Gestione del canale distributivo e strategie di differenziazione: il caso del settore ortofrutticolo

Gestione del canale distributivo e strategie di differenziazione: il caso del settore ortofrutticolo

Introduzione

Le attuali dinamiche organizzative del settore agroalimentare rappresentano una sfida sia per i produttori agricoli, che si confrontano con ambienti competitivi nuovi e complessi, sia per la società nel suo insieme, poiché incidono sulla possibilità di raggiungere adeguati livelli di sicurezza e sovranità alimentare. Il livello di differenziazione della produzione è un elemento importante dell’assetto strategico e organizzativo del settore agroalimentare e può avere importanti effetti di benessere sociale. Il lavoro richiama le principali indicazioni teoriche sul nesso che vi è tra differenziazione e benessere sociale e analizza le politiche di differenziazione praticate nel settore dell’ortofrutta fresca. Esso è una versione ridotta di un recente lavoro (Sodano, Hingley 2007), al quale pertanto si rimanda per un approfondimento degli argomenti presentati e della bibliografia.

Strategie di differenziazione e benessere sociale

Le strategie di differenziazione sono il principale modo, insieme alle strategie basate sul vantaggio di costo, attraverso il quale le imprese ottengono vantaggi competitivi. Si distingue tra differenziazione orizzontale, quando a parità di prezzi e di reddito i consumatori manifestano preferenze diverse per prodotti diversi, e differenziazione verticale, quando a parità di prezzi e di reddito tutti i consumatori esprimono la stessa scala di valutazione distinguendo tra prodotti di “qualità elevata” e prodotti di “qualità bassa”. La differenziazione è comunque associata ad imperfezioni del mercato e determina pertanto inefficienza e perdita di benessere. Nel caso di differenziazione di tipo orizzontale il mercato tende ad avvicinarsi all’equilibrio concorrenziale e le inefficienze sono legate o al mancato uso delle economie di scala o alla varietà non ottimale dell’offerta. Nel caso di differenziazione verticale (o quando vi è la presenza di entrambi i tipi di differenziazione) le inefficienze sono dovute alla struttura oligopolistica che emerge come equilibrio del mercato. I mercati differenziati verticalmente sono caratterizzati dalla “proprietà di finitezza” (finiteness property), vale a dire che all’equilibrio in essi è presente un numero limitato di prodotti per ognuno dei quali il prezzo eccede il costo marginale. A tali mercati Shaked e Sutton (1983) danno il nome di “oligopoli naturali”.
Quando lo studio delle strategie di differenziazione è associato allo studio del coordinamento verticale del canale distributivo si ottengono ulteriori risultati negativi in termini di benessere sociale. La differenziazione infatti accentua i conflitti di interesse tra dettaglianti e produttori e porta a soluzioni di gestione del canale che determinano il mancato raggiungimento della massimizzazione dei profitti congiunti e l’appropriazione delle rendite di monopolio associate alla differenziazione da parte dei soggetti dotati di maggiore potere contrattuale.
Un recente studio (Ellickson, 2006) ha evidenziato come il grande dettaglio organizzato presenti attualmente i caratteri tipici dell’“oligopolio naturale”. Le grandi catene di supermercati sono attualmente impegnate in strategie di differenziazione che hanno come effetti: l’aumento del potere di mercato; l’edificazione di barriere all’entrata che accentuano la struttura oligopolistica del settore; l’aumento del potere contrattuale nei confronti dei fornitori. Tutti effetti evidentemente che portano ad una perdita di benessere sociale.

