La XIII Commissione Permanente (Agricoltura) della Camera dei Deputati ha affrontato recentemente il tema della Politica agricola comune. Il confronto si è sviluppato prendendo spunto da tre Risoluzioni parlamentari: due (la 7-00944 e la 7-01165) ad iniziativa dell’On. Gallinella (M5S) e la terza (7-01169) ad iniziativa dell’On. Oliverio (PD) [link].
Il 22 febbraio scorso, la stessa Commissione parlamentare ha organizzato una audizione. Ad essa sono stati invitati a portare il proprio contributo cinque professori universitari docenti di economia e politica agraria: Filippo Arfini (Parma), Gianluca Brunori (Pisa), Fabrizio De Filippis (Roma Tre), Angelo Frascarelli (Perugia) e chi scrive questo editoriale (Politecnica delle Marche).
L’occasione è stata utile per un bilancio, sia pure ancora parziale, sulla Pac 2014-2020 attualmente in vigore e, al tempo stesso, per una riflessione sulla Pac post-2020, per la quale è già avviato il complesso percorso che condurrà ai Regolamenti definitivi. Sono emerse posizioni a volte divergenti, altre volte convergenti ed il quadro complessivo è stato di notevole interesse.
I contributi dei miei colleghi, corretti ed emendati, anche a seguito dei risultati della discussione, sono raccolti in questo numero di Agriregionieuropa. Per l’occasione, avevo tentato di verificare quanto la parte di bilancio Pac destinata all’Italia fosse (scarsamente) proporzionata al peso in Europa dell’agricoltura italiana. Questo contributo è anch’esso incluso nel numero.
In questo editoriale, riporto qualche altra considerazione che ho aggiunto nella mia audizione, con particolare riferimento alle prospettive della Pac dopo il 2020.
Pagamenti diretti
La questione prioritaria, ineludibile e fin qui irrisolta della Pac è quella dei pagamenti diretti. La mia posizione è netta. Bisogna liberarsene, sia pure con gradualità, ma senza ambiguità. Sarebbe stato bene averlo già fatto in questa tornata di programmazione 2014-2020. Ma le forze della conservazione lo hanno impedito (Copa-Cogeca, ahimè, in testa). La soluzione trovata per dare loro una parvenza più presentabile è stata quella di scomporli in più misure: una mano di verde qua (il greening), una rinfrescata là (il pagamento supplementare per i giovani), un leggero taglio agli importi più elevati, un po’ più di accoppiato, la fittizia selettività dell’agricoltore attivo, ecc. Così si è aggiunta complessità e ambiguità, per risultati assolutamente insoddisfacenti rispetto agli obiettivi dichiarati, come era facilmente prevedibile e come è stato poi provato ex-post da più di una ricerca (European Commission, 2016; AA.VV., 2016).
Il tutto è stato accompagnato da un inopportuno trasferimento di decisioni agli Stati membri in materia di primo pilastro, con l’effetto di alterare le condizioni di concorrenza tra un paese e l’altro, e quindi le basi stesse del mercato unico.
Bisogna essere chiari sulla natura perversa dei pagamenti diretti. Commisurati, come sono, ai sostegni storici e alla superficie agricola utilizzata sono pura rendita. Paying for doing nothing, come talvolta si è detto, a parte la foglia di fico dell’eco-condizionalità e gli obblighi (che per i più non sono tali), del greening: diversificazione, mantenimento pascoli, aree di interesse ecologico.
I pagamenti diretti mantengono in vita aziende e sistemi di produzione inefficienti e non competitivi. Rendono alti gli affitti e i prezzi delle terre, ostacolando l’ingresso dei giovani e l’ampliamento delle dimensioni delle imprese. Premiano gli ordinamenti produttivi estensivi orientati alle commodity e ad alto consumo di energie non riproducibili, mentre penalizzano quelli più intensivi di lavoro, dei prodotti tipici e di qualità. Esauriscono i fondi sempre più scarsi della Pac, impedendone l’impiego in destinazioni più rivolte a favorire la sostenibilità, l’innovazione, la diversificazione e quindi la competitività, i progetti d’impresa, di filiera, di territorio. Nelle trattative per il futuro dell’Unione europea, indeboliscono le capacità di contrattazione a favore della Pac nella attribuzione dei fondi comunitari.
