Le certificazioni di sostenibilità nell’economia globale

Le certificazioni di sostenibilità nell’economia globale

Introduzione

La nascita di iniziative in grado di regolare l'eccessivo sfruttamento delle risorse e promuovere lo sviluppo sostenibile rappresenta una risposta all’impatto ecologico e sociale della globalizzazione (Ostrom, 2007; Berks, 2006). Fra queste vanno affermandosi in numerosi ambiti produttivi, sia nel settore manifatturiero sia in quello delle risorse agricole e naturali, gli standard e le certificazioni di sostenibilità.
Gli standard volontari di sostenibilità (Svs) forniscono una dettagliata specificazione delle norme ambientali e sociali che devono essere rispettate nel processo di produzione, con un chiaro riferimento ai tre pilastri dello sviluppo sostenibile. Essi, congiuntamente a sistemi di certificazione da parte di soggetti terzi e di etichettatura, costituiscono un sistema ibrido di governance transnazionale - una nuova forma di contratto sociale - che coinvolge imprese private e rappresentanti della società civile. In tale sistema, il potere di regolamentazione non deriva dallo Stato ma dalla capacità di costruire la fiducia in base ad informazioni e azioni, in un sistema in cui la verifica della conformità alle regole è garantita dall’indipendenza degli organismi di certificazione rispetto agli altri attori della supply chain (Pattberg, 2005). Il potere pubblico, invece di essere coinvolto direttamente nell’accordo tra le parti, prevede garanzie e sanzioni, mentre le organizzazioni della società civile e le imprese stipulano accordi sul modello della contrattazione collettiva.
Il successo delle iniziative volontarie richiede che i consumatori siano disposti a pagare un premio per coprire gli investimenti in materia di governance e infrastrutture per la sostenibilità (ad esempio, sistemi di tracciabilità) ed i maggiori costi di produzione.
In un mercato globale, la certificazione consente la comunicazione dei diversi attori, sia fra di loro che con gli utenti finali, e rappresenta uno strumento potenzialmente in grado di perseguire un maggior livello di cooperazione nella gestione delle risorse. L’efficacia degli Svs – e quindi il loro contributo allo sviluppo sostenibile – dipende dalla capacità di costruire la fiducia dei mercati attraverso la codifica di informazioni complesse, la tracciabilità dei prodotti e la realizzazione di meccanismi che garantiscono l'integrità valore della filiera, evitando che segnali falsi o fraudolenti possano essere utilizzati strategicamente in modo scorretto per acquisire vantaggi competitivi.
La popolarità delle certificazioni volontarie, cresciuta, come descritto più avanti, anche in seguito al fallimento di negoziati multilaterali, ha risentito positivamente degli esiti di controversie ambientali in sede Gatt che hanno riconosciuto sistemi volontari di eco-etichettatura in linea con le regole di commercio internazionale. Al tempo stesso, la World Bank e molte iniziative di cooperazione sostengono gli Svs come strumento per promuovere lo sviluppo sostenibile (World Bank, 2014).

I principali standard globali di sostenibilità

La produzione rispondente a Svs è cresciuta dal 2008 al 2012 a un tasso annuale stimato dell’11% con andamenti anche superiori in alcuni settori quali l’olio di palma, lo zucchero, il cacao e il cotone (Potts et al., 2014). In alcuni casi la produzione certificata ha raggiunto consistenti livelli sul totale come nel caso del caffè (40%), del cacao (22%) e dell’olio di palma (15%).
Le prime iniziative di Svs risalgono agli anni ’90 (Figura 1) ed erano finalizzate all’uso sostenibile delle risorse naturali (foreste, mare) o si focalizzavano su aspetti specifici come il commercio equo e solidale. Dal 2004 sono venute affermandosi nuove forme di partnership note come Roundtables, centrate su singole commodity e con un ruolo preminente dell’industria. Queste ultime hanno in genere adottato i principali standard Iso e hanno costituito uno strumento per rafforzare i processi di integrazione verticale (Gereffi, 2005).

