Abstract
L’impreparazione della governance ai diversi livelli è stata rilevata all’indomani del sisma del 2016. Ripartire da questo dramma per delineare nuovi approcci alla gestione delle catastrofi naturali è un compito cui il mondo della politica e quello della scienza non potranno sottrarsi. Servono risposte sistemiche, in cui la visione edilizio-ingegneristica possa confrontarsi con quella socio-economica e territoriale.
Introduzione
I terremoti, soprattutto quando di elevata intensità, sono spesso percepiti come calamità occasionali. Di conseguenza, sono affrontati nella dimensione emergenziale del presente, dimenticando la replicabilità dell’evento, che certamente non mancherà. Superare questa drammatica miopia significa sottolineare l’esigenza di assumere urgenti misure per favorire lo sviluppo di città e comunità più resilienti. Nel caso studio delle 4 regioni (Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria) dell’Appennino centrale, colpite dal sisma del 24 agosto 2016 e seguenti, è proprio questo il momento più opportuno per sensibilizzare i decision makers, ai diversi livelli di governo, a dedicare energie alla costruzione di città e comunità capaci di affrontare l’evento calamitoso con la necessaria flessibilità dei sistemi fisici, economici e sociali, ricostruendo meglio di com’era prima, favorendo la nascita di insediamenti e comunità più resilienti (Esposito, 2017). Questo potrà avvenire programmando le attività per la ricostruzione edilizia in stretta coerenza con quelle per lo sviluppo sostenibile. Si auspica che dopo questa ennesima tragedia i responsabili delle politiche territoriali dedichino più attenzione e risorse alla conoscenza di fenomeni naturali (terremoti, uragani, tsunami, eruzioni vulcaniche e frane), e alle strette interazioni con i processi decisionali della governance. Quando i riflettori sull’area colpita si spegneranno tutto sarà più difficile.
I terremoti non sono una calamità occasionale
Secondo Emanuela Guidoboni e Gianluca Valensise (Guidoboni e Valensise, 2011), in Italia, l’alta frequenza di eventi sismici catastrofici condiziona pesantemente la vita di ogni cittadino e del suo bisogno di concepire gli spazi dell’abitare, del produrre, del fruire il tempo libero e di tutte le connessioni funzionali in grado di resistere agli scuotimenti. Abbiamo visto, nel corso degli ultimi eventi, il diffondersi di “indovini” che usando niente di più che sfere di cristallo hanno tentato, talora, di dirci giorno e ora in cui l’evento sismico si sarebbe verificato. La scienza ci dice, invece, che è impossibile effettuare una precisa previsione del sisma, mentre è certamente utile impegnarsi per impedire che le case crollino e per evitare che gli equilibri urbani e territoriali siano drammaticamente compromessi, mettendo a rischio la sopravvivenza di pezzi di civiltà, come rischia di avvenire per l’Appennino umbro-marchigiano.
L’esperienza italiana sta, inoltre, insegnando che per studiare i terremoti non bastano reti strumentali sofisticate, ma servono anche programmi di ampio respiro che mescolino, in modo equilibrato, le tre componenti essenziali del problema – quella storica, quella strumentale e quella geologica – nella consapevolezza che è necessario compensare le lacune intrinseche di una componente con le conoscenze di un’altra. Ma sappiamo anche che, in attesa degli esiti delle ricerche scientifiche, l’unica via è quella di mettere in atto la cultura della prevenzione e concepire città più resilienti.
Come coglieva Kofi Annan già nel 1999, la cultura della prevenzione non è facile, perché l’impegno per la prevenzione ed i costi che debbono essere pagati per conseguirla son dovuti immediatamente, mentre i suoi benefici sono visibili solo in tempi medio-lunghi. Per di più, questi benefici non sono facilmente riscontrabili sul territorio, perché sono dati proprio dai danni a persone e cose che, attraverso la cultura della prevenzione, si vengono ad evitare (Annan, 1999). Dunque, lavorare per la prevenzione non restituisce premialità in tempi brevi e questo basta per far sì che diventi un percorso tutto in salita nelle politiche territoriali in cui si è soliti concentrare l’attenzione su ciò che si può riscontrare a stretto giro e, comunque, all’interno del mandato elettorale dell’amministrazione di turno. Inoltre, l’opinione pubblica sembra facilmente dimenticare: i) quali sono i territori ad elevato rischio sismico (Figura 1); ii) quale impatto economico e sociale hanno avuto e possono continuare ad avere i forti terremoti sulle nazioni colpite; iii) quali gravi cambiamenti possono indurre sui caratteri identitari di un’area geografica avendo la capacità di modificare non solo l’organizzazione insediativa, le reti infrastrutturali e i sistemi produttivi (e quindi le forme urbane e territoriali), ma anche le abitudini e i comportamenti delle persone.
