Introduzione (1)
Il presente contributo s’inserisce nell’ambito di un progetto Prin dedicato ai “Paesaggi agrari tradizionali (Pat) (2). Il tema del paesaggio agrario e rurale rappresenta per gli economisti agrari un ambito di studio non certo recente (3), tuttavia, tema di una rinnovata riflessione (Antonelli e Viganò, 2007, Marangon et. al., 2007, Piccinini, 2005, Torquati, 2007) che può essere inquadrata in un contesto – spesso interdisciplinare – più ampio, in cui oggetto di attenzione è l’individuazione e la catalogazione di specifiche tipologie di paesaggio (4).
Nel progetto Prin cui qui si fa riferimento, in prima battuta i Pat sono definibili come quegli ambiti presenti in un determinato territorio da lungo tempo e che risultano stabilizzati o evolvono lentamente nel tempo. Essi sono generalmente legati all'impiego di pratiche caratterizzate da un ridotto impiego di energie sussidiarie, con la presenza di ordinamenti colturali distinti da lunga persistenza storica e forti legami con i sistemi sociali ed economici locali che li hanno prodotti. Il Pat è un paesaggio culturale, che si configura come la massima integrazione tra ambiente naturale e attività antropica (Birks, 1988).
Il presente contributo prende le mosse dalle riflessioni sul concetto di Pat in economia agraria; in particolare, s’intende definire un percorso metodologico, in un’ottica segnatamente interdisciplinare, attraverso il quale possano essere definiti e identificati i Pat italiani ai fini della loro catalogazione e valutazione.
Scelte economiche ed elementi di paesaggio
Il paesaggio, quale forma percettiva, è il risultato delle interazioni tra ambiente naturale e componente antropica. I caratteri evolutivi del paesaggio vanno posti in relazione alle dinamiche che si instaurano tra il contesto naturale e l’ambiente operativo dell’uomo che abita e utilizza il territorio agrario. Procedendo in questa direzione analitica il primo quesito utile per lo studio del paesaggio agrario è: quali sono le dinamiche che sottendono al processo costruttivo del paesaggio operato dalla componente antropica? In altri termini, qual è l’obiettivo ultimo dell’azione di trasformazione dell’ambiente naturale, e quindi di costruzione del paesaggio da parte dell’uomo? Per rispondere a questa domanda va rilevato che lo spazio in cui è possibile osservare l’azione antropica potrebbe definirsi, in sintesi, lo spazio dei mercati (5), ossia uno spazio, non solo fisico, definito dall’azione dell’uomo quale agente economico, con la gamma dei suoi obiettivi e delle sue scelte.
Gli obiettivi, secondo un approccio economico-agrario, possono essere visti in termini imprenditoriali, aziendali, familiari. Le diverse tipologie d’impresa (e di famiglia o di azienda), perseguono finalità delle quali la recente letteratura economico-agraria ha mostrato la grande diversificazione (6). Tuttavia, se si volessero sintetizzare tali obiettivi in una finalità di carattere generale, questa si potrebbe indicare nella massimizzazione della funzione di utilità che l’impresa ricava dal bene fondiario (7). Dagli obiettivi imprenditoriali scaturiscono poi, gerarchicamente, una serie di scelte economiche e sociali dell’imprenditore agricolo e della sua famiglia. Le scelte a livello d’impresa agraria, di tipologia familiare e a livello aziendale sono condizionate, ovviamente, da un contesto economico e sociale più ampio – di portata molto variabile – rispetto a quello locale (8). Le scelte imprenditoriali e aziendali, quelle familiari, le dinamiche del mercato, le interazioni con la struttura produttiva e istituzionale, il sistema economico nel suo complesso, definiscono i processi di utilizzazione delle risorse naturali da parte dell’uomo. In definitiva, il sistema socioeconomico diventa quindi la determinante principale insieme ai caratteri ambientali originari del paesaggio.