Figura 1 – Evoluzione delle certificazioni di sostenibilità 1993-2012

In molti casi lo sviluppo di standard e sistemi volontari di certificazione ha rappresentato una risposta ai fallimenti dei negoziati multilaterali come nel caso del legname, del caffè e della pesca. Ad esempio, il vertice di Rio del 1992 ha rappresentato il momento in cui gli sforzi per raggiungere un accordo multilaterale sulle foreste è fallito a causa della volontà dei paesi di difendere la propria sovranità nazionale. Da allora la governance forestale ha proceduto su due binari principali: i sistemi nazionali di certificazione che possono essere approvati dal Programme for the Endorsement of Forest Certification Schemes (Pefc) e il Forest Stewardship Council (Fsc) in cui standard globali con requisiti prescrittivi sono sviluppati nell'ambito di un’arena multistakeholder - decentralizzata a livello locale - sotto la guida del Wwf (Cashore et al., 2006).
Il Marine Stewardship Council (Msc) è la certificazione dominante nel settore della pesca. I momenti salienti negli accordi internazionali relativi alla gestione della pesca e conservazione marina sono rappresentati dalla Convenzione delle Nazioni Unite del 1982 sul diritto del mare, dall'accordo delle Nazioni Unite del 1995 sulla conservazione e gestione degli stock ittici migratori, la pubblicazione della Fao nel 1993 dell’Accordo di conformità e dal Codice di condotta per una pesca responsabile nel 1995. In occasione della Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente e lo sviluppo (Unecd) vi è stato un arresto nella definizione comune di orientamenti a livello globale per la pesca sostenibile. Ciononostante la strada per lo sviluppo di linee ambientali comuni e di sistemi di etichettatura ecologica era stata aperta e nel 1997 il Wwf e Unilever, all’epoca il più grande acquirente di pesce congelato, istituirono il Msc come risposta a pratiche di pesca non sostenibili.
La produzione industriale di caffè ha determinato gravi problemi ambientali tra cui la deforestazione di vaste aree e, allo stesso tempo, la volatilità dei prezzi ha drammaticamente colpito i piccoli coltivatori di caffè dei paesi in via di sviluppo. Il fallimento nel 1989 dell'accordo internazionale sul caffè (Ica) sulla regolamentazione degli scambi commerciali è stato seguito da una profonda ristrutturazione della supply chain con una concentrazione del potere nelle mani di operatori appartenenti ai paesi consumatori che ha portato a prezzi del caffè più bassi e più volatili. Nel dicembre 2001 il prezzo del caffè è precipitato in termini reali al livello più basso negli ultimi 100 anni a causa dell’eccesso di offerta. In seguito a questo evento, piccole imprese di torrefazione di nicchia negli Stati Uniti hanno aperto la strada al commercio di caffè biologico e/o equo e solidale che è divenuto il campo più attivo per l'eco-etichettatura nel settore alimentare (Bacon, 2008). Altre certificazioni molto utilizzate per il caffè sono Rainforest Alliance e Utz. Queste, così come Fairtrade, sono multistakeholder e sono utilizzate per una vasta gamma di prodotti tra cui - oltre al caffè - banane1, tè, cotone.
In altri settori prevalgono iniziative specifiche per singole commodity come Bonsucro per lo zucchero, Roundtable for Sustainable Palm Oil (Rspo) per l’olio di palma, Proterra e Roundtable on Responsable Soy (Rtrs) per la soia.
La distribuzione geografica della produzione certificata dipende da numerose variabili tra cui le condizioni agro-climatiche che determinano le zone di produzione, i fattori economici e sociali, le politiche, la presenza di infrastrutture di supporto alla produzione, i regimi commerciali, i costi di implementazione. La quasi totalità della produzione certificata proviene da paesi in via di sviluppo, mentre i paesi sviluppati rappresentano la maggiore quota sugli acquisti. La tabella 1 mostra gli ettari certificati nelle principali aree di produzione.

