Le “periferie interne”. Che cosa sono e di quali politiche necessitano?

Le “periferie interne”. Che cosa sono e di quali politiche necessitano?

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Un termine incongruo e un concetto molto confuso!

Nel dibattito sulla politica regionale Europea, l’uso di una terminologia confusa o ambigua sembra talvolta eccessivo. In proposito, il termine periferia interna (Inner Peripheries) rappresenta un esempio classico. Apparentemente, i due termini si contraddicono a vicenda: come può un luogo ‘di frontiera’ essere anche ‘interno’? Non siamo certo noi i primi ad osservare che una tale mancanza di chiarezza sembra piacere ai policy-makers e ai professionisti: essa, infatti, consente una grande elasticità interpretativa e di implementazione delle politiche stesse! Piuttosto, è utile provare a scomporre il concetto in un insieme di temi, e di comprendere come esso sia il frutto di alcuni cambiamenti, tanto nel dibattito politico e accademico, quanto  – aspetto ancor più importante – nelle dinamiche socio-economiche del mondo reale.

La perifericità: un concetto mutevole

In generale, nel corso degli ultimi vent’anni è accaduto che il significato originale (ovvero spaziale) del termine ‘perifericità’, che si riferiva unicamente ai costi e agli svantaggi, di natura economica e sociale, fronteggiati dalle aree poste ad una certa distanza dai principali centri dell’attività economica in Europa1”. In questo modo, il legame causale tra perifericità e performance è, di fatto, rovesciato.

Nella prospettiva attuale, è importante prendere in esame la complessa evoluzione del concetto di periferiticità, nel momento in cui si cerca di comprendere il significato di “periferia interna”. Spesso, è soltanto attraverso un’attenta lettura del contesto che è possibile stabilire se uno scrittore o un commentatore ha in mente un concetto spaziale oppure metaforico, oppure un ibrido tra i due.

