Le aziende individuali e familiari nell'Unione Europea

Le aziende individuali e familiari nell'Unione Europea

Introduzione

L’agricoltura familiare è la forma prevalente di attività primaria sia in Europa che nel resto del Mondo. La Fao (2015)1stima in 500 milioni le aziende familiari attive nel nostro pianeta. Esse rappresentano oltre il 90% delle aziende agricole in complesso e producono più dell’80% dei beni alimentari in termine di valore economico. Hanno quindi un ruolo centrale nella sicurezza alimentare delle generazioni odierne e future.
Il presente lavoro intende analizzare e mettere a confronto alcune caratteristiche delle aziende familiari italiane e europee partendo dai dati raccolti dalle rilevazioni strutturali dell’Unione Europea.
I Regolamenti comunitari in materia di statistiche sulla struttura delle aziende agricole2stabiliscono, tra l’altro, le classificazioni da adottare nei censimenti agricoli degli Stati membri con le relative definizioni. Per quanto riguarda la forma giuridica, tali normative identificano tre tipologie di aziende agricole:

  • quelle il cui conduttore è una persona fisica e l’unico conduttore di un’azienda indipendente;
  • quelle il cui conduttore è un gruppo di persone fisiche che partecipano ad un “gruppo di aziende”;
  • quelle il cui conduttore è una persona giuridica.

La prima tipologia è quella che più si avvicina al concetto di azienda familiare in quanto prevede la presenza di un conduttore, persona fisica, coadiuvato o meno da membri della sua famiglia e/o da dipendenti. Quando il conduttore non è coadiuvato da membri della sua famiglia si parla più propriamente di aziende “individuali”. Quest’ultimo tipo di aziende (in Italia oltre 360 mila) ha acquisito con il tempo sempre maggiore rilevanza, come risultato dell’aumento delle famiglie mononucleari anche nel settore agricolo e della scelta crescente da parte dei familiari del conduttore di cercare redditi in attività economiche extraziendali.
Alla tipologia di aziende familiari e individuali fanno riferimento i dati e i commenti di questo articolo.
È necessario, inoltre, premettere che, nonostante i Regolamenti comunitari determinino anche il campo di osservazione comune da adottare nei censimenti agricoli, stabilendo delle percentuali massime di esclusione della popolazione di riferimento3 di fatto, gli Stati Membri, all’interno di questo vincolo, hanno ampia libertà di scegliere soglie fisiche e/o economiche in base alla quali includere o meno unità agricole nei propri censimenti. Il risultato di ciò è che alcuni Paesi come Irlanda, Malta e Romania non hanno adottato alcuna soglia, mentre, all’estremo opposto, Repubblica Ceca, Danimarca, Gran Bretagna e Germania hanno censito unità agricole con almeno 5 ettari di Superficie Agricola Utilizzata (Sau)4. Questo disallineamento dei campi di osservazione ha un impatto sui risultati proprio delle aziende familiari più piccole che risultano incluse o meno nei vari censimenti a secondo dello Stato membro.

Principali risultati

Le aziende individuali e familiari sono in Italia come in Europa la struttura portante del settore primario. Infatti, nel 2010, esse rappresentano nel nostro Paese il 98,9% delle unità agricole censite, il 95,3% della forza lavoro (calcolate in Awu=Unità di lavoro agricolo5, l’89,4% della Sau e il 90,9% dello Produzione Standard6, mentre nell’UE-28, sono rispettivamente il 97%, l’86,1%, il 68,2% e il 70,8% del totale. Conseguentemente “la tipologia e l’ampiezza delle famiglie agricole, l’attività lavorativa svolta dai componenti, il loro grado di istruzione, influenzano la struttura e le performances delle aziende del settore primario e, non ultimo, la capacità di resistenza delle stesse” (Sabbatini, 2009, pag. 56). Inoltre, la diffusione delle aziende a conduzione familiare in Europa a partire dall’800 è stato uno dei fattori dell’aumento della produttività attraverso la riduzione del costo del lavoro (Aldcroft e Ville, 1994).
All’interno dell’Unione Europea, la quota di aziende individuali e familiari sul totale varia dal 70,8% della Francia ad oltre il 99% di Grecia, Irlanda, Polonia, Slovenia, Lituania, Romania e Croazia (Figura 1).

