Introduzione
Il “cantiere” della Strategia nazionale aree interne (Snai), aperto da un paio d’anni in quasi tutte le regioni italiane, sta sollecitando le istituzioni interessate a rileggere l’azione pubblica partendo dal territorio. In apparenza la mossa non è nuova. La si è fatta o si è tentato di farla a più riprese, con successive generazioni di politiche di sviluppo bottom up. Ma il caso aree interne si differenzia da questi precedenti: la via che indica non è bottom up e neppure top down. L’approccio seguito è place-based, che significa impegno congiunto di Centro e Locale: né ricette dall’alto né auto-determinazione dal basso o comunitarismo, ma un’interazione di apporti sul merito delle questioni territoriali, considerate nella loro particolarità (Barca, 2011; 2015).
Mentre l’esperimento è in corso un bagaglio già consistente di esperienza è disponibile alla riflessione. Tra i molti aspetti che sarebbe interessante esaminare, ne scelgo uno al quale penso sia da attribuire una speciale importanza: quello della capacità dell’approccio place-based di favorire nelle amministrazioni locali una migliore conoscenza e capacità di lettura delle risorse e dei potenziali del proprio territorio, e l’uso di questa conoscenza nel programmare e progettare interventi.
Spesso in passato si sono viste progettazioni prive di fondamento nella conoscenza delle forme del popolamento e delle attività produttive; l’osservazione e l’approfondimento dell’analisi del contesto locale è un punto chiave per il successo della Snai. Sinché si sta alla superficie, sembra che le aree interne abbiano tutte gli stessi problemi: spopolamento, invecchiamento, dispersione scolastica, scarsa manutenzione del territorio, boschi abbandonati etc., ma l’omogeneità è un’illusione. Ogni società locale ha un proprio modo di stare dentro a queste situazioni e proprie opportunità di uscita. Contano naturalmente la geografia, la storia, l’organizzazione dei servizi, le gravitazioni, la capacità istituzionale: tutti elementi che nel breve-medio termine sono o tendono ad essere costanti, strutturali. Allo stesso tempo contano anche i comportamenti che giorno dopo giorno rendono persistenti i problemi e ostacolano il cambiamento. Questi comportamenti traggono origine da sistemi di rapporti e meccanismi che si riproducono in continuo, e che, luogo per luogo, assumono diverse e particolari configurazioni. Ognuno di essi è ambivalente, contiene ragioni per mantenersi inalterato o per variare. Nella possibile variazione si trova lo spazio per agire con l’intervento. Senza un’osservazione partecipe, la disposizione a soffermarsi nella descrizione e nella comprensione, ci sono poche probabilità che i progetti colgano nel segno. Potranno echeggiare formule di moda, riempire un vuoto di discorso politico, assolvere apparentemente alla funzione: nei fatti non riusciranno a incidere.
Affronto l’argomento attingendo all’esperienza diretta: un anno di lavoro sul campo nelle aree delle Marche interessate dalla Snai, nel ruolo di assistenza tecnica alla Regione.
I principali riferimenti teorici dell’analisi sono tre: oltre all’approccio place-based fondativo della Strategia aree interne, la nozione di indagine nella tradizione pragmatista americana (Dewey 1949) nella rielaborazione di Schön (1993), e l’approccio alla diffusione delle innovazioni nella Actor-Network Theory (Ant) (Callon, 1986a; 1986b; Gherardi e Nicolini, 1999).
L’articolazione è la seguente: il primo paragrafo descrive come il percorso Snai codificato imposta e organizza la conoscenza dei luoghi di intervento; il secondo introduce alcuni elementi teorici di riferimento e propone una chiave di lettura dei processi di attuazione; il terzo discute un linea di possibile rafforzamento delle funzioni di osservazione e conoscenza dei luoghi; il quarto e conclusivo paragrafo riassume gli snodi di analisi e la proposta.
Percorso Snai e conoscenza dei luoghi
L’arrivo della Strategia nazionale in una delle aree interne selezionate significa, per gli attori di quell’area e per la Regione interessata, misurarsi sin dal primo momento con un percorso e un metodo codificati; partecipare a un’organizzazione di rapporti e un modo definito di inquadrare e affrontare le questioni attinenti alle diverse tematiche considerate, sul versante dei servizi alla popolazione e dello sviluppo locale.
