I cambiamenti climatici in Italia: quadro attuale, scenari, gap conoscitivi

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I cambiamenti climatici in Italia: quadro attuale, scenari, gap conoscitivi

Il riscaldamento del sistema climatico globale è oggi indiscutibile, come emerge dalle osservazioni dell’incremento della temperatura media globale atmosferica e oceanica, dallo scioglimento dei ghiacci polari (in particolare dell’Artico), dalla riduzione dei ghiacciai delle medie latitudini, (compresa anche la copertura nevosa) e dall’innalzamento del livello medio degli oceani.

Trend globali

In base al Quarto rapporto di valutazione dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), l’aumento complessivo della temperatura media globale (sistema terra-oceano) al 2008 è stato di 0,7°C rispetto al livello pre-industriale. Il tasso di riscaldamento, pari a 0,1°C per decennio negli ultimi 100 anni, è aumentato a 0,16°C per decennio negli ultimi 50 anni.
Per quanto riguarda il trend delle precipitazioni dal 1900 al 2005, è stato osservato un aumento significativo nell’area orientale del Nord e del Sud America, nel Nord Europa e nell’Asia settentrionale e centrale, mentre una riduzione è stata rilevata nel Sahel, nel Mediterraneo, nell’Africa meridionale e in alcune parti dell’Asia meridionale. La frequenza degli eventi di precipitazione intensa è aumentata nella maggior parte delle terre emerse, coerentemente con il riscaldamento e l’aumento del vapore acqueo atmosferico.
In assenza di politiche di mitigazione, le proiezioni relative all’andamento delle temperature, basate sui sei scenari di emissione dell’IPCC per la fine del XXI secolo, indicano un aumento della temperatura globale da 1,8 a 4,0°C nel periodo 2090-2099 rispetto al periodo 1980-1999 (IPCC, 2007). Insieme all’aumento della temperatura media, sul nostro pianeta si assisterà con ogni probabilità ad un aumento della frequenza delle ondate di calore e delle precipitazioni intense, a un aumento dell’intensità dei cicloni tropicali, a una diminuzione della disponibilità idrica in molte aree semi-aride come, ad esempio, il bacino del Mediterraneo, con ripercussioni significative in termini ambientali, sociali ed economici.

Europa

L’aumento della temperatura in Europa al 2008, rispetto ai valori pre-industriali, è stato di circa 1,0°C per il sistema terra-oceano, 1,3°C sulla terraferma, maggiore quindi di quello globale.
Le proiezioni indicano un aumento della temperatura media per la fine di questo secolo tra 1,0 e 5,5°C. In base allo scenario A1B, ad esempio, i modelli climatici globali stimano un aumento della temperatura media dal 1980-1999 al 2080-2099 compreso tra 2,3 e 5,3°C nel Nord Europa e tra 2,2 e 5,1°C nel Sud Europa e nelle regioni del Mediterraneo (IPCC, 2007). Ovviamente, impiegando scenari di emissione diversi, le stime di incremento della temperatura variano sensibilmente. Nel Nord Europa il riscaldamento maggiore è previsto durante la stagione invernale, mentre nelle regioni del Mediterraneo soprattutto in estate (Figura 1).

Figura 1 - Variazione della temperatura media in Europa dal 1980-1999 al 2080-2099, stimata sulla base dello scenario di emissione A1B

Negli ultimi 50 anni sono stati osservati cambiamenti nella distribuzione degli estremi di temperatura e, in particolare, un aumento della frequenza e dell’intensità degli eventi di caldo intenso e una diminuzione degli episodi contraddistinti dalle basse temperature. Le proiezioni indicano la continuazione di questo trend anche in futuro.

Per quanto riguarda le precipitazioni in Europa, durante il XX secolo è stato osservato un aumento dal 10 al 40% nelle regioni settentrionali e una diminuzione fino al 20% in alcune parti dell’Europa meridionale (EEA, 2008).
In base allo scenario A1B, i modelli climatici globali stimano un aumento della precipitazione cumulata annuale dal 1980-1999 al 2080-2099 compreso tra lo 0 e il 16% nel Nord Europa e una diminuzione tra il 4 e il 27% nel Sud Europa e nelle regioni del Mediterraneo (IPCC, 2007), più accentuata durante la stagione estiva (Figura 2). Occorre comunque tenere in considerazione il fatto che le proiezioni relative alle precipitazioni, a differenza di quelle di temperatura che sono piuttosto uniformi nello spazio, possono variare sensibilmente anche su distanze orizzontali ridotte, soprattutto in regioni a orografia complessa. È stato stimato inoltre un aumento della frequenza e dell’intensità degli eventi estremi di precipitazione, soprattutto nelle regioni settentrionali e un aumento dei periodi di siccità, in particolare nel Sud Europa.

