Quale governance per la gestione degli orti municipali? I casi studio a Torino e Grugliasco

Quale governance per la gestione degli orti municipali? I casi studio a Torino e Grugliasco
a Università degli Studi di Torino, Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari
b Università degli Studi di Palermo, Dipartimento di Scienze Agrarie e Forestali
c Università degli Studi di Torino, Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari

Introduzione

Diversi studi convergono nell’inquadrare le molteplici forme di agricoltura urbana attraverso alcune categorie comuni: gli spazi utilizzati (urbani o periurbani, legali o abusivi), gli attori coinvolti (cittadini, amministratori, associazioni, agricoltori professionisti), le attività realizzate (ricreative, produttive, educative...) (Nahmías and Le Caro, 2012). Queste categorie possono essere applicate anche per fare un distinguo fra gli orti urbani; a fronte di alcuni elementi fissi (superfici coltivabili, elementi di servizio, impianti d’irrigazione, recinzioni) assumono forme, significati e funzioni molto diverse fra loro, a volte anche molto distanti; dipende da chi sono i partecipanti, dalla finalità con cui si coltiva, da come sono organizzati e gestiti gli spazi e da come tali fattori interagiscono gli uni con gli altri.
Il rischio che si corre è quello di etichettare questi micro-sistemi, spesso banalizzando la complessità che li caratterizza. Solo perché definito “comunitario”, non necessariamente un orto garantisce la socializzazione. Allo stesso modo “la coltivazione del proprio orticello” non sempre è l’espressione di un atteggiamento egoistico di assegnatari che si arrogano diritti di proprietà “privata” su spazi collettivi.
Ci sembra quindi interessante assumere la prospettiva dell’ecologia umana e dell’ecologia politica (Classens, 2014), per guardare ad ogni singolo orto urbano come ad un sistema di interazioni tra la componente più strettamente ambientale e quella socio-economica con le condizioni che normano l’utilizzo e la gestione delle risorse negli spazi individuali e collettivi. Tale prospettiva, in continuità ai lavori di Moore (2008) e di Pike (1954) considera l’orto urbano non come una categoria d’analisi quanto piuttosto “come una categoria di pratiche”. Di conseguenza cambiano anche le dimensioni temporali e spaziali di analisi dell’orto.
L’orto può essere quindi inteso come un processo dinamico, nel quale si sedimentano pratiche e comportamenti frutto di determinate contingenze socio-economiche, che spesso poi rimangono ingabbiati in regolamenti troppo statici, come nel caso degli orti di pubblica gestione. Al suo interno possono convivere diverse funzioni contemporaneamente o nel tempo possono succedersi o accavallarsi, con tutte le conseguenze che un cambio di funzionalità assume per la comunità biologica dell’ecosistema orto e per la comunità ad esso esterna. Secondo tale prospettiva, l’orto può essere analizzato osservando i flussi di scambio con l’ambiente circostante, valutando il grado di apertura e chiusura dei suoi cicli.
