Introduzione
La vendita diretta da parte degli agricoltori rappresenta la forma più antica di commercializzazione dei prodotti alimentari, di fatto l’unica modalità di distribuzione esistente sino all’avvento della Rivoluzione industriale ed alla sua conseguente marginalizzazione.
Una lettura più moderna di tale pratica associa al rapporto diretto tra produttore e consumatore e al concetto di filiera di prossimità, quello del valore simbolico attribuito dai consumatori ai prodotti alimentari (tipici, tradizionali, locali, ecc.). In questo quadro, la vendita diretta può essere annoverata fra le svariate modalità di distribuzione appartenenti alle cosiddette ‘reti agroalimentari alternative di consumo di cibo’ (Alternative food networks, nella dizione anglosassone). Con le sue due forme tipiche di vendita, in azienda e fuori azienda - comunemente presso aree urbane (farmes’ markets, mercati rionali ecc.) -, la vendita diretta rappresenta ad oggi una delle realtà più diffuse in alternativa alla grande distribuzione.
Nonostante tali evidenze, e sebbene la vendita diretta sia spesso inclusa fra le attività che permettono di conferire l’attributo di ‘multifunzionale’ all’azienda agricola (Jongeneel et al., 2009), la letteratura di carattere economico inerente le scelte dei produttori nei confronti di questo canale di distribuzione risulta essere piuttosto scarsa. Alcune ricerche hanno analizzato le determinanti della vendita diretta in aree geografiche diverse, utilizzando dati censuari aggregati per compararne il peso in termini di fatturato (Timmons and Wang, 2010) o di numero di aziende che la praticano (Lyson e Gutpill, 2004). Corsi et al. (2009) hanno studiato le determinanti della scelta dei canali di vendita da parte dei produttori biologici, distinguendo filiere convenzionali e alternative, queste ultime comprensive di quelle basate sulla vendita diretta. Le ragioni dell’adesione degli agricoltori a nuove forme di distribuzione, fra cui la vendita diretta fuori azienda, è oggetto anche dell’analisi di Verhaegen e Van Huylenbroeck (2001), mirata a definire un modello teorico per la comparazione dei costi e dei benefici di canali di distribuzione tradizionali e alternativi.
L’analisi della scelta degli agricoltori per il canale di vendita diretto è qui affrontata considerando come territorio di riferimento la Regione Piemonte e ponendo l’attenzione sulle relazioni che intercorrono fra i residenti urbani e le aziende agricole, sia nella forma dell’approvvigionamento in azienda da parte dei consumatori, che della distribuzione fuori azienda, operata dai produttori presso i mercati rionali e i farmers’ markets, mediante la fornitura di gruppi di acquisto solidali, la vendita presso spacci extra aziendali ecc.
Una prima parte dell’analisi, di tipo descrittivo, è mirata a delineare la diffusione di tali pratiche per tipologia aziendale e a rappresentarne la distribuzione geografica sul territorio regionale. In secondo luogo sono stati analizzati i fattori determinanti l’opzione dei produttori per il canale di vendita diretto. Per entrambe le analisi, le due modalità – in azienda e fuori azienda – sono state studiate separatamente, ipotizzando che esse possano sottendere differenti fattori che ne influenzano la preferenza.
Metodi e fonti dei dati
La base informativa utilizzata è quella del 6° Censimento Generale dell’Agricoltura (2010). L’accesso ai microdati contenuti nel data warehouse “Censimento AGile” del Csi Piemonte1 ha permesso l’utilizzo dei dati disaggregati per singola azienda, potendo così trattare le informazioni strutturali e relative al capoazienda in maniera individuale.
Le aziende agricole attive in Piemonte sono 67.148. L’analisi si è concentrata sulle aziende familiari, includendo quindi le imprese individuali, le società semplici e di persone, complessivamente 66.459 aziende, ed eliminando dal totale le società di capitali, gli enti pubblici e le società cooperative. Similmente, allo scopo di scartare le attività a carattere hobbistico, o destinate unicamente all’autoconsumo, sono state escluse le aziende per le quali la percentuale dei ricavi lordi proveniente dalla vendita dei prodotti aziendali fosse pari a zero. In definitiva l’analisi ha riguardato 58.304 imprese agricole a carattere commerciale e con una gestione familiare.
