Il recepimento in Italia della politica di coesione dell'UE 2014-2020

Il recepimento in Italia della politica di coesione dell'UE 2014-2020
a Università di Ferrara, Dipartimento di Economia e Management

Introduzione

Anche in Italia la strategia di impiego dei fondi strutturali europei per il periodo 2014-2020 è stata definita mediante il documento denominato “Accordo di partenariato” (AP). Tale documento costituisce il frutto di un lungo percorso di preparazione e di discussione tra vari soggetti istituzionali, chiamati a contribuire in base al principio comunitario della partnership: le Amministrazioni centrali (Ministeri), le Regioni, il Partenariato istituzionale (Anci e Upi), nonché il Partenariato economico e sociale (Associazioni e Organizzazioni di categoria).
La bozza di testo di AP che è stata definita intorno alla metà dello scorso mese di aprile in sede di Conferenza Unificata Stato Autonomie locali, contiene l’impianto strategico e la selezione degli obiettivi tematici su cui si concentrano le risorse e gli interventi previsti nel corso del prossimo settennio; in base a tale testo – una volta approvato in via definitiva da parte della Commissione europea – si darà avvio ad un nuovo ciclo di investimenti pubblici finalizzati allo sviluppo e al riequilibrio del nostro Paese. L’Italia, infatti, nel nuovo periodo di programmazione della politica di coesione che ad essere precisi sarebbe ormai iniziato, beneficerà nel complesso di oltre 32 miliardi di euro di contributi europei, di cui circa 22 mld. per le Regioni meno sviluppate1 e 7,5 mld. per le Regioni più sviluppate del Centro Nord2, oltre a 1 mld. per le Regioni definite in transizione3; a questi Fondi andranno poi ad aggiungersi le quote nazionali e regionali di cofinanziamento, nonché oltre 50 miliardi del Fondo di sviluppo e coesione (ex Fondo Aree Sotto-utilizzate-Fas).
Per questo motivo, nel presente lavoro si illustra – avvalendoci soprattutto della documentazione ufficiale4 – la procedura e il contenuto dell’AP tra il governo italiano e la Commissione europea, quale fondamentale fase propedeutica, dal punto di vista logico-temporale, ad un adeguato recepimento della prossima politica di coesione dell’UE da parte delle competenti Amministrazioni italiane.

Che cos’è l’Accordo di Partenariato di cui alla politica di coesione

Come previsto dal Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio5 recante disposizioni comuni per i Fondi strutturali di cui al Quadro Strategico Comune (Qsc)6, l’Accordo di Partenariato (AP) è un documento in cui si devono stabilire la strategia e le priorità d’intervento di ogni Stato membro, nonché le modalità d’impiego dei fondi attribuiti con la finalità di perseguire l’attuale strategia dell’UE, Europa 2020, per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva.
Il documento che deve essere ottenuto come risultato di un partenariato multilivello (istituzionale, economico, sociale e della società civile), viene approvato dalla Commissione in seguito ad un percorso di valutazione e dialogo con lo Stato interessato: una volta approvato, l’Accordo fissa gli “impegni” tra le parti, tanto che esso viene denominato anche con il termine più categorico ed esplicito di “contratto”.
Facendo riferimento agli obiettivi di Europa 2020, all’annuale Programma nazionale di riforma e alle corrispondenti Raccomandazioni specifiche per ciascun Paese7, l’AP deve dunque contenere la definizione dell’approccio strategico territoriale, da sostenere con tutti i fondi del Qsc, nonché gli obiettivi fissati da ogni Paese, misurabili attraverso appositi indicatori concordati. Inoltre, il documento deve individuare gli investimenti strategici e la serie di condizionalità ex ante non ancora soddisfatte (a livello sia nazionale che regionale), con l’indicazione del calendario delle azioni che si devono conseguentemente intraprendere. Se necessario, l’AP può contenere anche le misure volte a rafforzare la capacità amministrativa delle autorità coinvolte ed eventualmente anche degli organismi intermedi e dei beneficiari.
Tra gli impegni sottoscritti nell’AP c’è ovviamente anche quello di riferire annualmente sui progressi conseguiti nella sua attuazione attraverso relazioni annuali sulla politica di coesione, su quella di sviluppo rurale e tramite ulteriori eventuali rapporti elaborati su temi di questa natura.
Infine, l’AP va inteso come un documento “dinamico”, nel senso che – per rispondere a nuovi problemi economici che un Paese dovesse trovarsi ad affrontare – i Fondi del Qsc posso essere riorientati, attraverso un graduale processo che parta dalle modifiche dell’AP e dei programmi operativi ad esso conseguenti.

