Le aree interne durante l’emergenza

Le aree interne durante l’emergenza
Politiche di differenziazione del mondo rurale nei post-terremoti del Centro-Italia

Abstract

L’analisi delle caratteristiche socio-demografiche e della struttura produttiva attiva nelle aree interne colpite dal sisma del 2016/2017 rappresenta il punto di partenza per comprendere come il disastro si propaghi lungo faglie socio-economiche preesistenti. È in questo quadro, unito all’analisi delle principali ordinanze in materia di allevamento e agricoltura, che il gruppo di ricerca “Emidio di Treviri”1 analizza le differenziazioni interne al mondo rurale e le progettualità politiche attivate.

Introduzione

All’alba del 24 agosto del 2016 un terremoto 6,0 ms colpisce l’alta Valle del Tronto. La prima scossa avviene alle ore 3:36:32 (UTC+2), con epicentro nel comune di Accumoli e ipocentro alla profondità di 8 km. L’accelerazione del suolo, nota come peak ground acceleration, viene registrata con un valore pari a 0,86 g. Durante la notte si registrano numerose altre scosse dalla zona norcina fino a quella reatina, di cui molte superiori ai 4 gradi.
Un’alta percentuale di vittime sconvolge un’area estremamente circoscritta. Secondo le cifre fornite dalla Protezione Civile 299 persone perdono la vita, mentre 238 sono estratte vive dalle macerie (sebbene alcune siano decedute in seguito). Si contano poco meno di 400 feriti.
Nei mesi successivi la terra continua a tremare ampliando il cratere all’area maceratese dei Sibillini e il versante umbro fino a Norcia, decuplicando così il numero di sfollati.
I Comuni colpiti, individuati dal decreto 189/2016 (come modificato dalla legge 45/2017) sono 140 distribuiti sui territori di Marche, Lazio, Umbria e Abruzzo e tra 10 province su cui insistono complessivamente quasi 3,2 milioni di abitanti.
In quasi un anno sono 67 i terremoti con magnitudo superiore o almeno pari a 4,0 che hanno messo a nudo la fragilità della macchina emergenziale, le criticità di territori abbandonati dalla manutenzione ordinaria e straordinaria e le responsabilità politiche del post-disastro.
Nel momento in cui scriviamo, ottobre 2017, sono state smaltite macerie pari al 14,5 % del totale e sono ospitate nelle soluzioni di emergenza solo 3.200 persone di circa 40.000 sfollati.
A gennaio 2017, da una Call for Research lanciata grazie alle Brigate di Solidarietà Attiva, nasce il progetto di ricerca “Emidio di Treviri” con l’intento di coordinare in modo collettivo e orizzontale un’inchiesta sociale sul post-sisma del Centro Italia.
Tra i diversi ambiti presi in esame, si intendono qui restituire alcuni nodi problematici emersi in relazione al mondo rurale nella fase emergenziale gestita dal Governo e dalla Protezione Civile.
In particolare la ricerca si propone l’obiettivo di indagare se la gestione emergenziale e le narrative sulle sicurezza scaturenti dall’evento sismico possano fornire un contesto di governamentalità strumentale a nuovi cicli di accumulazione.
Al fine di analizzare le trasformazioni avvenute nel mondo rurale e l’eventuale emersione di nuove “vulnerabilità” all’interno di questo comparto economico, la ricerca si è mossa, nella sua prima fase, partendo dall’analisi delle caratteristiche sociali e demografiche, della struttura produttiva e degli attori economici attivi nel cratere prima dell’evento catastrofico al fine di approfondire le conseguenze della crisi post-sisma.

