Il punto sulla riforma della Pac dopo il 2020

Il punto sulla riforma della Pac dopo il 2020

Abstract

Dopo la presentazione della Comunicazione sul Quadro finanziario pluriennale 2021-2027 e delle proposte legislative sulla Pac numerosi contributi ne hanno analizzato i contenuti, mettendone in evidenza aspetti positivi e criticità. L’obiettivo di questo articolo è fare il punto sullo stato della discussione sulla proposta di regolamento relativa al Piano strategico della Pac, sia in seno alle istituzioni comunitarie che prendendo a riferimento i più importanti contributi apparsi sul tema.

Introduzione

Dopo la presentazione da parte della Commissione europea della Comunicazione sul Quadro finanziario pluriennale (Qfp) 2021-2027 (Commissione europea, 2018a) e del pacchetto di proposte legislative sulla Politica agricola comune (Pac) (Commissione europea, 2018b), le istituzioni comunitarie si sono messe al lavoro per tentare di giungere ad un accordo politico su entrambi i dossier prima delle elezioni del Parlamento europeo e della nomina della nuova Commissione. A livello nazionale, dal punto di vista tecnico gli Stati membri lavorano sui testi per valutare la portata dei cambiamenti e proporre le opportune modifiche all’impianto regolamentare; allo stesso tempo, a livello politico costruiscono la posizione negoziale sui diversi aspetti in discussione e si valutano le alleanze con gli altri partner comunitari.
In questo arco di tempo, che va da maggio 2018 a oggi, numerosi sono stati i contributi che hanno analizzato le proposte sul bilancio e quelle sul nuovo modello della Pac, mettendone in evidenza aspetti positivi e criticità.
L’obiettivo di questo articolo è fare il punto sullo stato della discussione sulla Pac, prendendo a riferimento il materiale prodotto da istituzioni, Organizzazioni non governative (Ong), think-thank e mondo della ricerca. L’attenzione verrà focalizzata sulla proposta relativa al Piano strategico della Pac, per i cui contenuti si rimanda a Pupo D’Andrea (2018).

