“E pluribus unum”
Abstract
L’articolo riporta alcuni dei risultati ottenuti nella programmazione 2007-2013 per lo sviluppo rurale sui temi della progettazione integrata e più in dettaglio dai Progetti Integrati di Filiera (Pif). In particolare si citano le evidenze emerse dalle analisi realizzate nell’ambito delle valutazioni in itinere ed ex post condotte dalla società Lattanzio Advisory S.p.A. nei Programmi di Sviluppo Rurale (Psr) di diverse regioni italiane. L’analisi illustra talune considerazioni generali desumibili anche da altri contesti regionali, oltre a quelli in cui si è stati impegnati direttamente in qualità di valutatori dei Programmi. Si riscontra un “successo” generalizzato dei Pif con tante luci, ma anche qualche ombra. La riflessione è certamente un’occasione per individuare preziose indicazioni per proseguire nel cammino intrapreso e orientare al meglio la promozione delle filiere nel prossimo futuro.
Introduzione
Il tema della Progettazione Integrata di Filiera (Pif) ha avuto un grande rilievo nella programmazione 2007-2013, sia dal punto di vista quantitativo, risorse investite, che qualitativo, centralità rispetto alle strategie complessive dei Programmi di Sviluppo Rurale (Psr).
L’analisi e le riflessioni riportate di seguito sono il frutto dell’attività di valutazione in itinere ed ex post dei Psr Liguria, Toscana, Marche, Puglia, Calabria e della Rete Rurale Nazionale, svolte dalla società Lattanzio Advisory S.p.A. Alcuni passaggi dell’articolo riprendono in maniera puntuale gli sforzi appassionati di un nutrito gruppo di colleghi valutatori, che ho avuto il piacere di coordinare, a cui va il merito di aver cercato di indagare, con grande onestà intellettuale, gli effetti generati dalle risorse pubbliche investite sul territorio, di cercare di comprendere le reali ragioni per cui certi fenomeni si sono verificati e soprattutto di essersi sforzati di fornire dei suggerimenti concreti per migliorare l’efficacia delle politiche di sviluppo rurale alle diverse scale di riferimento. Ringrazio quindi tutti i colleghi, che non riesco in questa sede a citare personalmente, perché numerosi, che hanno indirettamente contributo alla stesura di queste pagine.
I Pif nella programmazione 2007-2013
Dalla comparazione dell’impianto programmatico adottato sul tema da alcuni Psr, e dall’analisi dei risultati ad oggi rilevabili dall’attuazione dei Pif, emergono alcune note distintive che si ritiene utile sottolineare, allo scopo di verificare la qualità della programmazione passata e soprattutto per orientare la programmazione in corso, 2014-2020, oltre che per fornire indicazioni utili allo scopo di preparare al meglio quello futura, post 2020. In particolare si analizzano i Pif programmati e attuati in 5 Regioni, il Veneto, la Toscana le Marche, la Puglia e la Calabria. Si tratta di contesti molto distanti tra di loro e che consentono quindi di trarre degli elementi comuni come caratteristici dello strumento in sé.
La progettazione integrata di filiera rappresenta un importante strumento di attuazione delle politiche di sviluppo rurale, introdotto e promosso nell’ambito della programmazione italiana per lo sviluppo rurale 2007-2013 dal Piano Strategico Nazionale (Psn), anche alla luce dell’esperienza del periodo 2000-2006. Ha l’obiettivo di creare e potenziare le principali filiere agroalimentari e quella forestale a livello regionale, attraverso la realizzazione di progetti complessi ed integrati che possano sistematizzare l’intervento pubblico, tarandolo sulle specifiche esigenze di comparto. Si tratta di una scelta tutta italiana che si basa sull’idea che l’aggregazione e l’interazione tra i soggetti che partecipano alla catena produttiva possa garantire risultati migliori in termini di crescita della competitività delle filiere agricole e forestali.
L’analisi dei Psr 2007-2013 mostra come il Pif rappresenti prioritariamente uno strumento di governance della filiera produttiva, attraverso cui gestire le strategie di sviluppo e i rapporti tra i diversi operatori coinvolti nei vari segmenti della filiera (conferimento materie prime, produzione, trasformazione, commercializzazione), promuovendo l’attuazione di un approccio multisettoriale che coinvolge tutti gli attori e le risorse della filiera, il rafforzamento delle prassi partenariali, il miglioramento dell’offerta dei beni collettivi, il consolidamento delle reti e la crescita del capitale sociale impiegato e quindi, in ultima analisi, una maggiore equità nella gestione dei rapporti tra gli attori.