Lo studio dei disastri

Il terremoto – considerato come una tra le tante forme che può assumere un disastro – non può essere considerato solamente nel manifestarsi dell’evento estremo; bensì va considerato all’interno di un ciclo dove i caratteri sociali giocano un ruolo determinante trasformando un evento in un disastro socio-naturale. Come la tradizione dei disaster studies ha ampiamente dimostrato, per comprendere e spiegare questi fattori è necessario prendere in considerazione il sistema sociale nel suo insieme (Mela, Mugnano, Olori, 2017).  La necessità di un approccio multidisciplinare al tema dei disastri e la necessità di un inserimento progressivo del punto di vista delle scienze sociali ai temi ad essi legati, sono stati gli elementi catalizzatori degli studi delle scienze sociali nell’ambito della Disaster Research più recente, area specifica di studi con origine nelle accademie statunitensi degli anni Sessanta.
Se inizialmente le scienze sociali si erano concentrate prevalentemente sugli effetti dei disastri sulla società (Oliver-Smith, H. 1999), focalizzandosi sulle forme di mutamento politico, le sindromi post-traumatiche e la disgregazione sociale nel periodo dell’immediato post-disastro, il filone di ricerca sociologica emerso sul finire degli anni Settanta spostò invece il focus dell’indagine dal concetto di ‘crisi’ a quello di ‘vulnerabilità’. L’impatto sociale del disastro, lontano dall’essere il semplice prodotto del verificarsi dell’evento distruttivo, ha effetti diversi sulla popolazione colpita. Un’estesa letteratura ha contribuito ad evidenziare come le diverse categorie di popolazione vivano esperienze eterogenee in relazione alla questione del rischio e al disastro: i concetti di vulnerabilità, e successivamente di resilienza, si sono costituiti come categorie analitiche fondamentali per lo sviluppo della conoscenza dei fenomeni estremi nel loro rapporto con la società. Superando l’unicità del soggetto e ammettendo una pluralità di agenti, il disastro è divenuto il casus capace di mettere in tensione le strutture sociali evidenziandone i conflitti latenti e le reali architetture: sulle fratture aperte dai disastri s'innestano processi conflittuali fra istanze centrali e richieste locali, tra autorganizzazione e controllo, tra verticismo e partecipazione; ma anche processi collaborativi, di solidarietà, di ri-assesto delle risorse e di ri-organizzazione degli spazi e della città. All’interno dei dibattiti e degli sviluppi degli studi delle scienze sociali in merito ai suddetti temi, si comincia così a considerare la catastrofe o il disastro come risultato di processi storico-sociali ben radicati, che contribuivano a sviluppare vulnerabilità ben prima dell’occorrenza di un evento fisico distruttivo (Benadusi, 2015). Secondo l’approccio prevalente nelle scienze sociali le cause profonde del disastro vanno ricercate oltre l’evento in sé, nei fattori capaci di rendere quel dato evento, spesso circoscritto nel tempo, un’esperienza rovinosa nel lungo periodo (Hoffman, Oliver-Smith, 1999, 2003).
Queste faglie d'incertezza approfittano della catastrofe per dispiegarsi, ma il loro persistere e la loro profondità mostrano le polarizzazioni pregresse, e spesso nascoste, delle tensioni reali che attraversano il mondo sociale. Soprattutto nella fase post-, del recupero e della ricostruzione dei luoghi, emergono chiari gli interrogativi che travalicano il rischio e il disastro e diventano utili per indagare le dinamiche sociali che si dispiegano nella cosiddetta ordinarietà. In particolare il rapporto tra società e ambiente si trasforma in un campo fondamentale: dal rischio fino alla ricostruzione, l’ambiente nella sua accezione ecologica può essere letto talvolta quale contesto generativo dell’azione sociale, talora quale prodotto della costruzione sociale. In questo senso gli studi ecologici socio-politici hanno messo in luce come spesso la portata dei disastri cosiddetti “naturali” sia profondamente legata alle condizioni ambientali e sociali esistenti prima del disastro.
Il concetto di vulnerabilità assume quindi un ruolo importante all’interno dei dibattiti più recenti nell’ambito della Disaster Research, approfondito dall'analisi delle condizioni di fragilità dei soggetti che attraversano una catastrofe. Esso assume un’importanza cruciale nella possibilità di individuare quali gruppi all’interno della popolazione siano maggiormente a rischio, non solo da un punto di vista fisico e materiale ma anche per quanto riguarda la possibilità e la capacità di accedere alle risorse necessarie alla previsione, al controllo e alla minimizzazione degli effetti negativi dell’impatto di una catastrofe (Bullard Wright, 2006; Hartman Squires, 2006). Secondo questo approccio, gli effetti di un evento catastrofico sulla popolazione non vanno più ricercate al di fuori della società, bensì all’interno di essa, nella quale l’impatto disastroso si verifica in maniera diversa a seconda delle differenti categorie di persone o gruppi sociali. L’evento catastrofico comincia ad essere visto come risultato di processi di sviluppo mal direzionati, riproduttori di varie forme di ineguaglianze e vulnerabilità (Oliver-Smith, 1999).