Da un punto di vista ecologico/ambientale l’orto può infatti essere considerato un sistema chiuso interno alla città moderna, sistema a sua volta incompleto in quanto dipendente da ampie aree limitrofe per l’energia, il cibo, le fibre, l’acqua e gli altri materiali, tanto da essere definita dall’ecologo Odum (1983) il vero “parassita dell’ambiente rurale”.
Se tuttavia esaminiamo l’orto come spazio sociale conquistato nell’ambito dello spazio metropolitano, è possibile osservare come la sua resilienza (Chan et al., 2015)sia determinata anche dal grado di coesione e di apertura esterna che gli ortolani riescono ad avere e mantenere nel corso del tempo. La nascita di reti di scambi formali e non, possono in alcuni casi radicare maggiormente l’orto nel quartiere d’insediamento e trasmettere all’ortolano un senso di appartenenza al territorio e una maggiore attenzione al contesto urbano allargato (Peano et al., 2014).
Partendo da questi presupposti l’orto come ecosistema dinamico riflette, subisce, si adatta allo stato di transizione del contesto spazio-temporale in cui è inserito. La fase attuale di rinnovato interesse intorno al ruolo degli orti quali vettori di sostenibilità urbana è l’espressione di una fase di tale transizione.
Quanto le istituzioni sono in grado di adattarsi alla più recente evoluzione dell’orto urbano? Scopo del lavoro è quello di indagare come il cambiamento del ruolo e significato attribuito agli orti nel contesto torinese dagli anni settanta ad oggi, sia stato recepito da chi si occupa della governance di questo processo e come si sia cercato di trovare una risposta alla richiesta di innovazione di chi vuole un orto di nuova generazione con chi già possiede una parcella e cerca mantenere invariato il suo status quo in un contesto di orti di proprietà municipale.
Le riflessioni che scaturiscono dal paper1, nascono in modo più specifico dall’analisi di due casi studio, gli orti urbani regolamentati nel quartiere Mirafiori e gli orti urbani di Grugliasco, comune nella prima cintura torinese2. La scelta di questi casi studio è legata alla loro rappresentatività rispetto al trend generale che si osserva nel contesto della Città di Torino e periferia: trattasi infatti di orti la cui coltivazione è iniziata per mano di operai, solo successivamente istituzionalizzati in orti municipali, che oggi sono al centro di un processo di transizione e ridefinizione dei propri intenti e partecipanti.
Per quanto riguarda l’analisi di contesto, essa è stata effettuata mediante la ricostruzione degli atti ufficiali e alcune interviste a testimoni privilegiati, depositari dell’evoluzione del fenomeno. L’analisi dei casi studio, oltre alla partecipazione di alcuni testimoni privilegiati che operano in prima persona nella gestione/governance di queste due esperienze, ha coinvolto una cinquantina di ortolani (uomini e donne, persone con diverse fasce d’età, ortolani storici e nuovi aderenti all’iniziativa), che nel periodo che va da giugno a settembre 2014, sono stati intervistati attraverso un questionario semi-strutturato. Gli ortolani sono stati intervistati all’interno dello spazio costituito dall’orto, in genere in una pausa dalle attività svolte.

