, come ad esempio la campagna Genuino Clandestino (Coscarello, 2016).
Il primo gruppo di agricoltura sostenuto dalla comunità in Italia è nato nel 2011 nell’area di Pisa: la “Comunità agricola di promozione sociale” (Caps), a questa sono seguite la “Cooperativa Arvaia” a Bologna, avviata nel 2013, la Csa Fontanini di Lodi promossa dal Distretto Rurale di Economia Solidale del Parco Agricolo Sud Milano, la Fattoria “Mondeggi Bene Comune” a Firenze, l’Officina della Terra a Sondrio e la Csa Veneto promossa dal Des Oltreconfin.
Per quanto riguarda le esperienze di Cooperative alimentari sono nate di recente a Bologna (Camilla), Parma (OltreFood) e Cagliari. Infine, sono presenti i Sistemi comunitari di scambio e le esperienze più importanti sono: il “Mi Fido di noi” promosso dal DES Brianza, il Buono di Uscita Solidale - BUS promosso a Reggio Emilia dal DES e Mag6 e a Fidenza dal DES Parma, tutte supportate dalla piattaforma Rete di Mutuo Credito (Biolghini et al, 2018).
In Calabria si evidenzia una dinamicità territoriale di collaborazioni fra produttori e consumatori, collegate al mondo dell’economia sociale e solidale. Sono presenti, infatti, Gas, mercati locali e altre forme di collaborazione etiche e solidali (Coscarello, 2014).
La caratteristica che accomuna le esperienze fino ad ora indicate è che sono legate da patti, quale tipologia di rapporto che lega i produttori e i consumatori. Attraverso queste forme di mutua assistenza, rispetto alle caratteristiche della produzione, alla quantità, al tipo, al prezzo dei prodotti, si instaurano fra produttore, consumatore e altri attori della filiera, forme di dialogo trasparenti ed eque, che consentono ai consumatori di discutere con i produttori per definire insieme i diversi interessi fra le parti. Nella maggior parte delle esperienze si tratta di accordi formalmente sottoscritti e spesso frutto di percorsi condivisi e di progettazione partecipata, durante la quale sono state definite le specificità del patto.
Diverse sono le motivazioni che spingono i soggetti della filiera a stringere patti di collaborazione. Un primo esempio è dato dai produttori che si impegnano a concordare con un gruppo di acquirenti le quantità e la qualità dei prodotti da fornire, oppure casi in cui i consumatori si impegnano ad anticipare il pagamento di una parte delle produzioni concordando un prezzo “giusto”, condividendone rischi e vantaggi. Una seconda motivazione riguarda i consumatori che sono alla ricerca di prodotti sani, organici, coltivati con metodi particolari. Una terza, infine, interessa gli aspetti sociali e ambientali del metodo di produzione, ad esempio quando ci si accorda sul rispetto delle condizioni di lavoro e di vita degli agricoltori, sugli eventuali impatti sull’ambiente nei diversi passaggi della filiera (uso di sostanze chimiche, modalità di trasporto, rifiuti generati, ecc.) e su motivazioni etiche  (Calori, 2009).
I rapporti tra produttori e consumatori, quindi, non possono essere riconducibili ad un unico modello. Si può affermare come, in generale, tutte le esperienze si contraddistinguano per l’investimento in una relazione diretta tra chi produce e chi consuma, per la trasparenza sui costi di produzione e la costruzione collettiva dei conti economici, per la programmazione della produzione, per il forte legame con dinamiche produttive agro-ecologiche e per l’intenso investimento nella sovranità alimentare3 dei territori, sia in termini di prodotti alimentari che di costruzione di catene del valore sostenibili (Biolghini et al, 2018). Tali strategie collaborative offrono la possibilità di conservare parte del valore della produzione nell’azienda, ma anche di aprire nuovi spazi di mercato relativi ad una domanda di qualità dei prodotti, sulla quale si formano i nuovi modelli di consumo, basati anche sulle relazioni dirette che comprendono tre dimensioni della prossimità: geografica, ovvero la distanza fisica tra produttori e consumatori; sociale, indentificando un rapporto di comunicazione tra chi produce e chi consuma in grado di generare condivisione di saperi e di valori; economica, con la quale si vuole intendere che la circolazione del valore avviene all’interno di una comunità o di un territorio (Brunori e Bartolini, 2013).