L’importanza del mondo rurale

Se l’attenzione per le conseguenze economiche dei disastri si è prevalentemente focalizzata sulla
dimensione macro (Otero, Marti 1995; Noy 2007), esplorando gli effetti sulle economie nazionali e sull’andamento del Pil, la ricerca in corso si è proposta l’obiettivo di analizzare gli effetti sulle micro-economie locali delle aree interne, considerando l’economia agricola come chiave interpretativa centrale per la comprensione dei territori interessati dagli eventi sismici del 2016/2017.
Sono, infatti, 25mila le aziende agricole e le stalle nei 140 comuni terremotati di Lazio, Marche, Umbria e Abruzzo ricadenti su 292mila ettari di terreni coltivati soprattutto a seminativi, prati e pascoli. Tra queste, la maggior parte si affida a seminativi, prati e pascoli per i propri profitti.
Storicamente poche e mal funzionanti le cooperative, la quasi totalità delle aziende agricole sono a gestione familiare (96,5%), dedite spesso a piccoli allevamenti di capre e pecore e ad attività correlate come la gestione di agriturismi.
Ad un anno dal sisma, il crollo di stalle, fienili, caseifici e la moria di animali hanno limitato l'attività produttiva nelle campagne mentre lo spettro dello spopolamento – evocato da associazioni di categoria e dallo stesso Errani, Commissario alla Ricostruzione, dimissionario a pochi giorni dall’anniversario del sisma del 24 agosto 2016 – rischia di ridurre in modo drastico le opportunità di mercato. Ad oggi si contano danni diretti ed indiretti per 2,3 miliardi, ai quali vanno sommate le perdite per il crollo della produzione e gli effetti negativi sul commercio provocato dalla crisi del turismo e dallo spopolamento dovuto all'esodo forzato delle popolazioni, trasferite sulla costa attraverso la soluzione degli hotel o sparse altrove con il Contributo di Autonoma Sistemazione (Cas), ma anche a causa dei ritardi nella costruzione degli alloggi temporanei.
Il fenomeno sismico partecipa così all’aumento dei rischi di depressione delle aree rurali interessate e genera significativi effetti a livello economico oltre che socio-culturale.
Al fine di analizzare le trasformazioni avvenute nel mondo rurale e l’eventuale emersione di nuove “vulnerabilità” all’interno di questo comparto economico, la ricerca si è mossa, nella sua prima fase, partendo dall’analisi delle caratteristiche sociali e demografiche, della struttura produttiva e degli attori economici attivi nel cratere prima dell’evento catastrofico al fine di approfondire le conseguenze della crisi post-sisma.
L’inquadramento socio-economico è stato affiancato dall’analisi della legislazione emergenziale per comprenderne la temporalità e le ripercussioni socio-economiche. All’interno del quadro normativo delineato a partire dai vari decreti legge e dalle ordinanze commissariali pubblicate all’indomani del disastro si è inteso tessere l’apparato ideologico alla base della progettualità di ricostruzione incidente sull’aspetto socio-economico del territorio, per esplorare la relazione tra produzione del discorso e dello spazio dominante (Mezzadra, 2014) e le strategie di gestione del post-disastro in relazione al mondo rurale.
Gli strumenti normativi e mediatici messi in campo al verificarsi dell’evento disastroso, agendo come “attori sociali non umani” (Revet, Langumier 2013) vengono concepiti come schemi interpretativi dirimenti nella costruzione della realtà e quindi determinanti nella definizione degli scenari di ricostruzione e rilocalizzazione.