Figura 2 - Variazione percentuale della precipitazione cumulata in Europa dal 1980-1999 al 2080-2099, stimata sulla base dello scenario di emissione A1B

Italia

In base agli studi del CNR-ISAC, le temperature medie annuali in Italia sono cresciute negli ultimi due secoli di 1,7°C (pari a oltre 0,8°C per secolo), ma il contributo più rilevante a questo aumento è avvenuto in questi ultimi 50 anni, per i quali l’aumento è stato di circa 1,4°C (pari a circa 2,8°C per secolo). Le analisi delle serie temporali 1961-2008 effettuate dall’ISPRA evidenziano una diminuzione della temperatura media in Italia dal 1961 al 1981 e un successivo incremento fino al 2008, per un aumento complessivo di circa 1,0°C (Figura 3).

Figura 3 - Anomalie della temperatura media in Italia

Legenda: La spezzata rappresenta la tendenza stimata con un modello statistico “sloped steps” (Toreti e Desiato, 2008)
Fonte: elaborazione ISPRA su dati delle stazioni della rete dell’Aeronautica Militare

L’aumento della temperatura media registrato in Italia nelle ultime decadi è superiore a quello medio globale. In particolare, nel 2007 e 2008 le anomalie rispetto al trentennio 1961-1990 sono state rispettivamente +1,24 e +1,09°C, contro una media globale di 0,67 e 0,53°C (ISPRA, 2009). Un’analisi delle tendenze su base stagionale dettagliata per l’Italia settentrionale, centrale e meridionale indica che l’aumento della temperatura media è significativo ovunque in autunno dal 1970 e in estate dal 1980, mentre nell’intero periodo 1961-2006 è significativo al Nord in inverno e al Centro-Sud in primavera (Toreti et al., 2009a). La tendenza al riscaldamento si evince anche dall’analisi dei valori estremi di temperatura. Nel periodo 1961-2008, mediante trend analysis, sono stati stimati un aumento medio del 12% di “giorni estivi1” e un aumento medio del 42% di “notti tropicali2” rispetto alla media climatologica (ISPRA, 2009).
Per quanto riguarda le tendenze delle precipitazioni nel lungo periodo, gli studi del CNR (Brunetti et al., 2006) indicano che “i trend sono generalmente negativi, anche se solo di lieve entità e spesso poco significativi dal punto di vista statistico. L’entità della riduzione delle precipitazioni risulta dell’ordine del 5% per secolo; essa sembra dovuta principalmente alla primavera, stagione nella quale la riduzione delle precipitazioni risulta vicina al 10% per secolo” (Nanni e Prodi, 2008).
Le analisi delle serie annuali e stagionali delle anomalie di precipitazione dell’Italia settentrionale, centrale e meridionale effettuate dall’ISPRA per il periodo più recente non indicano trend statisticamente significativi, mentre la serie invernale del Nord Italia mostra una diminuzione della precipitazione media di 1,47 mm/anno dal 1961 al 2006 (Toreti et al., 2009b). Un’analisi preliminare degli eventi estremi di precipitazione su un campione di circa 50 stazioni non mostra alcuna tendenza statisticamente significativa dal 1950 al 2006. Tuttavia, il numero limitato di serie temporali sufficientemente continue e di qualità controllata, e la loro distribuzione non omogenea sul territorio, impediscono per il momento di arrivare a una conclusione circa l’esistenza o meno di tendenze significative sugli eventi estremi di precipitazione in Italia.

