Gli aspetti generali
È abbastanza noto che la pressione fiscale nel settore agricolo è di gran lunga inferiore a quella prevalente negli altri settori economici; secondo le stime dell’Annuario dell’agricoltura italiana, per il periodo 2010 – 2014 il rapporto tra le imposte ed il valore aggiunto lordo è stato in media dell’8%, contro un valore del 27% per quanto riguarda gli altri settori produttivi. Tale risultato è il frutto di una ormai consolidata ambiguità della politica tributaria, in cui a partire dalla riforma dei primi anni Settanta, si sono sempre scontrate due diverse filosofie: l’una tendente a ricondurre il settore nell’ambito della normativa generale, stante la sua diminuita importanza economica in termini di contributo all’occupazione ed al Pil e l’altra tendente comunque ad affermarne significative specificità, come ad esempio la protezione dell’ambiente, meritevoli di un certo grado di protezione “fiscale”.
Peraltro se da un’analisi così aggregata si passa a considerare più specificatamente il valore della pressione tributaria, a livello dell’impresa agricola, identificata per specifici parametri (tipologia colturale, dimensione economica, localizzazione geografica etc.) ci si trova di fronte ad una realtà molto più variegata, perché il valore complessivo delle imposte ad essa imputabili ed il risultato aziendale dipendono da molteplici fattori, come la tipologia colturale, la dimensione economica, la localizzazione geografica, la forma giuridica dell’impresa ed ovviamente la struttura del sistema tributario nella sua specifica applicazione ai settore dell’Agricoltura della Silvicoltura e della Pesca (Asp).
Nel lavoro che sarà prossimamente pubblicato è stata analizzata la distribuzione del carico tributario tra le imprese che operano in tale settore con un livello di disaggregazione tale da poter tener conto delle succitate variabili. Si è cercato cioè di capire se le differenze nella distribuzione del carico tributario a livello di impresa siano il frutto di una struttura di carattere generale, che si ripercuote diversamente sui settori produttivi e/o di normative specifiche, in gran parte, come si dice, retaggio del passato, la cui giustificazione in termini di efficienza dell’impresa, di crescita del sistema produttivo e di equità nella distribuzione dei costi per il finanziamento della produzione dei servizi pubblici potrebbe essere messa in dubbio.
Ai fini di tale analisi i dati statistici utilizzati provengono principalmente dalle banche dati del Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) che contengono tutte le informazioni desumibili dalle dichiarazioni presentate ai fini Irpef, Ires, Irap ed Iva, informazioni che sono in parte pubbliche ed in parte messe a disposizione soltanto dei principali enti pubblici tra cui il Crea.
Sono stati quindi presi in considerazione tutti i soggetti con partita Iva, che si sono classificati, in relazione all’attività prevalente, negli Ateco da 01 a 03 (Agricoltura, Silvicoltura, Pesca), o nell’Ateco 55.20.52 (Agriturismo) della “Classificazione delle Attività Economiche 2007”.
Sono state poi prese in considerazione le principali imposte riferibili, per competenza, all’utile di esercizio di competenza per gli anni 2011 e 2012, ossia l’Irpef, l’Ires, l’Irap, l’Ici/Imu e l’Iva che per la particolare natura del regime speciale, applicabile al settore, può essere considerata come un’imposta negativa.
Tutti i dati sono state disaggregati per le 40 principali tipologie colturali (Ateco a 4 cifre) e per ciascuna di esse si è proceduto ad una ulteriore disaggregazione per forma giuridica dell’impresa, distinguendo tra le imprese individuali e le società a determinazione catastale del reddito imponibile a fini Irpef e tutte le altre tassabili in base a bilancio.
È stato quindi calcolato, per ciascun Ateco, il rapporto tra le imposte ed il volume d’affari. La scelta di questa variabile per la comparazione della pressione tributaria tra i vari Ateco in luogo dell’utile aziendale o del risultato di gestione, variabili normalmente usate in analisi del genere, è stata dettata dalla considerazione che a livello delle statistiche tributarie è l’unica concettualmente comune a tutte le imprese agricole, indipendentemente dalla forma giuridica e dalla tipologia colturale; d’altro canto, non esistono altre fonti statistiche di tale ampiezza e dettaglio. Di conseguenza il rapporto tra imposte pagate e volume d’affari dà una prima idea del carico fiscale sulle diverse tipologie, o per essere più esatti è un indice delle risorse che uno specifico settore “trasferisce” allo stato attraverso il canale delle imprese, per la produzione, in senso lato, dei servizi pubblici.