Le proposte sul bilancio e le risorse per la Pac

Prima di addentrarci nell’analisi dello stato dell’arte del negoziato agricolo, appare utile fare un breve riferimento alle questioni finanziarie che, da sempre, si intrecciano con il destino della Pac. Come di consueto, le trattative sui due tavoli viaggiano parallelamente ma, a differenza del 2014-2020, quando il Qfp non solo fissò l’ammontare di risorse per la Pac, ma entrò nel merito del suo funzionamento1,  stavolta l’influenza del quadro finanziario sulla Pac è quasi esclusivamente legata alla definizione dell’ammontare di risorse che avrà a disposizione la politica agricola una volta risolta la grande incognita legata alla Brexit, e una volta definita la contribuzione a bilancio degli Stati membri.
Per quel che riguarda il bilancio, la Comunicazione sul Qfp 2021-2027 attribuisce alla Pac 365 miliardi di euro a prezzi correnti, pari al 28,5% del totale bilancio UE-27, in calo del 5% rispetto all’attuale periodo di programmazione 2014-2020; diminuzione che sale al 12% se calcolata a prezzi costanti 2018 (Commissione europea, 2018c). Numerosi sono stati i contributi che hanno cercato di chiarire l’entità della variazione delle risorse finanziarie per la Pac nel suo insieme e per ciascuno dei suoi due pilastri (Farm Europe, 2018; Darvas e Wolff 2018a e 2018b; Massot Martì e Negre, 2018; Eprs, 2018; Eca, 2018; Matthews 2018a, 2018b, 2018c, 2018d; Pierangeli, 2018). Tutte le elaborazioni concordano nel ritenere la diminuzione delle risorse per la Pac superiore a quella stimata dalla Commissione e tutte le elaborazioni mettono in luce una diminuzione delle risorse per lo sviluppo rurale di molto superiore a quella che dovrebbero subire i pagamenti diretti. Lo stesso commissario Hogan, durante la conferenza stampa di presentazione delle proposte sul bilancio, ha affermato di aver voluto salvaguardare i pagamenti diretti, proponendo una riduzione che in nessuno Stato membro dovrebbe superare il 4%, perché le minori risorse per lo sviluppo rurale (-10%) potrebbero essere bilanciate da un aumento del cofinanziamento nazionale (Euractive, 2018). La differenza in termini di entità delle variazioni riportate dalle diverse elaborazioni e tra queste e i dati forniti dalla Commissione europea dipende da numerosi fattori: dal tipo di prezzi utilizzato (correnti o costanti), da quale periodo si confronta (tutti i sette anni del periodo di programmazione o solo l’ultimo anno), da come è calcolato il periodo di riferimento 2014-2020 (dotazione al 2020 moltiplicata 7, oppure come somma delle dotazioni di ciascun anno), da quale si ritiene essere l’entità delle risorse da sottrarre al 2014-2020 per tenere conto dell’uscita del Regno Unito, da come si comparano le diverse rubriche di bilancio.
Sul fronte del funzionamento della Pac, nel Qfp sono già presenti gli elementi salienti che si ritroveranno nella proposta di giugno, quali il nuovo modello orientato ai risultati, la centralità dei pagamenti diretti e la necessità di una loro distribuzione più equilibrata, la convergenza esterna, la maggiore ambizione sul fronte ambientale perseguita attraverso un approccio più flessibile e più mirato.
Dal punto di vista dell’andamento delle trattative, si ricorda che la proposta della Commissione sul Qfp deve essere approvata dal Consiglio all’unanimità dopo che questa ha ricevuto l’approvazione del Parlamento europeo espressa a maggioranza assoluta. In altre parole, al Parlamento europeo spetta il compito di approvare o rigettare in toto la posizione del Consiglio, ma non può apportare emendamenti. Il Parlamento ha già espresso la propria posizione sul quadro finanziario 2021-2027 dichiarandosi favorevole ad un aumento del budget dell’UE all’1,3% del Reddito Nazionale Lordo (Rnl) e al mantenimento del budget per Pac e per la politica di coesione ai livelli 2014-2020 in termini reali (European  Parliament, 2018).