In questo senso il classico schema delle scelte “aziendali” proposto da Serpieri (1946), in cui la “scelta della combinazione produttiva da parte dell’imprenditore agricolo è determinata da fattori vari che sono in parte oggettivi, in parte soggettivi”, è molto utile per comprendere le scelte aziendali e i fattori ambientali ed ecologici primari coinvolti. In tal modo è possibile riconoscere gli effetti che la componente naturale ha avuto sulle scelte dell’uomo e su come quest’ultimo abbia trasformato il paesaggio. In uno scritto del 1951 Medici descriveva così il complesso di tali relazioni: “A chi attentamente osservi la complessa e intricata struttura agricola e fondiaria del Mezzogiorno continentale e della Sicilia appare chiaro che il fatto originario di ordine fisico, clima e terreno, ha avuto una parte preponderante nel determinare il sistema di coltura e, quindi, il tipo d’impresa. Non è difficile rendersi conto che là dove ancor oggi domina la grande proprietà di tipo latifondistico prevalgono i terreni pesanti, argillosi, sui quali l’albero cresce a fatica o muore per asfissia radicale oppure richiede costosi lavori di impianto di convenienza ed efficacia dubbie. Ed è altrettanto facile costatare che, nel cuore delle estese zone latifondistiche, l’esistenza di terreni grossolani o porosi e leggeri o comunque idonei alla vite, all’olivo oppure al mandorlo ha permesso il rapido diffondersi di imponenti arboreti”.
Le scelte in merito alla “combinazione produttiva” – e ai processi produttivi – determinano quindi le forme dei paesaggi, ossia le strutture, cui corrispondono una serie di funzioni e di flussi. I paesaggi sono quindi “forme” analizzabili in relazione alle funzioni che generano. All’interno di tale categoria interpretativa, in definitiva, il paesaggio diventa analizzabile attraverso la sommatoria di funzioni che lo descrive. In questo sviluppo non va dimenticato che, secondo un approccio di economia ambientale, le funzioni – eco-sistemiche, sociali ed economiche – non sono altro che servizi, cui corrispondono valori, e variazioni del benessere pubblico sintetizzabile in uno schema concettuale (Tabella 1).
Se l’analisi compiuta è condivisibile, allora siamo in condizione di proporre l’attributo di tradizionalità, riferito al paesaggio agrario: la tradizionalità è un’espressione della complessità funzionale del territorio che deriva dai caratteri oggettivi (vincoli) e soggettivi (obiettivi imprenditoriali) che determinano le scelte produttive.
In chiave sistemica, Gibelli (2008) definisce il paesaggio intrinsecamente complesso, frutto di una co-evoluzione, in una condizione di reciprocità, del sistema naturale e di quello antropico. Ancora, Gibelli osserva come l’impatto umano sul paesaggio si risolva in una riduzione della complessità, in una minore autopoiesi e resilienza. Un’altra caratteristica interessante è il contenuto d’informazione ed energia presente nei paesaggi: in un sistema stabile gli elementi sono strutturali secondo un flusso di energia e d’informazione che ne guida l’interazione. “L’informazione può guidare le scelte del sistema, e l’energia ne guida l’attuazione” (Gibelli, op. cit.). Al contrario la crescente semplificazione richiede minore informazione e un maggiore uso di energia ausiliaria.
L’analogia con il sistema del paesaggio agrario, sintesi del sistema naturale e di quello antropico, è evidente. La tradizionalità implica la necessità di tenere conto, nelle scelte imprenditoriali e aziendali, dei caratteri ecologici, con i limiti che questi pongono. Questa complessità decisionale ha portato alle forme tradizionali d’uso delle risorse.
Il Pat è frutto quindi della complessità ambientale, economica, sociale, territoriale, e il suo opposto – quello che potrebbe essere definito il paesaggio agrario non tradizionale (Pant) – è descritto dalla semplificazione. In questo senso, l’attributo di tradizionalità implica la presenza di alcuni caratteri (vincoli), originariamente presenti negli ecosistemi agrari, ma frequentemente cancellati dall’agricoltura industriale. Complessità vs. semplificazione diviene la chiave di analisi privilegiata per esaminare, distinguere, classificare i paesaggi.