Figura 1 - La distribuzione della pericolosità sismica in Italia
Fonte: Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia Ingv
La distribuzione dei terremoti in Italia copre, drammaticamente, gran parte del territorio nazionale (si veda in questo numero, Pagliacci, 2017) e, anche dal punto di vista strettamente fisico, i segni che il sisma riesce a lasciare, in modo indelebile, non riguardano solamente l’armatura urbana e infrastrutturale (Figura 2) ma, nel caso di eventi importanti per intensità di energia, anche il sistema naturale, provocando deformazioni rilevanti del piano di campagna (Figura 3) e distruzioni di infrastrutture per la fruizione degli ambienti naturali, come sentieri (Figura 4) e spazi per la ricreazione all’aperto (Figura 5), condizionando pesantemente le dinamiche sociali ed economiche che tendono a perdere le potenzialità endogene più sensibili e vulnerabili.
Figura 2 - Il centro storico di Arquata del Tronto devastato dal sisma
Fonte: foto dell'Autore
Figura 3 - Una depressione di qualche metro, sulla cima dei Monti Sibillini, provocata dal sisma del 2016
Fonte: foto dell'Autore
Figura 4 - Il “sentiero delle creste”, che dal Monte Vettore raggiunge l’Argentella, è impraticabile a causa di una grave lesione del crinale in senso longitudinale
Fonte: foto dell'Autore
Figura 5 - Spazi per la ricreazione naturalistica sui Sibillini indelebilmente segnati dal sisma
Fonte: foto dell'Autore
Nell’Appennino si origina circa il 70% della sismicità italiana. Purtroppo, è molto probabile che questa attività produca repliche nel tempo e si continui a mettere a rischio le vite di parti rilevanti della popolazione, con particolare riverbero sulle classi più indigenti che abitano case spesso altamente vulnerabili, in quanto realizzate senza alcuna attenzione al codice dell’edilizia antisismica, con materiali di scarsa qualità, con annessi e superfetazioni introdotte nel corso del tempo, per varie esigenze, spesso irrinunciabili.
Nell’ultimo secolo, c’è stato, in media, un disastro sismico ogni 4-5 anni, che ha messo in ginocchio paesi e talvolta anche città, e processi di ricostruzione si sono ripetuti susseguendosi senza soluzione di continuità e impegnando ingenti risorse pubbliche. Distruzione degli insediamenti, delle attività produttive e degli spazi per la ricreazione può provocare l’allontanamento forzato degli utenti dai luoghi colpiti. In tal modo, da un disastro naturale può derivare, da un lato, la distruzione e la relativa perdita fisica di tessuti e beni (storico-artistici, archeologici, ambientali) che segnano il carattere paesaggistico di un sito; dall'altro, l'abbandono delle aree devastate da parte della popolazione residente. La perdita di contatto creativo e generatore di identità territoriali tra uomo e ambiente determina la perdita di attrattività di quel luogo che, entrando in un ciclo negativo, favorisce l'accentuarsi dei fenomeni di marginalizzazione e abbandono (Sargolini, 2017). Al contrario, la risposta al disastro, da parte delle forze endogene di un sito, incentrata sulla ricerca di nuove forme edilizie e territoriali, e di nuove relazioni strutturali e funzionali, più resilienti e sostenibili, è la via privilegiata per innescare sentieri di sviluppo duraturi che potrebbero restituire paesaggi migliori e comunità più solide.
Prepariamoci ai prossimi eventi sismici
Se i terremoti non sono percepiti come calamità accidentali e occasionali, e non sono vissuti, esclusivamente, nella loro dimensione emergenziale, se si consolida la convinzione che questi eventi si potranno ripetere ancora, allora diventa ineludibile l’impegno da profondere per mettere in atto tutte le azioni necessarie per affrontare efficacemente gli eventi sismici nel prossimo futuro. Tutto ciò significa conoscere, preventivamente, le vulnerabilità dei nostri insediamenti, dei nostri luoghi di abitazione, lavoro e ricreazione, ma soprattutto dei siti strategici, essenziali per la gestione dei momenti di crisi, e intervenire per alleviare le propensioni al rischio.