Il percorso italiano di preparazione dell’Accordo di Partenariato

Il percorso di preparazione da parte dell’Italia dell’Accordo finalizzato all’ottenimento dei fondi strutturali europei per il settennio 2014-2020 è stato particolarmente lungo, partecipato ed ora – alla luce delle modifiche più volte richieste dalla Commissione – anche tribolato. Esso ha preso le mosse con la presentazione al Consiglio dei Ministri nel dicembre 2012, da parte dell’allora Ministro per la coesione territoriale Fabrizio Barca, del documento intitolato “Metodi e obiettivi per un uso efficace dei Fondi comunitari 2014-2020”. Questo documento – tenendo conto del “Position Paper dei servizi della Commissione sulla preparazione in Italia dell’Accordo di Partenariato e dei Programmi per il periodo 2014-2020" (diffuso nel mese precedente) – contiene, da un lato, sette novità di carattere metodologico8 e, dall’altro, alcune importanti indicazioni sui futuri programmi operativi; in particolare, individua tre opzioni strategiche sulle quali orientare l’impiego dei fondi: i) Mezzogiorno; ii) Città e aree urbane; iii) Aree interne9.
In base al percorso tracciato, anche grazie alle osservazioni formulate dalla Conferenza delle Regioni e Province autonome, sono stati istituiti quattro Tavoli tecnici di confronto partenariale – uno per ciascuna delle quattro mission individuate dal citato documento10 – che, a partire dal febbraio 2013, hanno lavorato alla definizione dei contenuti dell’Accordo. Questi gruppi di lavoro hanno trattato, coerentemente con le proprie finalità, gli undici Obiettivi tematici (OT) indicati in quella che all’epoca era la proposta di Regolamento comune sui Fondi strutturali volti alla realizzazione della strategia Europa 2020. Parallelamente, sono stati organizzati tre Comitati per le opzioni strategiche individuate dal documento menzionato all’inizio, nonché un gruppo tecnico – denominato “Regole e questioni orizzontali” – con compiti di analisi tecnica degli aspetti connessi alla gestione operativa dei Fondi strutturali.
Sulla base di tutto questo ampio e approfondito lavoro preparatorio, nell’aprile 2013 è stata inviata alla Commissione europea una versione preliminare di alcune sezioni dell’AP. Negli incontri tenutisi nello stesso mese la Commissione ha però segnalato numerose criticità, chiedendo di intervenire con delle modifiche. Nel successivo mese di dicembre è stata quindi inviata alla Commissione europea una nuova bozza dell’Accordo, su cui la Commissione ha formulato ulteriori rilievi, per cui nell’aprile 2014 è stata presa in esame la nuova versione sulla quale il Governo ha chiesto l’intesa da parte dei vari soggetti coinvolti nella partnership, per poter nuovamente trasmettere l’AP alla Commissione entro la scadenza prevista (Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica, 2014).
Sulla base dei contenuti fissati nell’AP si prevede che verranno successivamente implementati i Programmi operativi per l’utilizzo strategico a livello regionale (Por) dei singoli Fondi11, tenendo ovviamente conto anche delle indicazioni contenute nei rispettivi Regolamenti.

