Meccanismi di creazione e trasferimento di innovazione e conoscenza nell’ambito delle piccole-medie imprese agricole e agroalimentari

Meccanismi di creazione e trasferimento di innovazione e conoscenza nell’ambito delle piccole-medie imprese agricole e agroalimentari

Abstract

Scopo del contributo è di indicare alcuni metodi e strumenti utilizzabili per facilitare la creazione e il trasferimento di innovazione e conoscenza nell’ambito delle piccole-medie imprese agricole e agroalimentari, sulla base di esperienze di università attive nei sistemi territoriali di riferimento. Il sistema di relazioni attivato dalle università con il territorio, oltre a contribuire ad uno sviluppo regionale capace di generare innovazione sostenibile, apre ad una didattica diversa, dove l’apprendimento esperienziale riveste un ruolo fondamentale, e ad un lavoro di ricerca diverso, che parte da bisogni reali e contestuali, nella consapevolezza che i grandi obiettivi dello sviluppo sostenibile si possono raggiungere solo tramite azioni locali. Il contributo presenta quindi alcuni modelli possibili, quali hubs e living labs, e alcune tecniche partecipative, quali Open Space Technology, workshops esperienziali, problem-based e project-based learning e l’Entrepreneurial Discovery Process, utili a stimolare processi di l’attivazione di condivisione e co-creazione di conoscenza tra gli attori locali verso la formulazione di una visione di sviluppo comune.

