Perché la sicurezza alimentare
Ci sono almeno tre ragioni che rendono attuale occuparsi di sicurezza alimentare1 nel primo numero del 2015 di Are. Anzitutto la quantità di persone, che soffrono di fame e malnutrizione a livello mondiale, nonostante gli innegabili progressi verso il raggiungimento del Millennium Development Goal 1C (dimezzare entro il 2015 la percentuale di sottonutriti esistente nel 1990)2, resta ancora a livelli inaccettabilmente elevati: a livello globale una persona su otto continua a soffrire la fame, un bambino in età pre-scolare ogni sette continua a essere sottopeso (UN, 2015) e, contemporaneamente, un bambino in età prescolare ogni tredici è sovrappeso oppure obeso (de Onis et al., 2010).
Ancora più importanti sono le prospettive future. Se guardiamo all’evoluzione delle principali variabili che determinano domanda e offerta di beni alimentari a livello globale – dinamica demografica, urbanizzazione, crescita del reddito, disponibilità di risorse produttive (terra e acqua), innovazioni tecnologiche e cambiamento delle rese – e al loro impatto, si vede come da qui al 2050 sia necessario produrre circa il 70% in più di cibo rispetto a quanto mediamente prodotto nel 2005-07 (Alexandratos e Bruinsma, 2012) e, nel complesso, la transizione verso la saturazione dei consumi alimentari non sarà completata prima del 2070-2090. Ovviamente, questo vale nel complesso, mentre permane una notevole insicurezza in paesi/gruppi di popolazione poveri, che rischiano di rimanere imprigionati nella “trappola malthusiana” della povertà.
In questo quadro, poi, ci sono notevoli rischi che aumentano l’insicurezza dei gruppi di popolazione più vulnerabili. Basta guardare a quanto accaduto negli ultimi anni, con l’incremento degli shock economici (volatilità dei prezzi e crisi finanziarie), ambientali (cambiamento climatico e disastri naturali), sociali e politici (conflitti, violenze), e alle cause che li hanno determinati, per comprendere come tale tendenza probabilmente continuerà anche nei prossimi decenni, mettendo sotto pressione le disponibilità alimentari, con un impatto notevole sulla sicurezza alimentare e nutrizionale dei soggetti più vulnerabili (Zseleczky and Yosef, 2014).
Ci è sembrato, quindi, opportuno provare a fare il punto della situazione, dato che questo sarà uno dei temi cruciali del dibattito economico e politico dei prossimi anni.
Proviamo a fare il punto
I vari contributi raccolti in questo numero di Are possono essere raggruppati secondo una logica che, partendo dalla descrizione del quadro di riferimento, analizza alcune delle principali issues rilevanti per la sicurezza alimentare, per poi analizzare alcune implicazioni politiche.
Il quadro di riferimento
I primi tre contributi affrontano questioni di tipo definitorio e di misura della sicurezza alimentare. Conforti riporta le stime più recenti sulla sottonutrizione a livello mondiale, illustrandone la dimensione nelle varie regioni del globo e in termini di progressi rispetto al raggiungimento del Millennium Development Goal 1C. I dati mostrano come ci siano stati indubbi progressi e, benché non si possa ancora dire con certezza se esso sarà raggiunto globalmente, tale obiettivo è stato già raggiunto in 63 paesi e in alcune regioni come l’America Latina ed i Caraibi, l’Asia Orientale e Sud Orientale. Nel complesso, Conforti mette in evidenza un quadro con luci e ombre, in un contesto in cui la produzione complessiva di beni alimentari è compatibile con una disponibilità di cibo sufficiente per tutti.
Carletto et al. sottolineano come la complessità della misurazione del fenomeno derivi non solo dalla multidimensionalità del concetto – disponibilità, accesso, utilizzazione e stabilità, secondo la definizione canonica della Fao (1996) – ma anche dal fatto che si devono prendere in considerazione aspetti quantitativi e qualitativi, la confrontabilità nel tempo e nello spazio delle stime, il livello di aggregazione, etc. Sulla base di tali considerazioni, questi autori illustrano i principali indicatori e le fonti di dati attualmente esistenti a livello di indagini familiari3, discutendone i pro e i contro e facendo una proposta di raccordo, nel convincimento che già oggi esiste un’enorme messe di informazioni, anche se dispersa (e poco sfruttata) tra diverse fonti disponibili.