L’origine del concetto di periferia interna

Benché il termine “periferia interna” sia vagamente familiare per molti di coloro che lavorano nel campo dello sviluppo regionale, la letteratura in materia è piuttosto limitata. Le prime applicazioni del termine negli Appalachi (Walls, 1977; Hanna, 1995) e nel Lesotho (Weisfelder, 1992) si associano al sistema globale centro-periferia, descritto da Immanuel Wallersten (1991). Più di recente, Vaishair e Zapletelova (2008), studiando le piccole città in Moravia, usano il termine per descrivere le aree poco densamente popolate lungo i confini nazionali e laddove la topografia è collinare. Essi si riferiscono anche alle Alpi come ad un periferia interna dal punto di vista dell’Europa occidentale. Analogamente, nel contesto Russo, Kaganskii (2013) definisce la periferia interna in termini di aree rurali che sono relativamente vicine ai centri dell’attività economica, ma che, ciononostante, presentano un ritardo economico.
Per quanto ne sappiamo, il termine periferia interna fu usato per la prima volta in un documento europeo di policy all’interno del background report preparato per l’incontro sulla Agenda Territoriale 2020, tenutosi a Godollo (Ungheria) nel 2011 (Ministry of National Development and Váti Nonprofit Ltd., 2011). Si riporta di seguito la citazione completa, in quanto essa sembra il punto di partenza del successivo dibattito sulle periferie interne:
Internal peripheries are unique types of rural peripheries in European terms. The vast majority of these areas are located in Central and Eastern and in Southeast Europe and most of them have serious problems. Their peripherality comes primarily from their poor accessibility and paucity of real urban centres where central functions can be concentrated. These problems derive from the historical under-development of these territories and they are often compounded by specific features of the settlement network or social characteristics. The main problems of these areas are their weak and vulnerable regional economies and their lack of appropriate job opportunities. In these circumstances negative demographic processes, notably out-migration and ageing of the population, are getting stronger and stronger. These trends create the conditions for social exclusion, and even territorial exclusion from mainstream socio-economic processes and opportunities. While rural ghettoes are mainly a result of social factors, ethnic segregation can make difficult situations worse. This is the case, for example, in rural peripheries of Slovakia, Hungary and Romania where there are areas with high proportions of Roma population”2 (Ministry of National Development and Váti Nonprofit Ltd., 2011: 57).
Più avanti nello stesso documento, gli autori auspicano un’analisi delle periferie interne da parte del programma Espon (Ministry of National Development and Váti Nonprofit Ltd., 2011: 87).
Nel testo finale della Agenda Territoriale 2020, non viene fatto alcun riferimento alle periferie interne3: presumibilmente, proprio per questo motivo il progetto Espon Geospecs concludeva: “The concept of Inner Peripheries (IP) as such is new in the European policy arena, as illustrated by the fact that there are no policy documents dealing explicitly with it…4 (Espon Geospecs, 2013, p. 1). Il gruppo di ricerca di Geospecs non trova nemmeno una letteratura accademica sul tema. Pertanto, esso costruisce il proprio report sulla base di alcune interviste con stakeholders politici in Belgio, Paesi Bassi e Germania, arrivando a definire le periferie interne sulla base di caratteristiche socio-economiche piuttosto che sulla base di caratteristiche geografiche o sulla base della distanza dai centri dell’attività economica. Spesso, queste aree sono influenzate da processi di riconversione economica, perdita delle industrie chiave ed elevata disoccupazione. Come tali, a differenza di vere e proprie specificità di carattere geografico, tali aspetti sono mutevoli o transitori piuttosto che permanenti.
In termini generali, il rapporto Geospecs evidenzia i rischi connessi con l’abbandono della (in)accessibilità spaziale come caratteristica che definisce le periferie interne. Diventa infatti impossibile distinguere le periferie interne da ogni altro tipo di area rurale o semi-rurale in ritardo economico. Commissionando un nuovo report sulle periferie interne5, il programma Espon 2020 riconosce (ed evita) questo punto di debolezza, facendo riferimento ad un crescente corpus di lavori, che fa riferimento all’accesso ai Servizi di Interesse Generale. Questo aspetto non rappresenta un semplice problema di scelta di indicatori. Esso sposta il concetto di periferia interna dal concetto di “potenziale economico” verso la qualità della vita o il benessere della popolazione rurale. Inoltre, si mettono in relazione le aree interne con i temi demografici (ad esempio la migrazione rurale-urbano e l’invecchiamento). Una simile prospettiva richiama anche l’impatto di una maggiore austerità nella fornitura di servizi e gli effetti di lungo termine del new public management, del servizio universale e dell’equivalenza territoriale. Ciò sembra suggerire che il concetto di periferia interna che sta emergendo non rappresenta semplicemente un analogo centro europeo del tipo di perifericità da potenziale economico, osservato in Europa Settentrionale e Occidentale. Piuttosto, esso rappresenta un concetto più vicino al dibattito sull’esclusione sociale e sul well-being.
L’iniziativa Italiana a supporto delle Aree interne (Lucatelli et al., 2013, Mantino e De Fano 2015) è molto vicina ai concetti richiamati dall’ultimo bando Espon. Anche in questo caso, i principali indicatori utilizzati fanno riferimento all’accesso ai servizi di interesse generale. Tuttavia, una fonte aggiuntiva di confusione terminologica deriva dal confronto tra la tradizione accademica di lingua inglese e quella dei paesi Mediterranei. Nel primo caso, prevale l’idea che la periferia sia localizzata intorno ai confini nazionali (a Nord e a Ovest); nel secondo caso, invece, le città principali sono localizzate sulle cose e dunque la perifericità si associa proprio alle aree interne (lontane dalle coste).

Le periferie interne esistono anche in altre parti d’Europa?