Gli orti urbani a Torino: ieri e oggi

A Torino, gli orti urbani iniziano a comparire negli anni 70’. Si tratta di piccoli spazi occupati abusivamente, che si localizzano nelle vicinanze dei corsi d’acqua.
Il fenomeno è concomitante all’aumento della popolazione, conseguenza dell’ondata migratoria che caratterizza la città negli anni del miracolo economico. Tra gli anni ‘50 e ‘60, il saldo migratorio della città conta 433.000 abitanti; nel 1975 Torino raggiunge la sua popolazione massima di 1.203.000 abitanti (Mela, 2011). Tra gli immigrati, prevalgono quelli provenienti da contesti rurali e tra questi quelli originari del Sud Italia (Bagnasco, 1986).
Per l’operaio metalmeccanico immigrato, l’orto assume una funzione produttiva, integrativa al reddito, una forma di occupazione del tempo al di fuori della catena di montaggio, “un antidoto per sfuggire al binario fabbrica-appartamento"3, che consente di ritornare alla terra, alle origini. Nella prospettiva dei “Turineis”, che vedono occupare degli spazi prima incolti, l’orto, comunemente definito come “l’orto dei poveri”, è il manifesto della situazione di emarginazione dell’immigrato.
Fino a metà degli anni ‘80, il fenomeno cresce senza che sia definito alcun tentativo di regolamentazione della Città di Torino e delle municipalità della cintura periferica (Collegno, Grugliasco, Venaria, Nichelino) interessate al fenomeno. Si stima che il fenomeno nel solo areale della città di Torino sia giunto a contare 2.000.000 mq occupati da appezzamenti abusivi, intorno ai quali gravitavano circa 20.000 famiglie4.
Il Regolamento comunale n.164 del 19865 rappresenta il primo atto di disciplina dell’assegnazione e gestione degli orti urbani a Torino. Seguono a questo provvedimento, l’emanazione di misure più specifiche da parte delle singole circoscrizioni della Città e regolamenti delle altre municipalità della cintura, sempre con l’obiettivo di governare l’abusivismo del fenomeno attraverso l’istituzione di un sistema per l’assegnazione degli orti ai cittadini che ne facessero richiesta. Quest’atteggiamento della pubblica amministrazione risulta pressoché invariato per tutta la durata degli anni novanta e primi anni del 2000. Solo dopo al 2010 e in concomitanza del manifestarsi degli effetti della crisi economica, la Civica Amministrazione inizia a intravedere nell’orticoltura urbana e periurbana la possibilità di valorizzare gli spazi degradati, di sostenere la socialità, di promuovere la produzione alimentare biologica e le essenze ortive tradizionali locali, di favorire attività educative e terapeutiche.
L’orto, quale una delle forme possibili di agricoltura urbana acquista una nuova valenza all’interno delle misure di gestione del verde urbano inserite nel Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (P.T.C.P)6, così come si evince dal progetto Torino città da coltivare, Tocc7 proposto dall’amministrazione comunale nel 2012. Tocc oltre a rappresentare un piano di analisi, censimento, riqualificazione e gestione delle aree verdi urbane e periurbane, ha l’obiettivo di modificare anche la gestione di tali spazi. La sfida è di complessificare la relazione tra città e ortolani, dando in concessione, attraverso una serie di bandi, intere aree agricole/verdi e fabbricati a organismi collettivi (associazioni, comitati di cittadini, cooperative) che facciano da tramite fra i singoli orticultori e le istituzioni e siano responsabili di un progetto organico di gestione attraverso una logica botton-up. Agricoltura e l'orticoltura urbana e periurbana con l’introduzione di forme di gestione alternativa si trasformano così in un valido supporto per la soluzione di problemi alimentari ed ecologici e contribuiscono a ridurre i costi di gestione del vasto patrimonio di verde urbano.
Il nuovo regolamento del 20138 per la gestione degli orti è stato inserito nel quadro del più ampio progetto Tocc. Le principali innovazioni rispetto alla precedente versione del 1986 riguardano la possibilità per i cittadini di utilizzare in maniera diversificata gli orti regolamentati (orti collettivi e orti famigliari) e l’utilizzo di aree verdi (sino a 2500 mq) da parte di associazioni e cooperative per attività rivolte all’orticoltura e alla didattica.
Accanto a questo movimento “pro-orto” di natura istituzionale, anche a livello informale si assiste ad un processo di maggiore attenzione e avvicinamento agli orti. Non solo crescono le richieste di assegnazione di orti pubblici da parte di nuove categorie di soggetti, ma fioriscono tutta una serie di esperienze spontanee di gestione individuale e collettiva9, superfici indivise date in concessione da privati gestiste da comitati di cittadini, associazioni. Dove esistono già degli orti, sono forniti servizi integrativi quali la didattica, uno spazio biblioteca, aree per l’aggregazione. Le finalità sono nuove rispetto a quelle che avevano caratterizzato la colonizzazione ad orti degli anni 60-70, orti che potremmo definire di “seconda generazione”. In questi casi l’ortolano tipo è una persona tendenzialmente giovane, nella fascia d’età 20-40 anni (giovani famiglie, studenti), che vede nell’attività del coltivare un mezzo di socializzazione, “del fare comunità”10 e di avvicinamento all’orto come il tramite per una vita e alimentazione più sana. Si diffondono iniziative e corsi di giardinaggio e di coltivazione degli orti urbani, siano essi a terra, sul tetto o sul balcone promossi dalle circoscrizioni e dalle associazioni ambientali.
Anche se al momento non è possibile fornire una quantificazione puntuale del fenomeno, sono tuttavia in corso alcune esperienze di mappatura e censimento degli orti urbani11 che attestano la vivacità del contesto torinese.