Il tema della preparazione (preparedness) rispetto ai disastri naturali è da decenni al centro dell’azione dell’Unisdr (United Nations Office for Disaster Risk Reduction), l’agenzia delle Nazioni Unite che si dedica agli interventi per ridurre i rischi dei disastri naturali. Nel caso degli eventi sismici, l’Unisdr ci ricorda che non possiamo concentrarci sulla precarietà della nostra edilizia solo quando intervengono eventi disastrosi che procurano vittime e gravissimi danni materiali. Dal 2005, l’agenzia esercita un’importante azione nell’orientare i governi e le comunità locali a rafforzare la loro capacità nel prevenire (ove possibile) i disastri naturali, ridurre (sempre) la vulnerabilità delle comunità esposte al rischio e aumentarne la resilienza.
Secondo il Sendai Framework for Disaster Risk Reduction (2015-30), per un’appropriata gestione del rischio di disastri, è necessario un approccio interdisciplinare e olistico, sapendo che la gravità di un evento calamitoso di origine naturale è strettamente correlata alle scelte che facciamo e che riguardano questioni di ogni singolo individuo o estese a intere fette di società quali: le abitudini di vita; la modalità di conservazione e di valorizzazione delle risorse naturali e culturali; la gestione delle attività agro-silvo-pastorali; le tecniche della produzione industriale e artigianale; la pianificazione e la progettazione della crescita urbana e infrastrutturale; gli interventi edilizi alle varie scale. E’ dunque necessario che il Disaster Risk Reduction trovi sempre più spazio nelle politiche della governance territoriale europea, considerato che alle scelte tecniche e ingegneristiche si dovranno affiancare quelle socio economiche e ambientali. La pianificazione urbanistica e d’area vasta non potrà sottrarsi alla responsabilità di fare la propria parte nel raggiungimento degli obiettivi succitati.
Le azioni da mettere in atto
Nel caso studio delle 4 regioni dell’Italia centrale (devastate dal sisma del 24 agosto 2016) includenti 131 comuni, ognuno dei quali attorniato da almeno una decina di borghi rurali, purtroppo, si ha la certezza che nuovi eventi potranno verificarsi. Per questo, si rende necessario mettere in atto tutte le azioni utili a ricostruire meglio di com’era prima, considerando l’esigenza di:
- intervenire dopo le calamità, studiandone gli effetti sulla trama urbana e infrastrutturale, osservando la capacità di assorbire le perturbazioni esterne da parte degli ambienti fisici colpiti, mettendo in atto tutti gli accorgimenti necessari perché la risposta ai futuri eventi sia meno disastrosa;
- porre individui e comunità nella condizione di poter fronteggiare i disastri naturali e i rischi a essi associati, concependo un aumento delle condizioni di flessibilità dei sistemi economici e sociali e quindi una maggior resilienza delle comunità.
Questi specifici obiettivi sono sottesi nelle emanazioni legislative del Governo Italiano quando, nel gestire la poderosa macchina della Ricostruzione post-sisma 2016 guidata dal Commissario Straordinario, ha deciso di dotarsi di un Comitato Tecnico Scientifico con il compito di definire “criteri di indirizzo, vincolanti per tutti i soggetti pubblici e privati coinvolti nel processo di pianificazione, progettazione e realizzazione degli interventi di ricostruzione con adeguamento sismico degli edifici distrutti e di ripristino con miglioramento sismico degli edifici danneggiati, in modo da rendere compatibili gli interventi strutturali con la tutela degli aspetti architettonici, storici e ambientali, anche mediante specifiche indicazioni dirette ad assicurare una architettura ecosostenibile e l'efficientamento energetico”.
Questa tensione verso la proposizione di una risposta adeguata agli eventi sismici era già presente nei decenni passati. Lo Stato Italiano e molti altri paesi europei hanno progressivamente perfezionato il codice antisismico sulla base dell’osservazione dei danni subiti dai manufatti a seguito dei vari eventi. Se addirittura volessimo ricercare l’origine storica di questa sfida, potremmo risalire a Pirro Ligorio quando, nel 1571, elaborò il primo progetto di una casa resistente ai terremoti ed esortava a studiare sempre nuove modalità per difendersi dal sisma, considerandolo un dovere dell’intelletto umano (Ligorio, 2006 [1571]). Tuttavia, finalmente, si è compreso che non si può rispondere ad un evento disastroso solo perfezionando le tecniche edilizio-ingegneristiche, che pure hanno bisogno di continue verifiche e aggiustamenti da produrre sulla base del monitoraggio degli effetti del sisma sui manufatti, ma è necessario considerare i nuovi quadri strategici territoriali imposti dalle trasformazioni indotte dall’evento distruttivo.
