Filiera corta e produzioni biologiche: un'indagine sulle imprese della Sardegna

Filiera corta e produzioni biologiche: un'indagine sulle imprese della Sardegna

Introduzione e obiettivo del lavoro

In Italia, secondo i dati dell’Annuario INEA, il settore biologico sta attraversando un periodo di apparente assestamento dopo i consistenti incrementi del precedente decennio. Nel 2008 si registra, infatti, una lieve riduzione del numero dei produttori (-1,2%), una riduzione delle superfici (-13%) e un aumento delle aziende di trasformazione (+7%) rispetto ai valori del 2007 (INEA, 2008). Riguardo le superfici investite a biologico, le dinamiche regionali nel paese non sono tuttavia omogenee. Infatti, nelle regioni del Nord si osserva nel 2008 una riduzione complessiva delle superfici coltivate con metodo biologico del 43% rispetto al 2007. Le uniche eccezioni sono la Lombardia e il Piemonte dove si constata un incremento delle superfici investite a bio rispettivamente del 54% e del 13%. La riduzione delle superfici nelle regioni del Centro Italia è lievemente superiore al dato nazionale, -17%. Al Sud, invece, se il dato medio è sostanzialmente stabile, rispetto al 2007 in Sicilia si nota un incremento delle superfici coltivate del 24%, mentre la Sardegna, al contrario, segue il trend negativo nazionale con un decremento delle superfici bio del 22% (INEA, 2008).
Al fine di approfondire, almeno in parte, i motivi che stanno dietro le ragioni della differente dinamica della regione Sardegna rispetto al Meridione d'Italia, nel lavoro si presenta un'analisi, basata su indagine diretta, sulla caratterizzazione dell’offerta di prodotti bio nella regione, focalizzando l’indagine sulle problematiche legate alla filiera corta. La filiera breve o brevissima interessa infatti maggiormente i prodotti primari rispetto a quelli trasformati1 e i primi sono quelli che trovano una più larga presenza di imprese nella regione.

Biologico: lo scenario internazionale e il quadro strutturale Italiano

A livello mondiale, il metodo di produzione biologica è presente in oltre 120 nazioni, con proiezioni in ulteriore aumento. Attualmente sono coltivati in biologico complessivamente circa 31 milioni di ettari, con oltre 634 mila aziende agricole. Tuttavia, sebbene ciascun Paese si differenzi per una sua strategia di commercializzazione, nella maggior parte dei casi si nota un grave problema economico-strutturale legato all’eccesso di domanda dei prodotti biologici. Nonostante, infatti, un costante incremento della domanda di prodotti bio, pur in presenza di una evidente differenza di prezzo rispetto al prodotto convenzionale (+10-30%), da parte dei produttori si notano atteggiamenti di scetticismo o di dubbia convenienza verso il biologico legati, per lo più, alle diminuzioni delle rese a cui si andrebbe incontro nel periodo di transizione e conversione (Ismea, 2007). In riferimento, invece, al quadro normativo europeo, non tutti gli Stati offrono adeguate risorse finanziarie di sostegno volte a incentivare la produzione e promuovere il rafforzamento della rete commerciale biologica e delle organizzazioni dei produttori.
Per quanto riguarda l’Italia, definire un quadro strutturale delle aziende bio non è per niente semplice, sia per via delle difficoltà nell’acquisizione di dati aziendali, sia per l’eterogeneità delle aziende stesse. Pur prendendo atto di tale limite nel reperire i dati, una panoramica della situazione può essere dedotta da quanto riportato in un rapporto ISMEA (Il mercato dei prodotti biologici:tendenze generali e nelle principali filiere, 2007). Da questa analisi emerge che le aziende agricole bio italiane sono localizzate principalmente al Sud e nelle Isole: questo vale sia per le aziende ad indirizzo vegetale (40% aziende cerealicole e 25% aziende orto-frutticole) sia per quelle ad indirizzo zootecnico. Nel Nord del Paese invece si nota una più consistente presenza delle aziende di trasformazione con Emilia Romagna e Lombardia che guidano la classifica regionale.
Per quanto riguarda, invece, i canali di vendita utilizzati dalle aziende bio, è necessario fare una distinzione tra le aziende di produzione primaria e le aziende di trasformazione. Le prime vendono circa il 35% del prodotto ad aziende o cooperative di trasformazione, il 20% a grossisti e il 20% direttamente al consumatore finale, la restante parte invece vende il prodotto a negozi specializzati, GDO, e aziende di trasformazione. Le aziende di trasformazione, operanti nel settore orto-frutticolo, invece, per il 55% del totale vendono il prodotto a grossisti, il 20% alla GDO, il 20% ad altre aziende di trasformazione e solo il 5% direttamente al consumatore finale. Al contrario, i destinatari dei prodotti zootecnici trasformati risultano essere principalmente la GDO o la vendita diretta che rappresenta un importante canale di vendita soprattutto per le aziende medio-piccole e ben organizzate; la restante quota, invece, è destinata ai negozi specializzati. Per quanto riguarda, infine, la figura tipo dell’imprenditore bio, dall’indagine risulta che egli lavora in azienda a tempo pieno, è un imprenditore normale che effettua, cioè, le sue scelte tenendo conto della pianificazione aziendale, del mercato e degli incentivi, ha un’età compresa tra i 35 e i 50 anni e, nella maggioranza dei casi, dimostra di possedere un buon livello di istruzione, disponendo di un titolo di studio superiore o anche una laurea.