Introduzione

Negli ultimi decenni in tutta Europa si è registrato un interesse verso un coinvolgimento più profondo nelle dinamiche di trasferimento tecnologico e di rilevanza sociale da parte delle università (Goddard, 2009; Zomer & Benneworth, 2011). Alcuni eventi organizzati a livello europeo, come lo University-Business Forum1 o la European Week of Regions and Cities2 insieme allo sviluppo di strumenti di autoriflessione come HEInnovate3, hanno enfatizzato l’importanza degli approcci della “tripla e quadrupla elica”4 (Etzkowitz, 2008; Ranga e Etzkowitz, 2013; Carayannis e Campbell, 2009), che vedono l’innovazione come risultato dei legami tra università, mondo imprenditoriale, decisori politici e comunità locali, riaffermando l’università come attore chiave all’interno dei sistemi territoriali.
Si parla in generale di co-creazione, il cui principio è quello di “coinvolgere persone per creare insieme esperienze di valore” (Ramaswamy & Gouillart, 2010): dall’organizzazione congiunta di processi partecipativi per la creazione di living labs, alla guida di percorsi orientati alla stesura di contratti di rete o altre tipologie di aggregazioni territoriali, esistono molti metodi e strumenti per coinvolgere diversi attori verso un’idea di sviluppo comune.
Questo tipo di interazione è abbastanza frequente tra università e impresa nel settore agricolo e agroalimentare: tutti gli attori (accademici, imprenditori e professionisti) impegnati nei progetti finanziati dai PSR - in particolare la misura 16, che promuove lo sviluppo del settore agricolo tramite il coordinamento tra degli attori del sistema regionale - si sono trovati di fatto a collaborare negli ultimi anni favorendo la condivisione e co-creazione di conoscenza nelle aree rurali5 anche grazie alla formazione e al supporto della figura dell’Innovation Broker (per ulteriori riferimenti su questo tema, si vedano gli articoli pubblicati su questa rivista [link]  e [link]).
Tuttavia, questa collaborazione non sempre viene formalizzata e, molto spesso, anche se la formalizzazione avviene, esiste il rischio concreto di avere orizzonti temporali limitati alla conclusione dei progetti finanziati, con l’incognita di vanificare gli sforzi fatti e dover ripartire da capo al bando o progetto successivo.
Anche se per le università queste relazioni, che vanno dal public engagement al trasferimento tecnologico, sono diventate essenziali per ottenere valutazioni positive da parte dell’ANVUR, con un impatto sui fondi redistribuiti dal Ministero dell’Università e della Ricerca, le attività di cosiddetta “Terza Missione” non sono sempre istituzionalizzate.
Infatti, molto spesso questa missione dell’Università viene vissuta dai docenti stessi come un’attività straordinaria, che va oltre i compiti istituzionali della didattica e della ricerca. Di conseguenza, il rischio più grande che si corre è di escludere gli studenti, mentre il loro coinvolgimento in questo tipo di attività può rappresentare anche un’occasione di apprendimento importante per l’acquisizione di competenze chiave settoriali e trasversali.
Inoltre, il lavoro di collaborazione tra università e impresa, e in particolare la capacità della prima di influenzare l’atteggiamento imprenditoriale e l’orientamento all’innovazione e al mercato della seconda, può rappresentare un importante oggetto di studio.
Agire sul territorio per individuare temi di ricerca utili al suo sviluppo e per fornire ai propri laureati una professionalità adeguata, significa, per le università, cooperare potenzialmente con tutti i soggetti presenti sul territorio, non ultime le micro-imprese del settore agricolo e agroalimentare.
Sulla base di questo principio, a partire dal 2010 insieme a un gruppo di ricercatori, gli autori di questo articolo si sono orientati verso una più intensa e strutturata interazione con il tessuto imprenditoriale agricolo del centro Italia, cercando di mettere in relazione le sfide locali con il contesto internazionale, attraverso progetti finanziati da Fondi Strutturali o direttamente dalla Commissione Europea tramite i programmi Interreg, URBACT ed Erasmus+, cercando di favorire i collegamenti tra attori locali e globali (Tomasi et al., 2021). In quest’ottica, imprenditori e studenti sono stati al centro di un processo di scambio e apprendimento reciproco, molto spesso in contesti non formali: visite di studio, testimonianze, workshop, conferenze presso fiere di settore, scambi internazionali e interregionali tra studenti e imprenditori, sono solo alcune tra le attività che hanno visto la comunità accademica impegnata in percorsi di didattica, ricerca e terza missione finalizzati allo scambio di conoscenze, alla co-creazione di innovazione e alla generazione di atteggiamenti imprenditoriali.
Questo contributo ha lo scopo di elencare alcuni metodi e strumenti a disposizione delle Università per facilitare la creazione e il trasferimento di innovazione e conoscenza nell’ambito delle piccole-medie imprese agricole e agroalimentari e di riportare le principali lezioni apprese durante questo percorso.
Per questo motivo, nel prossimo paragrafo affronteremo il tema dello stakeholder engagement e della sua connessione con gli ambienti di apprendimento, nel quadro dell’apprendimento esperienziale, che avviene tanto in contesti formali, quanto in contesti non formali e informali6, coinvolgendo tutti gli attori coinvolti nello sviluppo di conoscenza esplicita e tacita7. Successivamente illustreremo i principali metodi e strumenti a disposizione delle pubbliche amministrazioni e delle università per incrementare l’orientamento all’innovazione degli imprenditori agricoli e agroalimentari. Infine, proveremo a delineare alcune direttrici di sviluppo anche alla luce di programmi di finanziamento comunitari che incentivano la collaborazione università-impresa-territorio e che offriranno nei prossimi anni molte opportunità per il trasferimento tecnologico e per la nascita di modelli di business innovativi e sostenibili

La collaborazione tra università e imprese: sfide e prospettive tra stakeholder engagement e nuovi ambienti di apprendimento e innovazione