In tal senso, la L.229/2016 e, più specificatamente, le diverse ordinanze1, emanate dal Commissario Straordinario del Governo, tentano di rispondere a un'esigenza di ricostruzione, da effettuarsi con rapidità, agendo in modo "unitario e omogeneo" nell'area interessata dal sisma, programmando l'uso delle risorse finanziarie "sulla base degli indicatori del danno e della vulnerabilità", ma dovendo tener presente la variegata articolazione dei tessuti insediativi e delle diverse matrici paesaggistiche (quindi storico-culturali e naturali) cui appartengono.
Due sono i campi d’intervento suggeriti dalle ordinanze emesse: il primo è quello di affrontare la ricostruzione delle aree maggiormente colpite attraverso strumenti urbanistici attuativi; il secondo è quello di stimolare ciascun comune a svolgere una riflessione più estesa, con un documento d’indirizzo strategico, capace di mettere in sintonia ciò che potrà realizzarsi attraverso i piani attuativi (previsti esclusivamente per aree oggetto di specifiche perimetrazioni) e il resto del territorio, concependo anche nuovi orizzonti e nuove prospettive per comuni che usciranno da questa drammatica vicenda profondamente trasformati.
I criteri per la perimetrazione e relativa realizzazione di strumenti attuativi, propedeutici agli interventi di edilizia diretta, vanno ricondotti: 1) alla presenza di patrimonio culturale “di particolare interesse” e di pregio storico, architettonico, archeologico, naturale e paesaggistico; 2) all’essere “i centri e i nuclei, o parti di essi, maggiormente colpiti”; 3) all'essere soggetti a condizioni di pericolosità anche di natura non sismica.
I piani attuativi, che interessano porzioni delle aree comunali interessate da gravi danneggiamenti, troveranno la loro coerenza e raccordo con il contesto territoriale nel Documento Direttore per la Ricostruzione (Ddr), che si configura come un atto di indirizzo, non obbligatorio e privo di finalità conformative o espropriative, con valore d’inquadramento a carattere strategico per orientare le azioni dell’amministrazione comunale nei diversi ambiti d’intervento e coordinare la mobilitazione delle risorse economiche necessarie.
Il Ddr dunque, da quanto emerge nelle ordinanze, non ha assunto l’obbligatorietà redazionale e la capacità di conformare il regime dei suoli, che da alcune componenti della società civile venivano richieste, ma resta particolarmente consigliato ove più esteso e grave risulta il danno sismico, ove sia utile rapportare strettamente obiettivi e opportunità offerte dalla ricostruzione con la funzionalità dei servizi da garantire alla popolazione, studiando le migliori relazioni tra la parte del centro ricostruita con quella ripristinata dagli interventi di emergenza. Esso diventa una speciale occasione per aprire un confronto ampio e partecipato con le comunità locali, anche al fine di trovare suggerimenti e indicatori per valutare l’eventuale miglioramento della qualità della vita in alcuni insediamenti non più funzionali e caratterizzati dall’abbandono. In particolare, il Ddr tenderà di valutare il ruolo urbano e territoriale di alcune componenti della città, tra cui:
- direttrici originatrici dell’impianto urbano e loro relazioni con le principali risorse naturali e culturali;
- principali reti delle infrastrutture urbane e territoriali (grigie), del sistema delle acque (blu) e delle connettività ecologiche (verdi) e relative intersezioni con i principali poli e nodi strategici per l’insediamento;
- porte di accesso e vie di fuga da prendere in considerazione nell’articolazione territoriale del nucleo e del relativo contesto territoriale;
- aree severamente danneggiate che, per le scarse qualità architettoniche e per la sicurezza sismica e idrogeologica, non si prevede possano ricostruirsi in situ e relativa individuazione della nuova collocazione;
- parti dei centri e nuclei urbani su cui intervenire prioritariamente per favorire il rientro della popolazione nelle abitazioni, il ripristino della viabilità e la ripresa dei cicli economici, in coerenza con la programmazione delle opere pubbliche.
