La pastorizia urbana, un ossimoro?

La pastorizia urbana, un ossimoro?

Introduzione

Il contributo si concentra sulle possibili connotazioni urbane della pastorizia tradizionale oggi. Si vuole dimostrare come questa attività rappresenti un valore culturale e di tradizione, una forma di uso del suolo ecologica, capace di innescare processi ambientali virtuosi e una risorsa economica attuale e altamente sostenibile. Allo scopo il contributo è organizzato in una prima parte descrittiva del fenomeno e della sua rilevanza in ambito europeo; una seconda in cui si esamina il contesto romano e la particolare struttura della pastorizia di eredità transumante ancora praticata; una parte conclusiva in cui si discute come questa pastorizia possa divenire strumento di gestione del territorio e di conservazione di un paesaggio culturale quale, per l’appunto, quello della Campagna Romana storica.

La pastorizia estensiva in contesto europeo

Molte città dell’Europa centro-meridionale, come Roma, Vienna o Madrid, tanto per citarne alcune, sono nate alla confluenza di antichissimi itinerari di pastorizia nomadica e transumante (Quilici, 1979), nelle pianure costiere o in prossimità di guadi naturali dei fiumi. Di questa origine rimane oggi traccia nelle vaste estensioni di spazi aperti intorno a quelle città, dove lo sviluppo radiale ha favorito la tendenza a inglobare spazi vuoti. Questi spazi sono quindi ciò che resta di un antico paesaggio di pascoli, precedente all’espansione urbana di epoca industriale e post-industriale. Fin dalla più remota antichità la pastorizia transumante è stata dunque parte integrante dell’economia europea, protraendosi praticamente immutata dall’epoca classica fino agli inizi del XX secolo. Successivamente la pastorizia estensiva ha subito una progressiva marginalizzazione, soprattutto per via della concorrenza dell’allevamento intensivo e dell’agricoltura moderna, nonché per la contrazione del pascolo, dovuta tanto a parcellizzazioni fondiarie e recinzioni, quanto dell’aumento dell’urbanizzazione. Le conseguenze di questa trasformazione sono gravi tanto sul piano ambientale ed ecologico.1, per cui vaste aree poco appetibili per altre attività umane rimangono esposte a fenomeni di degrado, quanto sul piano sociale ed economico, poiché intere comunità vengono deprivate dell’autonomia produttiva e della propria tradizione identitaria.
L’Unione Europea ha riconosciuto i molteplici benefici che si possono produrre attraverso una gestione sostenibile dell’allevamento, se praticato in continuità con forme tradizionali estensive, declinate in chiave multifunzionale, come già si è fatto con l’agricoltura2. In questo senso alla pastorizia è riconosciuto un ruolo positivo nella manutenzione del territorio, circa aspetti funzionali quali prevenzione incendi e manutenzione degli spazi aperti; ecologici, come la difesa della fertilità del suolo, l’equilibrio idro-geologico, l’abbattimento della CO2, o il controllo delle malattie e dei parassiti (aspetto questo, molto rilevante, contrariamente a quanto si tende generalmente a credere); sociali, legati cioè al valore del lavoro del pastore e alla consapevolezza del proprio ruolo; culturali, quali la continuità con il patrimonio di conoscenze e tecnica offerto dalla tradizione, fino alla conservazione del paesaggio.
Da quasi un ventennio ormai l’Unione Europea, riconosce i valori ambientali degli spazi aperti (direttive della Biodiversità, Natura 2000); dal 2000 la Convenzione Europea del Paesaggio (Cep) riconosce il valore identitario del paesaggio e sancisce il principio della salvaguardia dei suoi aspetti significativi attraverso il governo delle trasformazioni. A partire dagli anni 1990 si afferma nel dibattito europeo il concetto dell'alto valore di naturalità (Hnv)3 delle aree rurali, ovverosia si mettono in relazione le attività agricole con il grado di diversità ambientale (Baldock et al., 1993; Beaufoy et al., 1994). Questo approccio mette a fuoco due punti nodali:

  • l'allevamento estensivo e l'agricoltura tradizionale conservano un alto livello di diversità ambientale, giocando dunque un ruolo essenziale sia dal punto di vista della risorsa naturale che della risorsa socio-economica, in quanto corrispondono a un preciso sistema di uso del suolo, e, in questo modo, contribuiscono alla costruzione e alla conservazione di un paesaggio identitario;
  • economicamente, le attività rurali tradizionali non possono competere senza l'integrazione con attività compatibili e correlate, e dunque è necessario un sostegno politico e strategico da parte delle istituzioni che si pongano l'obiettivo di conservare la diversità ambientale dei paesaggi aperti.