Figura 1 - Aziende individuali e familiari sul totale, per classi % – Anno 2010

Fonte: elaborazioni dell'autore su dati Eurostat

L’analisi dei dati disponibili di fonte Eurostat degli ultimi vent’anni (1990-2010) evidenzia come l’evoluzione delle aziende individuali e familiari sia stata molto diversificata da Paese a Paese. Necessariamente l’esame in questo caso si restringe ai 12 Stati Membri UE presenti nel 1990 per i quali esiste una serie storica completa. Lo scenario in cui questa evoluzione si manifesta è di una forte e generalizzata riduzione delle aziende agricole (-1 milione per l’Italia e -3 milioni per UE-12). All’interno di questo contesto si possono distinguere chiaramente due gruppi di Paesi (Figura 2): quelli che nel periodo considerato hanno sostanzialmente mantenuto (Irlanda, Grecia, Italia) se non anche aumentato (Gran Bretagna) la propria quota percentuale di aziende individuali e familiari rispetto al totale e quelli che presentano una riduzione di tali aziende sempre in termini percentuali sul totale (tutti gli altri). Sono questi ultimi i Paesi in cui i cambiamenti strutturali del settore appaiono più veloci ed evidenti così come indicato da Eurostat a commento dei risultati della Francia “the structure of the French agriculture is changing in the sense that large holdings are replacing smaller ones” (Eurostat, 2014, pag. 1).

Figura 2 - Evoluzione della quota delle aziende individuali e familiari tra il 1990 e il 2010 in EU-12

Fonte: elaborazioni dell'autore su dati Eurostat

I risultati disponibili dell’indagine strutturale del 20137 permettono di avere delle prime indicazioni sull’effetto della recente crisi economica nel comparto. La figura 3 evidenzia chiaramente un’accelerazione della riduzione della percentuale delle aziende agricole familiari/individuali tra il 2007 e il 2010, cioè nel periodo iniziale della crisi economica. Nel successivo triennio, invece, il calo di queste aziende si attenua, tornando quasi ai livelli degli anni pre-crisi. Le altre tipologie di aziende (Società, Cooperative, Enti pubblici, ecc.), invece, hanno fatto registrare un andamento completamente diverso continuando a crescere percentualmente anche nel periodo della crisi economica così da sembrare di non averne subito gli effetti. Tali risultati sono, in verità, piuttosto sorprendenti e meritevoli di analisi più approfondite e di dati statistici più consistenti. Infatti, i risultati parziali della rilevazione statistica 2013 non confermano, per le aziende familiari e individuali, una maggiore resilienza all’andamento del ciclo economico e un maggior ritardo nel riflettere le variazioni del ciclo stesso che generalmente caratterizza l’agricoltura rispetto agli altri settori (De Filippis e Romano, 2010).

Figura 3 - Variazione % delle aziende agricole, per tipologia rispetto alla rilevazione precedente, per il totale UE disponibile

Fonte: elaborazioni dell'autore su dati Eurostat

Un indicatore interessante da analizzare e che mette in luce la profonda diversità dei vari Paesi europei è la produttività delle aziende individuali e familiari rispetto a quelle con personalità giuridica, in termini economici. Nel 2010, mediamente, le aziende individuali e familiari dell’UE-28 hanno raggiunto 17.346 euro di Produzione Standard contro i 247.980 euro delle aziende giuridiche (13,5 volte di meno). In Italia la proporzione è leggermente migliore (28.035 euro contro 262.113 pari a 9,3 volte di meno). In valori assoluti, la forbice di produzione standard media per azienda individuale e familiare va dai 3.962 Euro della Bulgaria ai 221.001 euro dei Paesi Bassi. In termini di rapporto si passa, invece, dall’Austria dove la produzione standard media per azienda individuale e familiare è solo 1,2 volte minore rispetto a quella delle aziende giuridiche, alla Lituania dove tale rapporto è invece inferiore di 91,3 volte. La Produzione Standard è stimata in base al valore potenziale dei beni aziendali prodotti, indipendentemente dalla loro commercializzazione, pertanto la variabilità dei rapporti riscontrati tra Paese e Paese sono più in funzione della caratterizzazione produttiva aziendale (ordinamenti colturali, grado di specializzazione, propensione zootecnica) che dell’orientamento verso il mercato delle due tipologie di aziende. Vale a dire che in Austria la caratterizzazione produttiva delle aziende individuali e familiari è abbastanza simile a quella delle aziende in forma societaria, cooperative o di Enti pubblici al contrario di quanto si riscontra, in genere, nei Paesi più orientali dell’Unione Europea (Figura 4).

Figura 4 - Rapporto tra la Produzione Standard media delle aziende con personalità giuridica e quella delle aziende individuali e familiari – Anno 2010

Fonte: elaborazioni dell'autore su dati Eurostat
L’intensità del colore è funzione del valore del rapporto: a valore del rapporto più alto corrisponde un colore più scuro

In particolare, in questi ultimi Paesi emerge una maggiore specializzazione produttiva delle aziende giuridiche rispetto a quelle individuali e familiari che giustificano le differenti performance economiche medie. È interessante notare che questi Paesi sono tutti, ad eccezione della Grecia, appartenenti all’ex blocco sovietico e pertanto caratterizzati da un’agricoltura strutturalmente diversa rispetto ai Paesi del versante europeo occidentale e da sistemi competitivi più deboli e meno efficienti al momento della loro adesione all’Unione Europea avvenuta tra il 2004 e il 2007. L’applicazione della Politica agricola comune ha comportato una riduzione del gap di produttività tra le aziende individuali/familiari e quelle giuridiche all’interno di questi Paesi, come si evince dalla tabella 1, anche se non ancora in misura tale da farli allineare con gli Stati più occidentali.