I due pilastri
I primi documenti sulla futura Pac danno generalmente per acquisito che essa debba continuare a basarsi sui due pilastri. Condivido questa impostazione, ma occorre riportare i due pilastri alla loro natura originaria: il primo pilastro, gestito a livello europeo con il concorso degli Stati membri, per le politiche di mercato e le relazioni di filiera a tutela degli agricoltori; il secondo, gestito con i Psr a livello regionale, per le politiche strutturali, la sostenibilità, la diversificazione e la qualità della vita nelle zone rurali. Questo significa innanzitutto eliminare le duplicazioni che sono state inopinatamente create pur di conservare i pagamenti diretti: (a) il greening va ricongiunto con le misure agroambientali del secondo pilastro: l’unico spazio in cui, attraverso i Psr si identificano le emergenze ambientali specifiche dei singoli territori, alle quali agganciare il sostegno pubblico; (b) nella stessa direzione va spostato il sostegno per i giovani agricoltori, lasciando ai Psr di individuare e modulare le forme attraverso le quali promuovere il ricambio generazionale in imprese valide e vitali e non limitarsi alla concessione del sostegno in base alla sola età anagrafica che, di per sé, non garantisce che l’ingresso del giovane sia economicamente sostenibile.
Nella direzione opposta, dal secondo al primo pilastro, vanno spostate le misure di gestione dei rischi, che non hanno niente a che vedere con i Psr.
Queste riallocazioni delle politiche tra i pilastri, se accompagnate dal trasferimento dei rispettivi budget, soprattutto del 30% del greening dal primo al secondo pilastro, consentirebbero anche di raggiungere l’obiettivo originario, fin dai tempi di Fischler, di attribuire effettivamente ai due pilastri un comparabile peso finanziario, riequilibrando con una corretta applicazione del principio di sussidiarietà, le competenze in materia tra Unione europea, Stati membri e Regioni.
Il ruolo del primo pilastro
Riguardo alla gestione dei rischi, tema chiave del nuovo primo pilastro, occorre fare molta chiarezza. Indubbiamente, la volatilità dei prezzi è aumentata notevolmente per varie cause, tra cui la forte riduzione delle politiche protezionistiche, così come sono aumentati i rischi dovuti a cause naturali per effetto, non ultimi, dei cambiamenti climatici. La politica di gestione dei rischi va quindi notevolmente rafforzata. Ma, a parte il caso degli eventi catastrofici, che per la loro eccezionalità sono al di fuori della portata dei singoli agricoltori e richiedono misure eccezionali (è il caso del terremoto), vanno esclusi sussidi erga omnes e interventi di sostegno non mirati (dietro ai quali potrebbero celarsi, sotto altro nome, dei redivivi pagamenti disaccoppiati).
In tutti gli altri casi, i rischi vanno trattati con strumenti di mercato come le assicurazioni, i fondi di mutualizzazione, i mercati futures, i contratti di filiera a lungo termine, gli stoccaggi. Il ruolo delle politiche pubbliche è di regolare, favorire e incoraggiare lo sviluppo di questi mercati, non di sostituirsi ad essi.
Liberato rapidamente dai pagamenti diretti, il primo pilastro dovrebbe poi concentrarsi, come già fa, ma con maggiore impegno, sulla politica dei mercati. Mi riferisco in particolare al sostegno deciso a tutte le forme aggregative delle imprese di tipo sia orizzontale (Organizzazioni dei Produttori) che di filiera (Organizzazioni Interprofessionali). Nell’Ocm unica potrebbe confluire in modo più mirato ed esclusivo una residua quota di sostegno accoppiato, ma solo per la permanenza dell’agricoltura in territori fragili (zootecnia di montagna).
Il ruolo del secondo pilastro
Il ruolo del secondo pilastro è cruciale nella formazione dei capitali necessari ad accrescere il livello tecnico-economico e quindi la competitività dell’agricoltura e dei sistemi rurali. Sono sempre stato un sostenitore della politica di sviluppo rurale perché è guidata da programmi pluriennali, perché coinvolge le Regioni e tiene conto delle differenze territoriali, perché è cofinanziata e quindi responsabilizza di più gli Stati membri e le Regioni, perché è maggiormente mirata e selettiva. Perché infine il suo sostegno è rivolto al futuro: legato com’è a comportamenti da tenere, a impegni a fare (o non fare), a progetti da implementare.