Per quel che riguarda il Consiglio, le posizioni tra gli Stati membri sono ancora molto distanti, così come risulta dai numerosi punti che necessitano di ulteriori analisi e chiarimenti del “Negotiating box” preparato a novembre dalla presidenza austriaca (Council of the European Union, 2018) e che è stata dibattuto nel Consiglio europeo del 13-14 dicembre 2018. Durante tale Consiglio, i Capi di Stato e di Governo hanno invitato la presidenza rumena a proseguire i lavori sul Qfp per giungere ad un accordo nell’autunno 2019 (quindi dopo le elezioni europee).

La proposta sul Piano strategico della Pac

Come noto, il 1° giugno 2018 è stato presentato il pacchetto di proposte sulla Pac 2021-2027, delle quali la più importante è il nuovo regolamento sul Piano strategico della Pac che integra le misure del I e del II pilastro. In particolare, nell’ambito di tale Piano sono ricondotti sia il sistema dei pagamenti diretti che gli interventi settoriali ora attinenti al regolamento sull’Ocm unica, dal quale sono stati stralciati, e le misure di sviluppo rurale.
Sinteticamente, sulla base delle proprie esigenze, individuate attraverso l’analisi di contesto, ciascuno Stato membro dovrà elaborare un Piano strategico che individui gli obiettivi specifici che intende conseguire, tra i 9 fissati dalla proposta di regolamento, e attraverso quali interventi. Il Piano dovrà assicurare coerenza tra esigenze e interventi, sinergia tra gli interventi, attenzione agli obiettivi climatici e ambientali, azioni per il ricambio generazionale e un approccio coerente e integrato alla gestione del rischio. Ogni Piano dovrà essere approvato dalla Commissione e il raggiungimento degli obiettivi sarà valutato annualmente attraverso un set comune di indicatori.
Le novità della Pac 2021-2027 si possono riassumere in:
1. una nuova governance, necessaria a gestire la programmazione unitaria del I e del II pilastro, che si realizza attraverso la predisposizione del Piano strategico della Pac;
2. un nuovo approccio, che sposta l’attenzione dalla compliance, vale a dire dalla conformità dei singoli beneficiari a regole dettagliate, alla performance, cioè alla conformità ai risultati di ciascuno Stato membro. Il nuovo approccio si concretizza attraverso la predisposizione di obiettivi, target intermedi e indicatori;
3. una maggiore sussidiarietà, vale a dire il riequilibrio delle responsabilità tra UE e Stati membri per garantire una maggiore attenzione alle specificità locali: l’UE fissa i parametri di base che gli Stati membri dovranno adattare alle esigenze locali identificando i fabbisogni, fissando la strategia di intervento, curandosi dell’implementazione del Piano strategico e dell’efficacia della sua attuazione;
4. la semplificazione, che mira a ridurre gli oneri amministrativi per tutti i soggetti coinvolti. La più importante forma di semplificazione consiste nella presenza di regolamenti più snelli che non contengono più regole dettagliate, ma che demandano le norme di implementazione agli Stati membri nell’ambito di un quadro di riferimento comune. Altra importante semplificazione, ma con importanti implicazioni dal punto di vista dell’accountability, come vedremo più avanti, è il passaggio dalla garanzia della legittimità e della regolarità delle operazioni di ciascun beneficiario alla garanzia dei risultati e del rispetto delle disposizioni di base da parte di ciascuno Stato membro. Dal punto di vista tecnico la semplificazione si concretizza anche in una riduzione del numero di regolamenti sulla Pac (da 4 a 3), di notifiche degli Stati membri all’UE (da 209, tra Psr, notifiche relative ai pagamenti diretti e documentazione varia legata agli interventi settoriali, a 27 Piani strategici per la Pac), di comitati di monitoraggio (da 118 a 27), di misure dei Psr (da 70 tra misure e sottomisure a 8 tipi di intervento di sviluppo rurale);
5. e, infine, una maggiore ambizione su clima e ambiente, attraverso un approccio globale che comprende una nuova architettura verde, una condizionalità rafforzata, fondi riservati per ambiente e clima (ring-fencing) e la tracciabilità della spesa2.

