L’agricoltura sociale come strumento per lo sviluppo locale delle aree rurali: il caso calabrese

L’agricoltura sociale come strumento per lo sviluppo locale delle aree rurali: il caso calabrese
a Università della Calabria, Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali

Abstract

L’articolo descrive il ruolo dell’agricoltura sociale nella costruzione di un nuovo modello di welfare locale. In particolare, viene analizzato il caso studio del progetto integrato nella valle dell’Esaro, in provincia di Cosenza, mostrando il lavoro svolto finora sul territorio e le criticità presenti nella costruzione di un modello di sviluppo socioeconomico alternativo.

Introduzione

L’agricoltura sociale si presenta come un beneficio per soggetti a bassa contrattualità (persone con handicap fisico o psichico, psichiatrici, dipendenti da alcool o droghe, detenuti o ex‐detenuti) o per fasce della popolazione (bambini, anziani) per cui risulta carente l’offerta di servizi (Di Iacovo, 2008). In realtà, l’agricoltura sociale porta vantaggi anche agli erogatori del servizio, infatti per gli agricoltori è occasione di diversificazione dei redditi; per le comunità rurali è fattore di sviluppo locale ed opportunità per il rafforzamento dell’offerta di servizi essenziali; per le autorità pubbliche costituisce un originale modello di welfare in cui integrare differenti politiche (agricole, sociali, sanitarie e del lavoro) (Pascale, 2010). La collaborazione tra politiche e soggetti differenti risulta ancora più importante per le Regioni italiane più deboli, come la Calabria, che possono sfruttare il loro punto di forza, l’agricoltura, per risolvere i punti di debolezza, mancanza di servizi e inadeguato sviluppo territoriale, per creare un modello innovativo di sviluppo economico e sociale. A dimostrazione di ciò, l’articolo presenta la sperimentazione avviata nel territorio della Valle dell’Esaro, in provincia di Cosenza, che si avvale dell'agricoltura sociale per ripensare il modello di welfare locale.
Dal “welfare state” al “welfare community
A partire dagli anni 2000 aumenta l’attenzione verso le aree rurali, soprattutto riguardo  il sistema dei servizi alla persona ed il ruolo del welfare locale (Bortoletto, 2015). Ciò è dovuto a due eventi complementari tra loro:

  • il processo di decentramento della sanità pubblica che conferma il passaggio dallo Stato alle Regioni della tutela della salute. Le Regioni iniziano, così, ad occuparsi del finanziamento delle ASL e delle Aziende Ospedaliere e, di conseguenza, le Regioni più ricche possono dotarsi di una sanità, in linea teorica, più efficiente mentre quelle più povere continuano a subire ingenti tagli in ambito sociosanitario, costringendo licenziamenti del personale e carenza di posti nelle strutture;
  • l’emanazione della legge quadro 328/200. Oggetto della legge è la “realizzazione di un sistema integrato di interventi e servizi sociali”, cui obiettivo ultimo è il benessere sociale e lo sviluppo della persona umana, della famiglia e della comunità locale. Secondo la legge in questione, la realizzazione del sistema dei servizi sociali presuppone la responsabilità di tutti i soggetti coinvolti, pubblici e privati, secondo i principi della sussidiarietà verticale e orizzontale.

Il sistema integrato di servizi sociali sembra essere la soluzione migliore per le Regioni più povere e le aree rurali che passano, così, dal welfare state al welfare community (Castellotti, 2008). Con welfare community si intende una rete di protezione sociale creata e offerta dai soggetti del territorio in cui la responsabilità primaria spetta agli enti locali, mentre ai soggetti privati viene riconosciuto un ruolo attivo nella realizzazione dei servizi, nell’analisi dei bisogni e nella programmazione degli interventi. Nello specifico, Righetti (2013) attribuisce al  privato compiti quali la promozione e la costituzione di sviluppo economico, sociale e locale e la riabilitazione del territorio,  anche attraverso l’uso delle risorse dei progetti regionali, nazionali ed europei volti alla re-inclusione delle persone svantaggiate; mentre il pubblico persegue la cultura della prevenzione della nuova istituzionalizzazione delle persone con disabilità e in condizioni di bisogno sociosanitario attraverso la costruzione di piani di sviluppo del territorio e di bilanci partecipativi in ambito socio-sanitario ed ambientale.
In questo contesto un ruolo importante viene attribuito alla multifunzionalità agricola, nello specifico all’agricoltura sociale1, capace di stringere relazioni con il territorio e con i servizi (Henke, Salvioni, 2010). Come notano Zampetti e Sabatini Scalmati (2014), l’agricoltura ha sempre svolto una funzione sociale all’interno delle comunità rurali rispondendo agli specifici bisogni del contesto attraverso l’accoglienza, il lavoro e il sostentamento della comunità.
L’agricoltura sociale si avvale delle risorse del mondo produttivo agricolo nella rete di protezione sociale, generando opportunità di incontro e migliorando le capacità individuali in ambienti produttivi veri. Inoltre, opera in piccoli gruppi, familiari o di operatori, dove l’interazione avviene con maggiore facilità e fiducia crescente, facilitando il passaggio, dove possibile, da azioni co-terapeutiche verso percorsi di inclusione sociale e lavorativa. L’intero comparto dell’agricoltura sociale, in Italia, offre servizi alle persone equivalenti ad almeno 12.5 milioni di euro dei servizi sociali svolti dal sistema pubblico. A questo dato si aggiunge il numero di posti di lavoro per persone a bassa contrattualità creati dalle imprese con attività di inserimento lavorativo (oltre la metà delle imprese, 58%), stimabile su scala nazionale in circa 1600 198 (circa il 30% dei tirocini lavorativi si trasformano in inserimenti lavorativi quindi posti di lavoro), pari a un risparmio pubblico di circa 400 milioni di euro (considerando il costo della creazione di un posto di lavoro in agricoltura in Italia pari a 250 mila euro) (Rapporto Coldiretti, 2020).