Nella parte finale di questo lavoro, analizziamo l’utilità potenziale del concetto di periferie interne, come strumento di targeting delle politiche, in due paesi dell’Europa Occidentale in cui tale concetto non è stato ancora adottato: la Spagna e il Regno Unito (la Scozia, in particolare).
Dal punto di vista Europeo, la Spagna nel suo complesso è una nazione periferica. Considerando la geografia della Spagna, il concetto classico di remoteness sembra valido, in quanto ampie regioni si caratterizzano per una notevole distanza dalle principali città e dai principali centri dell’attività economica. La topografia del paese e il modo in cui le reti infrastrutturali si sono sviluppate storicamente contribuiscono significativamente alla configurazione di queste periferie regionali. Nonostante la presenza di periferie classiche, sembra esserci forte evidenza di alcuni territori che, pur avendo una localizzazione centrale, presentano (in termini relativi) problemi di accesso ai servizi di interesse generale e una situazione di deterioramento socio-economico, che non possono essere spiegate unicamente attraverso la localizzazione geografica. Per illustrare questo tema, ci concentreremo sulla regione di Valencia, una delle 17 comunità autonome del paese, che presentano ampi poteri legislativi esclusivi in tema di sanità, servizi sociali, istruzione e politiche di gestione del territorio.
Valencia è una regione di contrasti, con un territorio piuttosto diseguale. La regione presenta una forte concentrazione della popolazione, dell’attività economica, delle infrastrutture e delle altre dotazioni nella fascia costiera delle province di Castellon e Valencia. Dall’area metropolitana di Valencia, questo asse di sviluppo si apre formando una Y invertita che raggiunge la regione meridionale (turistica e industriale). Al contrario, la parte interna della regione è composta da aree rurali in ritardo di sviluppo, che mostrano le tipiche caratteristiche della perifericità rurale: spopolamento, invecchiamento della popolazione, mercati del lavoro locali e frammentati, limitato accesso ai beni e servizi di interesse generale.
Benché con riferimento al concetto tradizionale di perifericità la regione sia chiaramente divisa in due parti (sostanzialmente l’area costiera da una parte e l’area interna dall’altra), alcune aree ben posizionate rispetto al tradizionale concetto di perifericità mostrano in realtà livelli piuttosto bassi di qualità della vita e di accesso ai servizi di interesse generale. Senza voler negare la presenza, a livello aggregato, della classica dicotomia centro-periferia, uno sguardo più attento permette di evidenziare l’esistenza di alcune enclave, geograficamente centrali, che mostrano un livello di accesso ai servizi di interesse generale ben al di sotto degli standard registrati nelle aree centrali circostanti. La perifericità classica non è evidente in queste enclave: esse sono ben connesse dal punto di vista dell’accessibilità (alcune sono al centro dei principali corridoi infrastrutturali regionali). Pertanto, devono esistere altri fattori socio-economici di natura non geografica che possono spiegare la performance piuttosto povera di queste aree in termini di benessere economico.
L’area metropolitana di Valencia è la più grande agglomerazione urbana della regione. Ospita un comune centrale (la città di Valencia) e altri 75 comuni, per un totale di circa 1,8 milioni di abitanti. Per questo territorio centrale, Pitarch (2013) ha calcolato un Separation Index, che consiste nella distanza in termini di tempo tra ciascun distretto censuario e tutte le principali strutture che erogano servizi pubblici (sanità, istruzione e servizi sociali di base). I risultati di quest’analisi si discostano dal tipico modello centro-periferia, nel quale le aree più centrali dovrebbero presentare una migliore accessibilità per tutti gli indicatori (Figura 1). Al contrario, le mappe mostrano un mosaico di accessibilità che chiaramente mette in luce l’esistenza di distretti censuari ben localizzati dal punto di vista geografico, che tuttavia hanno una bassa performance rispetto ad uno o più dei servizi analizzati. I comuni che continuano a caratterizzarsi per specializzazioni funzionali o produttive a minor valore aggiunto sembrano rappresentare casi di periferie interne, dove i residenti sperimentano difficoltà crescenti nell’accesso ai servizi di base. Tali casi richiedono dunque una particolare attenzione nel disegnare e implementare politiche pubbliche in risposta ai loro bisogni specifici.

Figura 1 - L’area metropolitana di Valencia. Tempo (in minuti) fino al più vicino centro che eroga servizi sociali (Spatial Separation Index)

Source: Pitarch (2013)