A che punto siamo? Le trattative in seno alle istituzioni

Dopo la presentazione delle proposte si è avviato il dibattito in seno alle istituzioni per giungere, secondo la cronologia presentata dalla Commissione, ad un accordo su Qfp e Pac nella primavera del 2019, prima delle elezioni del Parlamento europeo, per consentire la possibile entrata in vigore della riforma a partire dal 2021. Pur essendo nel pieno del dibattito, è già noto che l’approvazione di entrambi i dossier non rispetterà le scadenze previste. La presidenza rumena intende arrivare ad una posizione del Consiglio sulla Pac prima della fine della legislatura; tuttavia, poiché la posizione sul Qfp non sarà raggiunta prima dell’autunno, è difficile che in mancanza di chiare indicazioni sulle risorse finanziarie si potrà decidere qualcosa sulla Pac. Allo stato attuale, le posizioni dei paesi sul Qfp in seno al Consiglio sono abbastanza distanti e tale diversità di vedute non riguarda solo l’entità del bilancio, ma anche le dotazioni delle singole rubriche e di alcune politiche (comprese Pac e coesione), il livello di risorse da dedicare agli obiettivi climatici e ambientali, e numerosi altri aspetti di carattere più tecnico.
Anche sul fronte della Pac le posizioni sono distanti e la presidenza rumena è al lavoro su un documento, ereditato dalla presidenza austriaca, che mette assieme solo gli aspetti della proposta sui quali gli emendamenti da apportare sono condivisi da tutti gli Stati membri. Tra queste si segnala la richiesta di accrescere il ruolo delle regioni nei Piani strategici.
Per quel che riguarda il Parlamento europeo, oltre alla propria posizione sul Qfp di cui si è detto più sopra, ad ottobre 2018 in Comagri è stato presentato il progetto di relazione dell’on. Herranz Garcia sul regolamento sul Piano strategico (Parlamento europeo, 2018). Tale progetto ha ricevuto ben 5253 proposte di emendamento. La Comagri ha fatto slittare la votazione sul proprio parere dal 6-7 marzo al 19 aprile. Questa nuova scadenza non consentirà (volutamente) di permettere un voto in plenaria in tempo utile. Il progetto è favorevole al rafforzamento del ruolo della Pac nel sostegno al reddito, vincolando il 70% dei pagamenti diretti al sostegno di base al reddito. Allo stesso tempo si propone un indebolimento della componente ambientale, sia perché viene eliminato il riferimento alla maggiore ambizione delle azioni per clima e ambiente rispetto al 2014-2020 e sia perché viene eliminata la possibilità di trasferire un ulteriore 15% di risorse dal Feaga (primo pilastro) al Feasr (secondo pilastro) in favore di interventi ambientali. Ancora, il progetto riduce la portata della degressività, portando il limite minimo di applicazione da 60.000 a 100.000 euro, rendendo il capping facoltativo e lasciando agli Stati membri la libertà di scegliere la percentuale del taglio, a partire dal 25%, e l’eventuale applicazione di scaglioni. Altri due aspetti importanti riguardano la proposta di far slittare l’avvio della riforma al 2023, per dare più tempo agli Stati membri per predisporre il proprio Piano strategico ed evitare rischi di interruzione nell’erogazione dei pagamenti agli agricoltori e, ancora una volta, il maggiore ruolo da riconoscere alle regioni non solo nell’attuazione degli interventi di sviluppo rurale ma anche nella loro elaborazione.
Occorre tuttavia mettere in evidenza che la storica impostazione a difesa degli interessi degli agricoltori da parte del Parlamento europeo non è così scontata, così come accaduto nel corso delle precedenti riforme, giacché nella definizione della sua posizione giocherà un ruolo di primo piano anche la Commissione Ambiente, Sanità pubblica e Sicurezza alimentare (Comenvi) per le questioni relative ad ambiente e clima. Proprio per l’enfasi posta nelle proposte di riforma su questi temi si è ritenuto che, sulla base dell’art. 54 del regolamento del Parlamento europeo3, la materia fosse di competenza anche della Comenvi che ha così acquisito lo status di Commissione Associata. Di conseguenza, la Commissione agricoltura (Comagri), pur rimanendo responsabile del dossier, sarà affiancata dalla Comenvi che dovrà fornire una propria opinione sulla proposta relativa ai Piani strategici della Pac per la parte di competenza; inoltre, potrà incidere sui tempi del dibattito, inviare un proprio rapporteur ai tavoli del negoziato interistituzionale e, soprattutto, potrà scavalcare la Comagri chiedendo che la votazione dei suoi emendamenti al testo di riforma siano votati in Plenaria (Devuyst, 2018). Il progetto di relazione presentato dall’on. La Via il 15 novembre 2018, e che ha ricevuto 487 emendamenti, è stato votato in Comenvi il 14 febbraio. In tale parere si chiede sia di introdurre nuovi obiettivi (ad esempio, ridurre l’uso di pesticidi), che ulteriormente irrobustire la condizionalità rafforzata. Inoltre, si chiede di portare la percentuale di fondi dedicati alle questioni climatico-ambientali (ring-fencing) dal 30 al 40% nel secondo pilastro e di fissare una percentuale minima del 30% per gli echo-scheme del primo pilastro (Devuyst, 2019).