l casi studio

Gli orti regolamentati nel quartiere Mirafiori Sud di Torino

Gli orti regolamentati di strada Castello di Mirafiori appartengono ad un’area di competenza e gestione della Circoscrizione 10 del comune di Torino. L’intera zona di riferimento, a ridosso del torrente Sangone, è stata colonizzata ad orti sin dai primi sviluppi industriali dell’area di Mirafiori divenendo parte di un processo storico/sociale/economico seguito alle grandi emigrazioni dal Mezzogiorno degli anni ’60. La bonifica dell’area in oggetto, parte di un più ampio progetto di riqualificazione urbanistico-ambientale nell’area compresa tra il torrente Sangone e il quartiere Mirafiori Sud, è stata realizzata nel 2004-2005 e ha visto nascere i primi orti regolamentati dal 2007. In seguito al lavoro di bonifica, il numero delle parcelle esistenti è passato dalle 230 - abusive - alle 102 regolamentate. Ogni orto ha una superficie di 100 mq, una struttura interna per il mantenimento degli strumenti utili alla coltivazione e una presa d’acqua, secondo il regolamento della Circoscrizione di riferimento. Dal 2010, l’area dedicata agli orti regolamentati è entrata a far parte di “Miraorti” un percorso di ricerca/azione e di progettazione partecipata a supporto delle amministrazioni (Baldo, 2012), che auspica alla realizzazione del Parco Agricolo del Sangone. Hanno così preso avvio una serie di iniziative di animazione con il fine di sensibilizzare gli ortolani a pratiche ecosostenibili e a prendersi cura degli spazi comuni attraverso pratiche aggregative aperte al quartiere. Il toccare con mano tutta una serie di problemi legati alla gestione tecnica e alla governance degli orti ha condotto alla creazione di un comitato di ortolani e ha spinto Miraorti a proporre alcune modifiche al regolamento di gestione della Circoscrizione 10. Nel maggio del 2012 è stato così approvato un nuovo regolamento, migliorando le diverse anomalie che non facilitavano un corretto uso dell’area. Il processo ha inoltre proposto delle modifiche al vecchio regolamento degli Orti della Città di Torino del 1986, che sono state accolte nel nuovo regolamento del 2013. Tali modifiche favoriscono la mixité funzionale e sociale all’interno dell’orto, come singola parcella e come somma delle parti. Non solo orti da coltivare per pensionati ex operai, ma maggiormente aperti verso i cittadini del quartiere con usi diversificati per venire incontro alle differente esigenze ed esprimere a pieno la multifunzionalità dell’orto.

Gli orti comunali a Grugliasco

È il 1984, quando il Comune di Grugliasco, decide di fronteggiare il problema dell’occupazione abusiva di suolo per fini agricoli (concentrata prevalentemente nella zona del Gerbido), istituendo un’area appositamente dedicata alla creazione di orti da dare in concessione temporanea ai propri cittadini. Cittadini, che inizialmente sono gli stessi detentori degli orti abusivi che in cambio di una parcella “ufficiale” abbandonano quella prima occupata. L’area dedicata all’orto si localizza prima in Via Leonardo da Vinci, poi sarà spostata in Strada del Gerbido, dove sono stare realizzate 347 parcelle di 63 mq (9m x 7m) cadauna. Oggi, la gestione di tali spazi è disciplinata dalla delibera del consiglio comunale n.20 del 19/03/2012. Ogni parcella possiede una recinzione esterna, acqua corrente e una casetta per gli attrezzi. L’area è stata dotata di una struttura - “casetta degli ortolani” - utile ai fini comuni quali assemblee di gestione e momenti ricreativi tra ortolani e famiglie. La durata dell’assegnazione di ciascun lotto ha durata quinquennale, rinnovabile una sola volta. Ogni assegnatario è responsabile della propria parcella e delle attività di conduzione e manutenzione a essa inerenti. L’ortolano può avvalersi della collaborazione del proprio nucleo familiare (formato dai soli conviventi). Solo più recentemente (nella fattispecie a partire dal 2012), da una destinazione prevalentemente assistenziale e socializzante, rivolta ad una fruizione per anziani pensionati, il regolamento12 emanato dalla Giunta Comunale nel 2014, ha previsto l’apertura a nuove fasce d’età, al fine di “stimolare la coscienza collettiva nell’elaborazione di una immagine nuova di Grugliasco, capace di recuperare un rapporto positivo con l’ambiente e di coinvolgere i cittadini nella costruzione di una città moderna, meno alienante, più a misura d’uomo”. L’80% dei lotti è destinato ai pensionati, il 20% ad altre categorie di cittadini. Il regolamento pone inoltre quale condizione necessaria per l’assegnazione del lotto di terreno, l’adesione all’Associazione di tutti gli assegnatari. Oltre all’associazione, quale organo di gestione dell’area è stata prevista l’istituzione di una commissione comunale di gestione composta da 6 membri, tra cui 2 consiglieri comunali, l’assessore di riferimento, un funzionario comunale del settore di appartenenza, un rappresentante degli ortolani, un rappresentante della polizia municipale. Le funzioni della Commissione riguardano principalmente la gestione della graduatoria per l’assegnazione degli orti e tutto ciò che concerne gli aspetti tecnici, amministrativi e di relazione con gli ortolani (tra cui le eventuali controversie). Sono inoltre previsti da regolamento un’assemblea degli assegnatari e un consiglio direttivo (eletto dagli ortolani stessi) con il compito di promuovere istanze e proposte per una migliore gestione degli orti e segnalare eventuali irregolarità alla commissione di gestione. Da marzo 2014, la gestione dell’area dedicata agli orti e dei rapporti con e fra gli assegnatari, in attuazione della delibera di Giunta Comunale è stata esternalizzata alla Società Le Serre13, che ha realizzato un apposito sportello informativo per gli utenti.
Nel 2015, grazie al completamento dell'area di espansione, sono stati creati 120 lotti aggiuntivi, di cui 10 riservati ai disoccupati in base al vigente regolamento.