L’insieme degli elementi succitati contribuirà alla definizione della Struttura Urbana Minima (Sum) per la quale sarà necessario indicare:
- requisiti prestazionali per gli interventi prioritari;
- priorità temporale delle azioni e degli interventi previsti;
- eventuali criteri aggiuntivi per le fasi successive del processo di pianificazione.
Il Ddr, che può essere studiato anche in un ambito intercomunale, apre dunque a una lettura strategica generale capace di andare oltre localismi e campanilismi, tesa ad inserire scelte puntuali in un quadro delle coerenze ambientali e culturali più esteso. Si entra in un orizzonte che, nella visione territorialista2, è quello della “bioregione”, intesa come visione complessa del territorio che tende all'autosostenibilità, in quanto produttrice di beni materiali e immateriali. In tal senso, il Ddr diventa uno strumento essenziale per stimolare anche piccoli comuni, non allenati a produrre strumenti di programmazione a medio lungo termine, a ripensare il loro futuro che, molto probabilmente, non potrà essere sullo stesso orizzonte di quello simulato nei periodi antecedenti l’evento sismico.
In conclusione
I gravi eventi sismici del 24 agosto 2016 e seguenti, ci stanno obbligando a una riflessione profonda sul futuro di una civiltà dell’Appennino, molto importante per il ruolo avuto in passato di generare identità paesaggistiche che tuttora caratterizzano quest’area geografica.
E’ una riflessione che va oltre la rivisitazione delle tecniche edilizie e ingegneristiche, come già è stato fatto nelle precedenti esperienze di governo in aree colpite dal sisma. C’è sullo sfondo la rimodulazione dell’assetto e dell’organizzazione generale dell’area di studio. Nuovi disegni di suolo e nuove economie dovranno prendere forma e delinearsi con il necessario supporto dell’innovazione, fornendo la cornice e l’ambito in cui calare le tecniche del buon costruire.
Lo Stato ha messo a disposizione gli strumenti necessari per fornire risposte adeguate attraverso alcune Ordinanze del Commissario Straordinario per la Ricostruzione che, agendo a livelli diversi di cogenza (dalla prescrizione all’esortazione), potrebbero stimolare un confronto ampio e partecipato all’interno delle diverse comunità locali, a partire dai prossimi giorni.
Riferimenti bibliografici
-
Annan K. (1999), Introduction to Secretary-General’s Annual Report on the Work of the Organization of United Nations (document A/54/1)
-
Esposito F., Russo M., Sargolini M., Sartli L., Virgili V. (a cura) (2017), Building Back Better: idee e percorsi per la costruzione di comunità resilienti, Carocci editore pressonline, Roma
-
Guidoboni E., Valensise G. (2011), Il peso economico e sociale dei disastri sismici in Italia negli ultimi 150 anni, Bup, Bologna.
-
Ligorio P. (2006) [1571]), Libro di diversi terremoti, codice 28 delle Antichità Romane, Archivio di Stato di Torino, a cura di E. Guidoboni, Edizione nazionale delle Opere di Pirro Ligorio, De Luca Editore, Roma
-
Pagliacci F. (2017), La geografia della pericolosità nell’Italia rurale, Agriregionieuropa 51
-
Sargolini M. (2017), “Paesaggi da rigenerare”, in: Esposito F. et al. (a cura), (2017), Building Back Better: idee e percorsi per la costruzione di comunità resilienti, Carocci editore pressonline, Roma
- 1. In particolare due ordinanze hanno offerto un concreto contributo in questa direzione: Ord. n. 25 del 24/maggio/2017 , Criteri per la perimetrazione dei centri e nuclei di particolare interesse che risultano maggiormente colpiti dagli eventi sismici verificatisi a far data dal 24 agosto 2016: Ord. n. 39 dell’08/settembre/2017, Principi di indirizzo per la pianificazione attuativa connessa agli interventi di ricostruzione nei centri storici e nuclei urbani maggiormente colpiti dagli eventi sismici verificatisi a far data dal 24 agosto 2016.
- 2. Alcune considerazioni sono emerse a seguito dell’ultimo convegno annuale dei Territorialisti: “Dai territori della resistenza alle comunità di patrimonio. Percorsi di autorganizzazione e autogoverno per le aree fragili” Matelica, 12-14 ottobre 2017, in cui sono state delineate nuove visioni strategiche tese a rovesciare il paradigma dei “piccoli centri in via d’estinzione”.