Il dibattito sulla Pac post 2020

Il dibattito sulla Pac si è sviluppato ben prima della presentazione delle proposte di riforma. Successivamente alle proposte, tuttavia, la discussione si è diramata su due strade: da una parte il mondo della ricerca, think thank e gruppi ambientalisti si sono concentrati sull’esame dei principi della proposta di riforma e sulla coerenza interna tra tali principi e gli strumenti adottati; dall’altra, Parlamento europeo, Consiglio e Stati membri si sono concentrati sugli strumenti e sui dettagli tecnici della proposta per portare avanti le azioni correttive sulle questioni più delicate. A cavallo dei due gruppi si trova la Corte dei Conti europea chiamata a dare un parere istituzionale sulla proposta di regolamento e che ha presentato una relazione molto critica sia sui principi che sugli aspetti tecnici.
Focalizzando l’attenzione su principi e coerenza, il dibattito ha fatto emergere molti aspetti generalmente riconosciuti come un passo in avanti rispetto a delle criticità che da tempo erano segnalate. Innanzitutto, vengono salutati con favore il cambio di mentalità che si concretizza nel passaggio dalla compliance (vale a dire dal rispetto delle regole dettagliate) alla performance (cioè all'orientamento ai risultati) e la flessibilità accordata agli Stati membri nell’ottica di una maggiore sussidiarietà. In secondo luogo, viene ritenuto importante il fatto che, per la prima volta, si costruisce un quadro di riferimento unico per tutti gli interventi della Pac, che garantisce una programmazione unica e sinergia e coordinamento tra gli interventi. Questo comporta che, al pari dello sviluppo rurale, anche i pagamenti del primo pilastro e le buone condizioni agronomiche e ambientali della condizionalità dovranno essere sottoposti all'approvazione della Commissione. Un altro elemento della proposta che viene riconosciuto come altamente qualificante è il fatto che, per la prima volta, vengono esplicitati gli obiettivi dei pagamenti diretti, che ora sono in qualche modo desumibili solo indirettamente guardando ai beneficiari delle diverse tipologie di pagamenti e al motivo per il quale vengono erogati. Tra questi obiettivi, è valutato positivamente il fatto che la componente di base dei pagamenti diretti viene esplicitamente volto al sostegno dei redditi, per colmare il gap con il reddito degli altri settori, così come la maggiore attenzione riservata ad ambiente e clima è considerata favorevolmente.
Tuttavia, proprio questo aspetto è quello che si presta alle maggiori critiche. Il cambio di passo, infatti, non sembrerebbe sufficiente a bilanciare le numerose criticità rilevate dai principali studi sulle proposte legislative e dalla stessa Corte dei Conti europea nel parere rilasciato a novembre (Eca, 2018); criticità che, in alcuni casi, sono proprio il frutto di una mancata coerenza tra i principi enunciati e gli strumenti proposti (Hart e Bas-Defossez, 2018; Erjavec et al., 2018; Meredith e Hart, 2019; Coldiretti, 2018)4.
La prima perplessità rilevata riguarda il fatto che il nuovo approccio (l'orientamento ai risultati) e la nuova governance vengono calati su strumenti (i tipi di intervento) che restano sostanzialmente invariati. I pagamenti diretti subiscono modifiche nel funzionamento, ma la loro tipologia resta abbastanza inalterata, con l’unica eccezione rappresentata dall’eliminazione dei pagamenti verdi, i cui contenuti vengono integrati nella condizionalità rafforzata, e l’introduzione dei nuovi regimi per il clima e l’ambiente. Anche gli interventi di sviluppo rurale ricalcano le attuali misure. La presenza dei due fondi (Feaga e Feasr), che continuano a coesistere, rischia di complicare l'applicazione della Pac e di renderla inefficace, oltre a non risolvere l’annosa questione della complementarietà/sovrapposizione degli interventi e della necessità di definire criteri di demarcazione. Si pensi all'echo-scheme del primo pilastro e agli impegni di gestione del secondo pilastro. Questi due pagamenti non sono complementari, ma vengono posti sullo stesso livello, solo che nel primo pilastro sono totalmente finanziati dall’UE mentre nel secondo sono cofinanziati dallo Stato membro. Inoltre, entrambi gli schemi sono obbligatori per lo Stato membro ma l’adesione da parte degli agricoltori è facoltativa. Come si assicura una adeguata copertura territoriale di questi pagamenti? E come si assicura il raggiungimento del target di spesa del secondo pilastro?