L’agente principale del percorso e del metodo è il Comitato nazionale aree interne (d’ora in avanti Centro per semplicità), strutturato per assicurare una presenza diretta nei passaggi chiave in ciascuna area e per seguire l’evoluzione in continuo a distanza. La Regione ha un ruolo misto, sia di contributo all’attuazione sia di partecipazione alla funzione di guida. Le amministrazioni locali sono protagoniste dell’attuazione assieme agli stakeholder che coinvolgono.
In ogni area il percorso di attuazione può essere articolato in tre fasi: Contatto, Scouting, Strategia.
- Contatto. Nella prima fase il Centro incontra un gruppo di attori locali e regionali nel corso di una missione di campo. Un set di indicatori costruito e valorizzato dal Centro costituisce la base informativa su cui si avvia il confronto. Gli indicatori sono gli stessi per tutte le aree e prendono in esame un insieme variegato di profili, per tutti i temi chiave oggetto di attenzione. Nei mesi successivi gli attori locali svolgono il lavoro di preparazione della Bozza di strategia, il primo documento di intenti. La Bozza deve esprimere un posizionamento rispetto ai problemi esistenti e tracciare i primi indirizzi di intervento.
- Scouting. La seconda fase è dedicata all’approfondimento della Bozza. Il metodo prescritto dal Centro prevede la ricerca e il coinvolgimento di altri attori territoriali, pubblici e privati, in condizione di dare un contributo significativo. La ricerca è indirizzata in particolare verso quelle esperienze locali che si segnalano per qualità, originalità, innovazione sia nell’ambito economico produttivo sia nell’ambito sociale e nell’organizzazione dei servizi di welfare, culturali, educativi, di mobilità, di comunicazione e digitali. I protagonisti delle esperienze selezionate, spesso chiamati per brevità “innovatori”, sono contattati, ascoltati, coinvolti negli incontri funzionali all’affinamento della Strategia. La loro voce integra e arricchisce la voce del primo gruppo di attori che era stato mobilitato nella redazione della Bozza. Nuovi elementi di conoscenza si aggiungono, assieme a nuovi giudizi e idee. Lo scouting si prolunga per alcuni mesi, raggiunge un punto alto di visibilità in occasione di un Forum ampiamente partecipato in cui il Centro è presente e attivo.
- Strategia. La terza fase comprende la redazione dei due documenti successivi nel percorso codificato: il Preliminare di strategia e la Strategia d’area. Il Preliminare nasce dalla valorizzazione di tutti i contributi raccolti nel periodo precedente, è un lavoro di riorganizzazione e di sintesi che utilizza i contributi dei soggetti coinvolti con lo scouting e i materiali di analisi territoriale prodotti dai tecnici mobilitati dalla Regione e dall’Ente locale capofila. Il livello di maturazione è sensibilmente maggiore di quello della Bozza, sia nel presentare i problemi sia nell’indicare le scelte di intervento. Il documento include una tavola dei risultati attesi, degli indicatori e delle azioni, primo quadro logico di riferimento della strategia in fieri. Dopo l’approvazione del Preliminare da parte del Centro, inizia un lavoro di affinamento delle ipotesi di intervento che si conclude con la redazione della Strategia d’area e delle schede progetto. Lungo tutto il periodo, sia durante la preparazione del Preliminare sia durante la stesura della Strategia, si attivano gruppi locali tematici con il compito di mettere a fuoco le decisioni via via più precise e definite in cui la Strategia si deve sostanziare. Viene prodotto molto materiale grigio a circolazione ristretta: materiale di lavoro intermedio che progressivamente diventa materiale di progetto. Molti incontri sono convocati sia per assicurare la coerenza complessiva delle attività, sia per armonizzare il lavoro dei gruppi Snai con la programmazione regionale di settore.
In tutte le fasi del percorso la conoscenza dei luoghi di intervento – caratteri, fabbisogni e potenziali – è all’ordine del giorno. Il metodo consiste nello svolgere un progressivo approfondimento di una visione all’inizio schematica e poi sempre più dettagliata. La via privilegiata nell’ottenere questo approfondimento è l’inclusione di attori portatori di conoscenza pregiata: persone capaci, competenti, con un punto di vista meritevole di attenzione e di considerazione. Attraverso l’ampliamento della compagine locale a questi soggetti, il processo di decisione e azione segue un itinerario più lungo e articolato di quello che solitamente caratterizza l’assunzione delle decisioni da parte di Sindaci, Giunte, Consigli comunali. Sono investiti più sforzo organizzativo e tempo per l’ascolto, più impegno e tempo per metabolizzare gli apporti informativi e le idee che provengono dalla cerchia delle persone co-interessate al processo.