Tabella 1 - Scelte economiche ed elementi di paesaggio
Elementi per la definizione di un approccio metodologico
L’articolazione del percorso metodologico finalizzato allo studio, all’identificazione e alla catalogazione dei paesaggi agrari ha cercato di individuare gli strumenti conoscitivi da adottare e le fonti documentali da privilegiare al fine di ricostruire l’evoluzione degli elementi del paesaggio insieme alle relazioni e ai fattori responsabili delle trasformazioni del territorio agrario. La prima delle ipotesi tracciate è stata quella di studiare l’evoluzione d’uso del suolo in un intervallo che si collocava tra la seconda metà degli anni Cinquanta fino ai nostri giorni (9). Procedendo nel lavoro, tale ipotesi è parsa riduttiva - non solo con riferimento alla necessità di allargare la scala temporale agli anni Venti e Trenta del ‘900, quando hanno avuto luogo alcuni dei cambiamenti strutturali di politica agraria e d’intervento sul territorio più rilevanti per lo studio del paesaggio agrario -; ma soprattutto rispetto alla possibilità di declinare l’evoluzione d’uso del suolo rispetto a temi d’indagine specifici, e individuare una chiave per la lettura multidisciplinare dei caratteri evolutivi del paesaggio agrario, che integrasse studi di geografia economica, di sociologia rurale, elementi di architettura del paesaggio, di economia agraria, di ecologia, di antropologia culturale. Da qui l’idea che l’evoluzione d’uso del suolo fosse l’elemento chiave di una assai più articolata analisi diacronica, in cui oltre alla cartografia, studiare le fonti documentali iconografiche, architettoniche, documentarie, archivistiche, fotografiche.
Il percorso prevede in sintesi tre momenti chiave: l’analisi diacronica dell’evoluzione d’uso del suolo, declinata rispetto ai temi e con gli strumenti d’indagine accennati, il lavoro in situ che completa rispetto all’oggi lo studio delle trasformazioni del paesaggio, e la fase trasversale di riflessione teorica e metodologica. Lo studio ha previsto la redazione di schede per il rilievo e la catalogazione che, pur mantenendo un’impostazione omogenea di lettura degli elementi del paesaggio agrario (ecologici, storici, socioeconomici, agronomici), si sovrappongono ai singoli territori in modo da comprendere in profondità gli assetti identitari e le specificità.
L’identificazione dell’unità territoriale di riferimento è uno dei temi chiave all’interno del quadro tracciato. Si è scelto di assumere come unità di paesaggio le zone agrarie, nei limiti loro assegnati dal catasto; questo perché tali aree - “costituite da un gruppo di territori comunali che si trovano in analoghe condizioni naturali e agrarie” (10)-, si configurano come ambito d’indagine privilegiato e dimensionalmente omogeneo, l’integrazione tra la componente fisico-ambientale e quella antropica che regola i meccanismi di equilibrio e le relazioni interne ai Pat.
Il lavoro è in corso di svolgimento. La prima fase procede con la rassegna bibliografica e l’analisi della letteratura e delle fonti documentali disponibili. Lo studio ha preso avvio dall’imponente serie di contributi, unitamente ai saggi e alle riflessioni pubblicate da numerosi studiosi, in larga parte pubblicati dall’Inea. L’impostazione e i contenuti di tale letteratura hanno contribuito sia da un punto di vista strettamente storiografico, che più propriamente metodologico a individuare le direttrici della nostra analisi diacronica. All’interno delle analisi territoriali legate ai temi micro economici sono di notevole valore le ricerche prodotte a cavallo tra le due guerre. E’ il caso, ad esempio, dell’Inchiesta sulla diffusione della piccola proprietà coltivatrice (Inea, 1939) coordinate da Lorenzoni (1938), che ne curò la sintesi finale, forse tra i lavori più noti e meglio sfruttati dagli economisti agrari; ancora i Rapporti fra proprietà impresa e manodopera (Inea, 1931), che riguardano le forme di conduzione e i tipi di contratto che legavano conduttori e manodopera, con la discussione finale dello stesso Serpieri (1947), che originariamente non comprendevano la ripartizione per superfici dei diversi tipi d’impresa, restando quindi su un piano meramente qualitativo e che portarono nel dopoguerra all’indagine di Medici (1951) sui Tipi d’impresa nell’agricoltura italiana, con i dati del I Censimento della popolazione e una notevolissima cartografia.