La capacità trasformativa dei patti di collaborazione fra produttori e consumatori

Le attività che vanno nella direzione di costruire “comunità” locali basate sui patti, sembrano dimostrare che “l’esperienza collettiva attraverso le pratiche diventa lo strumento per trasformare il quotidiano”, e che “costruire comunità a partire dalle riflessioni e dalle pratiche sul cibo significa mettere al centro le relazioni” (Potito e Borghesi, 2015). 
La riflessione proposta nel presente lavoro intende approfondire quali sono i cambiamenti che si possono generare quando si trasformano le relazioni tra i produttori e i consumatori, i rispettivi ruoli e la relazione tra loro e il contesto. Osservando le molte esperienze diffuse nel mondo si individuano alcune questioni principali che mostrano come il radicamento delle filiere all’interno di relazioni locali possa generare una serie di cambiamenti rilevanti (Calori, 2009).
Una prima trasformazione è legata alla varietà dei prodotti agricoli. Infatti, la filiera locale fa riferimento a regole locali, per cui una comunità può scegliere il tipo di coltura che intende praticare, tenendo in considerazione le varietà che sono più adatte alle particolari condizioni di quel luogo. È, pertanto, una fitospecificità che si lega ad aspetti simbolici e relazionali connessi al cibo e all’incidenza che questi hanno sugli spazi dell’alimentazione (abitazioni, mercati, ecc.), e che è uno dei fondamenti su cui si basa il concetto di sovranità alimentare.
Nei circuiti alimentari locali la biodiversità ambientale si associa a quella alimentare. Il legame di prossimità incentiva i produttori ad utilizzare metodi di produzioni maggiormente indirizzati al rispetto ambientale e, pertanto, ad un minor utilizzo di input chimici, favorendo un metodo integrato o biologico rispetto al convenzionale, che è spesso utilizzato dalle grandi imprese. In altre parole "la possibilità di coltivare e consumare cibi con differenti qualità nutrizionali e organolettiche è la precondizione principale per un’alimentazione sana. Quindi, se la relazione locale è la precondizione per la biodiversità, anche la disponibilità di alimenti diversi e un’alimentazione sana è un prodotto collegato a queste stesse relazioni" (Calori, 2009 pag. 38).
A questo concetto si lega un’altra questione che caratterizza i rapporti diretti incentrati sul cibo locale di qualità fra produttori e consumatori più strutturati e, in particolare, il concetto del cambiamento degli stili di vita verso comunità sostenibili. Le nuove relazioni dirette e i legami di prossimità (geografica, sociale ed economica), favoriscono reti di relazioni fiduciarie e mutualistiche proprie delle comunità locali. Inoltre, l’aumentata percezione degli effetti sociali ed etici delle proprie scelte di consumo ha contribuito alla creazione di altre pratiche alternative, fra le quali i bilanci di giustizia, tesi alla riorganizzazione della gestione familiare rispetto ai prodotti secondo criteri e principi di giustizia ambientale e sociale; l’esperienza del commercio equo e solidale (Sivini e Corrado, 2013). La preferenza di prodotti locali è una scelta individuale che avviene nella relazione sociale e, pertanto, è questa stessa relazione quella che rende possibile cambiamenti economici su base locale. In molti casi, la scelta di prodotti locali si lega progressivamente ad altre forme di scambio: prodotti non agricoli, servizi, tempo, aiuto, oggetti, ecc. Le scelte del rapporto diretto evidenziano che un prodotto rilevante dei patti locali può essere la relazione sociale, intesa come bene relazionale di cui fruiscono tutti quelli che ne sono coinvolti.
Pertanto, pensare a beni relazionali come prodotti specifici dei circuiti alimentari più maturi può permettere di definire quali siano i prodotti di questi patti. Il tema più generale è quello dei beni pubblici. "L’attività di cura dei luoghi e delle relazioni sociali che è, a tutti gli effetti, un prodotto locale che è generato all’interno del circuito economico locale è un bene di tipo pubblico, di cui si fruisce in modo collettivo e con ricadute anche nel lungo periodo" (Calori, 2009 pag. 38). Quindi, il principale effetto di queste esperienze è lo spazio sociale che si crea all’interno delle relazioni locali di tipo mutualistico tra produzione agricola locale e i beni pubblici che sono generati all’interno di questa “nicchia”.
Le esperienze di patti che hanno una maggiore capacità di aggregazione sia sul lato dell’offerta, sia su quello della domanda, secondo alcune ricerche (Calori, 2009; Vulcano, 2018), sono quelle che investono: (a) sugli aspetti organizzativi (costituzione di consorzi, modalità di relazione, certificazione / marchi / sistemi di garanzia, comunicazione ecc.); (b) sulla predisposizione di una logistica locale (centri di smistamento dedicati, condivisione di mezzi per la distribuzione, ecc.).
Di recente anche il Comitato economico e sociale europeo (EESC, 2017) ha riconosciuto l’importante ruolo che queste iniziative svolgono, poiché instaurando legami più stretti tra produttori e consumatori, da un lato creano opportunità per le imprese locali e nuovi posti di lavoro, dall’altro ristabiliscono il rapporto delle comunità con i loro alimenti. Tutte le esperienze di agricoltura sostenuta dalle comunità, delle filiere corte, delle reti alimentari alternative, delle cooperative di consumatori, dei sistemi agricoli locali e delle vendite dirette, possono svolgere un ruolo fondamentale, in quanto garanti di uno stretto rapporto con la comunità e un'attenzione per gli aspetti sociali, educativi e ambientali.