L'altra questione riguarda l’accountability. Se l'aumento della sussidiarietà non è adeguatamente accompagnato da una chiara distribuzione dei compiti tra UE e Stati membri, si potrebbero porre due problemi. Il primo è quello dell'affidabilità dei conti: la semplificazione dei controlli, che vengono demandati agli Stati membri, comporta anche un minore numero di informazioni che essi dovranno tramettere a Bruxelles. Nel regolamento orizzontale è infatti stabilito che una spesa è considerata ammissibile se ad essa corrisponde un output e se essa è realizzata in conformità al sistema di governance. Secondo la Corte dei conti questo comporta un problema di conformità delle rendicontazioni. L’altra questione è legata alla responsabilità degli Stati membri nei confronti dei contribuenti per il raggiungimento degli obiettivi. Proprio perché gli strumenti (del primo e del secondo pilastro) sono sostanzialmente invariati rispetto a ora, il rischio è che gli Stati membri non facciano nulla di più di quanto non facevano precedentemente costruendo attorno a tali interventi il proprio Piano strategico, anziché far discendere gli interventi da questo. In che modo si garantisce che gli Stati membri abbiano una maggiore ambizione nell'uso dei fondi pubblici e che invece non si accontentino di mantenere lo status quo? Questa debolezza, come vedremo tra breve, è intrinsecamente legata anche al non chiaro processo di approvazione dei Piani strategici. In altre parole, la sussidiarietà se non accompagnata da chiari meccanismi di accountability, secondo gli studi, comporta il rischio di una corsa al ribasso delle ambizioni (race to bottom).
Un’altra questione è legata alla logica degli interventi, in quanto viene da più parti rilevato che gli obiettivi dell’UE non sono quantificati e non sono collegati alla legislazione di riferimento. Questo pone un problema di misurabilità del raggiungimento degli obiettivi, vale a dire di efficacia dell'attuazione dei Piani strategici. Come si misura l'impatto dell'azione degli Stati membri sul raggiungimento degli obiettivi dell'UE se a monte non è quantificato l'obiettivo UE da raggiungere?
Inoltre, quando anche gli obiettivi fossero quantificati e misurabili, un'altra criticità è stata rilevata nel fatto che gli Stati membri definiscono le proprie priorità rispetto alle proprie esigenze che, a loro volta, derivano dall'analisi di contesto, e in particolare dall’analisi Swot. Come si garantisce che le priorità degli Stati membri coincidano con le priorità dell'UE? È sufficiente vincolare parte dei fondi a determinati interventi (ring-fencing)?
Come si diceva più sopra, molti studi rilevano una mancanza di chiarezza e trasparenza del processo di approvazione dei Piani strategici. L'approvazione è l'unico strumento che ha la Commissione per valutare tali Piani e misurare il loro contributo al raggiungimento degli obiettivi UE. Secondo gli studi il processo di approvazione dovrebbe essere più rigoroso e trasparente proprio per garantire l'accountability. La Commissione, cioè, dovrebbe indicare chiaramente quali sono i criteri che utilizza per valutare se, ad esempio, lo Stato membro ha accresciuto i propri livelli di ambizione su clima e ambiente rispetto al 2014-2020. Inoltre, alcuni documenti di base, quale ad esempio l'analisi di contesto, compresa la Swot, su cui poggia l’intera architettura dei Piani strategici, sono esclusi dal processo di valutazione della Commissione. Se l’analisi è parziale o non corretta, ne risente tutto il Piano e ne viene indebolita l’efficacia.
Infine, un rischio molto concreto è che a differenti capacità amministrative, analitiche e strategiche delle amministrazioni nazionali, corrispondano livelli di ambizione differenti. Se è vero che la flessibilità consente agli Stati membri di declinare la Pac secondo le proprie maggiori o minori ambizioni, è altrettanto vero che alcune amministrazioni hanno la capacità di pensare e gestire azioni più complesse meglio di altre che, pur avendone l’interesse, non ne hanno le capacità. Inoltre, le differenti sensibilità rispetto ai temi climatici e ambientali, sui quali la Commissione pone particolare enfasi, potrebbero condurre a differenti livelli di ambizione. Sarebbe utile, pertanto, prevedere la messa a disposizione di fondi ad hoc per accompagnare la crescita analitica, strategica (e forse anche culturale) delle amministrazioni nazionali/locali e per aumentare la loro capacità di affrontare adeguatamente il compito di definire il proprio Piano strategico.