Una breve analisi della normativa italiana in materia di agricoltura biologica e di filiera corta

Prima di presentare i risultati dell'indagine è utile brevemente richiamare il quadro normativo all'interno del quale operano, o potrebbero operare nel caso venissero approvate alcune proposte di legge, i produttori bio. La normativa italiana in materia di agricoltura biologica è stata recentemente modificata (DM 18354 del 27/11/2009 pubblicato nella G.U. l'8/02/2010) al fine di recepire le indicazioni del nuovo regolamento europeo (CE) 834/07, derivante dalla maggiore esperienza e comprensione del settore biologico dopo la quasi ventennale applicazione del precedente regolamento CEE 2092/91. Il decreto ministeriale fissa le linee guida nazionali per tutti i tipi di produzione biologica (vegetale, animale, trasformati). All'interno di tali linee guida le Regioni potranno stabilire degli ulteriori vincoli ai metodi di coltivazione in biologico nelle aree di loro competenza amministrativa, oltre a fornire indicazioni su operazioni di conversione, deroghe, sementi,materiale di moltiplicazione vegetativo, etichettatura e controlli e garantire la trasmissione di informazioni alla Commissione Europea.. È interessante notare che nel decreto legge approvato scompaiono i riferimenti all'applicazione delle normative sulla produzione biologica a settori quali ristorazione collettiva pubblica e verde urbano, che invece erano presenti in una precedente proposta di legge alle Camere. Oltre alla precedente regolamentazione, la Commissione Parlamentare Agricoltura della Camera dei Deputati sta valutando due progetti di legge il primo dei quali ha il titolo “Norme per la valorizzazione dei prodotti alimentari provenienti da filiera corta a chilometro zero e di qualità” (A.C. 1481) mentre l'altro “Incentivi alla produzione e alla vendita diretta dei prodotti agricoli locali, tradizionali e biologici” (A.C. 2876); entrambi sono volti alla valorizzazione e alla promozione dei prodotti alimentari provenienti da filiera corta, nonché dei prodotti di particolare pregio qualitativo, ossia quelli provenienti da coltivazioni biologiche, a denominazione tutelata, tipici o tradizionali. Questi progetti di legge individuano la filiera corta come quella modalità di distribuzione alimentare che prevede un rapporto diretto tra produttori e consumatori, singoli o organizzati, riducendo il numero degli intermediari commerciali. In questo canale commerciale gli acquisti possono avvenire tramite vendita diretta in azienda, nei mercatini, o in appositi spazi dedicati, tramite gruppi di acquisto, cooperative di consumo o commercio elettronico. I due progetti di legge innanzitutto intendono dare una definizione degli argomenti trattati e successivamente tentano di stabilire i principi con cui le pubbliche amministrazioni devono affrontare la filiera corta, sia incentivandola nella ristorazione collettiva, così come già indicato nell'azione 3.1 del Programma di Azione Nazionale sul biologico 2008-2009, introducendo la possibilità di valorizzare la filiera corta e le produzioni di qualità nei punteggi delle gare di appalto, sia agevolando la vendita diretta con specifiche operazioni di sostegno - spazi e superfici riservati nei luoghi di vendita, taglio del 50% delle imposte per le opere edili realizzate dagli operatori della Grande Distribuzione Organizzata (GDO) che trattino almeno il 30% in valore di produzioni da filiera corta - e semplificazione amministrativa. Infine, i due progetti di legge prevedono o di predisporre un marchio di filiera a “CHILOMETRI ZERO” attestante la qualità ambientale del prodotto o l'inserimento delle aree agricole dedite alle produzioni commercializzate in filiera corta e di qualità nel sistema di tutela paesaggistica e del paesaggio storico-rurale. Le competenze delle regioni e delle province autonome sono investite in maniera alquanto rilevante, pertanto le stesse dovranno provvedere ad attuare le direttive stabilite in linea generale nei due progetti di legge, rivedendo o rifacendosi all'abbondante normativa regionale già presente sui medesimi argomenti.

