60 anni di Europa, 50 numeri di Agriregionieuropa e uno sguardo al futuro

60 anni di Europa, 50 numeri di Agriregionieuropa e uno sguardo al futuro
a Università Politecnica delle Marche (UNIVPM), Dipartimento di Scienze Economiche e Sociali

Introduzione al tema

Tra i diversi possibili modi per celebrare il traguardo dei 50 numeri di Agriregionieuropa, quello che ci è sembrato più appropriato è un ritorno alla “ragione sociale” della rivista, testimoniata dal suo stesso nome: le tematiche agricole assumono rilevanza solo se lette nel più ampio contesto delle loro implicazioni locali e territoriali e, soprattutto, all’interno di un quadro di riferimento europeo. Un riferimento irrinunciabile giacché è al suo interno che da oltre 50 anni vengono elaborate le principali politiche che interessano, direttamente e indirettamente, il comparto. Ma irrinunciabile anche e soprattutto perché è dietro quelle politiche che deve delinearsi la funzione sociale dell’agricoltura e, soprattutto, la sua continua ridefinizione.
Partendo da questo presupposto ci è sembrato quasi naturale celebrare i 50 numeri della rivista dedicando una riflessione ai 60 anni di quell’Europa (oggi Unione Europea) che su quella funzione e su quelle politiche ha voluto costruire uno dei suoi pilastri. 60 di Europa, quindi, e 60 anni di Pac da quando nel Trattato di Roma i suoi obiettivi fondamentali sono stati sanciti e mai più modificati, almeno formalmente.
Eppure da allora tante cose sono cambiate; quasi tutto è cambiato. È certamente cambiata anche la Pac ma forse non quanto sia cambiata l’agricoltura europea, il contesto socio-economico, le istituzione europee e l’UE stessa. Proprio negli ultimi anni, la costruzione europea ha attraversato il periodo più difficile della sua storia. Anni in cui non è eccessivo ritenere che quella costruzione sia stata molto vicina ad implodere ma che ora, retrospettivamente, possono persino sembrare un travaglio fecondo, capace di aprire alla stessa UE orizzonti nuovi.
La crisi dei debiti sovrani di alcuni paesi dell’UE, Grecia in primo luogo, innescata dalla crisi economico-finanziaria post 2008, ha fatto vacillare l’Eurozona al punto da rendere, agli occhi di molti, assai probabile la fine dell’esperienza della moneta unica. Una fine che avrebbe trascinato con sé, inevitabilmente, anche il declino irreversibile della stessa UE. Proprio negli anni di maggiori difficoltà dell’Euro e delle istituzioni chiamate a governarlo, in gran parte dei paesi dell’UE si è assistito all’ascesa di movimenti politici fortemente euroscettici. L’onda lunga e apparentemente inarrestabile del populismo antieuropeo ha trovato il punto di massimo ascesa nel giugno del 2016 con il referendum sulla “Brexit”. Ma nelle successive tornate elettorali nessuno di questi movimenti ha dimostrato una forza tale da risultare dirompente rispetto al progetto europeo. Progetto che, anzi, ne esce rafforzato come vero unico fattore comune e coesivo delle forze politiche di governo dei principali paesi dell’UE, Regno Unito escluso.
Ma c’è di più. In un contesto mondiale in cui lo spettro di un conflitto, e un conflitto nucleare, torna a intravedersi all’orizzonte e in cui le grandi potenze sembrano voler mostrare più la forza dei muscoli che quella della politica, l’UE continua ad essere l’unica vera grande potenza mondiale alternativa. Una sorta di potenza soft costruita non sulla forza delle armi o della moneta, ma sulla forza della propria proposta politica. Un punto di riferimento su temi centrali quali la questione ambientale, la conoscenza e l’innovazione, l’inclusione sociale e i diritti civili. Il leader di una “globalizzazione responsabile” capace di costruire rapporti, politiche e programmi con paesi e territori extra-UE, in primo luogo quelli limitrofi.
Ebbene, in questi anni così turbolenti quella che tuttora è la principale politica dell’UE, la Pac, ha continuato a dibattere delle sue ennesime riforme e delle sue crescenti, talora incomprensibili, complessità. Per alcuni, una sorta di inaccettabile autismo rispetto alla vicenda storica che l’UE sta sperimentando; per altri, invece, la forza tranquilla di una politica pluridecennale che quella storia l’ha scritta e continuerà a scriverla al di là e nonostante la temperie e le sue solo apparenti rivoluzioni.
Che cosa davvero la Pac abbia da dire e da fare per il futuro dell’UE è la domanda che abbiamo voluto porre come Tema di questo numero 50 della rivista. Domanda che abbiamo posto a studiosi che di Pac hanno scritto tanto e per tanti anni, spesso anche su queste pagine. Che ne hanno analizzato le sue evoluzioni e riforme non solo in quanto accademici ma, all’interno delle stesse istituzioni europee che hanno servito o che con cui hanno dialetticamente e proficuamente interagito. Quindi, non solo profondi conoscitori della Pac e della sua storia ma, in qualche modo, anche suoi artefici. 
Ad alcuni esperti stranieri ed italiani abbiamo chiesto di raccontare la storia della Pac, le sue attuali vicissitudini e prospettive future secondo un punto di vista personale. Non solo in quanto espressione della propria opinione consolidatasi in anni di studio, ma anche in quanto frutto di un’esperienza diretta, a fianco (talvolta persino al posto) del policy makers, chiamati a trovare un possibile compromesso tra l’analisi rigorosa, se non scientifica, della realtà e le istanze del realismo politico. In fin dei conti, la stessa sfida che Agriregionieuropa ha voluto darsi fin dall’inizio: provare a tracciare il sentiero, spesso molto stretto, tra le velleità di una proposta scientificamente fondata ma, anche per questo, irrealizzabile, e il terreno impervio della ricerca del consenso e della praticabilità politica.

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