Riflessioni preliminari dall’analisi dei casi studio in scala 1:1

L’analisi dei due casi studio evidenza come le relative pubbliche amministrazioni stiano cercando di adeguare il sistema di gestione e di governance degli orti urbani, ad una realtà orto (interna, ma soprattutto esterna) che è profondamente mutata nel corso del tempo. In particolare l’evoluzione più recente del quadro culturale che ha caratterizzato i temi dell’ambiente e dell’agricoltura, anche nel contesto torinese, ha reso necessario modificare il quadro normativo di riferimento a livello comunale e di città metropolitana per coinvolgere attivamente fasce di popolazione che con i regolamenti vigenti non riescono ad accedere alla coltivazione di orti urbani ma che con sempre più insistenza richiedono di farlo.
I due casi studio presi rappresentano nell’area metropolitana torinese due esperienze mature, in graduale mutamento nel corso del tempo, ma soggetti ad una spinta verso un cambiamento solo più recentemente, che il processo di regolamentazione ha cercato di recepire, elaborando risposte piuttosto diverse (nonostante la prossimità spaziale di nemmeno 10 Km e la prossimità culturale del contesto socio-economico). L’esperienza degli orti regolamentati a Mirafiori, così come quella più ampia degli orti regolamentati a Torino, ha mostrato un grado di accoglimento maggiore nei confronti delle nuove istanze che stanno emergendo intorno all’orto urbano. Il regolamento permette ad ogni cittadino di maggiore età di fare richiesta di un orto, in forma individuale o associata e riserva una percentuale di orti in ogni circoscrizione a finalità diverse (educative, pedagogiche, terapeutiche) da quelle strettamente produttive. Lo stesso regolamento è flessibile rispetto alle evoluzioni future, “Il presente regolamento è passibile di modifiche che potranno essere adottate successivamente dalla Civica Amministrazione sulla base delle esperienze maturate durante il periodo di iniziale applicazione, nonché in base a norme e suggerimenti. Le eventuali innovazioni, pena decadenza dall'assegnazione dovranno essere integralmente accettate dagli assegnatari”. Viene lasciato inoltre aperta la questione del rinnovo dell’assegnazione, dove viene escluso il rinnovo automatico, ma non viene neanche escluso. Il caso degli Orti regolamentati a Mirafiori, mostra anche come sia maggiore il dialogo con enti terzi, quali associazioni, cooperative che promuovono la collaborazione tra gli ortolani e hanno un ruolo di intermediazione con l’amministrazione. Va sottolineato come il cambiamento sia stato elaborato attraverso la costruzione di una transizione basata sulle relazioni di fiducia costruite tra gli ortolani e il progetto Miraorti. L’autonomia dell’associazione di ortolani e del sentimento di spazio comune, appare ancora tuttavia fragile. La gestione degli spazi comuni risulta ancora problematica per quanto riguarda il degrado delle aree comuni usate come discarica, gli spazi inutilizzati, la carenza di manutenzione, l’uso di materiali impropri negli orti (modalità reiterata dai precedenti orti spontanei), la scarsa sensibilità alla sostenibilità ecologica negli orti (es. irrigazione eccessiva), la mancanza di funzioni e azioni di controllo con conseguenti irregolarità nella conduzione (mancanza del rispetto del regolamento, subaffitto) e la presenza di un numero di orti abbandonati per i quali non si è provveduto ad una nuova assegnazione, nonostante la lunga lista di attesa.
Se guardiamo invece gli orti di Grugliasco, l’aspetto è decisamente più ordinato. Tutte le parcelle sono assegnate, la manutenzione è buona, gli spazi comuni sono utilizzati e fruibili. Il cambiamento però è stato inserito nel regolamento e nelle pratiche in maniera più timida, o se vogliamo blanda, prevedendo gradi di libertà minori per gli ortolani e per un utilizzo multifunzionale degli orti. Sono state create nuove parcelle, ma solo 10 saranno destinate a disoccupati. L’accesso è consentito a persone con almeno 45 anni e con determinati criteri di reddito. È stata preservata e garantita l’assegnazione ai pensionati. Sono state introdotte modifiche per quanto riguarda il grado di rinnovamento degli assegnatari e sulla durata delle assegnazioni, ma allo stesso tempo permangono tutta una serie di deroghe che preservano lo status quo (o che comunque viene aggirato con assegnazioni gestite nell’ambito del nucleo familiare, per cui cambia formalmente l’assegnatario, ma nella sostanza rimane lo stesso). Il livello di socializzazione è forte, ma esclusivo e limitato agli ortolani più anziani (in senso anagrafico e di titolarità dell’assegnazione) e si presentano barriere all’entrata verso l’apertura relazionale nei confronti dei nuovi assegnatari, aspetto che si ripercuote in quella che è la rappresentatività nel comitato degli ortolani. L’esternalizzazione del servizio alla società Le Serre, rappresenta un cambiamento di soggetto che gestisce il servizio, ma senza che alcune funzioni siano decentralizzate rispetto al controllo che la municipalità continua a mantenere. Anche la partecipazione all’associazione di Ortolani, pena il pagamento di una quota di assegnazione maggiore, è percepita più come un’imposizione top-down che non un tentativo di creare una partecipazione degli ortolani dal basso. A Grugliasco, inoltre, dato il livello di decentramento minore rispetto a Torino, dove sono le circoscrizioni a gestire il servizio, è molto più sentito il tema del clientelismo. In una realtà di 38.000 abitanti, gli ortolani in carica e le loro famiglie rappresentano un interessante bacino di voto, che probabilmente non si vuole scontentare.