Si può affermare che il principale obiettivo dei Pif sia il miglioramento della competitività delle filiere agroalimentari. Infatti, i Pif intendono garantire, attraverso una maggiore integrazione orizzontale e verticale tra gli operatori economici coinvolti nelle filiere produttive agroalimentari o forestali, migliori condizioni di mercato ed un adeguato ed armonico sviluppo del territorio, oltre che una crescita dei livelli occupazionali.
Si assegna ai Pif anche il compito di promuovere una più equa redistribuzione del valore aggiunto agricolo tra i diversi segmenti delle filiere agroalimentari o forestali. Si vogliono, in particolare, instaurare nuovi rapporti di forza tra i vari anelli delle filiere, consentendo ai produttori agricoli di recuperare un maggiore potere di mercato. In questo senso, gli interventi attuati hanno dei potenziali significativi benefici per i consumatori in termini di riduzione del divario fra prezzi alla produzione e al consumo.
L’attuazione dei Pif è stata, inoltre, funzionale alla creazione e al consolidamento delle reti di relazioni tra gli operatori della filiera. Puntando, infatti, alla creazione di nuove forme di governo delle filiere, finalizzate alla realizzazione di accordi strategici tra gli operatori economici e i soggetti sia monte che a valle della filiera, e aventi come obiettivo il miglioramento della competitività e il superamento delle principali criticità che caratterizzano il settore agricolo e forestale (dimensione aziendale, concentrazione dell’offerta, ecc.).
Analisi comparata dei Pif
La progettazione integrata ha coinvolto le Regioni italiane in maniera differenziata a partire dalla Programmazione 2000-2006. Le prime applicazioni di rilievo sono state adottate dalle Regioni meridionali comprese nell’Ob.11 attraverso i Programmi Operativi Regionali (Por). Di fronte alle molteplici esperienze sviluppate - 156 Pit per circa il 16 delle risorse dei Por - solamente in due regioni la progettazione integrata ha caratterizzato il mondo agricolo e rurale con l’attivazione di Progetti Integrati di Filiera in Calabria e dei Progetti Integrati Rurali (Pir) in Campania. In Calabria i progetti di filiera si sono sviluppati in ambito negoziale, ponendosi tra gli obiettivi fondanti quello del rafforzamento delle relazioni, mediante la partecipazione attiva dei soggetti (Zumpano, 2007)2. L’esperienza avviata nella Programmazione 2000-2006 si è poi diffusa in gran parte delle regioni italiane durante il Psr 2007-2013, con l’esclusione di alcune regioni3 che secondo la Rete Rurale, data la limitata estensione geografica o per altri motivi di natura organizzativa, “hanno preferito non misurarsi con le complessità procedurali che si generano attivando i progetti integrati” (Rete Rurale, 2012)4.
I primi dati complessivi sulla programmazione 2007-20135 attestano il rilevante successo di questo strumento attuativo, almeno per quel che attiene gli aspetti meramente quantitativi. Infatti, nelle 14 regioni interessate, sono stati finanziati quasi 400 progetti integrati (per l’esattezza 373), per un ammontare complessivo che si avvicina al miliardo di euro, quindi circa il 5% della programmazione per lo sviluppo rurale dell’intero settennio di riferimento. Le imprese che hanno partecipato ai progetti integrati di filiera sono state circa 18.000 e l’importo medio dei Pif ha superato i 2 milioni di euro (2.153.134 euro).
Riportiamo un’analisi comparativa realizzata nell’ambito delle attività di valutazione in itinere dei alcuni Psr. In particolare, l’analisi svolta per il periodo 2007-2013 è stata indirizzata verso quattro Psr che sono stati ritenuti un buon benchmark di confronto per alcune caratteristiche specifiche di seguito descritte:
- Psr della Regione Veneto per la scelta di precorrere i tempi, avviando i progetti prima degli altri contesti regionali e di considerare in maniera distinta la componente forestale mediante l’adozione dei Piff rispetto agli altri settori. Il Veneto ha infatti stabilito con D.g.r. n. 199/2008 il termine della presentazione delle domande per il 14 luglio 2008 e la chiusura degli investimenti strutturali e misti per il 31/12/2011;
- Psr della Regione Marche per aver promosso lo sviluppo di filiere di qualità in un contesto e in settori dove la presenza di realtà associazionistiche non è molto diffusa e per aver sperimentato diverse tipologie di filiere (Regionali, Locali e Microfiliere);
- Psr della Regione Puglia per l’impostazione orizzontale che viene data alla progettazione di filiera indirizzata ai singoli settori e per l’ingente dotazione finanziaria destinata ai Pif;
- Psr della Regione Calabria per l’esperienza maturata a partire dalla Programmazione 2000-2006 con la conseguente volontà di rafforzare i legami di filiera focalizzando l’attenzione sui processi di trasformazione e commercializzazione.