Il tema della collaborazione tra accademici, imprenditori e professionisti è particolarmente significativo negli studi di management: diversi autori hanno discusso la relazione tra teoria e pratica (si veda tra gli altri Rynes et al., 2001) e alcuni studiosi hanno indagato le ragioni dei fallimenti nella comunicazione tra accademici (thinkers) e professionisti (doers) (Van Aken, 2004; Cavicchi et al. 2014). Innanzitutto, vi è la constatazione della mancanza di un linguaggio comune quando si affrontano domande sul “come” e sul “perché” gli imprenditori adottino innovazione. Inoltre, tra gli aspetti critici la letteratura evidenzia la difficoltà del ricercatore ad assumere il punto di vista dell’imprenditore e del manager per disegnare metodi e strumenti di ricerca efficaci in contesti non accademici. Gli autori evidenziano piuttosto come gli accademici cerchino di forzare una realtà nel quadro della loro disciplina e dei loro framework teorici, piuttosto che adattare la loro disciplina alla realtà del fenomeno che studiano.
Infatti, come osservano Gilmore e Carson (2007): [...] è difficile, se non impossibile per i ricercatori accademici avvicinarsi abbastanza agli imprenditori per ottenere una conoscenza approfondita di un particolare fenomeno all'interno di una singola impresa, senza un'immersione totale per un lungo periodo di tempo (p. 42).
Rimuovere le barriere che isolano i thinkers dai doers aiuterebbe a migliorare l'efficacia degli studi accademici in ambito di marketing e di management. La scelta del metodo di ricerca e la conseguente raccolta dei dati dovrebbe essere coerente con le esigenze emergenti dalla realtà, che deve essere studiata da vicino. In questo modo, i ricercatori avrebbero la certezza dell’utilità dei propri studi per gli imprenditori.
La letteratura di marketing e di management indaga da tempo gli approcci e i metodi più efficaci nella relazione ricerca-impresa. Tra questi, il ruolo della ricerca-azione (Action Research) e dell’apprendimento esperienziale (Experiential Learning) è stato spesso oggetto di indagine.
La ricerca-azione, nata negli anni Quaranta del secolo scorso negli Stati Uniti in ambito medico, è caratterizzata dalla ricerca di cambiamento e trasformazione tramite l’azione (il fare) e la ricerca (il fare ricerca), in una continua riflessione critica. Il processo, o disegno di ricerca, inizia con una fase di diagnosi dei problemi, quindi prosegue con la pianificazione degli step conseguenti, alla implementazione di azioni reali che verificano le ipotesi, che infine vengono criticamente valutate. La valutazione coincide con l’analisi degli effetti del cambiamento messo in atto, il che costituisce la base per un aggiustamento ulteriore delle ipotesi. In pratica, sulla base della loro esperienza, i ricercatori indagano i comportamenti relativi a un fenomeno che coinvolge specifici stakeholder e poi forniscono loro spunti utili per sviluppare competenze imprenditoriali e manageriali.
Nel quadro teorico dell’apprendimento esperienziale, l'esperienza è rilevante per raccogliere informazioni, imparare qualcosa di nuovo e/o rafforzare le conclusioni esistenti. Il ruolo dell'esperienza è particolarmente significativo nel processo di apprendimento, che integra percezione, cognizione e comportamento (Kolb 1984, p. 21), fornendo così visioni olistiche di un fenomeno.
In entrambi i casi l’apprendimento non avviene solo alla fine, ma lungo tutta l’attività di ricerca e di formazione (Huang, 2001): tanto più il ricercatore sarà impegnato in una critica riflessiva con gli stakeholder (imprese, studenti) con cui lavora, tanto maggiore sarà l’apertura all’apprendimento e all’innovazione (Santini, 2013; Baskerville, 1999).