Si è stimata una funzione che individua le variabili che possono determinare la scelta della vendita diretta da parte degli agricoltori; più esattamente, è stato stimato un modello statistico probit che stima l’effetto delle variabili esplicative sulla variabile dicotomica vendita diretta2.
La variabile dipendente (vendita diretta presente o assente) è stata derivata dai dati censuari; i prodotti considerati per l’analisi sono: cereali (incluso il riso), ortive, frutta, uva, latte, formaggi o altri prodotti lattiero caseari, vino e altri prodotti trasformati (vegetali o animali).
Anche le variabili esplicative delle scelte degli agricoltori sono state principalmente selezionate dal database censuario, ed in particolare sono state considerate:
- le caratteristiche personali del capoazienda: genere, età, anni di educazione scolastica, possesso di diploma di scuola media superiore, diploma di laurea o laurea ad indirizzo agrario, partecipazione nell’ultimo anno a corsi di formazione professionale;
- la fascia altimetrica in cui è ubicato il centro aziendale (montagna, collina, pianura);
- la struttura dell’azienda: produzione standard e ordinamento tecnico-economico;
- alcune caratteristiche connesse alla qualità dei prodotti: la presenza di superfici dedicate all’agricoltura biologica o a produzioni Dop e Igp;
- la pratica di altre attività aziendali potenzialmente correlate: agriturismo, attività ricreative e sociali.
A queste variabili ne è stata aggiunta una di tipo geografico, relativa alla distanza dei comuni in cui sono ubicate le aziende dagli aggregati urbani con rilevanti attività commerciali, comprensive di quelle mercatali. Tale aspetto pare di particolare di rilievo per l’opzione di vendita fuori azienda, in relazione alla disponibilità di aree mercatali appetibili dal punto di vista commerciale e facilmente raggiungibili dagli agricoltori. Le informazioni fornite dalla Regione Piemonte e dalle amministrazioni regionali limitrofe (Liguria, Valle d’Aosta e Lombardia), hanno permesso di stilare una lista di 37 poli urbani di interesse commerciale. Mediante l’utilizzo del software Microsoft MapPoint, ad ogni azienda è stato associato il numero di poli commerciali raggiungibili dal comune in cui viene svolta l’attività aziendale con un massimo di mezzora di guida.
Risultati
La vendita diretta in Piemonte
Uno degli aspetti che influiscono maggiormente sulla scelta della vendita diretta è certamente il tipo di prodotti in cui l’azienda è specializzata, in relazione alla loro natura di specialties o commodities, alla necessità o meno di essere trasformati, al valore aggiunto con la trasformazione, al valore simbolico ed alla preferenza accordata dai consumatori alle produzioni aziendali piuttosto che a quelle industriali per alcune categorie di prodotti ecc.
In generale in Piemonte la modalità della vendita diretta pare essere minoritaria rispetto agli altri canali di distribuzione. Premettendo che le due attività possono anche coesistere, solo il 14% delle aziende vende almeno una tipologia di prodotto in azienda e l’8% fuori azienda. Esistono però differenze in ragione dell’orientamento produttivo aziendale (Tabella 1).
La vendita in azienda è maggiormente diffusa nelle aziende non specializzate o miste (policoltura, poliallevamento, miste con coltivazioni ed allevamento) ed in quelle vitivinicole. In entrambi i casi, un quarto delle imprese vende, anche o in via esclusiva, in azienda; le specializzate nelle colture permanenti, le orticole, quelle con ovini e caprini e le bovine con orientamento a latte si presentano con percentuali decisamente più basse (comprese fra il 13% e il 15%).
Tabella 1 - Percentuale di aziende che praticano la vendita diretta per Ordinamento Tecnico-Economico (Ote)
Fonte: Censimento Generale dell’Agricoltura 2010, nostre elaborazioni
Le aziende specializzate in seminativi (risicoltura inclusa) e le bovine da carne sono quelle che, come era ovvio attendersi, sfruttano in minor misura questo canale di vendita (rispettivamente 5% e poco più del 7%).
La vendita fuori azienda, in generale meno praticata di quella in azienda, vede una maggiore diffusione presso le imprese agricole specializzate in orticoltura (16%), a cui seguono quelle miste e le vitivinicole (attorno al 14%). Di nuovo le specializzate in seminativi e, in questo caso, tutte le zootecniche sono le meno attive.