Impatti e vulnerabilità

Osservazioni effettuate sulla terraferma e sugli oceani mostrano - come mette in evidenza il Quarto rapporto di valutazione dell’IPCC - che molti sistemi naturali stanno risentendo dei cambiamenti climatici a scala regionale, in particolare dell’aumento della temperatura.
A livello globale, coerentemente con il riscaldamento osservato, la maggior parte delle componenti della criosfera sta subendo, infatti, una riduzione generalizzata dell’estensione, sempre più rapida negli ultimi decenni.
Il livello del mare è aumentato a un tasso di circa 1,7-1,8 mm all’anno durante il secolo scorso, con un incremento fino a 3 mm all’anno nell’ultimo decennio, e molte regioni costiere ne stanno già sperimentando le conseguenze. Negli ecosistemi marini e acquatici molti cambiamenti fenologici e biogeografici, ovvero relativi alle fasi di sviluppo degli organismi e alla distribuzione delle specie, sono stati associati all’aumento della temperatura dell’acqua, così come al cambiamento di salinità, al livello di ossigeno e alla circolazione. Per quanto riguarda i sistemi biologici terrestri, negli ultimi 30-50 anni il riscaldamento globale ha provocato un anticipo delle fasi fenologiche primaverili ed estive e il prolungamento della stagione di crescita alle latitudini medie e alte, l’aumento della vulnerabilità di alcune specie, con episodi di estinzione a livello locale.
Negli anni recenti, ripetuti incendi forestali di vaste dimensioni sono stati associati, durante la stagione calda, a episodi di siccità nell’area Mediterranea e nel Nord Africa, così come nel Nord America.
Le variazioni climatiche non hanno ripercussioni solo sui sistemi fisici e biologici, ma anche sui settori socio-economici che dipendono dalle condizioni climatiche, e che già oggi ne stanno sperimentando le conseguenze, quali in particolare l’agricoltura, la pesca, il turismo, l’energia, la salute, ma anche i servizi finanziari e le assicurazioni.
Il quadro degli impatti sul continente europeo è coerente con quello globale (EEA, 2008). Le zone montane, l’area mediterranea, le aree costiere e l’Artico sono tra le aree più vulnerabili in Europa.
A livello nazionale, le risorse idriche complessive tenderanno a diminuire nelle prossime decadi, a causa della riduzione delle precipitazioni e dell’aumento della evapotraspirazione e dei prelievi idrici. La situazione risulterà più critica nel sud Italia, dove già sussistono condizioni di stress idrico, con profonde implicazioni su agricoltura, turismo, salute, produzione industriale, urbanizzazione e, non ultimo, sul settore assicurativo. Il settore agro-forestale, in particolare, potrebbe essere influenzato da numerosi altri fenomeni collegati ai cambiamenti climatici, tra i quali la diffusione dei patogeni (EEA, 2008).
Le tendenze climatiche in atto, e quelle previste dagli scenari dell’IPCC, sposteranno a latitudini più elevate le condizioni climatiche e ambientali tipiche dell’area mediterranea. Questo significa che i sistemi ecologici, forestali e dell’ambiente naturale del mediterraneo tenderebbero a “migrare” verso l’Europa centro occidentale e settentrionale. La rapidità del cambiamento climatico in atto è però di gran lunga maggiore della velocità di colonizzazione di nuovi spazi della quale sono capaci le specie vegetali, soprattutto quelle dominati nelle foreste: è quindi da attendersi la progressiva “disgregazione” di molti ecosistemi, con le conseguenti modifiche anche del paesaggio e con profonde implicazioni soprattutto nei settori dell’agricoltura, del turismo e tempo libero, e nel settore residenziale.
L’innalzamento del livello del mare, anche modesto, e l’acuirsi dei fenomeni estremi come le mareggiate, aggraveranno significativamente i problemi già esistenti negli ambienti marino costieri, provocando l’inondazione di alcune aree di piana costiera depresse, così come forti problemi di erosione costiera per tutte le coste basse e sabbiose, infiltrazioni di acqua salata nelle falde costiere di acqua dolce e danni alla biodiversità delle zone umide marino costiere, soprattutto se già esistono condizioni altimetriche al di sotto del livello medio del mare (ad esempio tutto l’alto Adriatico). Questo problema potrà avere forti implicazioni, oltre che sulla perdita di biodiversità, sulle attività produttive condotte nelle zone costiere, ma soprattutto sulle attività ricreative e turistiche e perfino sul patrimonio storico, artistico e culturale, come nel caso di Venezia.
Oltre ai possibili danni alle risorse naturali, all’ambiente e al territorio, alle attività economiche, si potranno avere ripercussioni secondarie non trascurabili nell’ambito del lavoro e dell’occupazione e nel campo socio-sanitario, in particolare per la popolazione più vulnerabile agli effetti dei cambiamenti del clima.

I principali gap conoscitivi

Anche a livello nazionale, le analisi degli scienziati e degli esperti forniscono ormai un quadro sostanzialmente omogeneo dei cambiamenti climatici in atto e dei possibili scenari futuri. E’ anche generalmente condivisa la necessità che alle strategie e alle azioni per la mitigazione dei cambiamenti climatici, basate essenzialmente sul contenimento delle emissioni di gas a effetto serra e sulla valorizzazione dei cosiddetti “serbatoi di CO2”, si affianchino politiche e strategie di adattamento, mirate a limitare al minimo i danni economici, sociali e sanitari.
Strategie e azioni di mitigazione e di adattamento devono essere elaborate ai diversi livelli territoriali (nazionale, regionale e locale) nel quadro degli impegni internazionali (globali ed europei), ma anche tenendo conto delle specificità dei diversi settori della produzione e del consumo, per i quali le risorse ambientali costituiscono un fattore produttivo di rilievo. La predisposizione e l’attuazione di queste strategie e azioni devono prevedere la definizione di una relazione virtuosa tra le conclusioni cui perviene il mondo della ricerca e gli interessi degli operatori del mondo economico, del sindacato, dell’impresa, dell’associazionismo.
Queste considerazioni valgono in particolare per il settore agricolo, che dispone di notevoli potenzialità di intervento sia in termini di mitigazione (ad esempio con lo sviluppo di biomasse ad uso energetico in sostituzione dei combustibili fossili) che di adattamento (in particolare per quanto riguarda la conservazione e l’uso ottimale delle risorse idriche). Il coinvolgimento degli operatori del settore risponde all’esigenza di valorizzare le opzioni di adattamento basate sulle conoscenze tradizionali (lotta contro l’erosione eolica o idrica, gestione idrica, miglioramento della fertilità dei suoli, protezione della vegetazione, silvicoltura).
La definizione di un mix ottimale tra mitigazione e adattamento richiede l’elaborazione di adeguati strumenti di supporto alle decisioni, che rispondano a criteri di efficacia e di condivisione; perché questo sia possibile, sarà necessario superare alcuni gap conoscitivi ancora rilevanti, garantendo ad esempi (Bonati, 2007):