Gli studenti, a loro volta, devono esser formati a confrontarsi con le sfide percepite dalle imprese, sempre più relative a questioni di sviluppo territoriale e sostenibilità. Si tratta in definitiva di affrontare wicked problems (Dentoni et al., 2012), problemi che non possono essere risolti con soluzioni lineari e che non hanno una soluzione valida per tutti i contesti territoriali, ma che richiedono invece il coinvolgimento di attori diversi e il dialogo anche solo per definire esattamente quale sia la sfida a cui si cerca di rispondere. L’apprendimento esperienziale in contesto è senz’altro in grado di supportare una formazione integrata e consapevole dello studente, già durante il percorso accademico.
Inoltre, studi qualitativi e quantitativi hanno dimostrato quanto possa essere efficace l’apprendimento esperienziale nell'educazione imprenditoriale e più specificamente nel riconoscimento e nella valutazione delle opportunità da parte degli imprenditori anche in contesti e ambienti informali (si veda per una revisione completa Kolb e Kolb, 2005; Corbett, 2005).
Gli ambienti informali di apprendimento si riferiscono a luoghi di apprendimento extra-universitari, non pensati specificatamente per l’apprendimento (Bell et al., 2009): uno spazio che espone gli studenti al dialogo con i saperi di diverse comunità e diversi valori ed istanze, diversi “stili” imprenditoriali relativi all’area di studio in oggetto. Predisporre percorsi di apprendimento in contesti informali richiede quindi di tenere in considerazione anche il fondamentale ed attivo apporto di stakeholder (Engeström, 2011; Gutierrez e Panuel, 2014).
Gli interventi, infatti, si implementano in sistemi complessi e stratificati, in particolare nei percorsi nell’ambito dello sviluppo territoriale, caratterizzato da istanze anche molto diverse tra i gruppi di stakeholder. Questo tipo di processo è stato facilitato negli ultimi anni da programmi europei di finanziamento come il programma Erasmus+: in particolare, le Knowledge Alliances8, ma anche le Strategic Partnerships9, hanno permesso alle università di ottenere fondi per incrementare il dialogo tra soggetti, per favorirne la mobilità, per sviluppare metodologie didattiche innovative, molto spesso favorendo approcci costruttivisti – place-based education10, project-based learning11, problem-based learning12 e negli ultimi tempi service learning13.
L’azione didattica in contesti di apprendimento informale aggiunge ulteriore complessità alle funzioni del docente, poiché per essere efficace richiede ulteriori conoscenze relative al contesto, che deve conoscere da un punto di vista socio-economico e culturale, e ulteriori abilità (mediazione del contesto, supporto all’interpretazione critica del dato raccolto, capacità di coinvolgere attivamente il territorio e di includerlo nel processo, ecc.).
Per attivare percorsi formativi all’interno di un determinato territorio, è indispensabile per il docente aver prima attivato processi di coinvolgimento degli stakeholder, o stakeholder engagement14. Il coinvolgimento degli stakeholder è un passo fondamentale nel processo di sviluppo comunitario e locale (Byrd, 2007) poiché può generare risultati positivi per le singole organizzazioni (Savage et al., 2010). Il coinvolgimento permette alla comunità imprenditoriale di condividere i suoi valori e di diventare più consapevole del potenziale di un dato contesto territoriale, e crea un equilibrio di potere, dal momento che tutti possono essere coinvolti nel processo decisionale. Permette inoltre di esprimere gli interessi della comunità, che possono essere poi meglio definiti e compresi dagli altri (Donaldson, Preston, 1995). Questo tipo di condivisione costruisce la fiducia tra i membri della comunità per migliorare la qualità della vita locale e permette a chi opera sul territorio di realizzare economie di scala e/o esperienze volte a raggiungere risultati più collettivi che individuali (Savage et al., 2010).

