Premessa
Negli ultimi anni si è assistito ad un progressivo e radicale mutamento della filosofia posta alla base della Politica Agricola Comunitaria e degli interventi strutturali. La programmazione comunitaria in materia dei fondi strutturali ha posto molta attenzione a tre principi fondamentali: concentrazione, integrazione e concertazione. Questi tre principi hanno orientato l’approccio allo sviluppo locale nelle regioni dell’obiettivo 1 attraverso la programmazione negoziata, rappresentata dai Progetti Integrati Territoriali (PIT) nei Programmi Operativi Regionali (POR) e nei Complementi di Programmazione (CdP). Di fatto, ogni Regione meridionale ha provveduto ad utilizzare questa modalità di intervento adattandola alle proprie specificità.
In Calabria, oltre alla formazione dei PIT, sono stati previsti, fra le modalità di accesso alle misure FEOGA della programmazione 2000-2006, due strumenti specifici per il settore agricolo e rurale, capaci di soddisfare i fabbisogni derivanti dalla diversa organizzazione socio-economica delle filiere produttive e dalle specificità delle aree rurali calabresi:
- i Progetti Integrati per la Filiera (PIF);
- i Progetti Integrati per le Aree Rurali (PIAR).
La fase d’impostazione della politica di sviluppo agricolo e rurale in Calabria è stata lunga, faticosa ed incentrata sulla concertazione tra Regione e rappresentanze del mondo economico e sociale agricolo. L’analisi critica della realtà agricola e rurale ha portato alla definizione di obiettivi, strategie e priorità di intervento in grado di incidere profondamente, come elementi di rottura e di discontinuità, con le vecchie logiche che avevano governato la politica agricola regionale. Infatti, il POR Calabria 2000-2006 – parte FEOGA – segna una svolta fondamentale, coraggiosa e necessaria: il passaggio da una politica strutturale centralizzata (dall’alto, individuale e “a pioggia”), che sceglie sulla base di conoscenze e di diagnosi generiche e aggreganti ed agisce con strumenti uniformi, ad una politica guidata dalla Regione, ma decisa dal territorio (dal basso, concertata, endogena, integrata) attraverso strumenti di intervento mirati (concentrazione).
L’aspetto innovativo è rappresentato dalla flessibilità della programmazione: non più una politica disegnata nelle stanze della Regione da recepire passivamente, ma piuttosto un’opportunità da adattare in modo selettivo alle esigenze settoriali e territoriali, sperimentando modalità di programmazione e di gestione innovative (partenariato verticale ed orizzontale, governance, sussidarietà, “fare sistema”, ecc.).
Per i Piani Integrati è stato disegnato un percorso abbastanza lungo ed articolato (si veda: Bollettino Ufficiale Regione Calabria n. 46 del 17 maggio 2001 e successive modificazioni ed integrazioni) che ha nella fase negoziale uno dei momenti più innovativi. Attraverso una serie di incontri tra i rappresentanti del Dipartimento Agricoltura e del Partenariato ci si propone di migliorare la qualità della proposta progettuale, di condividerne il contenuto, di mantenere una visione integrata del piano e di conferire valore aggiunto ad ogni azione, settore e territorio.
I Progetti Integrati sono strumenti operativi e metodologici attraverso i quali si attua una strategia di sviluppo, capace di coinvolgere intorno ad un’unica idea progettuale un insieme di attori locali checondividano obiettivi e strategie, promuovano lo sviluppo integrato del comparto/territorio e più in generale del contesto locale. Tali progetti sono presentati da un partenariato misto, pubblico e privato, rappresentativo degli interessi economico-sociali collettivi di realtà produttive agricole e/o di un’area rurale.
In particolare, i PIF intervengono sull’intero territorio regionale a favore dei comparti produttivi più significativi (in termini di quantità prodotta e/o di qualità e specificità del prodotto) del sistema agricolo calabrese, mentre i PIAR operano, all’interno delle aree PIT, in territori rurali ben definiti al fine di valorizzarne le risorse materiali ed immateriali e di diversificarne l’economia.
I PIF sono rivolti a realtà agricole dotate di elevata potenzialità di sviluppo, caratterizzate da una specializzazione produttiva agroalimentare, capaci di raggiungere obiettivi strettamente produttivi che mirano al consolidamento dei rapporti tra i produttori di base e le imprese di trasformazione e commercializzazione, attraverso un’attenzione particolare alla valorizzazione delle produzioni locali, alla limitazione dell’impatto ambientale e all’utilizzo integrato di un set di misure (investimenti in azienda, investimenti nelle imprese di trasformazione e commercializzazione, investimenti per il miglioramento della qualità delle produzioni, investimenti sui servizi alla gestione delle aziende).
A differenza dei PIF, i PIAR sono rivolti alle aree rurali dove più evidenti sono i ritardi economici e sociali. I PIAR si concentrano nei Comuni a medio-alta ruralità con e senza emergenze sociali, individuati incrociando una serie di variabili: da una parte la densità della popolazione(< 100 abitanti/kmq) e gli attivi in agricoltura (> della media regionale) e dall’altra il tasso di ricambio generazionale (rapporto giovani/anziani > della media regionale) ed il tasso di spopolamento (> della media regionale). Con questo strumento operativo si è cercato di utilizzare una strategia di intervento, territoriale, intersettoriale ed integrata, capace di valorizzare le specificità locali delle aree rurali, spesso interne e montane, con l’obiettivo di invertire la tendenza allo spopolamento delle aree povere, nonché di salvaguardare e migliorare il patrimonio naturale e culturale.