In questo quadro un salto di qualità nella produzione di conoscenza avviene nell’ultima fase, col lavoro dei gruppi tematici. Per comprendere cosa accade o tende ad accadere in questi gruppi, un riferimento pertinente è la nozione di indagine come codificata da Dewey (1949): ragionamento mentale e azione insieme, in un contesto reale in cui il soggetto si trova coinvolto in transazioni, in interazioni sociali, in scambi non determinati e situazioni aperte. Nel contesto si vivono continuamente dubbi, e l’indagine serve a risolverli. Il dubbio non dipende dal fatto che il soggetto particolare è limitato, non sa quale sia la regola giusta da applicare, ma è inerente alla situazione stessa: il dubbio c’è sempre. Quindi si parte da uno stato di dubbio, confusione, non comprensione, contraddizione etc. e si sviluppa una indagine per orientarsi in questa situazione problematica. Nella visione di Vickers (1968) gli indagatori possono essere di due tipi: “spettatori manipolatori”, osservatori distaccati che non prendono parte ai mondi che studiano e solo a volte li perturbano in condizioni controllate; “agenti esperienti” che si collocano all’interno della situazione problematica come attori interessati. In questo secondo caso chi svolge l’indagine non è qualcuno che la osserva da fuori ma qualcuno che vi è implicato; ne deriva che quando l’indagine esprime il suo esito modifica il contesto ambientale (essendo appunto chi svolge l’indagine interno all’ambiente) e questa modificazione è all’origine di nuove situazioni problematiche da chiarire. Non si arriva mai a un accordo definitivo. Un processo di questo tipo è la “riflessione nel corso dell’azione” che secondo Schön (1993) qualifica la pratica professionale consapevole, generando insieme azione e nuova conoscenza.
È ragionevole ritenere che i gruppi locali che nel quadro della Snai prendono in esame le opzioni per l’istruzione, la salute, la mobilità, il digitale e l’economia locale, sviluppino un’esperienza di indagine più o meno nei termini stilizzati: sono “agenti esperienti” che partono da un contesto problematico e di dubbio, ragionano e agiscono insieme, sviluppano scambi e transazioni, attivano conoscenze funzionali all’esaudimento del mandato loro affidato: discernere le soluzioni migliori e condivise per risolvere le questioni sul tavolo.
Probabilmente è questo il momento del percorso Snai nel quale la conoscenza dei luoghi si fa più fine e consapevole, più vicina al modello di una conoscenza che si interroga sui meccanismi e i sistemi di rapporti responsabili dei problemi attuali, e in grado di percepire gli spazi di intervento capaci di generare effetti.
Intermediari e traslazioni
Per comprendere un po’ più a fondo il percorso Snai e le implicazioni che esso ha sulla costruzione di una buona e consapevole conoscenza dei luoghi, un altro apporto teorico pertinente deriva dalla Actor-Network Theory (Ant). Questo approccio è un riferimento nella discussione su come si diffonde l’innovazione, sotto quali condizioni e attraverso quali meccanismi un impulso iniziale di un soggetto o un’organizzazione inteso a generare innovazione altrove (presso altri soggetti, altre organizzazioni) si propaga e arriva a ottenere un effettivo cambiamento (Callon, 1986a; 1986b; Gherardi e Nicolini, 1999).