Agricoltura sociale in Calabria

La Calabria è la prima regione italiana a legiferare in merito all’agricoltura sociale. Difatti, è disciplinata all’interno della legge regionale n.14 del 30 aprile 2009 “Nuova disciplina per l’esercizio dell’attività agrituristica, didattica e sociale nelle aziende agricole”, in cui l’agricoltura sociale rientra tra quelle che la legge definisce “attività connesse” esercitate dalle aziende agrituristiche. La legge prevede che le imprese agricole debbano stipulare un’apposita convenzione, o protocolli d’intesa, con enti pubblici, cooperative sociali, associazioni di volontariato e enti no profit che erogano servizi socioassistenziali, per svolgere attività di utilità sociale mediante l’utilizzo di processi produttivi propri delle attività agricole e delle attività ad esse connesse.
Quando, nel 2015, il Parlamento italiano approvò la legge n. 141/15 “Disposizioni in materia di agricoltura sociale”, l’allora attuale consigliere regionale D’Acri avanzò una proposta di legge sull’agricoltura sociale che si allineasse con le disposizioni nazionali, presentata presso l’Assemblea del Consiglio regionale in data 31/8/2015, tuttavia ancora bloccata in Commissione.
Per quanto riguarda la collaborazione tra soggetti, sia la legge nazionale, art.7, che la proposta di legge regionale calabrese, art.5, prevedono l’istituzione dell’Osservatorio sull’agricoltura sociale, di cui fanno parte i rappresentanti delle politiche pubbliche (Agricoltura, Lavoro, Istruzione, Giustizia e Salute), le organizzazioni professionali agricole e le organizzazioni e associazioni no profit. A ciò si aggiunge la costituzione, nel 2013, del Forum Regionale Agricoltura Sociale Calabria, promosso da associazioni di promozione sociale, cooperative agricole, enti di ricerca e associazioni di categoria. L’obiettivo del Forum è quello di offrire modelli alternativi di recupero, riabilitazione, inserimento sociale e occupazionale dei soggetti fragili della società. Sebbene, a livello istituzionale, ci sia l’impegno a collaborare per conoscere, diffondere e replicare le buone pratiche di agricoltura sociale, nell’atto pratico le poche esperienze di successo agiscono senza un punto di riferimento e senza collaborazione tra soggetti e politiche.

Il piano di sviluppo territoriale nella valle dell’Esaro

Nel 2017, i 15 Comuni che afferiscono al distretto sanitario Esaro dell’ASP di Cosenza2, insieme a ASP Esaro Pollino, Azienda Regionale per lo Sviluppo dell’Agricoltura Calabria (ARSAC), Consiglio per la Ricerca in agricoltura e l’analisi dell’Economia Agraria (CREA), Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali (Unical) e Centro Studi per lo Sviluppo Rurale hanno deciso di predisporre un piano partecipato, integrato, sostenibile e solidale di sviluppo territoriale attraverso l’agricoltura sociale.