L’attuazione
Relativamente ai PIF, sono pervenute in Regione 116 proposte per un importo complessivo di circa 1,5 miliardi di euro, di gran lunga superiore alle risorse finanziarie disponibili. Le proposte pervenute interessano i principali comparti produttivi calabresi (ortofrutticoltura, zootecnia, olivicoltura e vitivinicoltura). Delle 116 proposte, al 30 maggio 2005, ne sono state istruite e valutate 62, di cui 19 respinte in quanto ritenute non idonee e 43 approvate. I rimanenti PIF sono ancora in fase negoziale.
9 PIF interessano il comparto ortofrutticolo e coinvolgono circa 7.000 ettari di SAU. Dei 5 PIF zootecnici, due si occupano di suini e possono contare su circa 79.000 capi, in percentuale quasi la metà dei capi presenti nella regione; uno riguarda il settore lattiero-caseario e include il 41% dei capi regionali e il 34% della produzione; un altro riguarda il settore avicolo e rappresenta il 90% circa di tutta la produzione avicola regionale. I due PIF olivicoli interessano un territorio di circa 5.000 ettari di SAU. Tra gli altri PIF, va evidenziata la diffusione di tipologie di coltura con un elevato grado di conoscenze agronomiche e tecnologiche, quali le colture protette (piccoli frutti) e quelle idroponiche (pomodoro ciliegino) ad elevato valore aggiunto. Un ulteriore elemento da evidenziare è il rafforzamento e la crescita di alcune produzioni meno diffuse, ma caratterizzanti per l’agricoltura calabrese, quali il miele, la patata e il florovivaismo.
Per quanto riguarda la dimensione territoriale, il livello di estensione è di rilievo soprattutto per i PIF zootecnici e olivicoli raggiungono una dimensione regionale e/o interprovinciale, altri PIF interessano ambiti sub-provinciali.
Per quanto riguarda i PIAR, complessivamente sono state presentate 42 proposte. Dalla loro analisi, emerge che tutte le aree PIT sono interessate da almeno un PIAR; su 337 Comuni calabresi potenzialmente beneficiari, 320 (circa il 95%) hanno partecipato alla formulazione della proposta. Ad oggi, il processo di attivazione dei PIAR procede a rilento e questo potrebbe avere ripercussioni negative sull’attuazione di questo strumento, che, per le finalità perseguite, richiede tempi lunghi.
Il tentativo di aggregare gli operatori intorno alle filiere produttive più rappresentative e ai territori rurali più marginali ha sortito esiti sorprendenti che confermano le scelte e le strategie pubbliche messe in campo dal Dipartimento Agricoltura, condivise dal partenariato. E’ importante sottolineare la risposta del territorio alle consistenti novità procedurali e strumentali introdotte. In una regione come la Calabria, naturalmente portata all’isolamento degli operatori economici, resistente e poco incline alle innovazioni e soprattutto abituata ad essere sovvenzionata, il fatto che si siano mobilitati migliaia di soggetti, coagulandosi intorno a piani di sviluppo di elevata complessità progettuale ed operativa, rappresenta un enorme successo.
Sul piano operativo va messo in luce come il passaggio dalla enunciazione di principio di questi strumenti (fase di programmazione) a quella pratica (di gestione ed attuazione) non sempre sia stata coerente.
Pur tuttavia, l’esperienza maturata testimonia come la scelta fatta dall’amministrazione regionale stia sostenendo la nascita di aggregazioni produttive anche in contesti territoriali e sociali marginali, favorendo la partecipazione di soggetti (aziende agricole di ridotte dimensioni a conduzione familiare, giovani e donne, ecc.) e territori (Locride, aree interne, ecc.) che altrimenti avrebbero avuto più difficoltà ad avvalersi delle opportunità offerte dalle politiche strutturali.
Alcune questioni aperte
L’accesso alle politiche di sviluppo rurale, basato su un approccio integrato, partecipato ed endogeno, richiede una profonda competenza nell’analisi delle potenzialità del proprio territorio e/o comparto produttivo e soprattutto nel trasformare tali potenzialità in una proposta progettuale qualitativamente forte, coerente e sostenibile. Ciò presuppone un bagaglio di competenze tecniche e metodologiche non sempre alla portata delle comunità rurali. Tale deficit è ulteriormente aggravato in contesti territoriali di forte degrado sociale, caratterizzati da conflittualità interne e campanilismo tra istituzioni, da una bassa propensione al dialogo e alla cooperazione tra la componente produttiva. Inoltre, l’applicazione del metodo partecipativo si scontra, sul piano pratico, con l’impossibilità di conciliare i tempi della partecipazione locale attiva e il tentativo delle istituzioni regionali, responsabili dell’attuazione dei programmi, di ricondurre i percorsi di sviluppo sostenuti dall’aiuto pubblico a un sistema di regole, spesso ridondanti, farraginose e penalizzanti.
L’esperienza dei progetti integrati ha fatto emergere le contraddizioni dell’agire delle istituzioni, responsabili dell’attuazione dei programmi. In primo luogo, emerge con forza la contraddizione tra quanto enunciato a livello di principi e quanto poi si è verificato “sul campo” (tempi lunghi, agire settoriale, poca trasparenza degli iter procedurali, meccanismi di penalizzazione, inefficienze gestionali ed organizzative).
Per non incappare in questi meccanismi, è necessario promuovere un’intensa azione di rinnovamento culturale più che operativo e organizzativo (formazione, metodologie di lavoro, tecnologie informatiche).
Attualmente, in Regione è in corso un dibattito non tanto sul merito della progettazione integrata quanto sul metodo, sulla opportunità, cioè, di rafforzare le procedure attuative in vista dell’inserimento della progettazione integrata nel nuovo PSR 2007-2013.