In generale la tesi è che l’innovazione non si afferma in virtù dell’impeto iniziale di un’autorità propulsiva ma attraverso una ripetuta traslazione, una catena di passaggi mediata da agenti mossi da un proprio interesse. Più in particolare nell’approccio Ant:
- l’impulso iniziale si affida a intermediari-soggetti (individui o gruppi) o a intermediari-artefatti (testi, simboli, etc.) costituiti, messi in circolazione, attivati allo scopo di ottenere effetti a distanza. (Si pensi per es. a un autore che intende sostenere una nuova tesi e scrive un libro o un paper: intermediari sono i testi che produce, i luoghi in cui li presenta, le cerchie di interlocutori a cui si premura di diffondere questi prodotti del suo lavoro intellettuale affinché la tesi sia conosciuta e riceva attenzione, e così via);
- gli intermediari, una volta in circolazione, generano reti o network composte da coloro che sono raggiunti e stabiliscono una relazione con essi, o che utilizzano gli intermediari come un riferimento nelle loro attività propagandone la conoscenza;
- nell’ambito dei network si sviluppano numerose interpretazioni correlate ai contesti e alle situazioni d’uso. Significa che tutti coloro che entrano a far parte delle reti sono attivi sugli elementi che circolano all’interno di esse, ed esercitano un’influenza di qualche tipo, che può variare nel tempo, modificarsi, assumere una varietà di forme e di specificazioni;
- i passaggi di interpretazione rendono vitali e mutevoli gli elementi in circolo, e dunque svolgono un ruolo proattivo positivo per il propagarsi dell’impulso iniziale; allo stesso tempo, essi contengono sempre un certo margine di “tradimento”, operano cioè una traslazione. (Per tornare all’esempio: si pensi a un convegno in cui i discussant del lavoro dell’autore ignorano sistematicamente una parte dell’argomentazione originale: questa circolerà e sarà meglio conosciuta dopo il convegno, ma sarà anche deformata perché portata alla conoscenza di altri priva di una componente costitutiva).
In sintesi, in questa visione, l’innovazione ha successo e si propaga attraverso traslazioni che comportano modificazioni: interpretazioni, riletture, riformulazioni, mosse di nuova contestualizzazione, etc. I network attivati dagli intermediari non sono contesti neutri, inerti, su cui l’impulso innovativo lascia la sua impronta, ma ambienti in cui influiscono pesantemente interessi, intenzioni e progetti. (Nell’esempio, i discussant che ignorano un segmento della argomentazione non lo fanno per disattenzione, ma orientati da loro propri interessi, intenzioni e progetti; si comportano in quel modo per appropriarsi dell’innovazione in un modo a sé congeniale o funzionale).
Applicata al caso Snai, questa prospettiva è stimolante per quatto motivi:
- invita a considerare il percorso e il metodo codificati dal Centro come un pacchetto di intermediari (soggetti e artefatti) a cui si affida l’innovazione Snai. Alcuni artefatti chiave sono per esempio gli indicatori descrittivi della fase uno, gli indicatori di risultato delle fasi due e tre; le linee-guida e il vademecum per il lavoro di campo; i format di Preliminare e Strategia;
- aiuta a percepire come ogni intermediario-artefatto generi un network (quello che tratta gli indicatori, quello che tratta la Bozza, etc.), e ogni network metta in gioco una popolazione differenziata, selezionata o convocata dall’artefatto, che diventa essa stessa intermediario (il network che si genera attorno agli indicatori è diverso da quelli che si generano attorno al vademecum di campo; la popolazione attiva attorno agli indicatori propaga una visione della Snai influenzata dai ruoli di coloro che ne fanno parte; etc.);
- suggerisce che ogni risposta agli impulsi del Centro è una interpretazione o traslazione. Significa che in ogni fase del percorso, sin dall’inizio, ogni agente che si rende disponibile a diventare propagatore dell’innovazione Snai introduce cambiamenti e opera traslazioni;
- invita a tenere conto del fatto che le traslazioni sono orientate. Non solo il percorso avanza lungo traiettorie aperte esposte all’influenza dei network, ma lungo traiettorie che hanno un definito rapporto con interessi, intenzioni e progetti di definiti attori.
In sintesi il contributo teorico dell’Ant induce a leggere l’attuazione del percorso Snai come un processo complesso che non può essere pianificato ex ante nel suo intero sviluppo ma può essere pianificato nella scelta degli intermediari, in quanto la selezione degli intermediari-agenti e la costruzione degli intermediari-artefatti sono passaggi chiave nella costituzione dei network che decideranno le sorti della politica. Una volta focalizzata l’attenzione sugli intermediari, e risolto il problema di quali possano essere quelli preferibili allo scopo di ottenere determinati effetti, due scelte restano da curare: costituire un presidio sulla formazione dei network, per capire quali network si costituiscono e come funzionano; costituire un presidio sulle traslazioni che avvengono, per darsi conto delle influenze, curvature o deformazioni che inevitabilmente si producono mano a mano che si procede.