Romano e d’Errico si concentrano, invece, su un concetto relativamente nuovo, quello di resilienza all’insicurezza alimentare, che è stato di recente proposto da alcuni studiosi e da diverse organizzazioni internazionali per l’analisi della sicurezza alimentare. Gli autori evidenziano come l’approccio della resilienza debba essere inteso come un criterio complementare a quello della vulnerabilità4 e mostrano in che modo possa essere effettuata l’analisi della resilienza all’insicurezza alimentare partendo da dati da indagini statistiche sulle famiglie (del tipo di quelli descritti da Carletto et al.). Dai risultati delle poche analisi fin qui condotte emerge chiaramente come l’indice di resilienza sia un predittore robusto delle variazioni future di consumo alimentare. Pertanto, migliorare la resilienza delle famiglie agli shock è una strategia d’intervento estremamente interessante, soprattutto tenendo presente la complessità e l’incremento dei rischi cui sono sottoposti i poveri.
Le issues
I successivi cinque contributi toccano quattro temi di grande impatto sia in termini sostanziali, che di dibattito pubblico sulla sicurezza alimentare, segnatamente: il cambiamento climatico, gli investimenti diretti esteri, le bioenergie, gli organismi geneticamente modificati e il protezionismo agricolo.
Coderoni ed Esposti analizzano il nesso tra sicurezza alimentare e cambiamento climatico focalizzando la propria attenzione sui possibili impatti di quest’ultimo su uno dei maggiori driver dalla produzione di alimenti, la crescita produttività totale dei fattori in agricoltura. Questi autori mostrano come, stando alle stime più accreditate, le conseguenze maggiori in termini di perdita di produzioni si avranno proprio in quelle zone che hanno maggiormente determinato la buona perfomance recente della produttività totale dei fattori agricola mondiale. Di fronte a questa sfida è pertanto necessario porsi il problema di se e come intervenire per tempo, prima cioè che i cambiamenti climatici determinino un rallentamento nella crescita della produttività totale dei fattori. Al riguardo, rimane fondamentale l’aumento della spesa in ricerca e sviluppo, allargando il campo di azione alla cosiddetta bioeconomia.
Scoppola analizza uno dei fenomeni più controversi degli ultimi anni, quello delle acquisizioni di terra su larga scala nei Pvs o, come si dice con espressione giornalistica, quello del land grabbing. In effetti, la Scoppola parte con l’analisi di questa duplicità di significato che porta già con sé un giudizio di valore, tendenzialmente positivo o neutrale, nel caso le acquisizioni di terre vengano viste come meri investimenti diretti dall’estero, o negativo, nel caso essi siano considerati accaparramento di terre. Analizzando la letteratura più recente, l’autrice evidenzia come esista un’estrema eterogeneità nei diversi casi di studio e una notevole complessità degli effetti, che vanno da quelli sul mercato della terra e dei prodotti agricoli, a quelli occupazionali, agli spillover tecnologici e infrastrutturali, alle entrate fiscali e agli effetti sull’ambiente. La conclusione, allo stato delle conoscenze, non è univoca. In particolare, per le implicazioni sulla sicurezza alimentare, sembra essere cruciale la tipologia di terreni oggetto delle acquisizioni e se essi erano utilizzati in precedenza dalla popolazione locale per produrre beni alimentari.
Sassi analizza la relazione tra biocombustibili e sicurezza alimentare evidenziandone gli elementi di criticità legati alla competizione tra le produzioni agricole per usi alimentari ed energetici e, in particolare, la maggior competizione nell’uso dei fattori di produzione (terra, acqua e lavoro). Uno degli esiti di questa competizione è l’aumento dei prezzi di tali risorse e conseguentemente l’aumento dei costi di produzione agricoli che, inevitabilmente, si scaricano sui prezzi degli alimenti, con effetti sulla sicurezza alimentare dei più poveri. Una seconda modalità di impatto sulla sicurezza alimentare passa attraverso le già citate acquisizioni di terra su larga scala che sono state favorite dai progetti di espansione della produzione di biocombustibili. Dal punto di vista delle possibili soluzioni, Sassi sottolinea come bisognerebbe sostenere la ricerca nel settore dei biocombustibili di seconda, terza e quarta generazione5, che non competono con la produzione agricola, o sviluppare co-prodotti. Inoltre, resta prioritaria la ricerca a livello locale, così come la necessità di rafforzare la capacità dei Pvs di valutare la propria situazione per quanto riguarda lo sviluppo dei biocombustibili alla luce delle implicazioni di sicurezza alimentare.