La strategia prevista dall’Accordo di Partenariato dell’Italia

Poiché il documento valorizza tutti gli OT previsti dall’art. 9 della proposta di Regolamento generale sui Fondi strutturali ex Qsc, per ogni obiettivo tematico – coerentemente con le innovazioni di metodo previste per la nuova programmazione 2014-2020 – sono stati individuati i principali risultati attesi, supportati dai diversi Fondi, nonché le azioni da realizzare per raggiungerli.
Circa le priorità tracciate, nell’AP ci si focalizza sull’elaborazione di una politica di sviluppo territoriale, la cui l’agenda per il periodo 2014-2020 si articola lungo le seguenti linee:

  • un’azione sistemica a favore del Mezzogiorno, con l’obiettivo di superare i due deficit in materia di cittadinanza e di attività produttiva privata attraverso alcuni indirizzi meglio definiti rispetto a quelli del passato;
  • un’agenda urbana ovvero una strategia comune di livello nazionale;
  • una strategia per le aree interne che punta a sollecitare i territori periferici in declino demografico;
  • la programmazione operativa per la Cooperazione territoriale che mira invece a promuovere nelle aree di confine (interregionale e internazionale) la condivisione di metodi e modelli unitari e innovativi nella gestione ottimale dei servizi e dell'azione pubblica in generale.

Inoltre, il tema del miglioramento della capacità amministrativa, elemento questo su cui insistono particolarmente le raccomandazioni della Commissione e sul quale si tornerà più ampiamente in un prossimo paragrafo, viene affrontato invece in modo trasversale con l’obiettivo di prevedere per ogni priorità tematica specifici interventi di capacity building, funzionali al buon esito dell’intera strategia.
Poiché ovviamente anche l’Italia punta a considerare come prioritario il perseguimento degli obiettivi fissati per la strategia Europa 2020, da questo punto di vista le linee strategiche su cui si ritiene di soffermare la nostra attenzione sono quelle delle aree urbane e delle aree interne, anche perché esse di fatto coinvolgono anche l’obiettivo del Mezzogiorno.
Gli ambiti di intervento prioritari dell’Agenda urbana sono i seguenti: i) ridisegno e modernizzazione dei servizi urbani per i residenti e gli utilizzatori delle città; ii) pratiche e progettazione per l’inclusione sociale per i segmenti di popolazione più fragile e per aree e quartieri disagiati; iii) aumento della capacità delle città di potenziare pregiati segmenti locali di filiere produttive globali12.
Relativamente alle aree interne13, invece, la strategia si pone l’obiettivo globale di migliorare le negative tendenze demografiche in esse prevalenti mediante la riduzione dell’emigrazione da questi territori, l’attrazione di nuovi residenti, la ripresa delle nascite, nonché la modifica della composizione per età a favore delle classi più giovani. Il relativo intervento all’inizio riguarderà un numero limitato di aree, ma variabile per regione, potrà contare su un presidio nazionale e sarà attuato da diversi livelli di governo in forte coordinamento tra loro. Inoltre, vedrà sempre due linee di azione tra loro convergenti: una diretta a promuovere lo sviluppo attraverso progetti finanziati dai diversi fondi europei disponibili, l’altra diretta ad assicurare a queste stesse aree livelli adeguati di cittadinanza in alcuni settori di servizi essenziali (salute, istruzione e mobilità), soprattutto attraverso un ribilanciamento delle decisioni di politica ordinaria.
Infine, sono previsti tempi certi di esecuzione, nonché uno stretto e, nel contempo, aperto monitoraggio degli interventi.