La pastorizia, particolarmente nel contesto mediterraneo, non è solo una delle più antiche attività produttive umane, ma uno strumento di conservazione della stabilità di sistemi ambientali, ecologici e sociali dal delicato equilibrio (McGahey et al., 2014). Questa forma di allevamento estensivo è stato dunque riconosciuta dall’Unione Europea come una delle pratiche a più alto valore di naturalità, concordando sul rischio che il suo abbandono, specialmente in certi contesti rurali o semi urbani del Mediterraneo e dei Balcani, possa comportare conseguenze negative ambientali sociali ed economici (Nori, et al., 2005; Nori, 2010).
Dai dati relativi al numero degli ovini nelle diverse nazioni europee4 si osserva per l’Italia una sostanziale crescita del numero di capi vivi tra il 1960 e il 1985, con un picco massimo nel 1988, pari a 11 milioni e 622 mila capi. Da quel momento in poi il numero dei capi decresce, sempre più drammaticamente tra il 1995 e il 2005, con successive alternanze più o meno significative. La grande flessione successiva agli anni 1980 si verifica sostanzialmente anche in altri paesi europei, come la Francia e la Spagna, per la quale i dati sono registrati solo dal 1981 (Figura 1). Si può facilmente ipotizzare una relazione tra il decremento dell’allevamento nomade e le profonde trasformazioni dell’economia agroalimentare, indotte dalle politiche agricole prima nazionali e poi, europee (Bevilacqua, 2011).
Oggi per le aziende di piccola e media dimensione, ordinariamente al di sotto dei mille capi, è molto difficile confrontarsi con il mercato zootecnico europeo, che risulta parametrato sul modello produttivo intensivo, che si è andato definitivamente affermando dagli anni 1980 in poi5 (Colombo, Onorati, 2009). Eppure sono proprio queste aziende le più funzionali al mantenimento di un uso del suolo estensivo qual è la pastorizia tradizionale semibrada, che tante ricadute positive riesce a innescare sul paesaggio in ambito periurbano, nelle sue componenti ecologiche, produttive e di qualità ambientale.
Non bisogna infatti dimenticare che fin dalle origini la pastorizia nomadica e transumante ha vissuto un rapporto strettissimo con la città, quale luogo privilegiato di scambio e di mercato per i beni ad alto valore come il latte e la carne, destinati allo scambio poiché non possono essere stoccati e conservati a lungo, come avviene invece ad esempio con molte produzioni agricole.

Figura 1 - Andamento dell'allevamento ovino nell'intervallo 1960-2014 sulla base del numero di animali vivi censiti. Sono evidenziati per l’Italia: picco di crescita (verde) e picco di decrescita (rosso)

Fonte: elaborazione Messina su dati Eurostat [Link]
 

In questo senso si comprende la necessità di rifunzionalizzare oggi la pastorizia estensiva col fine ultimo di trovare un modo di produzione primaria sostenibile, sensibile ai mercati locali e alle modalità di filiera. In questo contesto culturale si inseriscono alcuni progetti proposti o realizzati in ambito europeo6, che istituiscono nelle aree metropolitane l’esercizio di attività pastorali finalizzate alla manutenzione di aree seminaturali (parchi urbani, parchi storici, argini fluviali) o addirittura di aree industriali. In Francia la manutenzione ordinaria dei prati all’interno dei parchi urbani e dei parchi storici, è regolata da convenzioni stipulate tra l’amministrazione pubblica e allevatori-imprenditori, i quali forniscono gli animali come “servizio”7 (Divo, Jault, 2013). In Germania, in particolare nei Länder del nord, capre e pecore vengono utilizzate per il mantenimento degli argini fluviali, in virtù dell’azione consolidante degli zoccoli e del morso8. In Spagna e in Francia sono attive vere e proprie scuole di pastorizia, la cui offerta formativa non si limita all’apprendimento del mestiere di pastore, ma è orientata a una preparazione culturale più ampia9. In tal modo, anche se queste scuole formano personale destinato a operare soprattutto in ambienti non urbani, il livello di formazione offerto risente in qualche modo della “contaminazione”, oggi inevitabile, tra prospettiva urbana e prospettiva rurale. In tal senso, per estensione, questo percorso culturale può rappresentare il retroterra tecnico e professionale ideale per il lancio di forme di pastorizia urbana.