Figura 1 - Area di riferimento

Fonte: elaborazione del gruppo di lavoro

Gli enti locali hanno manifestato l’esigenza di ripensare il modello di sviluppo territoriale per rimediare alle criticità e all’inadeguatezza dell’attuale modello di sviluppo dal punto di vista economico (crisi), sociale (aumento delle fasce di povertà e diminuzione dei servizi) e ambientale (abuso delle risorse). Come dimostra il rapporto Coldiretti (2020), conseguenza di queste tendenze è la progressiva separazione tra andamenti economici e disponibilità di risorse per le politiche pubbliche, a cui si somma la crescente domanda di servizi per l’invecchiamento della popolazione e il costo crescente della tecnologia sanitaria. In assenza di servizi e politiche di integrazione quelle che si generano sono comunità segmentate.
L’agricoltura è un aspetto fondamentale dell’economia del territorio, difatti le aziende agricole sono numerose e la loro produzione spazia dall’olivicoltura all’orticoltura, sperimentando anche l’elicoltura. Inoltre, negli ultimi decenni, le aziende hanno diversificato le attività favorendo la nascita di agriturismi e fattorie sociali. Di conseguenza, l’agricoltura sociale rappresenta il miglior strumento per il raggiungimento degli obiettivi prefissati, ovvero:

  • creare dal basso governance forti, rappresentative e responsabili;
  • favorire il cambiamento e l’innovazione;
  • incentivare la partecipazione, creando reti e relazioni orizzontali e verticali.

Il primo passo per realizzare un progetto così ambizioso è stato adottare un modello di governance locale, attento alle esigenze del territorio, e che ne favorisce la cooperazione.

Figura 2 - Modello di governance del Piano di Azione Territoriale


Fonte: elaborazione del gruppo di lavoro

Le due strutture fondamentali sono il Partenariato di progetto, consolidato ufficialmente nel 2019, e il Gruppo di lavoro. La prima struttura rappresenta la sede di confronto, approfondimento, elaborazione e coordinamento delle iniziative, indirizzate alla promozione dello sviluppo economico e sociale del territorio attraverso attivazione prioritaria di interventi legati all’agricoltura sociale; la seconda è la struttura operativa del piano, composta da ricercatori, docenti, funzionari degli enti proponenti e giovani laureati.
Dopo aver stabilito il modello di governance, si è passati a svolgere attività di divulgazione e animazione. Questa fase è stata realizzata tramite l’organizzazione di seminari e convegni aperti alla comunità e di incontri territoriali con le realtà associative e sindacali attive. La fase di sensibilizzazione ha permesso di proporre nei singoli contesti locali nuove occasioni di discussione, dibattito e confronto sull’importanza dell’agricoltura sociale.
Le fasi successive, individuazione dei bisogni, pianificazione strategica e adozione di regole di funzionamento, non si sono svolte in modo propedeutico ma in contemporanea. Difatti, mentre si procedeva con l’indagine qualitativa, fatta di interviste aperte e di focus group con operatori pubblici e privati del settore agricolo e socio-sanitario, parallelamente il gruppo di lavoro preparava delle schede di servizio e un modello alternativo di comunicazione.
Le prime sono state elaborate per aiutare le imprese agricole che vogliono avvicinarsi all’agricoltura sociale, delineando aspetti fondamentali da tenere in considerazione per l’avvio e il prosieguo delle attività. Difatti, vengono specificati aspetti quali la tipologia di attività che si intende svolgere; le possibilità per l’azienda di accesso al credito e di finanziamento; i soggetti in collaborazione e il loro ruolo; i ritorni concreti dell’azienda che offre il servizio.
Riguardo all'organizzazione del partenariato, monitorando la fase attuativa del progetto, ci si è resi conto che la governance, per funzionare, ha bisogno di una buona comunicazione, interna e verso l’esterno. Invece, le informazioni sono risultate limitate, lacunose e frammentarie, sia sul versante dei bisogni e delle domande della comunità e dei soggetti coinvolti, sia su quello delle risposte e dei servizi. Le cause di questa insufficienza dipendono da obiettive difficoltà tecniche, data la poca conoscenza dello strumento, e in parte sono da addebitare a mancanza di interesse da parte degli enti locali. E' raro, infatti, che le amministrazioni si interroghino sui bisogni dei cittadini e su quanto, in realtà, proprio loro possiedono quelle informazioni che li metterebbero in grado di orientarsi, in caso di necessità, nell’insieme dei servizi e delle opportunità disponibili. A dimostrazione di ciò, le prime forme di sperimentazione portate avanti dalle aziende agricole e dal gruppo di lavoro non hanno potuto trasformarsi in eventi stabili e dunque osservabili e valutabili scientificamente a causa della discontinua presenza dei Comuni. E’ stato necessario, quindi, per il  gruppo di lavoro ripianificare  in corso d’opera il progetto adattandolo alla situazione. Si è, così, proposto un nuovo assetto organizzativo al fine di sostenere un processo dialogico idoneo al raggiungimento degli obiettivi tecnico-operativi del progetto di sviluppo. Si è suggerito di attivare un modello in cui ogni partner del partenariato individua un proprio referente, che assicuri una presenza attiva e stabile in seno al gruppo di lavoro. Ogni referente svolgerà i seguenti compiti:

  • raccogliere le informazioni e partecipare alla progettazione e al monitoraggio periodico delle attività del gruppo di lavoro;
  • relazionare nelle proprie istituzioni su quanto realizzato nel gruppo di lavoro;
  • individuare e coordinare operatori intermedi che assicurino la partecipazione e l’inclusione di tutti i comuni dell’ambito e di tutte le risorse/servizi già attive.