In Scozia, la Central Belt, che si estende da Edimburgo (a Est) a Glasgow (ad Ovest), è un’area densamente popolata. Si tratta di una conurbazione, con una popolazione di circa 3,5 milioni di abitanti (i due terzi della popolazione scozzese totale), che sostanzialmente rappresenta un polo economico a sé stante. La Central Belt, infatti, è separata dalle città dell’Inghilterra settentrionale (come ad esempio Newcastle e Lancaster) da un’area scarsamente popolata, compresa tra le regioni amministrative degli Scottish Borders e di Dumfries and Galloway. Benché le Highlands e le isole situate a Nord e a Ovest della Central Belt, siano da tempo riconosciute come periferiche (secondo il convenzionale criterio spaziale), l’area rurale che si estende al confine con l’Inghilterra mostra molte delle caratteristiche proprie di una periferia interna.
Le regioni amministrative degli Scottish Borders e di Dumfries and Galloway sono attraversate da importanti arterie di comunicazione che collegano la Scozia all’Inghilterra, ma la rete viaria locale è relativamente rada e poco potenziata, e le piccole città poste all’interno dell’area offrono unicamente servizi di base. I tempi di percorrenza (tanto in auto quanto utilizzando il trasporto pubblico) per raggiungere i servizi locali più importanti (un medico, una stazione di rifornimento, un ufficio postale, le scuole primarie e secondarie, un centro commerciale) vengono pubblicati come parte dell’Index of Multiple Deprivation calcolato dal governo scozzese6. Una percentuale importante delle regioni degli Scottish Borders e di Dumfries and Galloway comprende data-zones7 che si collocano nel quartile a minore accessibilità della Scozia rurale (ovvero a più di 40 minuti utilizzando il trasporto pubblico e a più di 15 minuti utilizzando l’auto privata dal più vicino centro di servizi) (Copus e Hopkins 2015: 22, 24). Pertanto, sembra ragionevole descrivere quest’area come una periferia interna, in termini di accessibilità rispetto ai servizi d’interesse generale.
La performance socio-economica generale della Scozia rurale è stata di recente valutata (e mappata) a livello di data-zone, utilizzando 20 indicatori attentamente scelti per rappresentare quattro dei cinque obiettivi strategici dello Scottish Government’s National Performance Framework8 (Copus e Hopkins 2015). Questi quattro obiettivi strategici sono tutti di carattere socio-economico. Essi sono: “più ricco/più equo”; “più sicuro/più forte”; “più sano” e “più smart”. La metodologia usata è molto semplice. In primo luogo, ogni indicatore è stato convertito in un set di punteggi che variano da 1 (performance peggiore) a 10 (performance migliore). La media aritmetica semplice è stata calcolata per ognuno dei quattro obiettivi. I punteggi dei quattro obiettivi sono stati poi combinati come media semplice, creando così un punteggio di performance socio-economica complessivo9.
La figura 2 mostra come gran parte della regione Dumfries and Galloway si trovi nell’ultimo quartile rispetto ai punteggi generali di performance socio-economica, mentre la parte rimanente si colloca nel penultimo quartile. La parte con le peggiori performance si allunga a Nord, fino a raggiungere la regione contigua dell’Ayrshire. Più ad Est, nella regione degli Scottish Borders, il quadro è meno nitido. Alcune data-zones, in particolare quelle poste lungo le principali vie di comunicazione verso Edimburgo presentano una buona performance (nel terzo e nel quarto quartile). L’esame dei singoli indicatori che contribuiscono a questo indice generale di performance mostra che Dumfries and Galloway (e in misura minore anche gli Scottish Borders) fronteggiano varie sfide, in particolare quelle collegate con il capitale umano: spopolamento, invecchiamento, un cattivo stato di salute, minori livelli di attività economica e un’incidenza sproporzionata di lavoratori poco qualificati con un’occupazione a bassa qualifica. Di nuovo, questo profilo tende a supportare la descrizione di Dumfries and Galloway, insieme con una parte degli Scottish Borders, come una periferia interna.

Figura 2 - L’indice di performance socio-economica della Scozia Rurale

Source: Copus and Hopkins (2014) p69

Conclusioni

Il termine periferia interna rappresenta un concetto confuso ed ambiguo. C’è il rischio che enfatizzare troppo l’analogia tra perifericità e una performance socio-economica di tipo marginale renda il concetto di periferie interne indistinguibile da quello più generale di aree in ritardo di sviluppo. Per questo motivo, suggeriamo che il termine sia utilizzato soprattutto con riferimento a quei territori i quali, pur non essendo posti ai confini estremi del continente europeo, rappresentano comunque delle ‘enclave’ caratterizzate da scarsa accessibilità. Negli ultimi anni, l’oggetto di quel tipo di accessibilità è andato progressivamente spostandosi dal concetto di ‘potenziale economico’ (un concetto prettamente economico o di competitività, che caratterizzava i primi modelli sulla perifericità) ad un concetto diverso, con un maggiore focus di tipo socio-economico sui servizi di interesse generale, collegato alla qualità della vita dei cittadini delle aree rurali. In questo lavoro, abbiamo concluso che proprio questo concetto di perifericità “di seconda generazione” può rappresentare un utile strumento per caratterizzare le aree rurali in svuotamento, nei contrastati contesti nazionali di Spagna e Scozia.