Un’analisi che assomigli a un’inchiesta
Nel secondo paragrafo ho ipotizzato che la terza fase del percorso Snai ospiti corsi di decisione e di azione simili a quelle che caratterizzano l’indagine pragmatista. È una ipotesi lusinghiera, che qui avanzo avendo seguito alcune vicende in presa diretta sul campo. La base empirica su cui mi baso è però obiettivamente limitata. È possibile che i gruppi tematici che sto assimilando a “agenti esperienti” e “professionisti riflessivi” (Schön, 1993) non abbiano sempre caratteristiche di spiccata consapevolezza, o non l’abbiano in una misura sufficiente per classificare il loro operato come indagine.
Anche indipendentemente da questo, un punto critico dei gruppi della fase Strategia è che sviluppano un lavoro a breve termine con finalità operative: redigere un piano di investimenti pubblici finanziabile. Il tipo di mandato di cui essi sono caricati esercita una forte pressione sulle modalità di svolgimento dell’attività; in particolare tende a far sì che ci si assesti sulla prima soluzione che appaia soddisfacente sotto il profilo del merito e del consenso (secondo il paradigma della razionalità limitata: Simon 1967).
I gruppi, per essere operativamente efficienti, sono piccoli; talvolta sono molto piccoli, per scarsa disponibilità degli attori locali competenti a partecipare al lavoro o per altri motivi. L’allargamento di visione e di informazione della fase di Scouting rischia in qualche misura di essere sacrificato, se le poche persone impegnate nel gruppo non hanno sufficiente sensibilità o motivazione a trattenere e valorizzare al massimo quanto il processo ha fatto emergere sino a quel momento. Infine il lavoro è a termine: la consegna dell’esito all’Ente capofila che guida l’attuazione del percorso Snai significa lo scioglimento del gruppo. La “riflessione nel corso dell’azione” tende a non stabilizzarsi in nuova conoscenza.
Applicando le categorie Ant è possibile rileggere il tutto come segue: gli intermediari-agenti del gruppo tematico operano, interagendo tra loro, interpretazioni-traslazioni degli obiettivi, del mandato, dei contenuti in discussione. In questa attività di traslazione ognuno di essi mette in gioco il proprio network di riferimento, costituito da altri intermediari che vengono co-interessati e coinvolti. Il network che di fatto ruota attorno al gruppo è più ampio, ha il perimetro delle relazioni forti o significative dei membri del gruppo. Il network allargato si attiva per il tempo necessario ad assolvere il compito operativo del gruppo: la formulazione del contributo diretto alla Strategia d’area.
La rilettura segnala quanto sia importante presidiare sia i network attivati sia le traslazioni operate, per avere cura della qualità del processo. Sul campo, l’osservazione empirica mostra che sia l’Ente capofila sia la Regione e il Centro, che si distribuiscono la funzione di guida/controllo, sono del tutto consapevoli della rilevanza e delicatezza di queste due dimensioni: sull’esito del tavolo tematico, agisce di fatto non solo il network attivato dai componenti del tavolo, ma anche quello dei controllori, i quali passo dopo passo verificano e interagiscono col primo attivando proprie risorse (per esempio la Regione mobilita i propri apparati di settore, che esprimono giudizi e danno indicazioni).
In definitiva, le coordinate concettuali dell’Ant permettono di considerare che attorno ai piccoli gruppi tematici si muovono network ramificati, che arrivano sino alla Regione e al Centro. Il punto decisivo è, però, che i network mobilitati dalla Regione e dal Centro non sono in grado di compensare gli eventuali deficit cognitivi del gruppo di progetto in merito alla conoscenza dei luoghi, che dovrebbe derivare loro dalla fase di Scouting adeguatamente valorizzata.
Il problema qui arriva al pettine. L’intermediario “gruppo tematico” arriva in una fase molto avanzata del processo. Realizza per la prima volta in maniera strutturata un’azione configurabile come indagine (nel senso chiarito). L’indagine attinge a un patrimonio di conoscenza che non è stato sedimentato in precedenza attraverso un intermediario (agente, artefatto) altrettanto strutturato. Ne segue che probabilmente i membri del gruppo recuperano la conoscenza locale attraverso i propri network più di quanto facciano per mezzo dei prodotti dello Scouting (verbali dei Forum, resoconti, etc.). Inoltre essi operano una traslazione non neutra ma guidata dai loro network di riferimento, i quali tendono ad assumere in essa un ruolo centrale (diventano quelli che l’Ant definisce “punti obbligatori di passaggio”). In sostanza, nel volgere del processo, network e interpretazioni si tengono a vicenda.