Metodi e strumenti

Negli ultimi anni si sono sviluppati diversi metodi e strumenti per rendere operativo il coinvolgimento di stakeholders in processi mirati all’innovazione, in linea con gli approcci Multi-attore del Partenariato Europeo per l’Innovazione. Ne evidenziamo alcuni nei prossimi paragrafi.

Living labs

I living labs rappresentano un modello utile per la co-creazione e "migliorano l'innovazione, l'inclusione, l'utilità e l'usabilità dell'ICT e delle sue applicazioni nella società" (Eriksson et al., 2005; p. 5). Sono definiti come ecosistemi in cui gli stakeholder formano partenariati pubblico-privati di aziende, enti pubblici, università, istituti e utenti che collaborano per la creazione, la prototipazione, la convalida e il test di nuove tecnologie, servizi, prodotti e sistemi in contesti di vita reale (Leminen et al., 2012).
Si tratta di luoghi esperienziali dove i partecipanti hanno l'opportunità di progettare e sperimentare prodotti e servizi (Dvarioniene et al., 2015) e permettono di lavorare in contesti reali creando valore sostenibile e formando gli utenti per un'innovazione aperta e distribuita (Bergvall- Kåreborn et al., 2009). A differenza di altri modelli, i living lab coinvolgono anche stakeholder eterogenei come accademici, rappresentanti dell'industria, professionisti, cittadini e utenti, oltre a vari tipi di organizzazioni pubbliche e private (Ballon, Schuurman, 2015).
Secondo Bergvall-Kåreborn et al. (2009), le componenti chiave dei living lab sono ICT & Infrastructure, per facilitare la cooperazione e la co-creazione tra gli stakeholder; management, che riguarda l'aspetto organizzativo e amministrativo del living lab; partners & users, importanti per il patrimonio di conoscenze e competenze; research rappresenta l'apprendimento collettivo che dovrebbe portare contributi sia alla teoria che alla pratica; approach, che copre tutti i metodi e le tecniche che emergono come buone pratiche nell'ambiente dei Living Labs.
Possiamo citare, tra le varie iniziative di Living Labs nel settore agrifood, il progetto RULAB15 (Gruppo Operativo della Regione Campania) e il progetto Horizon 2020 ROBUST16 nella provincia di Lucca.

Hubs

Gli Hub sono oramai diffusi nel campo dell'innovazione sociale e tecnologica; negli ultimi anni si è assistito ad un loro aumento grazie alla loro efficacia nel promuovere la responsabilizzazione delle comunità̀ locali o nell’individuare strumenti per rispondere ai bisogni locali, come la mancanza di servizi per la comunità. Per questo motivo, l'interesse dei decisori politici verso gli hub è cresciuto nel corso degli anni: in primo luogo, perché hanno compreso che è cambiato il processo di nascita dell'innovazione; in secondo luogo, perché gli hub possono rappresentare una valida risposta ai bisogni emergenti di una comunità locale. Essi possono essere virtuali o fisici; sono definiti dai bisogni della comunità (locale, urbana o degli stakeholder) a cui si riferiscono.  In generale, le persone percepiscono gli hub come luoghi dove i membri di una comunità possono incontrarsi, discutere e pianificare azioni. Gli hub possono migliorare efficacemente le soluzioni di co-creazione e, come sottolineato da Gathege e Moraa (2013) attraverso lo sviluppo di una cultura partecipativa, possono anche costruire competenze tecnologiche e alfabetizzazione. La ricerca ha evidenziato come gli hub possano favorire un processo di coinvolgimento comunitario e di innovazione sociale (Jimenez Cisneros e Zheng, 2016).
Un hub può essere definito come un modo di organizzare il lavoro. Tuttavia, più che i principi organizzativi che ispirano gli hub, ciò che attrae è il dinamismo e l'idea di raccogliere diversi talenti e competenze, e di mettere insieme le discipline per realizzare l'innovazione. Gli hub possono anche favorire comportamenti imprenditoriali. In particolare, la relazione tra gli stakeholder può facilitare la diffusione di idee e l'implementazione di soluzioni innovative. La ricerca ha sottolineato il ruolo che gli hub hanno nella diffusione dell'innovazione nelle industrie mature.
Esempi di hub di successo riguardano le imprese sociali, i settori altamente innovativi (come nel caso della Silicon Valley), ma anche le imprese rurali.
Ulteriori approfondimenti sulle caratteristiche e sul ruolo degli Hub si possono trovare nel report Hubs Guidelines17 del progetto Erasmus+ The Wine Lab18.

Strumenti e tecniche di animazione

Living Labs e Hubs possono essere animati attraverso numerosi strumenti e tecniche. Ne riportiamo alcune tra le più utilizzate: l'Open Space Technology (OST), il problem-based learning (PBL), i workshop di apprendimento esperienziale, il project- based learning e l'Entrepreneurial Discovery Process (EDP).