Le caratteristiche socio-economiche delle aree colpite dal sisma

Tra i 140 comuni elencati nell'ambito del cratere del terremoto (DL 30 ottobre 205) più del 60% di essi era già classificato tra le "Aree interne" dal Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica. La “specificità” e separatezza di questi territori è colta definendoli interni rispetto alle aree (per lo più pianeggianti) dei grandi e medi centri urbani e alle loro reti di collegamento, se la distanza dai cosiddetti “poli” di erogazione dei servizi essenziali di secondo livello-come istruzione, salute e mobilità- supera i 20 minuti (Lucatelli 2014).
Vive in queste aree circa un quarto della popolazione italiana, in una porzione di territorio che supera il sessanta per cento di quello totale e che è organizzata in oltre quattromila Comuni.
Una parte consistente delle aree interne dagli anni Cinquanta è stata al centro di un rilevante processo di marginalizzazione e di una progressiva riduzione quantitativa e qualitativa dell’offerta locale di servizi pubblici, privati e collettivi.
Da un’analisi degli indicatori delle Aree Interne italiane emergono ricorrenti caratteristiche del tessuto socio-economico, tra queste spicca un lento e continuo spopolamento e invecchiamento della popolazione, una bassa densità abitativa e una discreta dipendenza dalle attività rurali, oltre a un reddito medio inferiore a quello italiano (Lucatelli 2014). Se queste caratteristiche sono in controtendenza rispetto al resto del Paese, l’indice di dipendenza strutturale (persone anziane e bambini divise per popolazione in età lavorativa) e il grado di antropizzazione (presenza storica continuata di insediamenti umani) presentano valori molto alti, simili alla media italiana. A questo quadro di vulnerabilità strutturale si aggiunge, poi, che, nelle nuove mappe di rischio idrogeologico e sismico, buona parte delle Aree Interne italiane risulta al centro delle zone di allerta.
Considerando il presente caso di studio, oltre mezzo milione di persone rientra nel cratere sismico (oltre la metà di queste, nei dintorni di Macerata e Ascoli Piceno) anche se è importante ricordare come il sisma abbia colpito con effetti e conseguenze diverse i comuni del cratere: tutti i centri più danneggiati dalle scosse di agosto e ottobre si collocano, comunque, nelle Aree Interne.
La densità abitativa del cratere è decisamente bassa, di soli 73,2 abitanti per chilometro quadrato (l’Italia ne ha 200,8). La percentuale di stranieri è in linea col dato nazionale (l’8,2% nel cratere contro l’8,3% in Italia) ed è abbastanza uniforme anche nelle zone più colpite (Visso 7,9%, Norcia 10,4%, Amatrice 7,7%). L’indice di dipendenza strutturale è leggermente maggiore che in Italia (il 59,6% contro il 55,8%) mentre quello di vecchiaia è ampiamente maggiore (il 210,6% contro il 165,3%) (Istat 2016 e Banca d’Italia 2017).
La struttura produttiva del Cratere rispecchia il sistema italiano, sebbene presenti un reddito medio decisamente inferiore (15,630€ per dichiarante, contro i 20,640€ italiani) (Mef 2015), qui abbiamo un numero medio di addetti per unità locale lavorativa pari a 3,2 contro i 3,6 dell’Italia, ben al di sotto delle medie europee (Banca d’Italia 2017).