Zezza nel suo contributo analizza i termini del dibattito su colture geneticamente modificate e sicurezza alimentare, cercando di evidenziare vincoli e opportunità per i Pvs, pur nella consapevolezza che l’evidenza empirica è ancora abbastanza debole. La conclusione a cui giunge l’autrice è che il potenziale delle biotecnologie in termini di riduzione della povertà e di miglioramento dell’accesso al cibo può essere realizzato solo se i benefici diretti e indiretti ricadono sulle popolazioni più povere. A tal fine, le biotecnologie potrebbero contribuire ad aumentare la sicurezza alimentare in tre modi: aumentando le rese e quindi la disponibilità di cibo a livello globale, migliorando la qualità degli alimenti e migliorando la situazione economica degli agricoltori e quindi il loro accesso al cibo. Quest’ultimo punto è quello su cui l’evidenza appare di gran lunga più incerta, anche per il cambiamento intervenuto nell’assetto istituzionale nel settore, passato da un contesto di offerta di beni pubblici (come ai tempi della rivoluzione verde) a un altro di mercato privato, dove i poveri difficilmente potranno affrontare il costo dell’accesso alle sementi geneticamente modificate6.
Salvatici analizza la relazione tra protezionismo agricolo e sicurezza alimentare. L’autore parte dalla considerazione, condivisa dal mainstream economico, che mercati internazionali funzionanti rappresentino un ingrediente essenziale per la sicurezza alimentare globale, evidenziando, tuttavia, come i recenti improvvisi aumenti nei prezzi internazionali degli alimenti e l’assenza di reti di sicurezza per i più poveri consigliano una qualche cautela in tale giudizio. Attraverso una valutazione dell’impatto del protezionismo agricolo, effettuata con un approccio quasi-sperimentale (generalized propensity score matching), Salvatici mostra come le politiche abbiano un impatto significativo. In particolare, sia politiche sfavorevoli al settore primario che politiche di sostegno eccessivo hanno un impatto negativo in tutte le dimensioni della sicurezza alimentare, ma esiste un intervallo di intervento a sostegno dell’agricoltura che presenta effetti positivi. Tuttavia, l’autore suggerisce cautela nel trarre implicazioni normative da tali risultati in quanto l’analisi non è in grado di indicare quali specifici strumenti di intervento siano maggiormente efficaci e, soprattutto, non tiene conto dei costi associati a tali interventi.
Alcune implicazioni politiche
Gli ultimi tre contributi riguardano più propriamente alcune questioni che hanno a che fare con le politiche di intervento: quale posto per la sicurezza alimentare nel negoziato Wto sull’agricoltura, l’impatto delle riforme politiche ed economiche sulla sicurezza alimentare e come affrontare il problema della sicurezza alimentare nei Paesi sviluppati – e, in particolare, in Italia – dove la sicurezza alimentare è strettamente collegata alle nuove povertà e a fenomeni quali lo spreco alimentare.
Anania fa il punto sullo stato e sulle prospettive del negoziato Wto in corso, dal punto di vista specifico delle questioni rilevanti per la sicurezza alimentare dei paesi più poveri, in particolare, sulle possibili ricadute per le politiche volte a ridurre l’insicurezza alimentare in situazioni di emergenza. L’autore mette in evidenza come, nonostante l’importanza del ruolo che le politiche commerciali e le politiche agricole giocano nelle strategie per la sicurezza alimentare (di breve e di medio periodo) e per la riduzione della povertà, tali temi fossero del tutto assenti nell’ultimo round negoziale (1994) e, in buona sostanza, anche nella Doha Development Agenda. Solo di recente il tema della sicurezza alimentare è entrato veramente tra i temi al centro dei negoziati Wto, sulla scorta del nuovo potere negoziale di alcuni Pvs (Brasile, India, Cina), della crisi dei prezzi dei beni alimentari e delle successive azioni di politica commerciale messe in pratica unilateralmente da alcuni Paesi esportatori, che hanno aumentato la turbolenza dei mercati delle commodity agricole. Anania sottolinea come tre siano le questioni cruciali da affrontare relativamente alle politiche di breve periodo rilevanti per la sicurezza alimentare: le politiche di sostegno della produzione finalizzate alla costituzione di scorte di emergenza, la possibilità per i Pvs di intervenire in deroga alle “regole” esistenti, in caso di situazioni di emergenza e la disciplina delle politiche di restrizione temporanea delle esportazioni in presenza di forti impennate dei prezzi sui mercati internazionali. Benché esista ampia convergenza sul fatto che tali questioni dovrebbero entrare nella discussione in corso in sede Wto, è difficile dire quale possa essere l’esito del negoziato e, anzi, appare difficile che possano entrare nel possibile accordo.