Le tipologie di progettazione integrata attuate nelle regioni osservate, come illustrato dalla tabella 1, sono state molto differenziate e ciò dimostra la consapevolezza delle singole Regioni responsabili dei Psr e la personalizzazione che ha caratterizzato a livello territorile i Pif nella programmazione 2007-2013.
Tabella 1 - Le tipologie di progettazione integrata di filiera nelle regioni selezionate
Fonte: Elaborazioni Lattanzio Advisory S.p.A. su dati Psr delle Regioni selezionate
Per quanto riguarda i comparti produttivi coinvolti nei Pif, come illustrato nella figura 1, si evidenzia una prevalenza dei settori della zootecnia, ortofrutticolo, vitivinicolo e oleico-olivicolo, ambiti nei quali si esprime forte l’esigenza di rafforzamento delle filiere. Naturalmente, l’analisi a livello regionale mostra delle rilevanti differenziazioni dovute alle caratteristiche peculiare dei singoli territori e dei relativi assetti produttivi. Ad esempio, le filiere oleico-olivicole prevalgono in Calabria e Puglia, mentre quelle zootecniche e vitivinicole in Veneto.
Figura 1 - Ripartizione dei Pif per settore produttivo nelle regioni selezionate
Fonte: Elaborazioni Lattanzio Advisory S.p.A. su dati Psr delle Regioni selezionate
Le Misure dei Psr più interessate dai Pif sono state quelle destinate agli investimenti, alla consulenza ed ai sistemi di qualità, quindi in particolare le Misure 114, 121 e 132. La tabella 2 illustra nel dettaglio la distribuzione dei Pif per Misura e regione.
Tabella 2 - Le Misure attivate dai Pif delle Regioni selezionate (incidenza % delle domande di aiuto per Misura)
Fonte: Elaborazioni Lattanzio Advisory S.p.A. su dati Psr delle Regioni selezionate
Il confronto sulle esperienze condotte in tema di progettazione integrata nelle regioni analizzate, sintetizzato in alcuni elementi strutturali nelle tabelle sopra riportate, permette di evidenziare alcuni aspetti che possono costituire utili spunti per l’attuazione delle Misure attuate tramite progetti di filiera anche nella programmazione in corso.
Le attività di informazione dovranno essere utilizzate come elemento fondante dell’animazione sul territorio, che risulta cruciale per favorire una migliore riuscita dei Pif. Per esempio la Regione Marche, nella programmazione 2007-2013, ha fortemente incentivato le attività di natura formativa e informativa rivolte ai Pif. Il valore aggiunto di questa scelta è stato quello di dettagliare e articolare le attività informative in maniera sistemica, limitandone l’utilizzo ai soli soggetti promotori, in modo da favorirli nell’animazione sul territorio. Anche le attività formative sono state utilizzate in maniera molto mirata, in modo verticale su aspetti fortemente connessi con le tematiche delle filiere.
Per l’attuale programmazione, un ulteriore elemento da valorizzare è il rafforzamento delle misure forestali (Misura 8) e di cooperazione (Misura 16) all’interno della filiera, rispetto a quanto fatto nel 2007-2013. In questa direzione, ad esempio, nel Psr Toscana 2014-2020 sono state previste apposite operazioni relative al “sostegno alla cooperazione di filiera per l'approvvigionamento sostenibile di biomasse” e la “redazione di piani di gestione forestale”.
Le attività forestali potranno essere stimolate seguendo quanto già realizzato dalla regione Veneto nella scorsa programmazione, per cui all’interno del settore forestale sono state definite apposite filiere e sono stati enfatizzati gli aspetti che possono favorire l’aggregazione, anche mediante l’apposizione di specifici vincoli circa la durata e le finalità dei vari progetti. L’esperienza dei Piff del Veneto evidenzia come le imprese forestali siano disponibili ad aderire a progettualità complesse soltanto nel caso in cui si manifestano benefici effettivi e ricadute collettive maggiori di quelle ottenibili attraverso progetti singoli, si pensi per esempio agli interventi di viabilità forestale.