Considerazioni conclusive

I due casi studio mostrano le sfide poste all’amministrazione nel cercare di rispondere alla domanda di rinnovamento della funzione di orto urbano soprattutto rispetto a quella che è la gestione della transizione nei confronti di già occupa da tempo questi spazi. Gestire quello che è il sottile confine tra il perseguimento del bene comune attraverso l’utilizzo di uno spazio pubblico e la coltivazione di una parcella come bene “privato” appare un’operazione non scontata, che si complessifica particolarmente nel caso della presenza di detentori di diritti di utilizzo temporanei prolungati nel tempo, quali nei nostri casi gli ortolani che appartengono ancora alla generazione dei primi colonizzatori spontanei e che vivono l’orto con un forte senso di attaccamento affettivo e fisico. La volontà o meno delle istituzioni di far partecipi questi soggetti del processo di cambiamento in corso, ha determinato l’elaborazione di due risposte piuttosto differenti: a Mirafiori, una maggiormente orientata ad un processo di governance adattiva, se pur ancora incompleto; a Grugliasco, una risposta più orientata alla conservazione e all’aggiustamento quale risultato di una governance prettamente tecnocratica. In termini di innovazione, la diversità di risposte evidenzia un trade-off tra livello di cambiamento ottenuto/libertà concessa e stato di ordine-rigidità mantenuta, il che non consente di effettuare delle valutazioni di merito su quale forma di risposta sia preferibile, ma rende evidente la necessità di approfondire quale sia la funzione attribuita ad un orto urbano e la relativa comunità di riferimento. Conoscere questi aspetti è di fondamentale importanza per colmare le lacune tra gli strumenti di pianificazione finora adottati per gestire gli orti e la richiesta di rinnovamento della cittadinanza.

Ringraziamenti

Si ringrazia il supporto fornito alla ricerca dalla Fondazione Isi - Progetto Lagrange.

Riferimenti bibliografici

  • Bagnasco A. (1986), Torino. Un profilo sociologico, Einaudi, Torino

  • Baldo M. (2012), La città nell’orto. Analisi esplorativa degli orti urbani di Mirafiori sud per un progetto di riqualificazione “dal basso”, Tesi II livello, Facoltà di Scienze Politiche, Corso di Sociologia, relatore Dansero E., Università degli Studi di Torino

  • Chan J., DuBois B., Tidball K.G. (2015), Refuges of local resilience: Community gardens in post-Sandy New York City. Urban Forestry and Urban Greening, 14, 625–635

  • Cheema G. S., Smit J., Ratta A., Nasr J. (1996), Urban agriculture: Food, jobs and sustainable cities, New York, N.Y: United Nations Development Programme

  • Classens M. (2014), The nature of urban gardens: toward a political ecology of urban agriculture. Agriculture and Human Values, 32, 229–239

  • Mela A. (2011), “Turin: the long transition, space, society”, in Brizzi M., Sabini M. (a cura), The new Turin, Alinea Editrice, Firenze, 11-24

  • Moore A. (2008), Rethinking scale as a geographical category: from analysis to practice, Progress in Human Geography, 32(2), 203–225

  • Nahmías P., Le Caro Y., (2012), Pour une définition de l’agriculture urbaine: réciprocité fonctionnelle et diversité des formes spatiales. Environnement Urbain 6, 1–6

  • Odum P.E. (1983), Basic Ecology, CBS College Publishing, New York.