Tabella 1 - Superfici certificate dai principali Svs per area geografica 2011/2012 (ha)

Fonte: Potts et al. (2014)

Il processo di definizione e la partnership degli standard

I sistemi di certificazione affrontano questioni ambientali e sociali, oltre ad aspetti che riguardano la salute umana e la sicurezza sul lavoro. La definizione dello standard può rispondere all’obiettivo di accrescere la sostenibilità o, alternativamente, di mantenerne lo status quo o di arrestarne il declino.
Nel settore del caffè, ad esempio, le certificazioni Rainforest Alliance e Utz si basano su standard minimi sociali, ambientali ed economici mentre il caffè biologico e equo e solidale (Fairtrade) si caratterizza per il rispetto di norme più distanti dalle pratiche abituali. Secondo Auld (2010) queste ultime iniziative, con requisiti più rigorosi, hanno raggiunto un sostegno maggiore nel mercato rispetto a standard più blandi, e hanno favorito maggiormente lo sviluppo di pratiche sostenibili.
In alcuni casi le certificazioni di sostenibilità prevedono criteri diversi per i piccoli produttori e la possibilità di certificazioni di gruppo per ridurre i costi di accesso. Nella maggior parte dei casi gli indicatori sono differenziati a livello locale in modo da tener conto delle specificità ed accrescerne l’efficacia.
Tra gli standard sociali, quelli più frequentemente adottati riguardano i diritti dei lavoratori (salario minimo, libertà sindacali, lavoro minorile). Meno considerate sono invece le questioni di genere e quelle relative alla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.
Le questioni ambientali sono affrontate da un numero inferiore di iniziative rispetto a quelle sociali. Le prescrizioni principali riguardano la protezione del suolo e dell’acqua mentre aspetti come biodiversità e cambiamenti climatici sono considerati solo in pochi casi.
Per quanto riguarda gli aspetti economici, Fairtrade è l’unico standard che prevede la corresponsione di un premio di prezzo ai produttori e la trasparenza dei contratti tra produttori e acquirenti.
Poiché la partecipazione è volontaria, la definizione dello standard - e quindi la posizione dell’asticella - pone un problema di selezione avversa in quanto vi è il rischio che aderiscano solo quei produttori per i quali il rispetto delle norme non rappresenta un costo significativo, riducendo così l’effettivo impatto dello standard.
La platea degli attori coinvolta direttamente o indirettamente in un processo di certificazione volontaria di sostenibilità è molto ampia andando dai produttori, ai trasformatori, alla distribuzione, ai consumatori finali, alla società civile e al settore pubblico. L’ampiezza della partecipazione influisce sulla trasparenza del processo, sulla distribuzione del potere decisionale, sull’accesso alle informazioni (Auld et al., 2008) e sulla possibilità di manipolazione da parte di grandi imprese (Raynolds et al., 2007).
Un attore fondamentale è il sistema delle imprese agro-industriali, le quali possono aderire a sistemi di certificazioni o strategicamente in modo proattivo, come strumento di acceso a nuovi mercati, o in modo reattivo, per esempio di fronte alla minaccia di nuove normative ambientali o sul lavoro, o come difesa rispetto alle campagne di boicottaggio da parte di attivisti ambientali. La certificazione volontaria può anche rappresentare uno strumento per evitare lo sviluppo di normative talvolta contraddittorie tra Paesi diversi e quindi favorire il commercio internazionale. Le imprese possono anche dotarsi di propri sistemi di certificazione di sostenibilità, in competizione con quelli multi-stakeholder. Ad esempio, nel settore forestale, Fsc si trova a competere con diversi standard di sostenibilità promossi dall’industria del legno. Questa,infatti, considera sfavorevoli le norme Fsc che attribuiscono lo stesso peso degli interessi economici agli obiettivi ambientali e sociali nella struttura di governance del processo decisionale2 e vuole difendere la propria autonomia dato il ruolo centrale del Wwf nel partenariato.
Le Ong transnazionali rappresentano un attore molto importante nel processo di definizione degli standard volontari di sostenibilità. Esse, infatti, dalla loro tradizionale strategia di lobbying per la regolamentazione pubblica sono passate a sfidare direttamente i comportamenti delle imprese, partecipando alla definizione degli standard, delle procedure di verifica e rilascio delle certificazioni (Gereffi et al. 2005). Il coinvolgimento delle Ong transnazionali, tra le quali vi sono organizzazioni ambientaliste come Rainforest Alliance, Conservation International e Wwf o a maggiore connotazione sociale come Oxfam o Solidaridad, è considerato il fattore più importante per determinare la legittimità morale del sistema di certificazione (Raynolds et al., 2007) in virtù della loro indipendenza dallo Stato e dalle imprese.