Più ci si addentra in questo intreccio, più risulta improbabile una situazione in cui un contributo intercettato in fase di Scouting, di valore intrinseco ma isolato o eccentrico rispetto ai network forti, venga considerato cruciale. Risulta invece facile che i cosiddetti “innovatori” rintracciati con lo Scouting all’esterno delle consuete cerchie di stakeholder, restino ai margini o esclusi dal processo di elaborazione della Strategia.
Che cosa occorre per evitare questo rischio che, obiettivamente, è in grado di allontanare dagli scopi perseguiti? Sempre utilizzando le categorie Ant, la risposta può essere: un diverso intermediario (agente, artefatto) che sin dalla fase di Scouting attivi un network e lo stabilizzi, in modo tale che sia possibile dare forza a un’interpretazione alternativa a quella dei network consolidati (più fine, più accorta di determinati risvolti problematici, più aggiornata, etc.), che possa aspirare a esercitare un’influenza sulle fasi successive.
L’intermediario che ipotizzo in grado di assolvere a questa funzione è un’attività di indagine (intesa sempre nella accezione pragmatista) svolta con l’approccio dell’inchiesta.
Il riferimento all’inchiesta mette in gioco un filone di attività di ricerca sul campo, o di ricerca-azione, ispirato a modelli alti e significativi della tradizione di ricerca sociale italiana (Pugliese 2008), il cui tratto costitutivo consiste nel costruire una interpretazione dei fenomeni a partire dal punto di vista dei soggetti coinvolti. Senza alcuna pretesa di ricalcare quei modelli, ormai lontani nel tempo, l’intento è di animare un senso di necessità e di opportunità nel dedicarsi con più impegno all’indagine, nel compiere uno sforzo prolungato e approfondito di osservazione, descrizione, interpretazione dei fenomeni.
Introdurre l’idea di questo sforzo è esigenza primaria del processo Snai, per come ne ho avuto esperienza: (i) gli incontri pubblici allargati, in cui si toccano in un tempo ristretto tutte le tematiche, tendono a far risaltare le risposte e le supposte certezze, non le domande e i fuochi di indagine; (ii) nel Locale l’osservazione consapevole non è una pratica conosciuta, non ha strutture che se ne occupano, non ha una tradizione. Ciò è vero al punto tale che il set di indicatori valorizzati dal Centro e portati all’attenzione sin dal primo giorno di missione sul campo, può essere percepito dal Locale come l’analisi necessaria e sufficiente, già fatta, a cui far seguire direttamente l’elaborazione della strategia. Per recuperare un gap di comprensione così profondo, occorre un investimento dedicato e un parziale ripensamento del percorso.
L’ingresso nel processo di un intermediario-artefatto in forma di inchiesta avrebbe diversi vantaggi:
- promuovere la formazione, tra il Locale e la Regione, di un network con scopi cognitivi e di ricerca, non di elaborazione di proposte. La tendenza a saltare immediatamente alla proposta e al progetto, così frequente a ogni livello, avrebbe in questo network un antidoto o almeno un tentativo di difesa contro cause quali pigrizia mentale, conformismo, acquiescenza a mode e influenze ideologiche nemmeno percepite come tali;
- stabilizzare un luogo, un network, in cui sia possibile confrontarsi in modo non occasionale e documentato sui meccanismi locali specifici che riproducono nel tempo, attraverso le micro decisioni di numerosi agenti, problemi quali la fuga dei giovani, la bassa qualificazione degli operatori, lo scollamento tra comuni, etc.; tutte questioni che non partono affatto da dati noti e ovvii, come si tende a credere, ma da uno stato di confusione, contraddizione e dubbio che stimola all’indagine;
- istituire uno spazio protetto dalle paure della politica in cui affrontare le “verità scomode” che emergono lungo il percorso e che, appunto perché scomode, vengono accantonate e infine ignorate: per esempio, quella per cui tutela del policentrismo e spopolamento non stanno assieme senza una politica intelligente e cauta di inclusione di nuovi residenti e immigrati;
- incorporare nel processo i contributi degli “innovatori” rintracciati con lo Scouting, utilizzandoli come fonti per la comprensione dei problemi locali e delle possibili vie di uscita, e come risorse per irrobustire la catena logica azioni-risultati attesi, prima che come soggetti da valorizzare (o ossificare-mortificare, da un altro punto di vista) come proponenti di progetti.