Lo scenario romano

Tra le grandi città italiane Roma in particolare ha sempre conservato con il suo contado - la Campagna Romana storica - una relazione attiva, anche se con vicende alterne (Henke, 2015). Le ville dell’aristocrazia romana, situate di preferenza nelle aree collinari della città o sulle colline dell’Agro fuori le mura, con i loro parchi coltivati a vigne e orti, o anche destinati a pascolo, occupavano vaste aree all’interno delle Mura Aureliane, oppure interessavano le aree esterne limitrofe alla cerchia muraria (Aavv, 1959; Della Seta, 1988). Questo conferiva alla città un aspetto particolare, che sarà il segno caratterizzante che, nella successiva stagione del Grand Tour, fornirà ispirazione a bellissime pagine letterarie, nonché a una vasta iconografia pittorica (De Rosa, Trastulli, 2001; Mammuccari, 2007; Marigliani, 2010). Le rappresentazioni coeve ci restituiscono una città in cui gli aspetti urbani e quelli rurali appaiono intimamente integrati (Vallino et al., 1983). Orti e vigneti facevano parte del paesaggio urbano, così come la presenza degli animali da allevamento, che stazionavano o transitavano in città, attraverso itinerari e con modalità molto ben strutturate. In particolare le greggi di pecore venivano fatte pascolare all’interno dei parchi delle ville per la manutenzione dei prati, in una forma ante litteram di quella che oggi chiamiamo pastorizia urbana.
I rilievi della Regione Lazio aggiornati al 201410 rispetto al numero delle imprese pastorizie e dei capi allevati tracciano uno scenario molto interessante ai fini del presente lavoro (Figura 2). In controtendenza con l’andamento generale delineato dal censimento del 2010, nel Lazio e in particolare nel Comune di Roma, si registra una significativa presenza di aziende zootecniche del settore ovi-caprino, che sotto il profilo dimensionale sono concentrate nelle classi di piccola e media dimensione, vale a dire con un numero di capi inferiore a mille11. Tali classi, che corrispondono al modello tradizionale di azienda familiare, sono quelle che maggiormente hanno sofferto a causa delle mutate condizioni di mercato verificatesi dagli anni 198012, ma sono anche le più interessanti nella relazione urbano-rurale. Questa tipologia è infatti quella che meglio risponde a un progetto di multifunzionalità, le cui potenziali ricadute positive sul territorio divengono i fattori stessi di rilancio economico e funzionale. È inoltre quella che può trarre maggiore vantaggio dalla prossimità con la città.

Figura 2 - Concentrazione delle aziende del solo settore ovicaprino nel Lazio

Fonte: elaborazione Messina su dati Dati Bdn dell’Anagrafe Zootecnica istituita dal Ministero della Salute presso il Csn dell’Istituto "G. Caporale" di Teramo
 

Questa infatti offre un significativo “mercato locale”: concetto che combina aspetti di prossimità geografica con implicazioni economiche, sociali e culturali, nell’ambito del quale la pastorizia tradizionale può prosperare grazie alla domanda consapevole di produzione di qualità, alla presenza di filiere corte, all’attenzione ai contenuti etici delle iniziative economiche, posta oggi dalla cultura urbana più evoluta. Si generano così occasioni funzionali a cui possono corrispondere una serie di attività compatibili e sinergiche all’allevamento, da cui l’azienda può trarre beneficio economico e spinta alla crescita culturale e imprenditoriale, nel senso migliore del termine.
La prossimità con la città è la chiave della possibilità di rivitalizzazione della pastorizia tradizionale in ambito urbano. La città esprime bisogni legati all’uso creativo del tempo libero; figli di una cultura urbana sono anche il bisogno di ritorno alla natura, di qualità del cibo, di sostenibilità della filiera produttiva. Queste istanze possono tradursi in percorsi economici remunerativi nei settori del turismo, della cultura, o attraverso le filiere delle produzioni di qualità, offrendo alle aziende la possibilità di diversificare le proprie attività, incrementando così le proprie entrate, come è stato fatto in altri contesti europei, grazie a specifici progetti e iniziative.