Un secondo aspetto di rilievo per la possibilità di vendere direttamente ai consumatori è quello geografico. L’ubicazione dell’attività produttiva potrebbe giocare in questo senso un ruolo importante, sia per la vendita in azienda che fuori azienda. Nel primo caso potrebbe influire in maniera determinate il bacino di popolazione, e dunque di potenziali consumatori, residente in prossimità del centro aziendale o l’ubicazione dello stesso in luoghi di passaggio o attrattivi per il turismo rurale. Nel secondo caso potrebbe essere la vicinanza di centri urbani con spiccato interesse commerciale, ad esempio per la presenza di aree mercatali, a rendere praticabile l’opzione. Accanto ad aspetti strettamente di mercato, possono però intervenire fattori diversi, come quelli di tipo culturale, che concorrono a legare gli abitanti della città ai territori rurali circostanti; ad esempio, l'importanza attribuita al patrimonio culturale, al paesaggio, al cibo locale e ai prodotti tipici e le relazioni sociali e territoriali complesse che nella contemporaneità legano città e campagna, sempre meno distinte l'una dall'altra. La stretta relazione tra la diffusione di alcune pratiche riconducibili alle reti agroalimentari alternative (come la vendita diretta) e i nuovi modelli di sviluppo rurale a scala regionale e sovra regionale, hanno portato alcuni Autori a parlare, riguardo al rapporto tra cibo e territorio, di ‘geografie alternative’ (alternative food geographies) (Murdoch et al. 2000) o ‘nuove geografie del cibo’ (new food geographies) (Gatrell et al. 2011). Pare dunque di interesse provare a dare una rappresentazione e una breve descrizione del fenomeno in termini di distribuzione geografica.
La restituzione cartografica a livello comunale del numero di aziende che praticano la vendita diretta evidenzia alcune aree di particolare concentrazione (Figura 1). Sia per la modalità in azienda che fuori azienda si distinguono i comuni collinari che circondano la città di Torino e una fascia di comuni situati fra le province di Alessandria, Asti e Cuneo, corrispondenti ai territori delle Langhe e del Monferrato. Nel primo caso l’influsso del polo urbano torinese e della sua area metropolitana pare evidente, sia in termini di mercati cittadini accessibili agli agricoltori che di bacino di popolazione in grado di raggiungere in breve tempo le aziende periurbane. Nel caso dei territori collinari vitivinicoli da poco divenuti patrimonio dell’umanità Unesco, la spiccata attrattività turistica e il forte legame dei residenti con il territorio e la sua agricoltura paiono aver consolidato un’intensa relazione fra agricoltori e consumatori, che si manifesta sia con l’acquisto in cascina che presso i mercati locali. Accanto a questi due poli, si nota una diffusa attività di vendita in azienda nella pianura cuneese (distretto della frutta) e nel Canavese; l’attività fuori azienda pare essere favorita anche per gli agricoltori di bassa valle in provincia di Torino, anch’essi avvantaggiati dalla vicinanza con il polo commerciale metropolitano.
La rappresentazione della percentuale di aziende che praticano vendita diretta sul totale restituisce un quadro meno chiaro (Figura 2). La quota di agricoltori che vendono in azienda sembra essere omogeneamente distribuita nei comuni piemontesi, con maggiori addensamenti in alcuni comuni montani (sia alpini che appenninici) e in alcune zone collinari, probabilmente a causa del minor numero di aziende agricole attive in queste aree. La situazione è simile per la vendita fuori azienda, anche se, in questo caso, si conferma la maggior frequenza del canale diretto nella collina periurbana torinese ed in quella vitivinicola di Langhe e Monferrato.
In definitiva, la rappresentazione cartografica della vendita diretta – seppur dia delle indicazioni – non pare essere del tutto esaustiva nel descrivere il fenomeno. Accanto all’influenza esercitata dal polo urbano torinese e da aree convoglianti una forte cultura del territorio e del paesaggio rurale, entrano probabilmente in gioco altri fattori ad influenzare le scelte degli agricoltori. Da qui la necessità di approfondire l’analisi mediante l’utilizzo di un modello quantitativo che consideri un più complesso set di determinanti della scelta.