Olper et al. si concentrano su un tema poco frequentato dalla letteratura economica: il ruolo che le riforme economiche, politiche ed istituzionali hanno svolto nel determinare lo stato di insicurezza alimentare e di malnutrizione dei Pvs. Ciò viene fatto utilizzando un metodo semi-parametrico (synthetic control method). Pur essendo gli effetti piuttosto eterogenei, nel complesso i risultati mostrano come circa la metà dei paesi in cui si è avuta una liberalizzazione commerciale o che hanno subito un processo di democratizzazione abbiano sperimentato un miglioramento significativo del tasso di mortalità infantile, sia nel breve che nel lungo periodo. Non sono emersi, invece, episodi di riforme economiche o politiche con impatti negativi statisticamente significativi. Inoltre, i risultati evidenziano l’esistenza di un’interrelazione tra riforme economiche e politiche, nel senso che le riforme di politica commerciale danno risultati sensibilmente migliori se si manifestano in una democrazia consolidata rispetto a quanto avviene se la riforma viene attuata in un paese non democratico. Si tratta di un risultato di estremo interesse, che richiama l’argomento di Sen (1999) secondo cui le democrazie sono meglio attrezzate per affrontare i problemi della sicurezza alimentare, ma dà anche una chiara indicazione circa il timing ottimale delle riforme, nel senso che le riforme politiche dovrebbero precedere le riforme economiche affinché queste ultime possano esplicare i maggiori effetti.
Cavicchi analizza il fenomeno della povertà e dell’insicurezza alimentare in Italia, per evidenziare quali iniziative possano essere realizzate per contrastare lo spreco e migliorare la gestione delle eccedenze. L’autore parte dagli ultimi dati sulla povertà, da cui risulta che nel 2013 una famiglia su otto (pari al 16,6% della popolazione) era in condizioni di povertà relativa, come conseguenza della crisi economica e del venire meno di reti di sicurezza sociale. Tuttavia, la crisi economica non è la sola causa delle nuove povertà: rottura di precedenti legami familiari (tra figli e genitori o tra coniugi), dipendenze, gravidanze e nascite indesiderate, abbandoni, separazioni, scelte migratorie. Insomma, qualunque causa che porta alla rottura dell’unità base del welfare, la famiglia, che spesso è anche l’unica in un contesto di progressiva riduzione delle reti di sicurezza sociale formali. Questa situazione ha portato ad aumento della sottonutrizione e della malnutrizione, come testimoniato dalla progressiva diminuzione dei consumi di frutta e verdura nelle diete degli italiani. Tali fenomeni vanno di pari passo non solo con lo spreco alimentare, ma anche con la sovrapproduzione e l’eccesso di offerta da parte delle imprese. Secondo l’autore, le reti di solidarietà sociale hanno un ruolo fondamentale per fare in modo che le categorie più povere e svantaggiate, oltre ad avere accesso al cibo, possano vivere processi di inclusione sociale: non solo trasferimento di sostegno economico e materiale, quindi, ma anche legami sociali e solidali. A partire da questi legami, all’interno di partenariati pubblico-privati, si possono attuare iniziative di educazione alimentare contestuali al recupero delle eccedenze e alla riduzione degli sprechi per affrontare la povertà alimentare nella sua complessità.
Per non concludere
Il quadro che abbiamo cercato di tracciare con i contributi raccolti in questo numero di Are, mostra come il problema dell’insicurezza alimentare, nonostante gli innegabili progressi compiuti negli ultimi anni, rappresenti ancora un’enorme sfida per molte economie a basso e medio livello di reddito e, più recentemente, anche per parti importanti delle economie ad alto reddito, in cui il fenomeno assume connotati nuovi, in precedenza sconosciuti.