Per un progetto di valorizzazione della pastorizia urbana

Tuttavia, per garantire la sopravvivenza della pastorizia estensiva romana risulta chiara la necessità di intervenire con scelte e indirizzi appropriati allo scopo di rendere economicamente remunerativa questa attività. Attraverso un censimento delle aziende, ricognizioni sul campo e colloqui intrattenuti con alcuni pastori dell’area romana, conduttori di aziende con numero di capi inferiore ai mille, è stato possibile dedurre la seguente analisi Swot (Tabella 1).

Tabella 1 - Analisi Swot della pastorizia estensiva romana

Fonte: elaborazione propria

I temi principali, su cui è possibile costruire con appropriate scelte strategiche le opportunità di sviluppo del settore, sono essenzialmente l’accesso al pascolo e il mercato di riferimento. Prima di tutto è necessario individuare gli operatori coinvolti, sia direttamente (gli allevatori) che potenzialmente (istituzioni pubbliche, associazioni professionali di categoria afferenti al territorio), nonché le strutture e i servizi necessari, quali ad esempio caseifici sociali e sistemi di raccolta di latte e animali, affinché la pastorizia estensiva possa continuare ad essere praticata nelle migliori condizioni. Attraverso la mappatura degli areali del pascolo, effettivi e potenziali, si potrà individuare la riserva potenziale di pascolo invernale, che dovrà essere organizzata in relazione alle rotazioni colturali e a un sistema di recinzioni e percorsi protetti tali da garantire la continuità del pascolo. È noto come nel Comune di Roma il sistema rurale abbia un peso rilevante, e questo è un fattore a vantaggio dell’ipotesi progettuale di pastorizia urbana, in cui di questa forma di pastorizia, in continuità con la propria origine, si vuole fare lo strumento di gestione del paesaggio. Gli areali del pascolo disegnano una sorta di corona esterna e parallela al Grande Raccordo Anulare (Gra), che rappresenta la traccia di un potenziale corridoio ambientale della quotidiana transumanza urbana. Il pastore-manutentore e il suo gregge percorrendo il corridoio contribuiscono alla conservazione del paesaggio iconico della Campagna Romana. Gli areali si snodano attraverso i seminativi e i sistemi rurali complessi, in particolare oliveti e vigneti, oliveti-seminativi, seminativi-olivati, oliveti a trama rada in zone pascolive rappresentati dalla Carta della Natura (Casella, Agrillo, Spada, et al. 2008). È pertanto necessario coordinare la programmazione delle rotazioni d’uso, in modo da garantire sempre continuità di passaggio alle greggi al pascolo (modello tradizionale della terzeria13).

Figura 3 - Roma, ovini al pascolo ai margini del Gra

 

Foto: Messina 2015

Conclusioni

Si prefigura la proposizione, nel caso di Roma, di un progetto di “Parco Agricolo del Morso”14, fisicamente configurato dalla mappatura degli areali di pascolo e fondato sull’adozione di forme istituzionalizzate di pastorizia urbana, intesa in tutte le accezioni culturali e le implicazioni funzionali fin qui discusse. L’allevamento tradizionale nell’Agro romano può dunque essere utilizzato come strumento di gestione del paesaggio, mettendo a sistema tutti gli elementi e le potenzialità fin qui delineate. Obiettivi fondamentali e prioritari perseguiti sono la difesa del paesaggio, la valorizzazione della pastorizia e il miglioramento della qualità della vita dei pastori. Sotto l’aspetto istituzionale, il Parco può assumere la forma di un coordinamento delle risorse e delle figure coinvolte, che potrà essere curato dalle aree protette (Aapp), in virtù della loro natura giuridica, nonché della loro incidenza sul territorio comunale romano, di cui rappresentano oltre il 30%.15. Alle Aapp spetterà il compito di costruire sul territorio alcune opportunità in relazione agli elementi evidenziati sopra, in particolare: l’individuazione dei servizi necessari per facilitare lo svolgimento dell’attività dei pastori (accesso al pascolo, mediazione dei conflitti, orientamento e accesso alle normative e agli aspetti giuridico-amministrativi); le modalità di raccolta e trasformazione dei prodotti; la mappatura dei pascoli e la programmazione delle rotazioni d’uso, in modo da garantire continuità di passaggio alle greggi al pascolo, come avviene tradizionalmente attraverso i seminativi e i sistemi complessi dell’Agro.