Riferimenti bibliografici

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  • 1. , è stato via via confuso con una serie di significati metaforici. Questi ultimi, in particolare, fanno riferimento ad una “marginalità” socio-economica, in senso a-spaziale. Prima di procedere oltre, è bene ribadire che noi non intendiamo i termini marginalità e perifericità come sinonimi. Il primo concetto, nonostante la sua etimologia, è generalmente utilizzato per evidenziare caratteristiche di tipo socio-economico piuttosto che di tipo geografico.
    Negli anni Ottanta e Novanta, sono stati fatti sforzi importanti per misurare la perifericità spaziale, ricorrendo a vari modelli. In particolare, è stato proposto un modello gravitazionale (o Newtoniano) in analogia al cosiddetto potenziale economico (Keeble et al., 1988; Copus, 2001; Espon, 2004). Sono state disegnate mappe molto interessanti; inoltre, i parametri del modello sono stati testati attentamente e aggiustati, usando diverse forme di trasporto per verificare le ipotesi relative agli effetti della perifericità su vari aspetti della attività economica e sociale. Gli autori di quella ricerca erano perfettamente consapevoli che tali aggiustamenti potevano avere come effetto o l’accentuazione delle differenze a scala continentale tra le regioni più periferiche d’Europa e il suo core (talvolta indicato come Blue Banana) o piuttosto l’accentuazione delle differenze a scala più locale, ad esempio sub-nazionale (Schürmann and Talaat 2000; Espon 2009). In quest’ultimo caso, tali enclave di perifericità erano particolarmente suggestive, allorquando esse venivano individuate nel cuore stesso dell’Europa centrale. Tuttavia, è giusto dire che, poiché quella ricerca è avvenuta in concomitanza con l’ingresso nella UE di Spagna e Portogallo (1986) e di Svezia e Finlandia (1995), il dibattito politico verteva principalmente sul tipo di perifericità sperimentata dalle regioni scarsamente popolate del Nord Europa e dell’Europa Occidentale. Non a caso, benché le regioni periferiche della Penisola Iberica fossero state incluse all’interno dell’Obiettivo 1 dei Fondi Strutturali, le regioni Scandinave – meglio performanti – vennero ricondotte all’interno di una nuova classificazione (Obiettivo 6), proprio sulla base della loro perifericità.
    Tuttavia, anche quando fu riconosciuto che gli effetti della perifericità possono essere misurati come funzione della distanza dai centri dell’attività economica, gli accademici stavano sottolineando che, nonostante la sofisticazione di modelli e mappe, era molto più difficile comprendere i processi socio-economici che determinavano le differenze, a scala locale, della performance socio-economica. Pertanto, muovendo da Peter Gould (1969: 37), la perifericità può essere definita come un concetto scivoloso; un termine che chiunque usa finché non è costretto a definirlo e a misurarlo.
    Dalla fine del secolo scorso, tre aspetti sono mutati:

    • La UE è oggi composta da 28 Stati Membri e i nuovi stati sono tutti ad Est, dove non ci sono confini naturali (come l’Oceano Atlantico e il Mar Mediterraneo). Questo pone il problema dei confini da tracciare (in termini di territori e di dati da includere), per poter modellizzare e mappare la perifericità, come fatto in precedenza. Inoltre, è anche cambiato il focus politico: il tipo di perifericità sperimentato a Nord e ad Ovest dell’UE è molto diverso da quello dell’Europa centrale (caratterizzato da enclave più localizzate).
    • In secondo luogo, durante questo periodo, si è manifestata la consapevolezza, progressivamente crescente, che c’erano stati (o ci sarebbero stati, nell’immediato futuro) sottili ma importanti cambiamenti nel ruolo giocato dalla distanza fisica nel determinare i pattern di attività economica e di benessere. In altri termini, le economie di agglomerazione del core da un lato, e gli svantaggi legati alla remoteness dall’altro, sono andati, gradualmente e parzialmente, riconfigurandosi. L’interpretazione più estrema di questo cambiamento porta a sostenere che la prossimità spaziale è solo una delle possibili forme di prossimità, tra cui le tipologie non spaziali o quelle che coinvolgono, ad esempio, interazione sociale e fiducia, condivisione della conoscenza e informazione, strutture istituzionali e di governance sono sempre più importanti (Torre e Rallet, 2005).
    • Il terzo processo che ha influenzato il concetto e il significato del termine perifericità è, in parte, una conseguenza dei due precedenti. Si tratta della diffusione, sia tra gli accademici sia tra i policy-makers, dell’uso di questo concetto (spaziale) in analogia (o come metafora) della performance socio-economica deludente. Rispetto a questa prospettiva, ogni regione economicamente debole è descritta come periferica, a prescindere dalla sua localizzazione. Questa scelta si giustifica sulla base di forme (attribuite in modo esogeno) di prossimità di tipo non spaziale (Copus, 2001). Come suggerito da Bock (2016, p. 5): “Whereas in the past, the main cause was ascribed to geography, this has changed in the sense that the lack of resources is now explained as resulting from a lack of socioeconomic and political connections (‘connectivity’) and, hence, of relational ‘remoteness’ that is not necessarily bounded to geographical location…Geographical remoteness, as such, therefore does not cause marginalisation, nor does central location promise prosperity“Mentre nel passato, la principale causa (della perifericità) era ascrivibile alla geografia, oggi questo è cambiato nel senso che la mancanza di risorse è ora spiegata come il risultato di una carenza di connessioni socio-economiche e politiche (connettività) e pertanto di una remoteness di tipo relazionale, che non è necessariamente collegata alla localizzazione geografica… Pertanto, la remoteness geografica, in quanto tale, non causa marginalizzazione né una localizzazione centrale promette prosperità”.
    • 2. “In Europa, le periferie interne rappresentano tipologie uniche di periferie rurali. La maggior parte di queste aree sono localizzate nell’Europa centro-orientale e in quella meridionale, e molte di esse fronteggiano gravi problemi. La loro perifericità deriva principalmente dalla scarsa accessibilità e da una povertà di veri e propri centri urbani, ove si concentrano le funzioni centrali. Questi problemi derivano, in prospettiva storica, dal ritardo di sviluppo di questi territori e si mescolano spesso con specifiche caratteristiche delle reti di insediamento o dalle condizioni sociali. I problemi principali di queste aree sono un’economia regionale debole e vulnerabile e la mancanza di appropriate opportunità di lavoro. In tali circostanze, processi demografici negativi, in particolare l’emigrazione e l’invecchiamento della popolazione, si stanno rafforzando sempre più. Questi trend creano le condizioni per l’esclusione sociale, ma anche per una loro esclusione territoriale dai principali processi socio-economici. Mentre i “ghetti rurali” sono principalmente il risultato di fattori sociali, la segregazione etnica può rendere la situazione anche peggiore. Questo è il caso, ad esempio, della periferia rurale di Slovacchia, Ungheria e Romania, dove si concentrano aree con elevate quote di popolazione Rom.”
    • 3. [link] [ultimo accesso: 6 Aprile 2016].
    • 4. “Il concetto di periferie interne, in quanto tale, rappresenta una novità nell’arena politica europea, come evidenziato dal fatto che non esistono documenti politici che trattano esplicitamente questo tema”.
    • 5. [link] [ult ultimo accesso: 6 Aprile 2016].
    • 6. [link] [ultimo accesso: 6 Aprile 2016].
    • 7. Con il termine data-zones si intendono piccole unità geografiche standard che vengono utilizzate per l’analisi socio-economica in Scozia. Complessivamente, in Scozia, esistono 6.500 data-zones, con una popolazione compresa tra 500 e 1.000 abitanti.
    • 8. [link].
    • 9. [link].
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