La domanda dei consumatori è un driver importante delle iniziative di certificazione di sostenibilità e riguarda sia i consumatori finali che i trasformatori e la distribuzione preoccupati di migliorare la propria immagine presso segmenti specifici della loro clientela. Poiché la maggior parte della domanda di prodotti sostenibili proviene dal mercato più ricco del vecchio mondo, la dipendenza dei produttori di un Paese da questi mercati ha un impatto significativo. Le aziende certificate sono normalmente più orientate verso l’esportazione, soprattutto verso i Paesi come Germania e Regno Unito, che sono considerati i Paesi leader in Europa per il mercato dei prodotti certificati. Se invece prevalgono i mercati nazionali o le esportazioni sono dirette verso mercati non sensibili, i produttori sono meno interessati a ottenere la certificazione come avviene nel caso di molti Paesi asiatici (Cashore et al., 2006).
Oltre a fare acquisti etici, i consumatori possono anche boicottare i marchi e prodotti che non rispettano gli standard economici, sociali o ambientali. Boicottaggi nazionali o internazionali negli anni '90 sono stati fattori chiave per lo sviluppo di programmi di certificazione nel settore della pesca3. Tali campagne hanno portato alla promozione di marchi di qualità ecologica che forniscono informazioni sul processo contribuendo ad accrescere la consapevolezza dei consumatori. A seguito delle pressioni di alcune Ong, i principali traders hanno dichiarato di sostenere standard di sostenibilità come Fairtrade nel caso del caffè. Home Depot e Ikea hanno sostenuto Fsc, Unilever e le principali catene di supermercati del Regno Unito, (Mark & Spencer, Tesco, Sainsbury e Safeway) hanno sostenuto Msc così come Whole Food Market e, recentemente, Wallmart negli Stati Uniti. L'Unione Europea, dopo aver fissato un obiettivo obbligatorio di consumo per i biocarburanti, si comporta come un grande acquirente e richiede che sia certificata la loro sostenibilità (Zezza, 2013).
Il ruolo del settore pubblico nel determinare il successo dei sistemi volontari di certificazione è molto importante ma non semplice. L’azione pubblica può operare in modo complementare alla certificazione privata ma si può porre anche in sostituzione. Far rispettare le norme, fornire incentivi finanziari per i prodotti certificati, regolare i diritti di proprietà, sono esempi di come le politiche pubbliche possano integrare e rafforzare la legittimità dei sistemi di certificazione. In alcuni casi la certificazione può basarsi semplicemente sul rispetto delle norme già stabilite e lo standard rappresenta un forum per la formazione del consenso tra gli attori (Nebel et al. 2005). Il settore pubblico può anche fungere da consumatore attivo attraverso gli appalti pubblici, contribuendo a segnalare che i sistemi di certificazione sono strumenti legittimi e credibili per gli acquirenti (Gulbrandsen, 2006). Al contrario, in molte situazioni, sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo, i governi sostengono programmi nazionali che entrano in competizione con gli standard privati. Questo è il caso di molti paesi europei i cui programmi sono stati approvati nell'ambito del Pan European Forest Certification (Pefc) divenuto poi Program for Endorsement of Forest Certification per includere il Brasile, l'Australia, il Canada e gli Usa. Ciò viene giustificato sulla base dell’adeguatezza delle pratiche e politiche esistenti, ritenendo invece necessarie le certificazioni volontarie per il legno tropicale. Nei Paesi in via di sviluppo si assiste ad atteggiamenti diversi. Fsc è stato sostenuto da alcuni governi, ad esempio in Bolivia, Messico e Guatemala, dove è stato visto come strumento per rafforzare le capacità di gestione sostenibile delle comunità locali, mentre altri Paesi hanno sviluppato schemi alternativi come, ad esempio, ​​Brasile (Cerflor), Indonesia (Lei) e Malesia (Mtcc), nel tentativo di difendere la propria autonomia e sovranità nazionale.
Allo stesso modo, nel settore della pesca, alcuni paesi europei hanno un ruolo antagonista rispetto al Msc. Il Consiglio dei Ministri dei paesi nordici4 è diventato un fautore centrale di un sistema di etichettatura ecologica basato sulle regole Fao considerando Msc come una minaccia alla propria competenza di regolamentazione sulle risorse marine (Stokke et al., 2005). Le politiche governative possono facilitare il processo di pesca sostenibile. Ad esempio, in Cile il governo ha facilitato l'adozione del Msc, costringendo le flotte a lavorare collettivamente per la definizione delle aree di pesca (Gelcich et al., 2005).