Lavoro di analisi: biologico e filiera corta in Sardegna

In riferimento agli elementi di analisi sopraccitati e in linea con un precedente lavoro di studio sulla conduzione dei “farmer’ markets”, (Galisai T. et al, 2009), in cui oggetto di analisi erano le problematiche relative al consumo di prodotti bio, nel nostro lavoro si è proseguita l'indagine mediante la predisposizione di un questionario da sottoporre a produttori bio operanti nella regione Sardegna, al fine di far emergere possibili punti di forza e di debolezza della filiera corta del biologico in Sardegna. L’analisi fa riferimento a un numero di 25 questionari somministrati per posta elettronica o tramite intervista diretta ad imprenditori agricoli biologici ; metà di questi operano nel farmer's market di Nuoro, mentre la rimanente parte è stata individuata in modo casuale al fine di avere una più ampia copertura dell'intero territorio regionale. Le imprese agricole intervistate non operano solo in filiera corta, ma si muovono su diversi canali di vendita.
L'età media degli operatori intervistati è di 43 anni, di cui il 72% di sesso maschile, con un livello di istruzione prevalentemente di scuola media superiore. Circa la metà degli operatori sono aiutati da familiari nella loro attività mentre solo un quarto di essi dispone di dipendenti. Molti operatori sono iscritti ad associazioni di categoria e, in numero minore, anche alle Organizzazioni di Produttori. L’imprenditore tipo intervistato opera nel settore zootecnico o in quello ortofrutticolo con dimensioni di impresa “medio-grandi”, in particolare la superficie media aziendale è di 69 ettari coltivati in biologico. Considerando invece i soli operatori ortofrutticoli, la superficie si attesta intorno ai 33 ettari2. Le ragioni che spingono gli operatori ad associarsi sono legate sia all’esigenza di condividere informazioni con altri agricoltori sia a motivi fiscali piuttosto che per acquisire potere di mercato o ridurre i costi di commercializzazione e marketing. Le motivazioni alla base della scelta di condurre in biologico sono principalmente di tipo ambientale-ecologico e, in minor misura, legate alla speranza di maggior reddito. L'assistenza agricola è affidata a esperti del settore (tecnici) o all'auto-formazione tramite seminari e bibliografia. Nel complesso, solo nel 50% dei casi gli operatori mostrano di apprezzare l'attuale processo di certificazione.
Analizzando la modalità di vendita, emerge una contrapposizione tra operatori ortofrutticoli e operatori zootecnici. I primi, riescono o stanno tentando di esplorare diversi canali di commercializzazione. In particolare, la vendita diretta in azienda rappresenta il maggior canale di sbocco mentre i mercatini biologici o la vendita diretta a domicilio sono invece indicati come canali di commercializzazione residuali rispetto al precedente. Gli allevatori, invece, sono vincolati sia dall'esistenza di un unico canale di vendita per il prodotto fresco, sia dalla bassissima convenienza economica nell’affrontare spese addizionali per la trasformazione e commercializzazione diretta del prodotto in azienda. Rispetto alla domanda su quali canali di vendita si vorrebbe operare, le preferenze si distribuiscono equamente verso le opzioni indicate e, in particolare, a fronte di una minima preferenza verso la vendita ai grossisti, si nota la propensione a voler sviluppare canali di vendita non tradizionali raggiungendo direttamente il consumatore a domicilio o nei mercati. È da notare che la Grande Distribuzione Organizzata (GDO) rappresenta un tabù per più dell'80% degli operatori, sia perché non riescono ad inserirsi in tale canale di vendita, sia perché molti si rifiutano spontaneamente di vendere in questo canale.
Il prodotto è venduto effettivamente come biologico nell'80% dei casi, anche se spesso, e soprattutto per i prodotti zootecnici, non è pagato come tale venendo equiparato al corrispettivo convenzionale. Poco affermato risulta essere l'uso di marchi aziendali in aggiunta al logo bio comunitario e non si nota la tendenza a differenziare il prezzo tra i vari canali di vendita. Riguardo il prezzo di vendita, esso viene fissato sia osservando l'andamento del mercato sia tenendo conto della dinamica dei costi di produzione. Rispetto ai metodi di produzione convenzionali, circa l’80% degli operatori denuncia una maggiorazione dei costi per la conduzione in biologico.
Per quanto riguarda la filiera corta e il ruolo dall'amministrazione pubblica, i risultati dell'indagine mostrano che più di due terzi degli operatori auspica misure di sostegno diretto (contributi inizio attività) o indiretto (pubblicità dei mercati, educazione dei consumatori a partire dalle scuole) mentre l'aspetto legislativo (regolamento dei mercati) è ritenuto importante solo da un terzo di essi. Tra gli aspetti da migliorare nella filiera corta, più della metà degli operatori ritiene si debbano aumentare i centri di trasformazione, in particolare caseifici e macelli, e inoltre ne richiedono una migliore localizzazione regionale. Relativamente ai mercatini del biologico, i produttori considerano molto importante sia effettuare un controllo sulle produzioni (può partecipare al mercato e vendere biologico solo chi può fornire la certificazione), sia dare un ampio risalto all'iniziativa. Ipotizzando infine che tutti gli operatori siano inseriti nel circuito dei mercati biologici verso il consumatore finale, il 68% dichiara di potervi partecipare in più occasioni durante la settimana ma, nel caso in cui vi sia la compresenza di operatori convenzionali, il 48% degli operatori è contrario a parteciparvi.
Dato il numero poco consistente di operatori intervistati, l'analisi ci sembra abbia consentito di identificare più chiaramente i punti di debolezza piuttosto che quelli di forza della filiera corta delle produzioni biologiche in Sardegna. In particolare, a fianco della convinzione degli operatori biologici di poter potenzialmente ottenere risultati importanti muovendosi attraverso le filiere corte, si nota come manchi il ricorso all'associazionismo tra imprese per condividre costi di marketing o strutture di commercializzazione, trasformazione e vendita, fotografando una situazione di non collaborazione imprenditoriale aggravata dalla mancanza di occasioni di vendita e di sbocchi diretti verso il consumatore.