In merito alla necessità di incentivare maggiormente le progettualità innovative, rispetto all’esperienza del 2007-2013, positiva è la valutazione di quanto fatto in regione Toscana attraverso la Misura 124, dato che le sperimentazioni condotte dagli altri contesti territoriali hanno mostrato delle performance inferiori rispetto a quelle riscontrabili in Toscana.
Provando a considerare il contributo non tanto delle singole misure, quanto delle filiere nel loro complesso, in particolare agli aspetti di natura procedurale, è possibile trarre alcune considerazioni in merito alle diverse tipologie di progettazione integrata utilizzata, al ruolo assunto dal soggetto proponente e ai diversi criteri di selezione utilizzati per perseguire al meglio le finalità del Programma.
Sotto questo profilo, la scelta effettuata dalla regione Marche di investire sulle filiere locali (Cfr. Tabella 1) appare piuttosto interessante per la capacità di coniugare lo sviluppo del territorio con le attività di filiera. Tale tipologia di progettualità potrebbe essere efficacemente utilizzata dalle altre regioni per favorire alcune specifiche attività di cooperazione e diversificazione, come quelle previste per la Misura 16.3 - “Cooperazione tra piccoli operatori per organizzare processi di lavoro in comune e per condividere strumenti e risorse e per lo sviluppo e/o commercializzazione di servizi turistici” e la 16.9 - “Sostegno alla diversificazione delle attività agricole in attività riguardanti l'assistenza sanitaria, l'integrazione sociale, l'agricoltura sostenuta dalla comunità e l'educazione ambientale e alimentare”.
Per ciò che attiene le tempistiche attuative, dal confronto tra le regioni prese in esame, il modello utilizzato dalla regione Veneto appare di particolare interesse, dato che le diverse proroghe non sono andate a incidere sulle tempistiche di presentazione delle domande, eccezion fatta per alcune specifiche misure, ma solo sulla definitiva chiusura dei lavori, per assecondare delle concrete esigenze emerse dai beneficiari.
In riferimento al ruolo svolto dal soggetto promotore, tra le regioni analizzate il Psr della regione Veneto sembra avere espresso efficacemente, in maniera sintetica ed esaustiva, i vincoli e le responsabilità del soggetto promotore (ovvero mandatario) del progetto. Inoltre, emerge che siano stati definiti nell’atto costitutivo dell’Ati gli elementi basilari e gli impegni reciproci che devono essere tenuti presenti, ivi comprese le clausole relative agli obblighi e modalità di conferimento e di commercializzazione del prodotto.
Approfondendo il tema dei criteri di selezione utilizzati nella selezione dei progetti da finanziare all’interno dei Pif, l’analisi comparata ha messo in evidenza la necessità di finalizzare in maniera coordinata e coerente una serie di aspetti procedurali (tipologia graduatorie, ruolo criteri ammissibilità, presenza di soglie minime) cui prestare maggiore attenzione per evitare processi disfunzionali. Per esempio, in regione Veneto la concomitante presenza di graduatorie per singolo comparto e l’assenza di soglie di finanziamento minimo ha favorito una notevole diffusione dei Pif in maniera trasversale a tutti i settori, portando al contempo a finanziare progetti con punteggi molto diversificati. Invece in Toscana e nelle Marche, la presenza di un criterio puntuale e definito di sbarramento ha permesso agli eventuali aspiranti ai Pif di vagliare preliminarmente la qualità della propria progettualità, ma ha generato un effetto negativo, riducendo la numerosità complessiva dei partecipanti ai Pif.
Conclusioni e prospettive future
Lo strumento dei Progetti Integrati di Filiera ha ottenuto un discreto successo in tutti i programmi in cui è stato applicato, se pur con degli esiti differenziati nelle varie regioni. Da un punto di vista dei numeri (richiesta di accesso ai finanziamenti, tasso di realizzazione individuale, risultati ottenuti rispetto alle aspettative), anche attraverso le risultanze delle indagini dirette da noi condotte in alcune regioni, si può affermare che i diversi contesti regionali hanno saputo utilizzare questa opportunità come una leva vantaggiosa per realizzare iniziative già preventivate o per pianificarne di nuove.