  • L’Open Space Technology (OST) – utilizzato nell’ambito dei Gruppi Operativi della Regione Marche dall’ASSAM19 - è una tecnica utilizzata per implementare approcci partecipativi generalmente utilizzata "in situazioni in cui un gruppo eterogeneo di persone deve affrontare un contenuto complesso e potenzialmente conflittuale in modalità innovative e produttive" (Owen, 2008; p. 8). I passi della sessione OST di solito sono: 1) opening circle (processo di co-creazione dell'agenda all'inizio, senza che il facilitatore aiuti / sintetizzi / suggerisca / riduca gli argomenti); 2) spiegazione del facilitatore del processo e delle regole da rispettare; 3) conversazioni multiple che idealmente avvengono intorno allo stesso grande spazio e sono autogestite dai gruppi stessi; 4) circolo di chiusura (commento e riflessione). Le persone coinvolte cercano insieme di trovare una risposta ai bisogni e alle domande e possono appartenere a diversi settori. Come metodologia di gestione di grandi gruppi, l'OST può rappresentare una modalità educativa innovativa e coinvolgente.
  • Il metodo del problem-based learning (PBL) è stato sviluppato nell'educazione medica nei primi anni '70. Nel corso degli anni, questa tecnica è stata adottata in molti campi di ricerca e insegnamento. In generale, il PBL è definito come un processo di indagine, un approccio di apprendimento per acquisire nuove conoscenze. Le fasi sono generalmente le seguenti: 1) uno scenario è pre-inviato a piccoli gruppi di studenti/imprenditori/partecipanti; 2) si forniscono loro informazioni per facilitare l'apprendimento; 3) si pone l'accento sull'apprendimento auto-diretto; e 4) i partecipanti sono coinvolti in un processo di problem-solving (Gewurtz et al., 2016).
  • Il project-based learning (PrBL), invece, è un approccio che mira a coinvolgere i partecipanti in un'indagine su problemi autentici. Analogamente al PBL, da cui si differenzia per la produzione di un artefatto specifico (progetti), nel project-based learning "gli studenti perseguono soluzioni a problemi non ordinari ponendo e raffinando domande, discutendo idee, facendo previsioni, progettando piani e/o esperimenti, raccogliendo e analizzando dati, traendo conclusioni, comunicando le loro idee e scoperte ad altri, ponendo nuove domande e creando artefatti" (Blumenfeld et al., 1991).
  • I workshop di apprendimento esperienziale sono usati in una grande varietà di contesti educativi, e si fondano sul principio per cui l’esperienza è parte integrante dell’apprendimento (Kolb and Kolb, 2005). L'apprendimento esperienziale, quindi, differisce dalla semplice trasmissione di informazioni ed è un processo in cui la conoscenza si sviluppa attraverso l'osservazione e la trasformazione dell'esperienza (Kolb et al., 2001). Un workshops esperienziale è normalmente organizzato con la presenza di un esperto che ‘guida’ l’esperienza a nuove conoscenze rispetto a un tema attraverso attività pratiche, favorendo l’emersione della precedente conoscenza dei partecipanti e la co-creazione di nuova conoscenza del gruppo attraverso lo scambio e il dialogo.
  • Infine, l’Entrepreneurial Discovery Process (Processo di scoperta imprenditoriale) è tipicamente utilizzato per generare idee innovative attraverso l'interattività tra imprese, pubblico e ricerca (Santini et al., 2016). Il metodo, basato su approcci partecipativi, presuppone l’identificazione congiunta dell’area di sviluppo su cui focalizzarsi, seguita da discussioni in gruppi e sottogruppi che ne analizzano sub-aree specifiche e propongono idee imprenditoriali/di sviluppo, che sono poi presentate e ridiscusse in plenaria. Il risultato del processo è la definizione di possibili idee di sviluppo per un territorio o un settore, condivise tra gli attori di quel territorio/settore, all’interno di un processo di co-creazione e consensus building. Le informazioni vengono poi trasferite ai responsabili politici per trasformarle in azioni politiche. Viene spesso utilizzato per progettare strategie di sviluppo a livello regionale (Foray et al., 2012) nell’ambito della Strategia di Specializzazione Intelligente.