Gli stanziamenti per obiettivo tematico e fondo strutturale

Per quanto riguarda l’articolazione delle risorse finanziarie dell’UE risultanti complessivamente disponibili per l’Italia nel periodo 2014-2020, tenendo anche conto degli altri stanziamenti del bilancio comunitario – come il Fondo agricolo per lo sviluppo rurale (Feasr) e la Cooperazione territoriale14 – cui sono affidate finalità simili o attigue a quelle dei Fondi strutturali, risulta che, nel complesso, tali risorse messe a disposizione del nostro Paese ammontano a 43,3 miliardi di euro, di cui però la componente nettamente prevalente – pari a quasi il 72% del totale – è costituita da Fesr e Fse (Tabella 1).
Entrando maggiormente nel merito, si deve constatare che l’analoga ripartizione dei soli Fondi strutturali e del Feasr segue di fatto gli obiettivi tematici dettati dalle disposizioni comuni (Tabella 2), con concentrazioni differenziate però per categoria di regione (Tabella 3).
Sia il Fesr che il Feasr privilegiano in misura considerevole l’OT 3, anche se la quota del primo dei due fondi sarà destinata soprattutto al finanziamento degli investimenti che dovrebbero essere effettuati dalle Pmi, mentre quella del secondo fondo sarà ovviamente destinata in prevalenza al sostegno e allo sviluppo del settore agricolo. Particolarmente rilevante appare l’impiego di una quota di quest’ultimo fondo a favore dell’adattamento al cambiamento climatico e alla prevenzione e gestione dei rischi, in considerazione dello stretto legame esistente tra l’attività produttiva svolta nel settore agricolo e le condizioni climatiche.

Tabella 1 - Fondi comunitari disponibili per l’Italia nel periodo 2014-2020 (valori assoluti in milioni di euro, a prezzi correnti inclusa indicizzazione)

Fonte: Governo italiano, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero per la Coesione Territoriale (2013)

Il Fesr, poi, dedica quote alquanto elevate del totale delle risorse anche agli OT 1 e 4, vale a dire ricerca, sviluppo tecnologico e innovazione, da un lato, e transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio, dall’altro, anche se questo obiettivo è in qualche misura connesso con l’OT 6, cioè la tutela dell’ambiente intesa in senso lato.
D’altra parte, il Fse è pressoché interamente impiegato per il conseguimento degli OT 8, 9 e 10, inerenti i tradizionali campi d’intervento di questo fondo, vale a dire l’occupazione e la mobilità dei lavoratori, la loro istruzione e formazione, nonché l’inclusione sociale e la lotta alla povertà.

Tabella 2 - Distribuzione delle risorse comunitarie per Obiettivo tematico e per Fondo (valori assoluti in milioni di euro, a prezzi correnti inclusa indicizzazione)

Fonte: Governo italiano, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero per la Coesione Territoriale (2013)

Se poi si esamina la distribuzione di queste stesse risorse oltre che per obiettivi tematici anche per categorie di regioni (Tabella 3), tende ad emergere una netta concentrazione di risorse a favore delle regioni meno sviluppate (che – come si è già sottolineato – sono tutte regioni dell’Italia meridionale), coerentemente del resto non solo con la finalità perseguita dalla Politica di coesione dell’UE di ridurre gli squilibri interregionali presenti all’interno degli Stati membri, ma anche con la strategia delineata nell’AP, cui in precedenza si è fatto cenno.
In particolare, per l´Obiettivo tematico 3 – competitività delle Pmi – alle regioni meno sviluppate vengono assegnati più di 3.650 milioni di euro, ovvero la somma più elevata, in considerazione della risaputa arretratezza lamentata da gran parte delle attività produttive localizzate in tali regioni, anche a causa delle tuttora notevoli carenze infrastrutturali e di servizio che esse devono sostenere. Cifre rilevanti sono stanziate anche per la promozione dell´occupazione sostenibile e gli incentivi all’impiego, soprattutto in considerazione del forte aumento del tasso di disoccupazione che si è registrato in questi ultimi anni a causa della chiusura di quelle aziende che non sono riuscite a fronteggiare la grave crisi internazionale oppure l’altrettanto forte contrazione della domanda interna sia per beni di consumo che per beni d’investimento.
Elevati investimenti, infine, riguardano la promozione del patrimonio culturale e il turismo (più di 2.420 milioni di euro alle regioni meno sviluppate), che rappresentano attività produttive verso le quali molte regioni italiane manifestano un’evidente inclinazione, grazie all’ampia disponibilità sia di opere d’arte che di bellezze naturali.
D’altro canto, gli stanziamenti più consistenti destinati alle regioni più sviluppate del resto del Paese – pari nel loro complesso a oltre 2.700 milioni di euro – riguardano le varie iniziative da realizzare a favore del fattore lavoro, soprattutto per riallocarlo settorialmente dopo averlo sottoposto ad un’adeguata attività di riqualificazione, grazie alla quale far fronte al progresso tecnico e all’innovazione tecnologica introdotti sia nei processi produttivi che nel sistema organizzativo adottati dalle imprese extra-agricole.