Considerazioni conclusive

Dal presente lavoro emerge come dalle esigenze di produttori e consumatori (quella dell’agricoltore, che adotta un metodo di produzione integrato con le caratteristiche agro climatico ambientali locali e attento alle esigenze del consumatore che è sempre più attento alla ricerca di un cibo di qualità) si possa costruire una relazione di tipo solidale, che favorisce un mercato diverso e che permette il rafforzamento di un modello di produzione più attento alla cura delle terre e dell’acqua. Questo patto sociale locale rende possibile regole che incorporano la produzione di qualità ambientale e territoriale nella forma dei beni pubblici.
Tali esperienze di patti locali vanno evidentemente oltre la ridefinizione del rapporto tra produzione e consumo di cibo. La socializzazione delle attività agricole è un fenomeno rilevante, che potrebbe contribuire alla costruzione di un modello capace di unificare anche funzioni e obiettivi di altro genere, come ad esempio servizi di mutuo aiuto, diverse relazioni fra città e campagna, promozione della biodiversità ambientale e alimentare, opportunità per le imprese locali e posti di lavoro.
In Calabria, considerata la dinamicità delle iniziative presenti e della specificità della struttura produttiva agricola, l’avvio e il rafforzamento di esperienze di patti locali, in alcuni casi già in atto, potrebbe essere il volano per un modello di agricoltura durevole, sostenibile e capace di generare un benessere diffuso.

Riferimenti bibliografici

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Siti di riferimento

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  • 2. Le basi teoriche dell’agricoltura biodinamica sono da ritrovare nell'Antroposofia di Rudolf Steiner, filosofo austriaco di fine ottocento noto per le sue applicazioni in campo medico, pedagogico (scuole Waldorf), economico, agricolo e artistico. Per maggiori informazioni consultare il sito [link].
  • 3. Dalla dichiarazione di Nyéléni al Forum Internazionale sulla Sovranità Alimentare tenutosi in Mali nel 2007 “(...) La sovranità alimentare è il diritto dei popoli ad alimenti nutritivi e culturalmente adeguati, accessibili, prodotti in forma sostenibile ed ecologica, ed anche il diritto di poter decidere il proprio sistema alimentare e produttivo. Questo pone coloro che producono, distribuiscono e consumano alimenti nel cuore dei sistemi e delle politiche alimentari e al di sopra delle esigenze dei mercati e delle imprese. Essa difende gli interessi e l’integrazione delle generazioni future. (...) Essa offre degli orientamenti affinché i sistemi alimentari, agricoli, pastorali e della pesca siano gestiti dai produttori locali. La sovranità alimentare dà priorità all’economia e ai mercati locali e nazionali, privilegia l’agricoltura familiare, la pesca e l’allevamento tradizionali, così come la produzione, la distribuzione e il consumo di alimenti basati sulla sostenibilità ambientale, sociale ed economica. La sovranità alimentare promuove un commercio trasparente che possa garantire un reddito dignitoso per tutti i popoli e il diritto per i consumatori di controllare la propria alimentazione e nutrizione. Essa garantisce che i diritti di accesso e gestione delle nostre terre, dei nostri territori, della nostra acqua, delle nostre sementi, del nostro bestiame e della biodiversità, siano in mano a chi produce gli alimenti. La sovranità alimentare implica nuove relazioni sociali libere da oppressioni e disuguaglianze fra uomini e donne, popoli, razze, classi sociali e generazioni (...)”.
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