Tutti questi strumenti sono stati descritti e corredati da linee guida nell’ambito del progetto Erasmus+ FOODBIZ20.
Ulteriori strumenti per incentivare il trasferimento di conoscenza nel settore agroalimentare sono rintracciabili su diversi portali di programmi di finanziamento europei e internazionali. Si segnalano, tra gli altri: il toolbox del programma URBACT21, il toolbox del progetto SHARED della FAO22, il toolkit della Banca Mondiale su Design Thinking23.

Considerazioni conclusive

Come è stato sottolineato da Klerks (2012), l’innovazione in agricoltura non può essere più spiegata attraverso un “approccio lineare”, secondo il quale la ricerca pubblica e i servizi di sviluppo rendono disponibile una nuova tecnologia attraverso la sua semplice diffusione. Si deve invece fare riferimento a un “approccio sistemico”: la conoscenza è il risultato di un processo di interazione tra diversi attori, di apprendimento interattivo, di co-creazione di pratiche e attività in linea con l’approccio AKIS - Agricultural knowledge and innovation system (Brunori et al., 2021). Attualmente, sul sito www.innovarurale.it che presenta la banca dati dei Gruppi Operativi (GO) del Partenariato Europeo per l’Innovazione in materia di produttività e sostenibilità dell’agricoltura (PEI AGRI), sono censiti ben 563 GO, attivati in Italia attraverso le sottomisure 16.1 e 16.2 dei Programmi di Sviluppo Rurale delle Regioni.
In queste reti, le università sono chiamate a svolgere un ruolo sempre più significativo come stimolatori e facilitatori del trasferimento di conoscenze all'interno delle attività economiche e sociali dei loro territori. L'interazione tra ricerca, mondo imprenditoriale, pubblica amministrazione e società civile forma il fulcro del ben noto modello della quadrupla elica. L'elica è vista come un modello universale di innovazione che può aiutare studenti, ricercatori, manager, imprenditori e politici a capire i ruoli di università, industria e governi regionali nel formare e sviluppare "una regione innovativa", che abbia una capacità generativa auto-rinnovabile e sostenibile. Dalla collaborazione tra gli attori locali e il mondo accademico, spesso si possono creare spazi fisici di innovazione, gestiti dalle università all'interno dei quali generare processi di co-creazione e scambio di conoscenze, come living labs e hub di innovazione.
Questo sistema di relazioni apre quindi non solo a una didattica diversa, dove l’apprendimento esperienziale riveste un ruolo fondamentale, ma anche a un lavoro di ricerca che parte da bisogni reali e contestuali, nella consapevolezza che i grandi obiettivi dello sviluppo sostenibile si possono raggiungere solo tramite “missioni” locali, in linea con l’approccio di ricerca mission-based della Mazzucato (2018)24. A questo scopo, la collaborazione tra gli attori della quadrupla elica diventa fondamentale soprattutto se in questo processo lo studente universitario, il futuro cittadino, lavoratore e imprenditore, viene messo al centro: l’innovazione sarà quindi sostenibile solo se un vero atteggiamento imprenditoriale sarà diffuso tra i giovani laureati presenti su un territorio.

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  • Santini, C., Marinelli, E., Boden, M., Cavicchi, A. & Haegeman, K. (2016), Reducing the distance between thinkers and doers in the entrepreneurial discovery process: An exploratory study, Journal of Business Research, Volume 69, Issue 5

  • Savage, G.T., Bunn, M.D., Gray, B., Xiao, H., Wang, S., Wilson, E.J. & Williams, E.S. (2010), Stakeholder Collaboration: Implications for Stakeholder Theory and Practice, Journal of Business Ethics 96, 21–26

  • Tomasi, S., Cavicchi, A., Aleffi, C. Paviotti, G., Ferrara C., Baldoni, F. & Passarini, P. (2021), Civic universities and bottom-up approaches to boost local development of rural areas: the case of the University of Macerata. Agricultural and Food Economics, 9(1), 1-23.