I principali risultati
Nel 2011 a livello aggregato l’ammontare complessivo delle imposte era pari a 786 milioni di euro che si riducevano a 491 al netto dell’applicazione del regime speciale Iva; nel 2012 i valori analoghi erano pari a 1106 ed a 824 milioni di euro; l’incidenza netta sul volume d’affari è passata così dallo 0,79 % all’1,26 %, soprattutto per l’introduzione dell’Imu, un’imposta molto chiacchierata che sarà di fatto abolita nel 2013, per poi essere reintrodotta negli anni successivi.
Comunque in entrambi gli anni la dispersione dei singoli valori intorno alla media era piuttosto significativa; ordinando nel 2012 gli Ateco per tassi crescenti di incidenza si trova che i primi otto Ateco, a cui è imputabile il 52% del volume d’affari, mostrano tassi di incidenza variabili da valori negativi allo 0,71% del volume d’affari; si tratta di quasi tutta la zootecnia e di due settori molto particolari (01.62 e 01.63) che si riferiscono ad attività successive alla produzione agricola vera e propria; per tutto il gruppo il tasso d’incidenza medio era, come del resto nel 2011, prossimo allo zero; approssimativamente si può dire che tali risultati sono il frutto dell’operare congiunto del regime speciale Iva da un lato e del trattamento “privilegiato” delle cooperative dall’altro, particolarmente presenti nel settore 01.63 (Attività che seguono la raccolta).
All’estremo opposto compare una serie disomogenea di settori il cui tasso di incidenza, si attesta tra il 4% ed il 5% del volume d’affari; a tale gruppo appartengono Ateco di particolare importanza da un punto di vista merceologico come i cereali (01.11), gli agrumi (01.23) e la “Coltivazione di frutti oleosi” (01.26); pesa su questi settori la sostanziale irrilevanza del regime speciale Iva e la sostanziale rilevanza della determinazione catastale del reddito imponibile a fini Irpef.
Se si ha in mente un’idea di neutralità del sistema tributario rispetto alle scelte delle imprese, dal punto di vista merceologico, si può dire che siamo di fronte a due distinti “peccati politici” l’uno per commissione e l’altro per omissione; il sussidio alla zootecnia infatti deriva da una precisa scelta fatta alla fine degli anni novanta, che ridimensionando di fatto l’applicazione del regime speciale, lo ha ristretto a poche tipologie colturali, pur presentando quelle privilegiate non poche controindicazioni sul piano ambientale e nutrizionale. È di questi giorni l’ennesima raccomandazione dell’Oms sul consumo delle carni.
Il peccato di omissione si riferisce ovviamente al mancato aggiornamento delle rendite catastali il cui livello assoluto risale al 1997, mentre i valori relativi sono basati sulla struttura dei prezzi e dei costi del biennio 1978 – 1979. Per quanto da quegli anni l’agricoltura si sia profondamente trasformata le imprese a catasto coprono ancora il 50% del volume d’affari; si tratta quindi di un problema rilevante la cui analisi peraltro è ostacolata dalla difficoltà di stimare un reddito imponibile aziendale da comparare con il reddito catastale proprio degli Ateco considerati.
In prima approssimazione si è proceduto quindi ad una simulazione attribuendo alle imprese individuali di ciascun Ateco, distinte per classi di volume d’affari, un reddito pari a quello conseguito dalle società di persone, tassabili in base a bilancio, per lo stesso Ateco e per la stessa classe; si è anche tenuto conto della frequenza delle imprese in perdita. In sostanza si è fatta l’ipotesi che la diversa forma giuridica influenzi la dimensione finanziaria dell’impresa e la scelta dell’Ateco ma non la tecnica produttiva.
Come rapporto tra reddito catastale e reddito simulato si ottiene un valore medio del 18%, ma con una forte variabilità tra i vari Ateco; si va dal 6% dell’Ateco 01.14 (Coltivazione di canna da zucchero) al 50% dell’Ateco 01.12 (coltivazione di riso) e tale variabilità dipende in parte dalla tipologia colturale; ad esempio è molto più accentuata tra le colture permanenti (Ateco 01.1) e molto più ridotta per la zootecnia (Ateco 01.4 e 01.5) e la silvicoltura (Ateco 02). Tale variabilità dipende anche dalla dimensione finanziaria dell’impresa; indipendentemente dalla tipologia gli Ateco più piccoli, con un volume d’affari inferiore a cinquantamila euro hanno generalmente un rapporto inferiore alla media e gli Ateco più grandi, con un volume d’affari superiore a duecentomila euro, un rapporto superiore.
Se quindi si vuole rendere il carico fiscale indipendente dalle variabili cui si è accennato (tipologia colturale, dimensione d’impresa, forma giuridica etc.) il regime speciale Iva e l’imposizione a catasto vanno profondamente modificati; nel lavoro sono indicati diversi percorsi alternativi, che peraltro andranno ripensati in relazione alle modifiche apportate al sistema tributario con la legge di stabilità per il 2016.