Figura 1 - Numero di aziende che praticano la vendita diretta per comune (a sinistra ‘in azienda’, a destra ‘fuori azienda’)
Fonte: Censimento Generale dell’Agricoltura 2010, nostre elaborazioni
Figura 2 - Percentuale di aziende che praticano la vendita diretta sul totale per comune (a sinistra ‘in azienda’, a destra ‘fuori azienda’)
Fonte: Censimento Generale dell’Agricoltura 2010, nostre elaborazioni
Le determinanti della scelta
Il modello probit, applicato separatamente per la vendita in azienda e fuori azienda, restituisce la significatività delle determinanti ed il loro effetto sulla probabilità di intraprendere la vendita diretta.
In tabella 2 sono riportati i parametri stimati per le due modalità di vendita, nonché l’effetto marginale delle determinanti, indicante la direzione e l’entità della variazione della probabilità di scegliere la modalità diretta in seguito alla variazione di un’unità nel valore delle variabili esplicative.
Tabella 2 - Parametri dei determinanti delle scelte stimati con il modello probit
Fonte: Censimento Generale dell’Agricoltura 2010, nostre elaborazioni
La lettura dei dati, a partire da quelli relativi alla vendita in azienda, mostra come le caratteristiche personali del conduttore influiscano in maniera significativa sulla probabilità di scegliere questo canale. Il genere, ad esempio, sembra favorire i conduttori maschi, che hanno una probabilità dello 0,8% superiore a quella delle femmine di vendere in azienda. Anche l’effetto dell’età è significativo, sebbene molto contenuto: i giovani sono più propensi a questa modalità, anche se ogni anno aggiuntivo diminuisce le probabilità solamente dello 0,1%. Ogni anno di scolarizzazione aggiuntivo incrementa la probabilità dello 0,2%, ma sono la tipologia di studi e l’aggiornamento professionale che sembrano risultare maggiormente influenti. L’aver frequentato un corso di studio ad indirizzo agrario (universitario o di scuola media superiore) incrementa infatti la probabilità del 5%; lo stesso effetto lo induce il fatto di aver seguito corsi di aggiornamento in tempi recenti.
Si conferma poi l’importanza del fattore geografico: rispetto alla pianura, la probabilità di vendere in azienda è superiore del 7% in collina e del 12,2% in montagna. La scelta può qui essere favorita dalla tipicità o dalla connotazione di specialties dei prodotti di queste aree, dalla loro tipologia (ad esempio il vino in collina), dalla collocazione delle aziende in aree turistiche ecc.
Un’ipotesi spesso avanzata è che le piccole aziende siano maggiormente interessate alla vendita diretta. I risultati della stima confermano questa ipotesi, ma solo parzialmente: infatti la dimensione aziendale, misurata in termini di produzione standard, sebbene significativa dal punto di vista statistico non pare essere rilevante dal punto di vista economico: un aumento della produzione standard di 10.000 euro fa aumentare la probabilità di vendere in azienda di soli 0,02 punti percentuali. Al contrario, pesano in maniera sensibile le scelte gestionali degli imprenditori agricoli ed in particolare quelle relative alla diversificazione aziendale. Se l’azienda svolge anche attività agrituristica o fornisce servizi ricreativi e culturali, la probabilità aumenta rispettivamente del 25% e dell’11%. Questo risultato non stupisce, se si pensa all’opportunità per gli agricoltori di far conoscere i propri prodotti agli ospiti dell’agriturismo o ai fruitori delle attività in azienda.
Ugualmente atteso è l’effetto positivo (+7% di probabilità) determinato dalla presenza di coltivazioni biologiche, per l’attrattività esercitata sui consumatori dai prodotti bio, in termini di qualità percepita e di valore simbolico ad essi associato. Coerentemente con l’analisi descrittiva, gli ordinamenti produttivi specializzati mostrano una minore probabilità di vendere direttamente rispetto agli orientamenti misti, presi come riferimento. La differenza è compresa fra il -11% dei seminativi e il -0,5% della viticoltura; anche le orticole specializzate, da cui ci si sarebbe attesi una maggiore propensione alla vendita diretta in azienda, presentano una probabilità inferiore di 5 punti percentuali rispetto agli ordinamenti misti.
Il numero di poli commerciali (urbani) raggiungibili con mezzora di guida, primariamente indicatore della presenza di luoghi di offerta per la vendita fuori azienda, può essere anche letto come opportunità in termini di domanda potenziale di acquisto in azienda; la distanza dal luogo di vendita incide infatti sui costi sostenuti dai residenti urbani per approvvigionarsi in azienda. Tuttavia, sebbene sia statisticamente significativo, l’effetto di tale variabile è debole: per ogni polo commerciale di prossimità aggiuntivo la probabilità di vendere in azienda aumenta solo dello 0,2%.