Tuttavia, proprio l’esperienza recente ha evidenziato che la fame e la malnutrizione possono essere combattute e vinte. Per far questo, però, non bisogna commettere l’errore di immaginare soluzioni semplicistiche a un problema che è estremamente complesso e richiede una strategia che preveda misure di intervento diverse, in grado di affrontare sia le sue dimensioni di breve che quelle di medio-lungo periodo. Nel primo caso, il problema è quello di avere a disposizione meccanismi di protezione adeguati per garantire, in caso di crisi alimentare, una rete di sicurezza che aiuti quanti non sono in grado di avere accesso ad alimenti di qualità adeguata in quantità sufficienti. Nel secondo caso, come evidenziato da Sen ormai quasi quarant’anni fa (Sen, 1981), l’obiettivo non può che essere l’eliminazione della povertà e una crescita sostenibile delle disponibilità alimentari che tenga il passo con la crescita attesa della popolazione.
Riferimenti bibliografici
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Alexandratos N., Bruinsma J. (2012), World Agriculture Towards 2030/2050: The 2012 Revision. Esa Working Paper No. 12-03, Fao, Rome
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de Onis M., Blössner M., Borghi E. (2010), Global Prevalence and Trends of Overweight and Obesity Among Preschool Children, American Journal of Clinical Nutrition 92 (5): 1257-64
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Fao (1996), Rome Declaration on World Food Security, World Food Summit 13-17 November 1996, Fao, Rome. [link]
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Fao, Ifad, Wfp (2014), The State of Food Insecurity in the World 2014, Fao-Ifad-Wfp, Rome. Scaricabile a [pdf]
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Ifpri (2015), 2015 Global Food Policy Report. Ifpri, Washington, DC. Scaricabile a [link]
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Sen A.K. (1981), Poverty and Famines: An Essay on Entitlement and Deprivation, Clarendon Press, Oxford
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Sen A.K. (1999), Development as Freedom, Oxford University Press, Oxford
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UN (2015), The Millennium Development Goals Report 2014, United Nations, New York. Scaricabile a [link]
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Zseleczky L., Yosef S. (2014), “Are shocks really increasing? A selective review of the global frequency, severity, scope, and impact of five types of shocks”, in Fan S., Pandya-Lorch R., Yosef S. (eds.) Resilience for Food and Nutrition Security, Ifpri, Washington, DC: 9-17
- 1. Per sicurezza alimentare si intende “una situazione che si ha quando tutte le persone, in ogni momento, hanno accesso fisico, sociale ed economico a quantità sufficienti di cibo sano e nutriente in modo da soddisfare i propri fabbisogni dietetici e le proprie preferenze per svolgere una vita sana e attiva” (Fao, 1996). È evidente come tale concetto includa sia la sottonutrizione (undernourishment) che la malnutrizione (malnutrition). È questo il motivo per cui, a differenza di quanto propugnato dai sostenitori del movimento Scaling Up Nutrition (cfr. http://scalingupnutrition.org/), in questo lavoro si continua a utilizzare il tradizionale termine “sicurezza alimentare”, intendendo “sicurezza alimentare e nutrizionale”.
- 2. Secondo la Fao (Fao, Ifad, Wfp, 2014) questo obiettivo è vicino ad essere raggiunto, mentre secondo l’Ifpri (2015) è stato già raggiunto nel corso del 2014.
- 3. Che sono ritenute dagli autori come le più adatte al fine di effettuare il monitoraggio e l’analisi della sicurezza alimentare.
- 4. Mentre l’approccio della vulnerabilità cerca di predire l’insorgenza di una crisi, l’approccio della resilienza cerca di valutare lo stato di salute di un sistema (la famiglia, una comunità, un settore economico, un sistema economico, ecc.) e quindi la sua capacità di far fronte agli shock nel caso questi si manifestino.
- 5. La seconda generazione di biocombustibili deriva dai residui non commestibili della produzione agricola alimentare, da altre colture non alimentari e dai residui industriali, mentre la terza generazione si basa sullo sfruttamento delle alghe e la quarta generazione su quella dei lieviti.
- 6. E questo, ovviamente, ha implicazioni sull’offerta, dato che non esistendo un mercato per le colture domandate dagli agricoltori poveri dei Pvs, le imprese biotech non sono incentivate a fare ricerca e sviluppo su tali colture, che rimarranno delle orphan crops.