  • il miglioramento delle conoscenze relative alla possibile evoluzione dei fenomeni estremi e ai loro impatti, in particolare sugli ecosistemi;
  • l’integrazione degli scenari climatici con quelli socio-economici, e lo sviluppo di adeguati modelli interpretativi dei rapporti tra cambiamenti climatici, pressioni antropiche e desertificazione;
  • la disponibilità di indicatori affidabili per l’adattamento, che tengano conto sia del quadro nazionale più ampio, sia delle specificità locali del fenomeno.

La risoluzione di queste criticità conoscitive, il continuo aggiornamento di dati, informazioni, analisi e valutazioni dovrebbe costituire, quindi, una sorta di primo passo nel cammino (non più dilazionabile) che, molto schematicamente, porta prima alla definizione qualitativa e quantitativa dei fenomeni in corso, poi a un’attribuzione di priorità, infine all’avvio di azioni specifiche per il loro contenimento. Il processo decisionale non dovrebbe trascurare le incertezze che continueranno a caratterizzare la scienza dei cambiamenti climatici, ma dovrebbe invece tenerne conto, privilegiando ad esempio gli interventi più robusti, che trovano una giustificazione in diversi scenari climatici (IDDRI, 2009). La predisposizione di una Strategia nazionale per l’adattamento sostenibile ai cambiamenti climatici e la sicurezza ambientale, secondo l’impegno esplicito assunto dal Ministero dell’ambiente nell’ambito della Conferenza Nazionale sui Cambiamenti Climatici del 2007, dovrebbe fornire il contesto generale necessario a coordinare l’attività dei diversi soggetti coinvolti, a livello nazionale come a livello locale.

Riferimenti Bibliografici

  • Bonati G., 2007: Sintesi dei lavori della Sessione A – Agricoltura della Conferenza Nazionale sui Cambiamenti Climatici, Roma, 12-13 settembre 2007.

  • Brunetti, M., Maugeri M., Monti F. e Nanni T. 2006: "Temperature and precipitation variability in Italy in the last two centuries from homogenized instrumental time series", International Journal of Climatology, vol. 26:345-381.

  • EEA, 2008: "Impacts of Europe’s changing climate - 2008 indicator-based assessment". EEA Report n. 4/2008.

  • IDDRI, 2009: The future of the Mediterranean - From impacts of climate change to adaptation issues, May 2009.

  • IPCC, 2007: Contribution of Working Group I to the Fourth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change, 2007. A cura di Solomon, S., D. Qin, M. Manning, Z. Chen, M. Marquis, K.B. Averyt, M. Tignor e H.L. Miller.

  • ISPRA, 2009: "Gli indicatori del clima in Italia nel 2008", Rapporto Serie Stato dell’Ambiente n. 12/2009, Anno IV.

  • Nanni T. e Prodi F., 2008: "Cambiamenti climatici: la situazione in Italia", Energia, n.1, 2008, pagg. 66-71.

  • Toreti A. e Desiato F., 2008: "Temperature trend over Italy from 1961 to 2004", Theor. Appl. Climatology, doi 10.1007/s00704-006-0289-6.

  • Toreti A., Desiato F., Fioravanti G. e Perconti W., 2009a: "Seasonal temperatures over Italy and their relationship with low-frequency atmospheric circulation patterns", Climatic Change, doi 10.1007/s10584-009-9640-0.

  • Toreti A., Desiato F., Fioravanti G. and Perconti W. 2009b: "Annual and seasonal precipitation over Italy from 1961 to 2006", International Journal of Climatology, doi 10.1002/joc.1840.

  • 1. Numero di giorni con temperatura massima dell’aria maggiore di 25°C
  • 2. Numero di giorni con temperatura minima dell’aria maggiore di 20°C
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ok

Molto interessante!