L’insieme di questi contributi, inclusi quelli del periodo immediatamente successivo, è il caso dell’Analisi zonale sull’agricoltura italiana (Inea, 1965), coordinata da Rossi-Doria, consentono di tracciare un quadro relativo estremamente articolato, non solo sul piano degli ordinamenti colturali, delle tipologie aziendali e dei loro risultati economici, ma ancor più attraverso le riflessioni su di un piano più strettamente sociologico e relativo alle trasformazioni del territorio che consentono.
Questo dei rapporti tra scelte economiche e caratteri evolutivi degli elementi del paesaggio costituisce il centro dell’indagine, la quale si è arricchita anche grazie ai contenuti di lavori di carattere più strettamente socio antropologico redatti in quello stesso periodo. E’ il caso delle Monografie di famiglie agricole (Inea, 1935), con la sintesi a livello nazionale di Giusti (1940), che contengono documentazioni fotografiche e in alcuni casi cartografiche e un quadro d’insieme sulla vita rurale negli anni Trenta che consente di tracciare un quadro di geografia economica locale, di antropologia culturale, nonché relativo alle forme e ai caratteri insediativi dell’architettura rurale (Nuove costruzioni rurali, Inea, 1932), Vi sono poi lavori cartografici, di analisi dei caratteri strutturali per aree geografiche e di monografie su singoli comparti agricoli con relative analisi critiche, che qui per brevità non citeremo, i quali largamente stanno contribuendo all’analisi. La “rivoluzione” (Galassi, Zamagni, 1994) rappresentata dalla connotazione interdisciplinare dell’analisi economico agraria e dal livello dell’approfondimento analitico degli studi pubblicati dall’Inea, è stata l’elemento di base per la nostra riflessione teorica e metodologica.
Conclusioni
La discussione articolata nella presente nota ha inteso sintetizzare una possibile categoria interpretativa del rapporto tra azione antropica e dinamiche evolutive del paesaggio agrario. Il percorso esaminato si sviluppa in una duplice direzione; da un punto di vista metodologico, lo sforzo è teso a sperimentare direttrici di ricerca interdisciplinare e, per certi versi eterodossa, attraverso cui “leggere” il paesaggio e i suoi elementi. Tale criterio analitico si propone, altresì, di valorizzare l’indagine di campo e la necessità di calarsi nella realtà territoriale per poter interpretare i fenomeni socioeconomici e comprendere il complesso delle relazioni che sono alla base della struttura del paesaggio. In secondo luogo, da un punto di vista teorico analitico, attraverso lo studio delle relazioni tra evoluzione del paesaggio e scelte socioeconomiche, s’intende esaminare i caratteri identitari del paesaggio agrario e il ruolo che questi territori ricoprono all’interno degli interventi di pianificazione ambientale, urbanistica e socioeconomica del territorio. Si ritiene che solo un lavoro di analisi storica possa porre le basi, per una riflessione sulle funzioni del paesaggio rurale tradizionale, e più in generale, sulla connotazione che assumono oggi le aree agricole, quelle interne e marginali o come periurbane, e sul ruolo da assegnare a questi spazi all’interno delle politiche di sviluppo del territorio.
Note
(1) Gli autori ringraziano per il prezioso contributo alla ricerca bibliografica il personale delle Biblioteche dell’Inea e del Mipaf.
(2) In particolare, nel più ampio contesto del progetto Prin “I paesaggi tradizionali dell'arboricoltura italiana: metodologia per la catalogazione e la valutazione”, l’UO dell’Università del Molise, cui fanno riferimento gli autori, ha come obiettivo la “Valutazione delle funzioni economica, sociale ed ambientale svolte dalle diverse tipologie di paesaggi agrari”.
(3) Si pensi al fondamentale studio di Sereni sulla Storia del paesaggio agrario italiano del 1961.