  • van Aken, J.E. (2004), Management research based on the paradigm of the design sciences: The quest for field-tested and grounded technological rules, Journal of Management Studies, 41 (2) (2004), pp. 219-246

  • Zomer, A. & Benneworth, P. (2011), The rise of the university’s Third Mission. In J. Enders, H. F. de Boer & D. Westerheijden (Eds.), Reform of higher education in Europe, Rotterdam: Sense Publishers.

Siti di riferimento

  • British Council (2016): [link

  • The Wine Lab (Erasmus+): [link

  • Foodbiz (Erasmus+): [link

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  • 4. Il modello a tripla elica si riferisce all’insieme di interazioni necessarie tra il mondo accademico, il mondo produttivo e i decisori politici per favorire l’innovazione e lo sviluppo economico e sociale (Etzkowitz, 2008; Ranga e Etzkowitz, 2013); il modello è poi evoluto nella quadrupla elica, includendo la società civile (Carayannis e Campbell, 2009).
  • 5. Tra le attività finanziate da questa misura e dalle relative sottomisure si possono citare la facilitazione, l’animazione e l’informazione sul territorio tramite incontri, focus groups, workshops, seminari, visite in campo, brainstorming, etc...
  • 6. L’apprendimento formale si svolge negli istituti educativi e formativi ed è intenzionale; l’apprendimento non formale si svolge all’interno di contesti non educativi, ad esempio l’ambiente di lavoro, può essere o non essere riconosciuto; l’apprendimento informale avviene in tutti i contesti di vita quotidiana, al di fuori delle istituzioni preposte sia all’apprendimento che all’azione professionale, non è intenzionale ed è spesso non riconosciuto.
  • 7. La conoscenza esplicita è la conoscenza codificata e trasmessa. La conoscenza tacita è non codificata, è generalmente sviluppata tramite l’esperienza e trasmissibile nell’interazione con l’altro.
  • 8. Le Knowledge Alliances, Alleanze per la Conoscenza, erano progetti finanziati dal programma Erasmus+ focalizzati sulla cooperazione università-impresa nella programmazione 2013-2020.
  • 9. Le Strategic Partnership, o Partenariati Strategici, erano progetti finanziati dal programma Erasmus+ (2013-2020) focalizzati sullo sviluppo di innovazione.
  • 10. La place-based education è una proposta pedagogica per cui l’ambiente è uno spazio di apprendimento nel quale ogni componente del luogo può essere un mediatore didattico.
  • 11. Il Project Based Learning (PrBL) è un approccio pedagogico fondato sulla formulazione di progetti che nascono da situazioni reali e che coinvolgono collaborativamente gli studenti nella risoluzione di problemi, nel processo decisionale e in attività di approfondimento.
  • 12. Il Problem Based Learning (PBL) è un approccio pedagogico centrato sullo studente che utilizza l'analisi di un dato problema quale scenario di partenza per e attività di apprendimento.
  • 13. Il Service Learning è un approccio pedagogico per cui gli studenti sviluppano le proprie conoscenze e competenze attraverso attività di servizio solidale per la comunità.
  • 14. Il concetto di stakeholder engagement è stato discusso fin dal 1984, quando Freeman affrontò la questione definendo uno stakeholder come "qualsiasi gruppo o individuo che può influenzare o è influenzato dal raggiungimento degli obiettivi dell'organizzazione" (Freeman, 1984, p. 5). Qualche anno dopo, lo stesso concetto fu sviluppato da Donaldson e Preston nel 1995, specificando che uno stakeholder è un gruppo o un individuo che deve avere un interesse legittimo nell'organizzazione.
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  • 24. La ricerca orientata alla missione (mission-based research, o mission-oriented research) cerca di fornire un approccio sistemico verso il raggiungimento di un obiettivo specifico, utilizzando un approccio basato sulla soluzione e orientato al risultato.
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