Intervista a Franco Chiriaco: La sicurezza alimentare e la questione dei diritti

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Intervista a Franco Chiriaco: La sicurezza alimentare e la questione dei diritti

D. Il momento storico attuale, con la crisi della stabilità e dell’efficacia del sistema agroalimentare mondiale e la conseguente crisi alimentare, porta alla ribalta l’esigenza di assicurare uno dei diritti fondamentali dell’uomo, quello al cibo, laddove esso non è ancora garantito. È questo, difatti, un problema che minaccia soprattutto i paesi in via di sviluppo. Quali sono, a suo avviso, i principali elementi di criticità che stanno caratterizzando l’attuale situazione di insicurezza alimentare?

R. Un approccio alla sicurezza alimentare basato sui diritti fondamentali dell’uomo (quali il diritto al cibo, i diritti delle donne e dei bambini, dei lavoratori, infine il diritto alla protezione sociale) deve essere principalmente incentrato sulle esigenze delle minoranze e delle popolazioni più vulnerabili.
Quello della sicurezza alimentare è difatti un problema di uguaglianza sociale.
La sicurezza alimentare si basa su quattro pilastri fondamentali: la disponibilità di quantità sufficienti di alimenti di adeguata qualità provenienti da produzioni interne o importate (anche sotto forma di aiuti alimentari); l’accesso delle persone a risorse che permettano loro di ottenere gli alimenti necessari ad una alimentazione equilibrata; la stabilità in quanto per avere una vera sicurezza alimentare, una popolazione, una famiglia o una persona devono avere il diritto ad una alimentazione certa in ogni momento e non devono rischiare di perdere questo diritto a causa di calamità naturali, crisi economiche o eventi ciclici; infine l’utilizzo di cibo.
La definizione di sicurezza alimentare è dunque di natura prettamente tecnica, e basandosi sui quattro pilastri citati getta le sue fondamenta sul riconoscimento dei bisogni. Il diritto al cibo, per converso, si basa sul riconoscimento dei diritti umani e come tale non è negoziabile come il concetto tecnico di sicurezza alimentare, che trova definizione piuttosto nell’ambito degli obiettivi politici e che pertanto risente della specifica atmosfera politica.

Su quali fondamenti giuridici si basa il “diritto al cibo”?

Le iniziative per l'istituzione di un diritto agli alimenti si basano sull'articolo 25 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e sull'articolo 11 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali. Questo Patto prevede che gli Stati membri adottino, individualmente e attraverso la cooperazione internazionale, le misure necessarie per migliorare i metodi di produzione, conservazione e distribuzione degli alimenti; il tutto, mediante la piena applicazione delle conoscenze tecniche e scientifiche, attraverso la diffusione di principi di educazione nutrizionale e lo sviluppo o la riforma dei regimi agrari.
L’obiettivo è molteplice, in primis assicurare al meglio la valorizzazione e l’utilizzo delle risorse naturali, quindi garantire un'equa distribuzione delle risorse alimentari mondiali in relazione ai bisogni, tenuto conto dei problemi che si pongono sia nei paesi importatori che nei paesi esportatori di generi alimentari.

In che modo i Paesi (soprattutto in via di sviluppo) recepiscono queste “linee guida”?

Il “diritto al cibo” è uno dei principi su cui ventidue paesi hanno basato la propria Costituzione.
Alle leggi nazionali dovrebbe spettare la trattazione di temi comuni, quali la proprietà della terra, l'accesso all'acqua, i livelli dei salari minimi, i dispositivi di sicurezza sociale, il credito, i mercati rurali, la produzione alimentare e la qualità degli alimenti.
Le autorità nazionali non possono rimanere passive e operare discriminazioni in situazioni di crisi alimentare, ecco il perché della raccomandazione che gli Stati adottino una legislazione che stabilisca che il diritto al cibo è giustiziabile dinanzi ai tribunali nazionali.
Questo tipo di legislazione è stato adottato con successo in Sud Africa.

Nei paesi in via di sviluppo il problema più sentito è soprattutto quello dei bambini, specialmente in agricoltura.

Sì purtroppo. Il lavoro dei bambini in agricoltura è un fenomeno globale e non si limita ai Paesi in via di sviluppo, ma investe anche quelli industrializzati. Il dato più recente a cui fare riferimento è fornito dall’Unicef e porta la data 17 novembre 2009: l’agricoltura raccoglie oltre il 70% del lavoro minorile in tutto il mondo. Oltre 132 milioni di bambine e bambini sotto i 15 anni lavorano nei campi e nelle piantagioni, utilizzando spesso pesticidi dannosi per la loro salute.
Solo in Africa, si stima che siano tra i 56 e i 72 milioni i bambini impiegati nel settore agricolo.

E quanto alle donne? In che modo nei paesi in via di sviluppo si può garantire parità di diritti al lavoro e al cibo alla popolazione femminile?