I Pif possono considerarsi strumenti di promozione settoriali, tuttavia emerge come essi possano costituire anche un terreno di apprendimento per diffondere pratiche collaborative e modalità integrate di progettazione, contribuendo ad attivare nuove reti intorno a progetti innovativi o a consolidare legami di rete già esistenti.
Determinante è stata, nel successo dei progetti di filiera, la capacità di leadership dei Capofila: ciò induce a riflettere sulla necessità di una regia esperta, sia in fase di aggregazione e coordinamento, che di proposta e realizzazione del progetto.
L’esperienza Pif riconferma dunque l’efficienza dell’organizzazione gerarchica, basata sul “riconoscimento” del ruolo di leadership da parte delle imprese, in quanto altamente “funzionale” quando si tratta di adempiere a regole burocratico-amministrative a loro volta fortemente standardizzate e centralizzate.
Allo stesso tempo, si rilevano potenzialità ancora non sfruttate, che nell’attuale programmazione potranno essere potenziate attraverso un aggiustamento degli schemi di intervento. Se è vero che gli incentivi sono stati incentrati principalmente sugli investimenti, anziché sulle relazioni, in futuro è utile investire di più sulle misure immateriali e di coordinamento, stimolando gli attori a produrre una “mappa del cambiamento” in vista di obiettivi di medio-lungo periodo, con una precisa pianificazione di un percorso, una puntuale definizione dei singoli step e degli obiettivi intermedi.
Questo approccio potrebbe stimolare un maggior coinvolgimento e apporto di tutti i partecipanti che, soprattutto nella fase produttiva, paiono aver giocato un ruolo marginale e spesso sembra non abbiano avvertito di trovarsi all’interno di una logica “più ampia” rispetto all’orizzonte economico e di mercato della singola impresa.
Un ruolo decisivo lo gioca la qualità della progettazione, intesa come qualità delle relazioni tra soggetti coinvolti, competenze specifiche dei progettisti, tempi adeguati per la sua esecuzione. I Pif sono certamente complessi e onerosi, e la loro progettazione richiede una notevole quantità di risorse in un tempo limitato. È inevitabile, in questo quadro di riferimento, che la redazione del progetto trascuri le fasi di comunicazione o le riduca al minimo indispensabile.
Non è un caso che i progetti migliori sembrano essere stati quelli in cui le reti si erano già formate sulla base di altre esperienze, come quelle sostenute dalle Misure 124, oppure erano già formalizzate dall’appartenenza alla stessa cooperativa. In questo caso la parte preliminare del progetto, quella della identificazione e selezione dei partecipanti sulla base di idee e motivazioni comuni, era già in gran parte realizzata.
In relazione proprio alla Misura 124, si rileva che, nei Pif in cui essa è stata attivata, si sono apprezzati dei risultati positivi nell’incontro tra domanda e offerta di ricerca e innovazione. Non in tutte le esperienze l’innovazione ha pervaso l’intera filiera produttiva, limitandosi talvolta ad introdurre un’innovazione puntuale nell’azienda aderenti al progetto integrato, ma certamente l’attivazione delle Misura 124 all’intero dei Pif è stato un elemento che ha qualificato i progetti integrati e ha spesso generato delle buone pratiche in grado di diffondersi nella filiera e nel territorio di riferimento; ad esempio, questo effetto di “contaminazione” dell’innovazione emerge dalle nostre analisi in modo piuttosto chiaro nei Pif del Psr della Regione Toscana.
In prospettiva futura, per incentivare e diffondere questa forma di aggregazione come efficace strumento di consolidamento e sviluppo, potrebbe essere opportuno prevedere una tempistica amministrativa adeguata a sviluppare aggregazioni partenariali anche nelle aree meno organizzate, con investimenti consistenti su misure propedeutiche alla formazione dello spirito cooperativo, con obiettivi limitati e basate sulla comunicazione. Va sottolineato che, almeno in parte, la programmazione 2014-2020 per lo sviluppo rurale sta cercando di tenere in considerazione questi fattori già evidenziati come suggerimenti nelle sedi opportune (per esempio nei Rapporti Tematici o nelle Relazioni di Valutazione ex post) all’interno dei nostri lavori di valutazione dei Psr. La promozione di politiche che possano favorire a monte le scelte aggregative sono essenziali per il successo degli interventi integrati e risultano decisive anche per massimizzare l’efficacia e il valore aggiunto dei Pif, rispetto ai più tradizionali interventi individuali.