(4) Si veda ad esempio le “tipologie” dei paesaggi rurali di interesse storico o i paesaggi sensibili per i quali sono state recentemente condotte ricerche e indagini da parte del Mipaf, che ha censito i primi producendo un Catalogo e di Italia Nostra che ha definito i secondi.
(5) I Mercati sui quali l’imprenditore e la sua famiglia compiono le proprie scelte, relative, quindi ai prodotti, ai fattori di produzione, al lavoro, ai capitali, sino a interessare l’ambito delle relazioni istituzionali e sociali.
(6) Si pensi sotto questo profilo al dibattito sulla pluriattività.
(7) Dalla massimizzazione dei redditi ai benefici connessi all’insediamento o alla conservazione del capitale, in ogni caso l’utilità è connessa al fondo e quindi al paesaggio.
(8) Anche se oggi sembra scontato individuare la relazione tra dinamiche economiche globali, scelte aziendali e paesaggio, il fenomeno non è certo nuovo. Bevilacqua (1989), ad esempio, ha messo in luce come quelli che oggi vengono considerati elementi portanti dei paesaggi agrari del Mezzogiorno siano stati influenzati dall’evoluzione del commercio internazionale di frumento della seconda metà dell’ottocento.
(9) Nello specifico i due momenti erano individuati dalla cartografia d’uso del suolo del Tci del 1958 e della Corinne Land Cover del 2000.
(10) Catasto Agrario del 1929.
Riferimenti bibliografici
- Antonelli G., Viganò E., (a cura di), (2007), Agricoltura e Paesaggio nelle Marche, Franco Angeli, Milano.
- Bevilacqua P. (1989), “Clima mercato e paesaggio agrario”, in Bevilacqua P. (a cura di), Storia dell’agricoltura italiana in età contemporanea, Marsilio, Venezia.
- Birks H. (a cura di), (1988), The cultural Landscape: past, present and future, Cambridge University Press.
- Galassi F., Zamagni V. (1994), “L’azienda agraria: un problema storiografico aperto” in D’Attore P.P., Bernardi A. (a cura di) Studi sull’agricoltura italiana, Feltrinelli, Milano.
- Gibelli G. (2008), “Ecologia e Governance del Paesaggio”, Atti del X Congresso Nazionale SIEP-IALE, Ecologia e Governance del Paesaggio, 2008.
- Giusti U. (1940), Aspetti di vita rurale italiana, Inea, Roma.
- Inea (1931), Rapporti fra proprietà impresa e manodopera (serie 7), Inea, Roma.
- Inea (1932) Nuove costruzioni rurali (serie 4), Inea, Roma.
- Inea (1935), Monografie di famiglie agricole (serie 14), Inea, Roma.
- Inea (1939), Inchiesta sulla diffusione della piccola proprietà coltivatrice (serie 12), Inea, Roma.
- Rossi Doria M. (1965), Analisi zonale sull’agricoltura italiana, Portici. Italia Nostra, Paesaggi Sensibili, [link].
- Marangon F., Reho M, Brunori G., (2007), La gestione del paesaggio rurale tra governo e governance territoriale, Franco Angeli, Milano.
- Medici G. (1951), I tipi d’impresa nell’agricoltura italiana, Inea, Roma.
- Mipaf, (2008), Progetto di ricerca per la creazione del "Catalogo Nazionale Dei Paesaggi Rurali", Piano Strategico Nazionale per lo Sviluppo Rurale 2007-2013.
- Piccinini L., Chang Ting Fa M., Taverna A. (2005), Utilità privata e utilità pubblica nell’evoluzione paesistico ambientale, Agribusiness Paesaggio e Ambiente, n°1, 2005.
- Sereni E. (1961), Storia del Paesaggio Agrario italiano, Bari.
- Serpieri A., (1946), Istituzioni di Economia Agraria, Edagricole Bologna.
- Serpieri A. (1947), La struttura sociale dell’agricoltura italiana, Roma.
- Torquati B. M. (a cura di), (2007), Agricoltura e Paesaggio in Umbria e Lazio, Franco Angeli, Milano.