Figura 4 - Articolazione schematica della proposta progettuale

Fonte: elaborazione propria

Riferimenti bibliografici

  • Aavv (1959), Roma, Urbanistica, vol. 28-29

  • Baldock D., Beaufoy G., Bennett G., Clark J. (1993), Nature conservation and new directions in the EC Common Agricultural Policy, Institute for European Environmental Policy (Ieep), London

  • Beaufoy G., Baldock D., Clark J. (1994), The nature of farming. Low intensity farming systems in nine Europeans countries. Report Ieep/Ncc, London

  • Casella, L. Agrillo E., Spada F. et al. (2008), Carta degli habitat della Regione Lazio per il sistema informativo di Carta della Natura alla scala 1:50.000, Ispra - Sapienza Roma, Roma

  • Colombo L., Onorati A. (2009), Diritti al cibo! Agricoltura sapiens e governance alimentare, Jaca Book, Milano

  • De Rosa P. A., Trastulli P. E. (a cura) (2001), La Campagna Romana da Hackert a Balla, Studio Ottocento, Roma

  • Della Seta P., Della Seta R. (1988), I suoli di Roma: uso e abuso del territorio nei cento anni della capitale, Editori Riuniti, Roma

  • Divo A., Jault F. (2013), Traité d'Ecopaysage, Ecoterra, Paris

  • Emanuelson U. et al. (2002) Det skånska kulturlandskapet (The Cultural Landscape of Skane), Naturskyddsforeningen, Lund

  • Frizell Santillo B. (2010), Lana carne latte, paesaggi pastorali tra mito e realtà, Pagliai, Firenze

  • Henke R. (2015), Fare agricoltura oggi a Roma: l’impresa multifunzionale, In: Calcani G., de Muro P. (eds.) Immagini di economia agraria dai fondi Maruffi tra passato e attualità, RomaTrePress, Roma

  • Mammuccari R. (2007), Viaggio a Roma e nella sua Campagna, Newton Compton, Roma

  • Marigliani C. (2010), La Campagna romana dai Bamboccianti alla Scuola Romana, De Luca Arte

  • McGahey D., Davies J., Hagelberg N., Ouedraogo R. (2014), Pastoralism and the Green Economy - a natural nexus?, Iucn - Unep, Nairobi

  • Nori M., Switzer J., Crawford A. (2005), Herding on the Brink: Towards a Global Survey of Pastoral Communities and Conflict, Iisd

  • Nori M. (2010), Pastori e società pastorali: rimettere i margini al centro, Agriregionieuropa, n. 22

  • Quilici L. (1979), Roma primitiva, Newton Compton, Roma

  • Ruggeri A., Colandrea O. (2003), Fra Tor Vergata e i Castelli Romani: uso del suolo fra Ottocento e contemporaneo, In: Morelli R., Sonnino E., Travaglini C. M. (eds.), I territori di Roma. Storie, popolazioni, geografie, Università La Sapienza -Tor Vergata - Roma Tre, Roma

  • Spada F. (2014) Sostenibilità realizzabile. Ovvero: vegetazione naturale nel paesaggio urbano. In: Ippolito A.M. (ed.), Per la costruzione del paesaggio futuro. Atti del I° Convegno diffuso internazionale, S. Venanzo, 17-21 settembre 2013, Franco Angeli, Milano

  • Vallino F.O., Melella P. (1983), Tenute e paesaggio agrario nel Suburbio romano sudorientale dal secolo XIV agli albori del Novecento, Bollettino della Società Geografica Italiana, X (12), pp. 629 - 679