Le strategie di differenziazione nel settore dell’ortofrutta fresca

Il settore dell’ortofrutta fresca è interessato da varie politiche di differenziazione da parte della grande distribuzione organizzata (GDO): nuovi formati e confezioni, prodotti biologici, quarta gamma, prodotti tipici, cibi funzionali, cibi etnici, standard di fair trade, nuove tecniche di esposizione, destagionalizzazione dell’offerta, e così via. Poiché i fornitori sono caratterizzati da elevata dispersione e assenza di una propria politica di marca, il dettaglio può appropriarsi facilmente dei profitti derivanti dalla differenziazione. In particolare la GDO può imporre ai fornitori gli investimenti specifici richiesti per la differenziazione, senza partecipare al rischio di impresa ed appropriandosi per intero del premio di prezzo pagato dai consumatori per i prodotti differenziati.
I casi del Regno Unito e dell’Italia, sebbene con condizioni strutturali diverse, offrono entrambi esempi del potere della grande distribuzione.
Nel Regno Unito le politiche di approvvigionamento praticate dalle maggiori insegne del retail (Tesco, Sainsbury, Wal-Mart-Asda, Morrison), che coprono l’80% del mercato, sono basate sul category management, vale a dire sul ricorso a responsabili di acquisto che controllano tutti i fornitori per una particolare categoria di prodotto. I fornitori, frammentati e localizzati prevalentemente in paesi in via di sviluppo, hanno un ridottissimo potere contrattuale e accettano di rispettare gli elevati standards imposti dall’acquirente anche in assenza di contratti di lungo periodo e garanzie.
In Italia le prime imprese del retail (Carrefour, Esselunga, COOP, Auchan, Conad) controllano circa il 55% dell’offerta, ma sono in grado di esercitare comunque un forte potere sui fornitori. Questi ultimi operano in condizioni di stringenti controlli qualitativi senza avere in cambio premi di prezzo e garanzie di continuità degli acquisti. In questo contesto la differenziazione dell’offerta aumenta il potere di mercato dei dettaglianti senza che nel contempo aumentino i margini degli agricoltori. Viceversa la richiesta di investimenti specifici in assenza di contratti di lungo periodo riduce ancor di più il potere contrattuale degli agricoltori con un evidente schiacciamento verso il basso dei prezzi da essi ricevuti.
In un caso di studio analizzato, relativo al rapporto di fornitura di pomodorini cherry tra una azienda agricola di medie dimensioni del Sud Italia ed una grande catena di distribuzione del Regno Unito, sono state rilevate le stesse dinamiche descritte a livello teorico e generalmente riscontrate a livello aggregato per l’intero settore. Nel caso in esame l’acquirente ha sottolineato l’importanza dell’inserimento nel proprio assortimento di prodotti di elevata qualità organolettica e con caratteri di tipicità, dichiarandosi soddisfatto degli standard e dei servizi offerti dal fornitore. Quest’ultimo pur dichiarando di ricevere un premio di qualità per il proprio prodotto ha lamentato comunque bassi livelli di prezzo e la mancanza di un contratto continuativo formale di acquisto.

Conclusioni

Le politiche di differenziazione sono un elemento importante delle attuali dinamiche del settore agroalimentare. Da un lato esse offrono nuove opportunità agli agricoltori, specie per quei produttori capaci di specializzarsi in mercati di nicchia ad elevata redditività. Dall’altro lato esse sono indissolubilmente legate all’esercizio di potere di mercato, con la produzione quindi di effetti negativi in termini di benessere. Inoltre la forte asimmetria di potere contrattuale nei rapporti di fornitura fa sì che gli extraprofitti generati da tali politiche vadano a vantaggio quasi esclusivo dell’attore più forte, vale a dire il grande dettaglio organizzato. Nel settore dell’ortofrutta fresca le politiche di differenziazione rappresentano una opportunità per gli agricoltori, ma a condizione che questi riescano a mitigare il forte potere contrattuale degli acquirenti.
In Italia la GDO controlla il 60% delle vendite di ortofrutta fresca. Finora essa ha promosso un processo di modernizzazione dell’offerta agricola a livello sia della produzione che dell’organizzazione delle vendite. Produzioni di elevata qualità, certificazioni, costituzione di associazioni e cooperative, rinnovamento varietale, meccanizzazione, politiche di marca, sono tutte azioni intraprese dagli agricoltori in risposta alle pressioni della GDO. Tuttavia un eccessivo uso del proprio potere contrattuale da parte di quest’ultima potrebbe comprimere a tal punto i redditi degli agricoltori da frenare il processo di rinnovamento in corso ed indebolire l’ortofrutticultura italiana nei confronti dei propri competitors internazionali.

Riferimenti bibliografici

  • Ellickson, P.B. (2004), “Supermarkets as Natural Oligopolies”, Working paper. Duke University
  • Shaked, A., Sutton J. (1983), “Natural Oligopolies”, Econometrica, 51: 1469-83.
  • Sodano V., Hingley M. (2007). “Channel Management and differentiation strategies: A case study from the market for fresh produce” Contributed Paper presented at the 105th EAAE Seminar ‘International Marketing and International Trade of Quality Food Products’, Bologna, Italy, March 8-10, 2007.

 

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