Conclusioni

Dovendo, dunque, focalizzare gli elementi chiave emersi dall’indagine, si può ben dire che, se da un lato, il sistema biologico in Sardegna inizia a dare dei buoni risultati, dall’altro, appare chiaro che ancora necessita di una maggior attenzione, sia in materia di promozione pubblicitaria sia nella gestione e sostegno finanziario. Appare evidente che, vista la riduzione di superfici coltivate con metodo biologico, il sostegno finanziario sia in alcuni casi l’elemento chiave di adesione a tale metodo. Dall’analisi dei questionari emerge che il costo di produzione dei prodotti bio è più elevato del corrispettivo prodotto convenzionale e, nei canali di vendita classici, si nota la tendenza a pagare il prodotto biologico allo stesso prezzo fissato per il corrispettivo convenzionale. . Molto probabilmente nella filiera sarda, si è legati ancora al concetto di qualità commerciale e non a quello di qualità ambientale e del processo produttivo che dovrebbero essere, invece, i punti di forza del prodotto bio. Solo i produttori ortofrutticoli riescono meglio ad adattarsi alla commercializzazione tramite filiera corta, riuscendo in diversi casi a valorizzare presso il consumatore la qualità del prodotto biologico. Per quanto riguarda la legislazione in materia di filiera corta, questa risulta carente e le discussioni politiche in questa direzione finiscono quasi esclusivamente nell'assimilare la filiera corta al solo canale di vendita dei farmer's market. Dall'indagine emerge come vi siano possibilità di promuovere ed esplorare le diverse possibilità di operare in filiera corta, soprattutto tramite vendita diretta in azienda (che è quella maggiormente praticata dalle aziende intervistate), nei mercati e persino attraverso appositi spazi concessi all'azienda agricola biologica presso la GDO. Da questo punto di vista, la possibilità dell'imprenditore agricolo di ottenere una remunerazione maggiore del prodotto potrebbe giustificare i maggiori costi aggiuntivi legati a tali forme di vendita.

Riferimenti Bibliografiici

  • 1. Circa il 20% dei prodotti primari sono venduti direttamente al consumatore, mentre solo il 5% di quelli trasformati sono destinati alla vendita diretta (ISMEA, 2007)
  • 2. Solo in alcuni casi si è incontrata una conduzione mista zootecnica e ortofrutticola.
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