Sono ancora più convinto che il suo ruolo debba essere rafforzato, anche perché sono state rinvigorite le misure che incentivano i progetti collettivi: iniziative cooperative, progetti integrati di filiera e di territorio, contratti agro-ambientali d’area, gruppi operativi. A proposito di Partenariato europeo per l’innovazione, la nostra diretta esperienza negli incontri con i gruppi operativi e attraverso la “Finestra sull’Innovazione” di Valentina Materia [link] suggerisce di esprimere un giudizio particolarmente positivo sull’iniziativa. Essa ha una enorme potenzialità che va sostenuta anche con più risorse.
Il problema, riguardo al secondo pilastro, sono i tempi lunghissimi della sua gestione che, come dimostrano anche gli articoli raccolti in questo numero di Agriregionieuropa, condizionano inevitabilmente i risultati. L’andamento dei pagamenti va ad onde con ritardi inammissibili (Sotte, Baldoni, 2016). Essi sono minimi nei primi anni del settennio europeo (nonostante la pratica di pagare i cosiddetti trascinamenti) e altissimi gli anni successivi, ridiscendendo di nuovo con l’avvio della nuova programmazione. Nei primi quattro anni del periodo 2007-2013 à stato speso solo il 23% dei fondi a disposizione, mentre il 34% è stato speso a settennio trascorso, negli anni 2014 e 2015. La difficoltà di gestione svilisce le potenzialità dei Psr, perché non di rado le Regioni privilegiano lo “spendere purchessia” rispetto allo “spendere bene”, con il risultato di trascurare proprio le misure più innovative e cruciali (quelle “a bando”) a vantaggio di quelle più facili da gestire (“a domanda”). Ne è prova il numero davvero molto esiguo, poco più dell’1% di tutti i beneficiari Pac, di agricoltori che accedono alle misure strutturali (capitale fisico), a quelle rivolte alla formazione e all’assistenza tecnica (capitale umano) e a quelle per la diversificazione, la qualità della vita e l’iniziativa Leader (capitale territoriale e sociale).
È imperativo dunque collegare meglio un periodo di programmazione all’altro e compiere un notevole sforzo di qualificazione del personale e di semplificazione delle procedure.
Per concludere
Come ho cercato di argomentare, giudico la Pac attuale decisamente inadeguata per rispondere alle esigenze dell’agricoltura europea e di quella italiana in particolare. Occorre un deciso salto di qualità, non basta un aggiornamento. So bene che quello che auspico è difficile da realizzare in questa Unione europea, già così sotto pressione. Ma non si uscirà mai dall’impasse se, per assicurarle la sopravvivenza, si rinunciasse ad incidere sugli interessi costituiti: compresi quelli della rendita agricola. Se si immagina per l’Europa un futuro diverso dalla mera sopravvivenza, che preluderebbe alla fine del sogno europeo, occorre che un contributo fondamentale venga anche dalla Pac, per il suo ruolo storico e fondativo dell’Unione, ma soprattutto per puntare ad una agricoltura europea protagonista dello sviluppo rurale, moderna, efficiente, competitiva, adeguata ai tempi e alle opportunità che le si aprono in un mondo in profonda trasformazione.
Il tema di questo numero
Questo numero di Agriregionieuropa, curato da Simona Cristiano e Serena Tarangioli, è dedicato alla valutazione della politica di sviluppo rurale fin qui realizzata: 2007-2013, anche in riferimento a quella 2014-20 in fase di implementazione. I contributi raccolti presentano i risultati di un lavoro di gestione e valutazione spesso poco valorizzato e per questo poco conosciuto, che coinvolge, sul fronte della definizione e gestione della politica agricola e di sviluppo rurale, numerosi soggetti a livello nazionale, nelle Regioni e nei territori, e che interessa la parte migliore delle imprese agricole e del sistema agroalimentare.
Riferimenti bibliografici
-
European Commission (2016), Mapping and analysis of the implementation of the Cap, Directorate-General for Agriculture and Rural Development, Report written by Ecorys, Ieep, Wageningen University & Research, [link]
-
AA.VV. (2016), Dove sta andando la PAC. Mercato, semplificazione, sviluppo rurale e Brexit, [pdf]
-
Sotte F, Baldoni E. (2016), La spesa Pac in Italia (2008-2014), Agriregionieuropa, Collana Economia Applicata, Volume 4, anno 2016, Quaderno n. 3 del Comitato Scientifico Cia-Aab Isbn 9788894062946, [pdf]