Da un lato occorre adottare misure per promuovere l'accesso delle donne allo sfruttamento delle terre. Le agricoltrici sono le maggiori responsabili per la produzione di cibo nei paesi in via di sviluppo, ma troppo spesso non possono accedere autonomamente alla terra e alle sue risorse, o averne il controllo di gestione. Perché ogni Paese possa utilizzare appieno tutte le competenze disponibili al suo interno per il proprio approvvigionamento alimentare, dovrebbe riconoscere alle donne non solo il diritto di accedere senza restrizioni e in piena uguaglianza alle risorse produttive, il diritto di possedere terreni, e quello di ereditare tale diritto, ma anche i diritti “consuetudinari”, quali l’accesso ai beni comuni. Occorre giungere alla parità di trattamento nelle riforme terriere ed agrarie, e che questo sia ribadito anche nei progetti di sviluppo rurale.. In assenza di terreni e diritti alla terra a loro nome, le donne non possono esercitare liberamente il loro diritto al cibo.
Dall’altro lato, occorre rafforzare la presenza delle organizzazioni femminili nel settore 'agricolo. Ai sensi della Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne, gli Stati sono tenuti ad adottare misure per garantire alle donne nelle zone rurali la possibilità di organizzare gruppi di auto-aiuto e cooperative.

È possibile quantificare la presenza di lavoro femminile in agricoltura con riferimento ai PVS?

Con riferimento alle valutazioni della FAO sul lavoro delle donne in agricoltura occorre ricordare che: nel 2007, le donne costituivano circa il 41% del totale degli occupati in agricoltura a livello globale; le proiezioni della FAO indicano che fino al 2010 la percentuale delle donne economicamente attive nei paesi neo sviluppati corrispondeva a più del 70% del lavoro in agricoltura; in Africa e in Asia, gli studi hanno dimostrato che le donne lavorano fino a 13 ore in più a settimana rispetto agli uomini; sempre in Africa, uno studio specifico ha rilevato che, nel corso di un anno, le donne trasportano più di 80 tonnellate di prodotti agricoli, acqua e combustibile per una distanza di un chilometro. Gli uomini soltanto un ottavo, una media di 10 tonnellate per un chilometro in un anno.

Emerge chiaramente una notevole disparità di trattamento tra uomini e donne in agricoltura. Quale la “ricetta” per garantire uguali diritti per i lavoratori agricoli? O meglio, in cosa si esplica il diritto di un lavoratore?

Innanzi tutto, significa riconoscere l'importanza della questione dei lavoratori e prenderne coscienza a livello globale. I dati parlano chiaro: sono oltre 450 milioni i lavoratori agricoli salariati a livello mondiale, ben il 40% della forza lavoro agricola. I diritti fondamentali di questi lavoratori sono troppo spesso violati: nel mondo, meno del 20% di questi lavoratori dispongono di una protezione sociale di base e circa il 70% dei bambini lavoratori è impiegato proprio in agricoltura.
Questa presa di coscienza può essere ottenuta solo se ci si impegna a promuovere lo sviluppo del dialogo sociale all'interno del settore agricolo. Eppure, nonostante l'esistenza e l’accettazione condivisa della Convenzione n. 11 dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) che stabilisce e afferma i diritti di associazione e i coalizione ai lavoratori agricoli, la contrattazione collettiva e il dialogo sociale sono ancora molto limitati.
Inoltre, riconoscere i diritti dei lavoratori significa promuovere l’impegno degli Stati a garantire il diritto ad un salario di sussistenza. Ogni Stato deve vigilare affinché il salario per i lavoratori agricoli, come previsto nell'ambito Convenzione n. 99 dell'OIL, sia regolamentato e soggetto a leggi, e che il suo rispetto sia controllato.
Infine, assicurare il controllo del rispetto delle leggi sul lavoro.
L'agricoltura è spesso esclusa dal campo di applicazione delle normative nazionali vigenti in materia di salute e sicurezza e, se esistenti, queste norme sono scarsamente applicate. Soprattutto nei PVS ci si scontra con una oggettiva assenza di ispezioni sulle condizioni del lavoro e di programmi di sostegno ai lavoratori.
Questi interventi dovrebbero essere invece assicurati per combattere forme rilevanti di schiavismo, di sfruttamento della mano d’opera e di lavoro nero.

Quanto al diritto alla terra?

Significa migliorare e assicurare l’accesso degli agricoltori all’utilizzo delle terre. Un numero rilevante di agricoltori coltiva le terre, anche comunali, senza che la proprietà o il diritto all’uso siano stati fatti oggetto di una registrazione formale.
Serve una vera politica di aiuti: i processi di liberalizzazione hanno più volte escluso i contadini dalle possibili risorse; sullo stesso livello si trovano i pastori e le minoranze etniche.

Cosa significa, infine, ”assicurare una protezione sociale minima” e in che modo i diversi paesi possono garantirla?

Per prima cosa, si tratta di promuovere l'attuazione di una base di protezione sociale, ovvero di un insieme di diritti e di trasferimenti sociali, servizi essenziali nelle sfere occupazione, salute, acqua e igiene, nonché nutrizione, istruzione e sostegno alle famiglie, che mirino a tutelare, rafforzare e aiutare i più svantaggiati ad uscire della povertà. Queste politiche sociali devono essere combinate in modo coerente e integrato in tutte le fasi del ciclo di vita, con particolare attenzione ai gruppi più vulnerabili della società, tra cui donne, bambini e giovani.
Inoltre, significa sostenere la creazione di reti di sicurezza per un meccanismo mondiale di riassicurazione. I paesi devono essere in grado di proteggere la popolazione dalla maggiore variabilità dei prezzi alimentari. Secondo le direttive della FAO, sarebbe opportuno che gli Stati creassero e mantenessero reti di sicurezza per proteggere coloro che non possono assicurarsi da soli la sussistenza.
E' stato suggerito di creare un fondo globale di riassicurazione che offra ai paesi poveri un’assicurazione contro le scosse brutali, interne o esterne, aventi per effetto la crescita della domanda di sostegno sociale in proporzioni per tali Paesi finanziariamente insostenibili.

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