Considerazioni conclusive

Progettare un piano partecipato e integrato di sviluppo territoriale attraverso l’agricoltura sociale è difficile perchè, sebbene ci sia una normativa di riferimento3, le pratiche sul territorio nazionale sono tante e diverse tra loro. Come si è visto, quando si progetta in agricoltura sociale si attua un lavoro partecipativo dal basso, in cui tutti i soggetti della comunità locale dovrebbero impegnarsi e sprigionare il potenziale produttivo del proprio territorio. In realtà, lo sviluppo di piccoli borghi e aree interne viene ancora frenato dalle amministrazioni, che non stimolano e sostengono gli agricoltori che decidono di diversificare le attività agricole e non le supportano nel processo di autorizzazione e accreditamento per partecipare alla rete dei servizi sociali territoriali.
C’è bisogno che vengano  integrate le politiche, attivati i partenariati, che sia ripensato un modello integrato di sviluppo territoriale, partendo da ciò che già c’è: sbloccare la proposta di legge avanzata dall’ex consigliere D’Acri; integrare la proposta con le aggiunte fornite dal gruppo di lavoro del piano di azione territoriale sopra descritto; stimolare il Forum regionale di agricoltura sociale Calabria; coinvolgere enti di ricerca e laureati affinché le buone prassi di agricoltura sociale presenti in Calabria possano diventare d'esempio per altri imprenditori agricoli che vogliono intraprendere tale percorso e per le amministrazioni locali che, ottimizzando le risorse e garantendo l’autonomia di persone svantaggiate, garantiscono benessere a tutta la comunità.

Riferimenti bibiografici

  • Bortoletto N. (2015), L’agricoltura sociale nell’evoluzione del sistema di welfare, tesina, Università Ca’ Foscari di Venezia, relatore Marco Giuseppe

  • Castellotti T. (2018), Seminario su Economia Civile

  • Di Iacovo F. (2008), L’agricoltura sociale: nicchia o pratica inclusiva, in Ciaperoni A. (a cura di), Agricoltura biologica e sociale, AIAB

  • Henke R., Salvioni C. (2010), Diffusione, struttura e redditività delle aziende multifunzionali, in Agriregionieuropa, anno VI, n. 20

  • Pascale A. (2010), L’agricoltura sociale: un percorso di sviluppo rurale e un peculiare modello di welfare locale, paper scritto per Colloquio scientifico annuale sull'impresa sociale - IV edizione - Roma 21 - 22 maggio 2010

  • Righetti A. (2013), I budget di salute e il welfare di comunità. Metodi e pratiche di costruzione, edizioni Laterza, Bari

  • Weber R., Galasso A. (2020), I servizi di welfare e la dimensione dell’agricoltura sociale in Italia, in Coldiretti (2020), La vera agricoltura sociale fa bene all’Italia, 1° Rapporto Coldiretti sull’agricoltura sociale

  • Zampetti A., Sabatini Scalmati P. (2014), Agricoltura sociale e progettazione educativa. La costruzione di percorsi destrutturati in contesti agricoli multifunzionali, in Orientamenti Pedagogici, vol. 61, n. 3

  • 1. “Agricoltura sociale quale aspetto della multifunzionalità delle imprese agricole finalizzato allo sviluppo di interventi e di servizi sociali, socio-sanitari, educativi e di inserimento socio-lavorativo, allo scopo di facilitare l’accesso adeguato e uniforme alle prestazioni essenziali da garantire alle persone, alle famiglie e alle comunità locali in tutto il territorio nazionale e in particolare nelle zone rurali o svantaggiate.” art.1, Legge 141/15 “Disposizioni in materia di agricoltura sociale”.
  • 2. Cervicati, Fagnano Castello, Malvito, Mongrassano, Mottafollone, Roggiano Gravina, San Donato di Ninea, San Lorenzo del Vallo, San Marco Argentano, San Sosti, Santa Caterina Albanese, Sant'Agata di Esaro, Spezzano Albanese, Tarsia, Terranova da Sibari.
  • 3. Legge nazionale n.141/2015.
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