L’impatto dei sistemi di certificazione volontaria della sostenibilità

Gli studi empirici sull'impatto dei sistemi di certificazione sui tre pilastri della sostenibilità (ecologico, sociale, economico) non sono molti anche se in aumento. Alcune rassegne hanno evidenziato l’assenza nella maggior parte degli studi di controfattuali rigorosi (Chan e Pound, 2009; Nelson e Pound, 2009; Blackman e Rivera, 2010). Inoltre gli studi pubblicati non sono distribuiti in modo omogeneo in relazione a tipo di standard e Paese. Prevalgono infatti i lavori che riguardano il caffè e l’America Latina, mentre tra gli Svs è Fairtrade quello maggiormente analizzato. Recentemente Iseal, l’associazione che riunisce la maggior parte degli Svs ha cominciato a sviluppare un sistema di monitoraggio e valutazione per comprendere e comunicare l’impatto degli standard5.
Il beneficio economico della certificazione può assumere varie forme: premio di prezzo, maggiore accesso al mercato, stabilità dei contratti, minore volatilità dei prezzi, più equa distribuzione del valore lungo la filiera, migliore accesso al credito. Possono inoltre esserci benefici macroeconomici di tipo fiscale, legati alla maggiore chiarezza delle attività, trasparenza del mercato, miglioramento dell'occupazione e dei salari, maggiore attrattività degli investimenti delle imprese.
La presenza di premi sul prezzo non è sufficientemente supportata da evidenza empirica: nella maggior parte dei casi le valutazioni non sono comparabili in quanto riferite a situazioni non omogenee. L'esistenza di premi di prezzo per legname tropicale Fsc, esportato dal Brasile verso l'Europa, è stata documentata, e stimata tra il 20 e il 50% rispetto al prodotto non certificato (Espach, 2006). Valori simili sono stati trovati in Malesia (Kollert e Lagan, 2007) e in Bolivia (Nebel et al., 2005). Anche per quanto riguarda Fairtrade è stato documentato che i produttori ricevono prezzi più stabili e a volte più alti (Niggli et al., 2010; Ceval, 2012).
L'impatto complessivo sul reddito dipende dall'equilibrio tra maggiori ricavi e i costi sostenuti per il rispetto dello standard. Questi includono i costi diretti di certificazione e altri costi indiretti, generati dal rispetto dello standard, come l'aumento del costo del lavoro e la riduzione delle rese. Il rispetto dello standard è meno costoso per quelle imprese che non devono apportare modifiche significative per soddisfarne i requisiti. Questo è il caso delle aziende che operano in settori in cui esistono già norme pubbliche che non si discostano molto dagli standard (Cashore et al., 2006). Un aspetto cruciale è capire come il sistema di certificazione possa ottenere un ampio sostegno e includere anche i produttori che devono affrontare i costi di più alti, in modo da incrementare gli effetti netti delle iniziative di certificazione (Gulbransen, 2009). I costi diretti per la certificazione tendono a rappresentare almeno il 50% dei costi totali il primo anno e a ridursi negli anni successivi al 4-15% del costo totale. L'alto costo iniziale rappresenta una barriera all’entrata per le piccole imprese locali che in genere hanno problemi di liquidità (Simula et al., 2004). La composizione dei costi di adeguamento è molto variabile e dipende dalla distanza tra lo standard, i requisiti minimi di legge e la situazione pre-certificazione dell’azienda ed è influenzata quindi dal livello di sviluppo socio-economico della zona, dal livello delle conoscenze e dalle pratiche di gestione prevalenti (Cubbage et al., 2009). Fair Trade è l'unico sistema che non richiede alcun pagamento agli agricoltori per la certificazione. Nel settore del caffè, il costo della certificazione è fisso per alcuni standard (Raiforest Alliance) e variabile per altri (Utz) in cui vi è concorrenza tra gli organismi di certificazione.