Tabella 1 - Rapporto tra la Produzione Standard media delle aziende con personalità giuridica e quella delle aziende individuali e familiari per alcuni Paesi UE – Anni 2010 e 2005

Fonte: elaborazioni dell'autore su dati Eurostat

Passando ad analizzare il capitale umano, si riscontra che in Italia, all’interno delle aziende individuali e familiari, il conduttore assicura il 53,9% del carico di lavoro, misurato in Awu, i componenti della sua famiglia il 29,1% e i dipendenti non familiari il 17%. La quota di quest’ultima tipologia di manodopera risulta maggiore nel nostro Paese rispetto alla media comunitaria, dove ha un peso più grande la componente familiare (Figura 5).

Figura 5 - Composizione % di Awu delle aziende individuali e familiari per tipologia di manodopera – anno 2010

Fonte: elaborazioni dell'autore su dati Eurostat

Anche in questo caso, però, il dato medio nasconde significative differenze territoriali. Il contributo della manodopera extra-familiare va, infatti, dal 2,3% della Croazia al 34,8% della Danimarca.
In termini storici, negli ultimi dieci anni, come conseguenza del calo del numero di aziende agricole attive si registra anche una diminuzione della manodopera (-422 mila Awu per l’Italia e -1.364 mila Awu per l’UE-12). Tale diminuzione, pur riguardando tutte le categorie, ha interessato maggiormente i familiari del conduttore. Di fatto, la manodopera extra-familiare sta gradatamente sostituendo quella familiare nel coadiuvare il lavoro del conduttore. Più che una strategia, questa sembra essere una scelta obbligata da parte del conduttore dettata dal fatto che il contributo della manodopera familiare si sta riducendo sia per ragioni demografiche (le famiglie sono composte da nuclei sempre più ridotti8) che socio/economiche (coniugi, figli e parenti del conduttore scelgono sempre più di impegnarsi professionalmente al di fuori dell’azienda di famiglia). Come si evidenzia nel figura 6, questa dinamica si riscontra sia in Italia che in Europa.

Figura 6 - Variazione dei punti percentuali di Awu delle aziende individuali e familiari per tipologia di manodopera nel periodo 2000–2010

Fonte: elaborazioni dell'autore su dati Eurostat

La presenza femminile nelle aziende individuali e familiari è in lenta ma continua crescita sia in Italia che in Europa e sia se si considera le conduttrici che la manodopera regolare9 in complesso (Figura 7) . Sono ormai lontani i tempi in cui, alla metà dell’800, il Barone Grud affermava che “le donne si possono appena impiegare utilmente per la campagna durante sei o sette mesi dell’anno ma è vano cercare di profittevolmente servirsene durante gli altri cinque o sei” (Grud, 1842, pag. 50).

Figura 7 - Composizione % della manodopera femminile sul totale, per tipo (conduttrici e manodopera regolare) nel periodo 2000-2010

Fonte: elaborazioni dell'autore su dati Eurostat

In una prospettiva di genere, prendendo in considerazione solo il 2010 e potendo quindi allargare il confronto a tutti i 28 Stati membri, gli indicatori del nostro Paese risultano leggermente più alti rispetto a quelli della media degli altri partner europei per quanto riguarda il livello manageriale (33,2% delle conduttrici sul totale contro il 29,8% della media UE-28) mentre sono praticamente equivalenti per quanto riguarda le coadiuvanti (43% della manodopera regolare femminile sul totale contro 43,2% della media UE-28).
Analogamente a quanto osservato per gli altri indicatori, anche questi valori medi nascondono una situazione estremamente diversificata a livello di singolo Stato Membro. Limitando l’analisi al solo livello imprenditoriale, si va, infatti, da un minimo di appena 5,7 conduttrici su 100 nei Paesi Bassi ad un massimo di 48,3 conduttrici su 100 in Lituania. Sicuramente tali risultati sono da mettere in relazione oltre che a fattori culturali anche e soprattutto alla tipologia di attività agricola presente nelle varie aree geografiche. Tanto è vero che gli Stati con le quote più basse di conduzione femminile sono oltre ai Paesi Bassi, la Germania (9,2%), la Danimarca (9,2%) e, fuori dall’UE, la Svizzera (7,3%), caratterizzati tutti da una forte specializzazione zootecnica, tradizionalmente appannaggio del genere maschile, fin dalla nascita delle prime comunità complesse e tecnologicamente più avanzate (“l’agricoltura intensiva passa nelle mani degli uomini e l’allevamento è sempre compito maschile”) (Arioti, 1983).