In un contesto imprenditoriale in cui le caratteristiche di leadership e capacità di aggregazione sono troppo limitate, potrebbe essere difficile ottenere risultati significativi: dunque strumenti attuativi innovativi come i Pif potrebbero rivelarsi molto meno efficaci, e persino impotenti, laddove non esistano già condizioni di contesto socio economiche ricettive e favorevoli.
Le misure di accompagnamento e di sistema auspicate dovrebbero prevedere uno specifico ruolo per “intermediari dell’innovazione” in grado di facilitare la comunicazione tra i produttori e il mondo della ricerca, premiando metodi innovativi di facilitazione ed esperienze di “buone pratiche”, come anche suggerito dagli strumenti previsti dalla programmazione in corso. Si rileva, infatti, che nel 2007-2013 la partecipazione degli enti di ricerca ai Pif ha certamente consentito di produrre una grande quantità di materiale informativo, di cui non si conoscono ancora le concrete prospettive di utilizzo, ma che certamente sta facilitando i medesimi processi nell’attuale programmazione.
Andrebbero comunque previste e incentivate specifiche strategie di disseminazione attraverso una varietà di strumenti e la messa in campo di tutti gli interventi che favoriscano la massima condivisione dei risultati ottenuti. L’esperienza della programmazione 2007-2013 dimostra, infatti, che quando questi aspetti sono stati sufficientemente tenuti in considerazione hanno generato un’indubitabile crescita del capitale sociale delle aree interessate.
Per sintetizzare i risultati complessivi raggiunti dall’attuazione dei Pif, utilizzando gli esiti delle nostre indagini dirette, possiamo affermare che sono stati uno strumento che ha fortemente favorito l’aggregazione tra le aziende, ottenendo dei positivi effetti equitativi, in termini di redistribuzione del valore lungo la filiera.
Indubitabili sono gli ottimi risultati raggiunti per quel che attiene la propositività delle aziende verso nuovi mercati, anche attraverso un’azione decisiva di diffusione dell’innovazione, che ha caratterizzato diversi Pif in molte regioni.
L’attuazione dei Pif è stata occasione utile per consolidare, dal punto di vista imprenditoriale, le aziende che hanno partecipato ai progetti integrati, spesso generando anche una crescita della competitività delle singole aziende, migliorando anche la loro capacità in termini di gestione e controllo aziendale. Tutto ciò è stato ottenuto aumentando la capacità di cooperazione e attraverso il consolidamento della collaborazione tra aziende, che sono riuscite molto spesso nei Pif a fare rete.
Inoltre, se pur si tratta di evidenze ancora provvisorie e comunque preliminari, anche i segnali economici riscontrabili per le aziende che hanno aderito ai Pif, in termini di crescita del fatturato e dell’occupazione, sembrano essere particolarmente positivi, almeno in alcuni contesti da noi indagati. I primi segnali rilevabili sembrano attestare il valore aggiunto dei progetti finanziati all’interno di progetti integrati, rispetto agli interventi individuali, attuati in forma singola. Quindi si può affermare che i Pif siano stati in grado di generare un effetto moltiplicatore degli investimenti pubblici a loro destinati, con una maggiore efficace in raffronto alle risorse “ordinarie”, che non hanno previsto interventi integrati.
Una perplessità, infine, che andrà ulteriormente approfondita nei prossimi mesi e anni, fa riferimento alla solidità e stabilità nel tempo della rete creata tramite le filiere promosse nel 2007-2013.
Sotto questo profilo, appare decisivo proseguire, nell’attuale programmazione 2014-2020 e anche in quella futura (post 2020), nell’investimento culturale e materiale di promozione dell’integrazione tra aziende per consolidare filiere esistenti o per costruirne di nuove.
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- 2. Zumpano C. (2007), “L’approccio integrato nelle politiche di sviluppo rurale: strumenti e modalità di attuazione”, Agriregionieuropa, n.9.
- 3. Piemonte, Sardegna, Valle d’Aosta, Abruzzo, Molise e le provincie di Trento e Bolzano non hanno attivato la progettazione integrata. Il Piemonte ha puntato sulle microfiliere locali attribuendo ai Gal un ruolo decisivo nello sviluppo delle filiere agroalimentari e turistiche.
- 4. Tarangioli S. (2012), “L’approccio integrato nei Psr 2007/2013” Rete Rurale Nazionale, Roma, Aprile 2012.
- 5. Tarangioli S. (2016), “La nuova stagione dei Progetti integrati di filiera”, PianetaPsr numero 51, Marzo 2016