Per quanto riguarda la vendita fuori azienda, l’effetto delle variabili selezionate risulta in larga parte simile a quello stimato per la vendita in azienda, sebbene si evidenzino alcune differenze.
Le caratteristiche personali del conduttore producono effetti nella stessa direzione di quelli relativi alla vendita in azienda, ma di entità minore. Lo stesso vale per l’ubicazione montana e collinare e per la presenza di attività diversificate, aventi entrambi un effetto positivo, ma più contenuto, sulla probabilità di vendere fuori azienda. Rispetto al caso precedente, la significativa connessione fra attività agrituristiche e ricreative - svolte in azienda - e la vendita fuori azienda pare però meno immediata. Tale compresenza potrebbe essere il prodotto della spiccata propensione dell’imprenditore ad innovare o della sua attitudine a svolgere attività che, in generale, prevedono un contatto con il pubblico; inoltre, la reputazione acquisita con l’attività in azienda potrebbe influire sulla decisione di vendere fuori azienda, e viceversa.
Rispetto a quelli misti, gli ordinamenti produttivi specializzati hanno un effetto significativo e negativo sull’opzione per la vendita fuori azienda (diminuendone la probabilità), con l’eccezione delle aziende orticole che non si differenziano significativamente da quelle miste. Probabilmente la stagionalità delle produzioni orticole (che permette l’approvvigionamento di prodotti diversi durante tutto l’anno), associata alla possibilità di concentrare l’offerta nei mercati, tipica della modalità fuori azienda, è in grado di rispondere alla domanda continua e diversificata dei consumatori.
Infine, il numero di poli urbani con aree mercatali raggiungibili dagli agricoltori in breve tempo, e dunque con costi di trasporto contenuti, ha - come atteso - un effetto significativo e positivo sulla probabilità di vendere fuori azienda. Anche in questo caso però, l’entità dell’effetto è piuttosto debole; per ogni polo commerciale aggiuntivo a mezzora di guida dalle aziende, l’incremento della probabilità è appena dello 0,6%. Sembra quindi che il costo di trasporto, sebbene rilevante, non sia un elemento in grado di influenzare in maniera sensibile la preferenza per questo tipo di vendita.
Considerazioni conclusive
L’analisi delle determinanti che influiscono sulla scelta degli agricoltori per la vendita diretta, mostra una generale convergenza verso alcune variabili, che nelle due modalità - in azienda e fuori azienda - si differenziano unicamente per la forza dell’effetto prodotto, più contenuto nel caso del fuori azienda.
Le principali determinanti della vendita diretta sono la connessione con altre attività di diversificazione (agriturismo e fornitura di servizi ricreativi e culturali) e l’ubicazione dell’impresa, con riferimento alla sua connotazione montana o collinare. Accanto a queste, appaiono rilevanti le capacità imprenditoriali - formate con studi specifici e l’aggiornamento professionale -, e le scelte tecniche ed economiche circa la tipologia di produzioni, come ad esempio l’opzione per il biologico e gli ordinamenti misti. La variabile geografica relativa al numero di poli commerciali di prossimità, sebbene significativa, pare avere un effetto molto debole sia sulla vendita in azienda che su quella fuori azienda. Tale aspetto, specificamente connesso con i costi di trasporto a carico degli agricoltori, apre alcuni interrogativi e merita ulteriori approfondimenti. A questo fine, il set di variabili esplicative è in fase di aggiornamento con l’integrazione del dato relativo al bacino di popolazione che può raggiungere ciascuna azienda con 45 minuti di guida, di specifico interesse per la componente di costo a carico dei consumatori.
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Siti di riferimento
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Sistemapiemonte, Censimento Agile: www.sistemapiemonte.it/agricoltura/6censimento/
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Regione Piemonte: www.regione.piemonte.it/
- 1. Si ringrazia la Regione Piemonte per l’accesso all’area riservata del “Censimento AGile” e Lorena Cora del Csi Piemonte per la disponibilità dimostrata e l’assistenza fornita nell’utilizzo dei dati.
- 2. Per un’illustrazione più dettagliata della metodologia e dei dati utilizzati si rimanda a Corsi et al. (2014).