Nel caso del caffè certificato, la dimensione del mercato sostenibile risulta in aumento sia in termini di quantità che di valore. Ciò non significa che i premi vengano trasferiti in tutto o in parte ai produttori, visto che i premi sono pagati agli esportatori. La maggior parte alle spese sostenute dai produttori non sembrano trasferirsi agli acquirenti (Bass ,2001). Gli studi in merito mostrano una elevata variabilità dei premi e la loro sensibilità alle variazioni del prezzo di mercato, con una tendenza a contrarsi quando il prezzo di mercato scende (Daviron e Ponte, 2005). Relativamente alla distribuzione del valore lungo la filiera, i principali vantaggi finanziari nel caso delle foreste sono registrati per i trasformatori e i commercianti, piuttosto che per i proprietari o i gestori delle foreste (Fsc, 2002). Un cambiamento nella distribuzione del valore lungo la filiera è stato invece documentato nel caso del caffè equosolidale (Daviron e Ponte, 2005).
Tra i benefici economicidella certificazione vi è la maggiore possibilità di accesso ai mercati internazionali sia in termini di nuovi mercati sia di difesa dei mercati tradizionali. Diversi produttori certificati di legni tropicali in paesi come Messico, Guatemala, Sud Africa, Bolivia, hanno ottenuto l'accesso a nuovi mercati e clienti in Europa (soprattutto nel Regno Unito, Paesi Bassi e Germania) e negli Stati Uniti. Numerosi casi di studio hanno evidenziato come il caffè Fairtrade abbia aumentato l'accesso a nuovi mercati, compresi i mercati lucrativi dei paesi sviluppati a causa dell'effetto congiunto di un miglioramento della qualità, miglioramento delle competenze nella commercializzazione e maggiore accesso alle informazioni di mercato (Nelson e Pound, 2009).
Altri effetti economici documentati degli standard riguardano l’aumento dell’efficienza produttiva come conseguenza della migliore pianificazione forestale (Araujo et al. 2009, Ebeling et al., 2009), la maggiore facilità di accesso al credito per i produttori Fairtrade derivante dal pre-finanziamento da parte dell'acquirente o altre facilitazioni nel credito.
Per quanto riguarda l’impatto sulla sostenibilità sociale, le aziende agricole certificate sembrano avere benefici in termini di salute e sicurezza sul lavoro, relazioni con i dipendenti, diritti del lavoro (Bmz, 2008; Ceval, 2012). Altri benefici sono intangibili come il rafforzamento del capitale sociale e il miglioramento delle strutture di governance (Giovannucci e Ponte, 2005). In alcune situazioni è stato evidenziato come l’effetto premiale di Fairtrade si sia tradotto soprattutto in benefici collettivi a vantaggio delle comunità locali (Nelson e Pound, 2009; Ceval, 2012).
La valutazione dell’impatto ambientale delle certificazioni volontarie di sostenibilità si basa, nella maggior parte dei casi, sui cambiamenti nelle pratiche colturali più che sull’analisi dell’impatto effettivo sull’ambiente. Nel caso delle foreste, ad esempio, è stato evidenziato come il miglioramento della pianificazione forestale e degli inventari, insieme a cambiamenti nelle pratiche di selvicoltura, possa influire positivamente sulla biodiversità (Thornber, 1999; Gullison, 2003; Cashore et al. 2006; Wwf, 2005; Cubbage et al., 2010). Nel caso del programma di certificazione della pesca Msc, un miglioramento ecologico documentato è la riduzione delle catture di uccelli marini in via di estinzione nel Sud della Patagonia (Agnew et al. 2006). Nel caso del caffè, l’evidenza degli effetti positivi sull’ambiente (Giovannucci et al. ,2008) è ancora debole: teoria ecologica ed evidenza empirica suggeriscono che i sistemi di caffè ombreggiati offrono vantaggi in termini di maggiore biodiversità influenzati dal tipo di sistema caffè/alberi utilizzato. I sistemi tradizionali e i sistemi poli-colturali che incorporano il caffè come componente aggiuntivo nell'ecosistema naturale producono i maggiori benefici alla biodiversità. Al contrario, i benefici in termini di biodiversità sono meno evidenti nel caso di monocolture ombreggiate (Faminow, 2001). Altri benefici ambientali legati alla copertura del suolo riguardano l’immagazzinamento dell’acqua nel suolo e il maggiore sequestro di carbonio.