Tabella 1 - Sistema produttivo del cratere al 2015

Fonte dati Istat 2015

La tabella 1 mostra come i settori turistico e agricolo avessero un’incidenza molto forte e fossero trainanti nell’area del cratere, nel periodo precedente il terremoto. Con un settore turistico significativamente internazionalizzato (25% di presenze straniere), nonostante la distanza dalle vie di comunicazione, e un peso in termini di numero di arrivi che supera alcune regioni alpine (San Gallo, Sondrio e Belluno contano-ad esempio- tutte meno di 600 mila visitatori/anno) (Astat 2016).
Il peso dell’agricoltura risultava evidente essendo più di metà delle unità locali costituite da aziende agricole, il cui numero, pari a 25.939, ripartito per 100 abitanti è triplo rispetto alla media italiana, nonostante la superficie agricola abbia valori mediamente bassi, principalmente per la caratterizzazione orografica e di terreno non coltivabile.
Al fine di non alimentare il pregiudizio - ancora piuttosto diffuso - che guarda alle zone interne come collocate in un quadro di arretratezza e condannate alla cultura della sconfitta è necessario considerare le aree colpite dal sisma come diversificate sotto il profilo socio-economico, politico e culturale.
Le politiche comunitarie in ambito di sviluppo rurale, improntante ad un modello di crescita neoliberale- che ha enfatizzazione deregulation e privatizzazione – avevano riaperto, negli ultimi decenni, il dibattito sull’esigenza di porre tra le priorità di politica economica ai vari livelli (nazionale e comunitario) il riequilibrio territoriale.
La crisi del 2007 aveva infatti evidenziato come la persistenza di disparità territoriali tra paesi, ma anche tra gruppi sociali ed aree, avesse determinato il sottoutilizzo delle risorse umane e fisiche in alcuni luoghi creando costi sia economici che sociali e ponendo un problema di equità territoriale (Storti 2013).
Nel quadro dei 140 comuni colpiti dal sisma è possibile distinguere tra le zone interne povere più duramente colpite dal sisma e altre, variamente danneggiate, più vaste che invece al momento del disastro attraversavano una fase di notevole ripresa, collocate al centro di sistemi agro-alimentari d’eccellenza votati all’esportazione.
Alle differenziazioni tra aree si affiancano, poi, profonde differenze tra attività registrate, burocraticamente e legalmente ‘in regola’, giovani e dinamiche – spesso grazie all’inclusione post-scolastica di figli e nipoti – ed altre che invece sopravvivevano nel mondo dell’economia grigia, perlopiù gestite da anziani e votate ad un mercato locale collegato al settore turistico e marginalizzate dai complessi processi di accesso a fondi europei, agevolazioni fiscali e filiere ad ampio raggio.