  • Peano C., Tecco N., Giraudo E. (2014), Orti urbani, prototipi di sostenibilità? Politiche Piemonte, Nutrire le città: verso una politica alimentare metropolitana, 27, 12-14

  • Pike K.L. (1954), Language in relation to a unified theory of the structure of human behavior, vol. 1. Summer Institute of Linguistics, Glendale, CA.Chan, J., DuBois, B., Tidball, K.G., 2015. Refuges of local resilience: Community gardens in post-Sandy New York City. Urban For. Urban Green. 14, 625–635. doi:10.1016/j.ufug.2015.06.005

Siti di riferimento

Progetto Miraorti http://miraorti.com/
Progetto Orti Urbani Torino Out www.ortiurbanitorino.it

  • 1. Una prima rielaborazione delle riflessioni è stata presentata con la presentazione del paper “Adaptive governance or adjustment for planning and management the urban green spaces? The case of communal and community gardens in Turin" presentato da Tecco N., Coppola F., Girgenti F., Peano C. durante la conferenza localizing urban food strategies. Farming cities and performing rurality. 7th International Aesop Sustainable Food Planning Conference Proceedings, Torino, 7-9 October 2015.
  • 2. Una parte delle informazioni raccolte durante le interviste è stata rielaborata nella tesi di Master di I livello in Sostenibilità del territorio e della filiera agroalimentare di Coppola Federico, Dimensioni di sostenibilità nell’orto urbano: tra governante e pratiche. Un’indagine tra Torino e Palermo, relatore Peano Cristiana, Università degli Studi di Torino, 2015.
  • 3. Citazione tratta da intervista a Stefano Olivari [link].
  • 4. Deliberazione del Consiglio Comunale della Città di Torino del 25 Marzo 2013.
  • 5. Approvato con deliberazione del Consiglio Comunale in data 23 luglio 1986, mecc. 86 00125/46 - esecutiva dal 21 agosto 1986).
  • 6. Tale documento prevede la valorizzazione della fascia periurbana intesa come zona di contatto fra mondo rurale e mondo urbano, mediante azioni di tutela e sviluppo dell'agricoltura non solo finalizzata alla semplice produzione di cibo, quanto al miglioramento complessivo della qualità urbana ed alla difesa del suolo inteso come bene limitato e non riproducibile.
  • 7. Deliberazione del Consiglio Comunale della Città di Torino del 5 Marzo 2012, [pdf].
  • 8. Regolamento per l’assegnazione e gestione degli Orti Urbani, approvato con deliberazione del Consiglio Comunale in data 25 marzo 2013 (mecc. 2013 00113/002), esecutiva dall'8 aprile 2013.
  • 9. Tra queste si possono annoverare il progetto degli Orti del Bunker nato nel 2013 in Barriera di Milano con l’intento di trasformare gli spazi dell’ex Sicma in un orto collettivo.
  • 10. Da video testimonianza sul progetto Orti del Bunker, disponibile all’indirizzo www.ortiurbanitorino.it in data 15 settembre 2015.
  • 11. Tra questi si annoverano il progetto Orti Urbani a Torino (Out) e il lavoro di Mancuso S., Geografia degli Orti Urbani, mappatura e censimento delle realtà torinesi, Tesi di I livello, relatore Prof. Dansero E., Università degli Studi di Torino, 2015.
  • 12. Delibera C.C n. 72 del 22/12/2014.
  • 13. Le Serre s.r.l è una società pubblica interamente partecipata del Comune di Grugliasco, opera a supporto dell’amministrazione comunale nei settori della cultura, dell’arte, delle attività socio-educative e del tempo libero e promuove in tutte le sue attività valori di multiculturalità, solidarietà, pace, legalità e attenzione verso l’ambiente.
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