Considerazioni conclusive

L'aumento della concorrenza nell'uso di risorse naturali scarse ha determinato il diffondersi di standard privati di sostenibilità quali nuove forme sperimentali di governance dal livello locale a quello internazionale. Mentre la produzione rispondente ai requisiti imposti dagli Svs ha raggiunto livelli significativi, le vendite reali di prodotti come "conformi allo standard" sono cresciute ma meno rapidamente, determinando un eccesso di offerta. Si calcola che tra un terzo e la metà della produzione conforme sia venduta come convenzionale (Potts et al., 2014). Ciò implica che le imprese acquirenti hanno ampia scelta per l'approvvigionamento sostenibile ma suggerisce la possibilità che il mercato eserciti una pressione al ribasso sul i prezzi dei prodotti sostenibili a causa di un eccesso di offerta.
L’impatto della certificazione è un aspetto poco studiato e che richiede approfondimenti. Dal punto di vista economico i problemi principali riguardano il trasferimento dei benefici ai produttori che sopportano l’alto costo della certificazione non sempre compensato dai maggiori ricavi, a causa della non uniforme distribuzione dei benefici lungo la filiera. Un’eccezione in questo senso è rappresentata da Fairtrade. Un aspetto rilevante, riguardo al tema dell’equità distributiva, è rappresentato dalla composizione della governance dello standard, in relazione al peso assunto dall’industria da un lato e dai rappresentati della società civile dall’altro, aspetto che non sempre è evidente ai consumatori.
Gli studi condotti nei settori dove la certificazione è venuta di impatto negli ultimi anni - foreste, pesca, caffè, biocarburanti – hanno messo in evidenza il ruolo di fattori quali l’attenta definizione dei diritti e delle responsabilità di chi utilizza le risorse naturali, la capacità di monitoraggio, gli investimenti in sviluppo delle capacità a livello locale e nazionale, la partecipazione della società civile e degli attori del mercato, la domanda dei consumatori, la dimensione e la distribuzione dei costi e benefici.
È evidente che ci siano ampie aspettative nei confronti delle iniziative di sostenibilità ma è altrettanto chiaro che esse possono essere da sole una soluzione completa per sostenibilità economica, sociale e ambientali della produzione agricola. La penetrazione delle certificazioni di sostenibilità nel mercato mondiale è molto lenta rispetto agli effetti dello sfruttamento eccessivo delle risorse naturali e all’entità dei benefici privati che ne derivano. Ciononostante, gli standard e le certificazioni volontarie di sostenibilità rappresentano uno strumento straordinario per accrescere la consapevolezza degli effetti della produzione agricola sulla sostenibilità ambientale e sulle condizioni di vita e di lavoro dei produttori, modificare le tecniche, trasmettere il valore lungo la filiera, ridurre la distanza tra produttori e consumatori, ridurre il rischio e fornire accesso a nuovi mercati. Affinché questo potenziale si realizzi è necessario che altri fattori e comportamenti, quali quelli elencati in precedenza, evolvano nella stessa direzione.

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  • Zezza A. (2013), Sustainability certification in the biofuel sector. Discussion Paper 2013-03, Harvard Kennedy School, Belfer Center for Science and International Affairs and Sustainability Sciences. Harvard University, Cambridge

  • 1. Rainforest Alliance, ad esempio, certifica l’87% della produzione di banane commercializzata da Chiquita.
  • 2. Il Fsc è organizzato in tre consigli (ambientale, sociale ed economico), che controllano ognuno un terzo dei voti. All'interno di ciascun consiglio è richiesta la parità tra gli interessi dei paesi del nord e del sud del mondo.
  • 3. E’ il caso dei pescatori di tonno accusati di causare la morte dei delfini e dei pescatori di gamberi per la mortalità delle tartarughe.
  • 4. Il Consiglio Nordico è un forum di cooperazione interparlamentare creato nel 1952 tra Svezia, Danimarca, Norvegia e Islanda e a cui aderì, tre anni più tardi, anche la Finlandia.
  • 5. Iseal Code of Good Practice for Assessing the Impacts of Social and Environmental Standards.
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