Il mondo rurale nel post-sisma

Già dalle scosse di agosto 2016, e con maggiore intensità a seguito delle nevicate di dicembre e gennaio, il mondo dell’agricoltura e dell’allevamento è stato fatto oggetto di narrative su larga scala che hanno rappresentato la lente retorica attraverso la quale l’Italia ha dato significato nazionale al sisma.
Mentre molti venivano convinti (quando non forzati) a lasciare i propri Comuni per trovare rifugio negli hotel della costa o soluzioni alternative attraverso il Cas, a livello mediatico agricoltori e allevatori diventavano simultaneamente eroi di resistenza e vittime di una coincidenza tra disastro naturale e stato inadempiente. Foto di carcasse all’addiaccio, di stalle sepolte dalla neve, di roulotte e camper dalle finestre gelate sono andate a costituire le immagini della sofferenza e dell’abbandono. In concomitanza con la creazione di piattaforme e-commerce volte alla promozione e vendita solidale dei prodotti gastronomici d’eccellenza del territorio, queste immagini hanno contribuito a sancire uno iato socio-economico tra le diverse realtà commerciali locali.
L’indagine del Centro Studi Cna sulla base di dati Istat e Unioncamere mostrano per quanto riguarda la regione Marche un quadro di sofferenza del mondo rurale.
Nell’anno intercorso tra aprile 2016 e aprile 2017 nelle aziende agricole gli addetti sono passati da 16.858 a 14.285 con la perdita di 2.573 unità, pari al 15,3 per cento della forza lavoro. Agli effetti del sisma vanno sommate poi le alluvioni, grandinate e siccità la cui alternanza è stata devastante. Sempre nelle Marche tra giugno 2016 e giugno 2017 le imprese in attività sono calate da 28.167 a 27.393, una perdita di 774 imprese che rappresentano il 2,7% del totale.
Un andamento che si pone in controtendenza rispetto agli indici nazionali italiani, in cui nello stesso periodo, gli occupati del settore sono aumentati dell’1,3%. Dopo una crescita impetuosa tra il 2009 e il 2015 (da 21,3 a 119,2 milioni di euro) le esportazioni delle imprese agricole negli ultimi dodici mesi hanno subito un calo del 20,6 per cento passando da 119,2 a 94,6 milioni di euro. Se il terremoto colpisce centro e periferia, ricchi e poveri, braccianti e proprietari terrieri, i suoi effetti, però, si propagano lungo faglie socio-economiche differenti, ampliando disuguaglianze pregresse e accelerando la creazione di nuove vulnerabilità.
A soffrire, evidenzia il report del Cna, lo scorso anno è stato anche l’export di prodotti ortofrutticoli, mentre sono aumentate le esportazioni di prodotti della trasformazione alimentare, come olio, vino, formaggi e salumi, salite da 170,7 a 186,8 milioni di euro. Ed è proprio nella relazione con i poteri politici ed economici, così come con le burocrazie, che il terremoto si configura come un’occasione di mobilità sociale ascendente e discendente e, dunque, di produzione di nuove aree e categorie marginali all’interno dei territori.
A questo proposito è utile analizzare, i requisiti e le modalità di funzionamento dell'ordinanza n. 5 del 28/11/2017 e dell’ordinanza n. 13 del 09/01/2017, che rilevano immediatamente alcune problematicità accennate.
L’ordinanza n. 5 ha posto in essere delle misure urgenti al fine di garantire la ripresa/continuità delle attività produttive. Nei Comuni del cratere è stata prevista l’installazione di stalle provvisorie, o la possibilità di procedere autonomamente al ripristino delle strutture esistenti con rimborso delle spese sostenute, allo scopo di rimediare ai danni causati dagli eventi sismici agli impianti produttivi. Tuttavia i concetti giuridici di impresa zootecnica e di imprenditore, richiamati dall’ordinanza, segnalano la prima criticità, in quanto escludono dall’ambito di applicazione quegli allevatori che, non avendo i requisiti “imprenditoriali”, non possono richiedere una stalla provvisoria, né il rimborso delle spese affrontate per gli interventi di messa in sicurezza delle loro strutture. L’ordinanza n. 13, che riguarda complessivamente la ricostruzione degli edifici ad uso produttivo e la compensazione dei danni a scorte e beni strumentali per le imprese, esclude anche in questo caso gli agricoltori e allevatori di sussistenza perché non essendo in possesso di partita iva non rientrano in questa casistica. Inoltre i requisiti richiesti per poter vedere accolta la domanda, tra perizie (asseverate e giurate) e complessità burocratica, rendono di fatto complicato accedere agli aiuti economici per quelle piccole aziende che non dispongono di una struttura amministrativa interna. Ed ancora, in una situazione di fatto ancora estremamente critica in tutto il cratere, a norma dell’originario art. 7 dell’ordinanza 13 le domande sarebbero dovute pervenire all’Ufficio speciale della ricostruzione entro 120 giorni dall’entrata in vigore della stessa, ossia entro l’11 maggio 2017. Le modifiche apportate all’originario provvedimento n. 30 del 22/06/2017 hanno prorogato il termine al 31/12/2017, data che potrebbe risultare ancora troppo ravvicinata in relazione alla condizione emergenziale in cui versano le zone colpite dal sisma, ancora lontane da un processo di ricostruzione. A ciò si aggiunga che tale termine ultimo coincide con quello per la presentazione della richiesta di delocalizzazione temporanea, che su un piano logico dovrebbe precedere la ricostruzione definitiva.
A questo va aggiunto che anche le politiche predisposte nella fase emergenziale per la permanenza sui territori delle aziende agricole, come l’installazione di stalle, ma anche container per vivere, rifornimenti di mangimi e fieno, è stata frutto di una contrattazione aperta dalle associazioni di categoria che ha escluso i non iscritti.