Il programma di inchiesta avrebbe alcuni requisiti: essere molto circoscritto, non pretendere di studiare e capire tutto (lo scopo è applicare un metodo, fare attecchire una pratica, fare network); svolgersi entro un tempo determinato; realizzare un prodotto codificato e riconoscibile; riversare i propri risultati in incontri pubblici e sedi istituzionali; essere pienamente integrato nel percorso Snai.
Considerazioni conclusive
L’approccio place-based scommette sulla capacità del Centro di portare innovazione in contesti locali dove gli equilibri consolidati creano incapacità delle istituzioni a riformarsi da sole. In questo quadro teorico, l’impulso all’innovazione della Snai è trasmesso attraverso una catena di passaggi, in cui hanno un ruolo Regioni, Unioni montane, Comuni, stakeholder del territorio. La catena è strutturata da un percorso e un metodo d’azione.
Nel momento in cui, con Hirschman (1968; 1975), si pensa che ai fini dello sviluppo ciò che un luogo fa e può fare conta molto di più di ciò che un luogo è (in termini di dotazioni), è possibile comprendere quale logica ispiri il percorso Snai. Ogni passaggio intende stimolare comportamenti più virtuosi e capaci, introdurre pratiche funzionali a un approccio strategico: l’orientamento ai risultati, la scelta di una metrica per accertare la riuscita della strategia, l’attenzione per le competenze e l’inclusione di innovatori etc. Acquisire queste pratiche è un avanzamento. L’azione “costruisce il luogo”, ne modifica la struttura e il funzionamento.
La linea perseguita dalla Snai, sperimentale, cerca margini di miglioramento a tale percorso attraverso l’osservazione e lo studio delle esperienze avviate. A mio parere, sfruttando il punto di vista offerto dall’Ant, alcuni di questi margini si possono percepire meglio.
Nell’ottica Ant, ogni concatenazione che dal Centro la Snai propone per trasmettere lo stimolo all’innovazione impiega intermediari (agenti e artefatti). Ogni passaggio realizza interpretazioni e traslazioni. I protagonisti di questa attività di appropriazione e trasformazione sono network. Tra essi, i network locali e regionali più strutturati svolgono un ruolo importante: assicurano che il percorso sia accolto, elaborato e proceda verso il suo sviluppo operativo. Al tempo stesso questi network operano traslazioni funzionali a se stessi, alle proprie organizzazioni di rapporti e ai propri progetti, e questo facilmente può generare sotto-utilizzo di alcune pratiche di “rottura” che la Snai propone: quelle che servono per aprire il processo a nuovi attori, o quelle funzionali allo scavo e all’esplorazione dei meccanismi che sono responsabili dei problemi sociali e della loro persistenza. I network strutturati tendono a privilegiare la sequenza progetto-azioni ammissibili-finanziamento, alla quale sono allenati; in quanto organizzazioni consolidate, non si può pretendere che promuovano con facilità pratiche di rottura, né del metodo né delle azioni di ricerca e progetto.
Promuovere una pratica di rottura quale è una non superficiale conoscenza dei luoghi, consapevole dei meccanismi e dei rapporti che stanno alla base di problemi persistenti, può allora significare rivolgersi ad altri intermediari: in particolare - questa la mia proposta - ad agenti e artefatti che recuperino lo spirito e le finalità dell’inchiesta, una pratica storicamente importante in Italia, nel cui solco si sono sviluppati paradigmi e schemi interpretativi.
La pratica dell’inchiesta, per come essa è caratterizzata, è un riferimento significativo allo scopo di rafforzare le attività di indagine nelle aree interne e produrre nuova conoscenza sui fenomeni sociali che vi hanno luogo. Nello spirito sperimentale della Snai, l’ingresso dell’inchiesta come possibile variante del percorso sin qui codificato può forse essere immaginato, definito, applicato in alcuni casi, e studiato nei suoi effetti.
Riferimenti bibliografici
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