  • 1. Le praterie urbane rientrano nella definizione di praterie secondarie di cui alla Direttiva Habitat 1992. Ospitano infatti specie della vegetazione steppica, che non possono aver migrato al seguito dei pastori e delle loro greggi, ma che hanno al contrario rappresentato l’attrattiva che proprio in questi luoghi li ha condotti, quale meta finale di antichissimi movimenti migratori. Cfr. Spada 2014.
  • 2. Cfr. McGahey et al., (2014). Il World Initiative for Sustainable Pastoralism (Wisp) è una rete di soggetti che operano su specifici temi di gestione delle risorse, riconosciuti da Fao e EU. Tra i partner ricordiamo: European Forum on Nature Conservation and Pastoralism (Efncp); International Union for Conservation of Nature (Iucn).
  • 3. Efncp - European Forum for Nature Conservation and Pastoralism [Link]; Hnvf - High Nature Value Farming [Link]; Natura 2000; Fao - [Link]. Ultimo accesso dicembre 2015.
  • 4. Cfr. Eurostat, [Link], ultimo accesso dicembre 2015.
  • 5. È stato il tema del recente convegno “Produrre latte distinguendosi Strategie per sopravvivere - latte o fabbriche di latte? Quale latte, attraverso quale agricoltura, in quale società”, tenuto il 5 dicembre 2015 presso la Fondazione Cervi di Reggio Emilia.
  • 6. Ottimo esempio di operazioni finalizzate a questi scopi è il progetto Xai de Collserola, Barcellona, dove l’allevamento semibrado finalizzato alla produzione di carne di qualità è condotto in sinergia con gli adicenti parchi agricoli di Gallecs e Baix de LLobregat.
  • 7. Cfr. Ecozone [Link], Ecomouton [Link]; Ecoterra [Link]; ultimo accesso dicembre 2015
  • 8. Sull’argomento pubblicazioni ufficiali del Freistaat Sachsen (distretto dell’Elba e della Sassonia) sono accessibili in rete; cfr. [Link]; [Pdf]; [Link], ultimo accesso 2015.
  • 9. Cfr. [Link]; [Link], ultimo accesso 2015.
  • 10. Dati della Bdn dell’Anagrafe Zootecnica istituita dal Ministero della Salute presso il Csn dell’Istituto "G. Caporale" di Teramo, gentilmente concessi in consultazione, aggiornati al 2014.
  • 11. Nel Lazio al 2014 si registrano oltre 6500 aziende del settore ovi-caprino, di cui circa 500 solo nel territorio romano. Elaborazioni effettuate sulla base dei dati della Bdn dell’Anagrafe Zootecnica istituita dal Ministero della Salute presso il Csn dell’Istituto "G. Caporale" di Teramo.
  • 12. Fino agli anni 1980 era in vigore una legge, L. 851/1938, norme per l’impianto e il funzionamento delle “centrali del latte”, per garantire nelle città accesso al latte fresco prodotto nell’intervallo delle ventiquattro ore. Oggi la definiremmo l’incarnazione di un tipico patto tra produttore e consumatore, attuato con la mediazione dell’operatore pubblico che in questo caso era l’amministrazione comunale, a cui faceva capo l’azienda pubblica Centrale del Latte (privatizzata definitivamente nel 1998). Intorno alla città di Roma era stata individuata un’area, detta ”zona bianca”; gli allevatori ricadenti in questo perimetro avevano obbligo di consegnare il latte, ricevendo in cambio un prezzo di fatto garantito (art. 8). Questo meccanismo ha funzionato fino a quando è cominciata l’epoca delle grandi privatizzazioni (cfr. Bevilacqua, 2011). In quegli anni per i pastori dell’Agro romano è venuto così a mancare un significativo mercato di riferimento garantito (quei favolosi ricordi dei pastori, menzionati nei colloqui, in cui si vagheggia di un’età dell’oro in cui il latte era pagato qualche migliaio di lire).
  • 13. Terzeria: schema agrario di struttura arcaica. Ogni anno viene messo a coltura, e in rotazione, un terzo dei terreni, lasciando a maggese (a riposo) i restanti due terzi, eventualmente destinati al pascolo invernale delle greggi transumanti. Cfr. Ruggeri, Colandrea 2003.
  • 14. La locuzione paesaggio del morso è un neologismo che merita una breve spiegazione. L’espressione fa riferimento ad una corrente di studio del paesaggio, di matrice storica e umanistica (Frizell, 2010), che è comune ed ampiamente affermata nella discussione sul paesaggio nell’area culturale delle lingue scandinave (sved: beteslandskap; dan: græsningsarealer; norv: beiteområder), dove assume valore identificativo di una genesi segnata dalla pesante influenza della tradizione pastorale (Emanuelson, et al., 2002). L’espressione si riferisce dunque a un paesaggio la cui componente vegetale è figlia di una lunga continuità storica di animali domestici pascolanti.
  • 15. La relazione sullo stato dell’ambiente di Roma Capitale (2012) riporta i seguenti dati: aree protette 41.000 ettari; aree agricole in Agro romano 37.073 ettari; verde urbano in gestione all’ex Servizio Giardini 3.932 ettari; cfr. [Pdf].
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Cortometraggio documentario su uno degli ultimi pastori a pascolare il proprio gregge all'interno del territorio di Roma (zona Tor di Quinto, vicino Ponte Milvio):
https://youtu.be/GHhjITsijRQ