Considerazioni conclusive

Gli effetti del sisma sul mondo rurale e sulle economie locali ad esso connesse si dispiegheranno nell’arco dei prossimi decenni e gli esiti delle trasformazioni avviate sono difficili da delineare, ad oggi, in modo puntuale.
A questo va aggiunto che i territori rurali più periferici a seguito di decenni di politiche liberiste sono state oggetto di un progressivo ridimensionamento dei servizi e delle infrastrutture pubbliche che ha generato l’esigenza di una politica rurale che includesse nella sua agenda più ampi risvolti sociali quali l’istruzione, la salute, il welfare, la fornitura di servizi pubblici e la giustizia sociale (Woods, 2006).
È in questo quadro, infatti, che gli effetti di interventi regolamentari varati sotto la spinta dell’emergenzialità potrebbero avere come risultato concreto quello di stimolare ulteriormente la concentrazione fondiaria e il controllo del mercato da parte di aziende di dimensioni medio grandi.
Il terremoto, in questo senso, non è da intendere esclusivamente come un accadimento puntuale, in grado di stravolgere l’assetto di una società, ma anche come il risultato più tangibile di quell’assetto stesso, responsabile di aver reso disastroso, per alcuni territori e categorie sociali, l’impatto di una forza naturale (Hewitt, 1983). Il fenomeno sismico, propagandosi in un territorio già caratterizzato da dinamiche di spopolamento, centralizzazione, speculazione agraria e trasformazione economica, sta partecipando all’aumento dei rischi di depressione delle aree rurali interessate, generando significativi effetti a livello economico oltre che socio-culturale.
L’analisi delle ordinanze in materia agricola e degli interventi emergenziali confermerebbero, infatti, che le misure tese a ripristinare le attività agricole e d'allevamento nelle aree del cratere non sembrano tener conto del reale peso/radicamento della differenziazione tipologica dell’economia rurale nel territorio, e rischiano di allargare sempre più la forbice tra piccola e grande produzione e di modificare radicalmente il tessuto socio-economico locale.
Un intervento pubblico teso a favorire forme di gestione collettiva e aggregazione cooperativa tra i piccoli produttori potrebbe consentire forme di maggiore equità e inclusività per i territori rurali e per le attività più fragili.
Con il definitivo abbandono di intere zone montane da parte dei piccoli produttori, non solo si rischia la perdita irrimediabile di tradizioni e saperi, ma si creano vuoti per l’inserimento di attori economici orientati ad un uso monopolistico-latifondista del territorio, configurando il disastro come un’occasione per il ciclo di accumulazione capitalistica e di sperimentazione di nuove forme di valorizzazione per il capitale (Centro Documentazione A.R.N. 1981).

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  • 1. La ricerca presentata è il frutto del lavoro del gruppo RN04 del collettivo di ricerca Emidio di Treviri. Maggiori informazioni sono raggiungibili al sito www.emidioditreviri.org.
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