Considerazioni conclusive

Il primo elemento che emerge da questo studio è che sia in Italia che in Europa, la tradizionale immagine di un’agricoltura basata su piccole aziende, con coltivazioni ed allevamenti, condotte da un capo famiglia con l’aiuto della moglie e dei figli è sorprendentemente ancora valida ai giorni nostri anche se la dimensione media aziendale è cresciuta sensibilmente rispetto al passato.
Ma così come l’intero settore sta gradualmente e lentamente cambiando e modernizzandosi, anche l’agricoltura familiare sta seguendo la stessa evoluzione. Il percorso futuro sembra tracciato: meno aziende ma più grandi, con sempre maggior grado di specializzazione e di innovazione, a volte con attività multifunzionali, di protezione dell’ambiente ed orientate a produzioni di qualità. Aziende, in definitiva, al passo con i tempi che mutano e con le sfide dei mercati globali. Chi non segue questa logica si emargina ad una pura agricoltura di sussistenza o per fini hobbistici se non perfino all’abbandono del fondo.
Un secondo elemento che evidenziano i dati esaminati è l’eterogeneità esistente da Paese e Paese di come l’organizzazione di queste aziende sia articolata in termini di produttività, composizione della manodopera e presenza femminile. E di questo, la governance europea ne sembra essere pienamente consapevole. La diversità dell’agricoltura è infatti al centro della nuova Pac. L’obiettivo è di sostenere un’alimentazione di qualità e la diversità dei prodotti, fornendo un sostegno più adeguato a ogni tipo di struttura agricola, senza basarsi su un modello unico predefinito. Le piccole e medie aziende familiari, in questo contesto, sono più che in passato, parte integrante della Pac. La diversità dell'agricoltura europea è, in definitiva, identificata come un punto di forza e promossa nel rispetto dell'ampia varietà di tradizioni, pratiche agricole ed economie rurali esistenti, dai modelli agricoli di autosussistenza di alcune zone dell’Europa dell’Est a quelli moderni e industrializzati dell’Europa occidentale a quelli delle produzioni tipiche e differenziate dell’area del Mediterraneo.

Riferimenti bibliografici

  • Aldcroft D. H., Ville S. P. (2003), L'economia europea 1750-1914, Vita e pensiero, Milano – Titolo originale The European Economy 1750-1914. A thematic approach 1994 Manchester University press

  • Arioti M. (1983), Capitolo “La donna e il cibo nelle società primitive” del volume “Le donne e il cibo. Proposte per un mangiare diverso dal Coordinamento donne Arci” –AA.VV.-Edizioni Dedalo, Bari

  • Barberis C. (2013), Capitale umano e stratificazione sociale nell’Italia secondo il 6° Censimento generale dell’agricoltura 2010, Istat, Roma

  • De Filippis F., Romano D. (2010), Crisi economica e agricoltura, Edizioni Tellus

  • Eurostat (2014) Agricultural census in France, Statistics Explained [link]

  • Fao (2015) Family Farming Knowledge Platform, [link]

  • Grud E.V.B. (1842) Economia teorica e pratica dell’agricoltura, G. Antonelli editore, Venezia

  • Sabbatini M. (2009), Evoluzione e prospettive dell’agricoltura del Lazio, Franco Angeli editore

  • 1. http://www.fao.org/family-farming/background/en/
  • 2. Regolamento (CE) n. 1166/2008, Regolamento (CE) n. 1200/2009 e precedenti.
  • 3. Le aziende agricole più piccole che complessivamente rappresentano non più del 2 % del totale della superficie agricola utilizzata e non più del 2 % del numero totale delle unità di bestiame delle aziende.
  • 4. L’Italia ha adottato delle soglie variabili da 0,1, a 0,3 ha a secondo delle Regioni, con delle eccezioni.
  • 5. 1 Awu corrisponde al lavoro annuale fornito da una persona impiegata full time in azienda.
  • 6. Valore stimato della produzione lorda aziendale espressa in euro.
  • 7. Al momento della stesura dell’articolo i dati disponibili sono relativi a Bulgaria, Repubblica Ceca, Germania, Estonia, Lituania, Paesi Bassi, Austria, Polonia, Portogallo, Slovenia, Slovacchia, Cipro, Lettonia e Lussemburgo.
  • 8. Nel 1931 l’ampiezza media di una famiglia italiana era di 5 unità mentre nel 2011 è pari a 2,4 (Barberis - 2013).
  • 9. La manodopera regolare comprende quella familiare e quella non familiare con contratti continuativi, indipendentemente dal numero di settimane effettive di lavoro.
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