Considerazioni conclusive

Il breve excursus sulle criticità della proposta di riforma non deve far dimenticare che siamo di fronte ad un altro cambio epocale nella storia della Pac. Alcuni valutano questo cambiamento come pericoloso: dando voce alle richieste degli Stati membri di maggiore potere decisionale, esso potrebbe rappresentare il primo passo sulla strada della rinazionalizzazione; altri lo vedono come un passo necessario per riportare la Pac più vicina ai territori. Potrebbe forse rappresentare il passo obbligato per giungere, già dal 2021, al cofinanziamento del primo pilastro e rispondere, almeno in parte, alle critiche sullo scarso valore aggiunto europeo di questa politica.
Certamente, molte delle ambiguità rilevate dipendono dal fatto che la maggiore ambizione sul fronte dei principi non trova riscontro nella loro attuazione pratica. Si pensi al nuovo approccio e alla nuova governance che rischiano di perdere molta della loro potenza e efficacia perché si innestano su una struttura preesistente basata sui due fondi e sulle conseguenti tipologie di intervento. Un unico fondo e un menù unico di misure da cui attingere e da combinare assieme avrebbe forse reso più chiara l’impostazione della Pac e sarebbe stata più comprensibile per gli stessi beneficiari e per i contribuenti.
Di sicuro, la tanto osannata semplificazione è tale solo per la Commissione. A livello nazionale, infatti, oltre alla complicazione propria della progettazione e gestione del Piano strategico, si aggiunge l’aggravio di competenze che sono state trasferite dall’UE agli Stati membri. E quanto di questo aggravio si trasformerà in complicazione dipenderà dalla capacità degli Stati membri di dotarsi di regole snelle senza perdere di vista la necessità di perseguire un certo grado di selettività degli interventi.
Sul fronte della semplificazione l’Italia ha un’importante sfida da cogliere. L’assetto delle competenze derivanti dalla modifica del Titolo V della Costituzione assegna un ruolo di primo piano alle Regioni nella elaborazione e gestione dei Piani di sviluppo rurale, lasciando all’Amministrazione centrale il compito di programmare – d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni – e gestire le misure connesse ai pagamenti diretti del primo pilastro della Pac. La presentazione di un unico Piano strategico, così come proposto per il futuro della Pac, limita il numero degli interlocutori con Bruxelles, lasciando allo Stato membro il compito di individuare il modello di governance (chi e come si decide e le relazioni tra soggetti) più confacente alle proprie esigenze. La sfida per l’Italia, indipendentemente da quale sarà la futura configurazione del Piano strategico e del ruolo delle Regioni, è di riuscire a dotarsi di regole decisionali snelle che siano un utile strumento al servizio dello sforzo programmatorio richiesto. Fallire in questo senso vorrebbe dire lasciare l’agricoltura ostaggio di veti incrociati che, alla luce del nuovo approccio basato sui risultati, potrebbe avere gravi ripercussioni sull’entità del sostegno ricevuto e sulla competitività stessa del settore.
Il cammino di questa proposta è tutt’altro che chiaro, sia nei contenuti che nei tempi di approvazione. Difficilmente vedrà la luce prima delle elezioni europee, in quanto un accordo politico in seno al Consiglio sul Qfp è atteso per l’autunno e certamente nessun accordo sulla Pac è preventivabile se prima non si conoscono le risorse finanziare sulle quali potrà contare. Molto probabilmente sarà necessario far slittare l’entrata in vigore della riforma di almeno un anno. Dal canto loro gli Stati membri dovrebbero utilizzare questo tempo, e alcuni lo stanno già facendo, per iniziare a interrogarsi su quale agricoltura vorrebbero sviluppare sui loro territori e attraverso quali strumenti, provando ad andare oltre la, pur importante, questione distributiva tra agricoltori e territori, per riflettere su come utilizzare il nuovo strumento del Piano strategico per mettere a sistema gli interventi rivolti al settore in un’ottica programmatoria, di coerenza e sinergia per rendere l’agricoltura più sostenibile e permetterle di essere protagonista nelle sfide globali che attendono l’UE.

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• Pupo D’Andrea M.R. (2018), “Finestra sulla Pac n. 33”, Agriregionieuropa, 53, giugno [link]
• Pupo D’Andra M.R. (2012), “Finestra sulla Pac n. 26”, Agriregionieuropa, 30, settembre [link]

  • 1. Nel 2014-2020 i due tavoli si intrecciarono non solo per l’ovvia incognita legata all’ammontare di risorse per la Pac, ma anche perché il Qfp stesso conteneva indicazioni di merito sul funzionamento della Pac e introduceva nuovi concetti quali i criteri da adottare per la convergenza esterna, la velocità della convergenza interna, il capping dei pagamenti diretti, la quota di pagamenti da destinare al greening e la flessibilità tra pilastri (Pupo D’Andrea, 2012).
  • 2. Oltre a garantire che almeno il 30% della spesa Feasr sia riservato ad interventi direttamente focalizzati su ambiente e cambiamenti climatici, il 40% di tutta la spesa Pac (Feaga e Feasr) deve avere attinenza con i cambiamenti climatici garantendo una maggiore ambizione della Pac rispetto al 2014-2020. A tale scopo, per valutare il raggiungimento del target di spesa, è stata definita una metodologia che attribuisce un peso a ciascun tipo di intervento a seconda del maggiore o minore contributo agli obiettivi climatici. Infine, in linea con gli impegni assunti con l’accordo di Parigi (Cop21) e con quelli relativo al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, l’UE ha fissato al 25% la quota di spesa a sostegno degli obiettivi climatici dei programmi, compresa la Pac, sul bilancio dell’UE.
  • 3. L’art. 54 si applica quando la materia o parte della materia oggetto di discussione ricade nella competenza di due o più commissioni. Per il testo dell’articolo si rimanda a: [link].
  • 4. Il lavoro di Erjavec et al. (2018) contiene al suo interno una rassegna della letteratura sui temi della riforma.
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