Tabella 3 - Distribuzione dei fondi strutturali per obiettivi tematici e tipo di regioni 2014-2020 (valori assoluti in milioni di euro correnti)

Fonte: Governo italiano, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero per la Coesione Territoriale (2013)

Valutazioni critiche circa la passata attuazione e prospettive per il prossimo periodo

Come si è già accennato nel precedente paragrafo, nell’AP si sono considerate anche le questioni – tra loro strettamente connesse – del monitoraggio dell’attuazione e della capacità di spesa dei Fondi UE finora dimostrata dalle Amministrazioni pubbliche italiane, per la quale purtroppo da tempo è risaputo che esse non risultano particolarmente brillanti, anche rispetto alle omologhe degli altri Paesi dell’Europa meridionale, che ovviamente sono sottoposte alla medesima normativa e alle medesime procedure burocratico-amministrative.
Inoltre, si notano comportamenti diversi, in termini di capacità amministrativa nell’attuazione e controllo dell’impiego dei Fondi, in particolare per ciò che riguarda l'inadeguata pianificazione, selezione, monitoraggio, valutazione e controllo dei progetti, così come per la lenta attuazione dei Programmi, anche a livello regionale: infatti, esistono livelli estremamente diversificati tra il Centro-Nord e il Mezzogiorno d’Italia, con una qualche differenziazione anche all’interno di quest’ultimo (Bruzzo, 2014). Di tutto ciò non si poteva non tener conto nell’elaborazione di un quadro strategico che deve necessariamente basarsi anche sulle specificità territoriali.
Un’esperienza fondamentale in tal senso è derivata dal Piano di Azione Coesione adottato a partire dalla seconda metà del precedente periodo 2007-2013 e dalla connessa sperimentazione di task force operative, inviate – in raccordo con le autorità nazionali ed europee – a supporto delle Regioni Convergenza, per affrontare nel modo più appropriato le difficoltà da loro riscontrate nell’attuazione dei Programmi15.
In prospettiva sarà necessario investire, in particolare, nella capacità di programmazione strategica, che dovrà essere basata su obiettivi definiti con maggior precisione e corroborati da espliciti indicatori e target, nonché da chiare e circostanziate azioni per poterli conseguire, perché sono proprio questi i principali – ma non gli unici – fattori che portano al modesto livello di spesa, soprattutto nel caso di molte Regioni meridionali.
Si prevede quindi di procedere all’istituzione, a livello nazionale, di una struttura di riferimento, l’Agenzia per la Coesione territoriale, che si dimostri in grado di presidiare la governance di tutti gli organismi, esercitando funzioni sia di coordinamento che d’indirizzo strategico e, laddove necessario, anche di affiancamento nella gestione dei Programmi. Tale agenzia, prevista dalla legge 125/13, è divenuta operativa nel 2014 e quelli di seguito elencati sono gli effettivi compiti che le sono stati affidati:

  • un massiccio investimento in un programma di formazione sulle sette innovazioni da adottare per quanto riguarda il metodo, nonché sulle loro implicazioni e pratica operativa;
  • la definizione, per ogni amministrazione titolare di Programma, di un livello minimo di struttura e di competenze, rapportata alla natura e all’articolazione del Programma in cui essa opera e dei suoi ambiti di intervento, ed anche commisurata alle necessità derivanti dall’esercizio delle responsabilità attribuite e da mantenere nel corso dell’intero periodo di programmazione;
  • l’integrazione degli strumenti ordinari di pianificazione della Pubblica Amministrazione con le strategie delineate per la gestione dei fondi, collegandole ai piani strategici e di gestione ed alla valutazione delle performance;
  • l’utilizzo dei Nuclei di Valutazione, come strumento di valutazione diretta e/o di supporto alla definizione di linee guida per valutazioni effettuate da altri soggetti, anche a garanzia della disponibilità di meccanismi e strumenti di valutazione indipendenti dalle Autorità di Gestione;
  • la possibilità di utilizzare delle risorse dell’Assistenza Tecnica, anche nel precedente ciclo di programmazione, per attività mirate di progettazione, in modo da assicurare un parco progetti cantierabili al momento dell’effettivo avvio del nuovo ciclo, vale a dire per anticipare la progettualità anche prima dell’approvazione dei nuovi Programmi;
  • la predeterminazione della tempistica degli atti di gestione rilevanti, al fine di rendere l’azione della PA conoscibile e, quindi, anche prevedibile da parte dei beneficiari;
  • il miglioramento della qualità, tempestività e utilizzabilità del monitoraggio che – oltre ad avere cadenza mensile – dovrà garantire la piena interoperabilità tra i livelli nazionale e regionale;
  • un investimento sulla trasparenza attraverso la disponibilità dei dati sul modello di Open Coesione e l’attivazione di modalità di confronto stabile tra Autorità di Gestione, Commissione europea, valutatori e tutti gli altri soggetti interessati.
  • la prosecuzione ed estensione del metodo di “cooperazione rafforzata”, attuato con successo con le Task force già operanti nel ciclo di programmazione da poco concluso.

In realtà, il problema dell’insufficiente livello di efficienza gestionale e finanziaria finora fatto registrare nell’impiego dei fondi europei e da varie parti denunciato16, non è l’unico che contraddistingue la politica di coesione in Italia, giacché proprio recentemente è stato segnalato anche un livello di efficacia del tutto insoddisfacente: infatti, alcuni economisti, dopo aver sottolineato che la programmazione dei fondi strutturali, a livello europeo, nazionale e regionale, è di una complessità straordinaria e che la formula del co-finanziamento, sebbene sia ottima in linea di principio, così com’è attuata in Italia è irragionevole e deleteria, constatano che ogni anno l’Italia spende vari miliardi di euro in numerosi progetti finanziati dai fondi strutturali europei, ma non dispone della minima idea degli effetti da loro prodotti. Pertanto, essi giungono alla duplice conclusione secondo cui la programmazione per il periodo 2014-20, da poco iniziata, nella sostanza non è diversa da quella precedente, e pertanto “non pare in grado di risolvere i problemi esistenti, rischiando anch’essa di essere destinata a naufragare in un mare di retorica” (Perotti e Teoldi, 2014).
Le valutazioni qui riportate – per forza di cose in modo alquanto sommario – appaiono, da un lato, non prive di qualche fondamento, ma dall’altro anche solo parzialmente condivisibili.
Esse non sono prive di fondamento per il semplice fatto che, ad esempio, in Italia solo molto raramente si è riusciti a valutare l’effettivo impatto prodotto dall’erogazione dei fondi strutturali e ciò non solo perché in effetti consiste in un’operazione alquanto complessa, ma anche perché all’interno della Pubblica amministrazione italiana non è assolutamente diffusa la cultura della valutazione dei risultati di qualsiasi misura di politica economica, nonostante la benemerita attività svolta dall’Associazione Italiana di Valutazione (Aiv).
Da parte sua, poi, la Commissione europea annualmente predispone delle Relazioni d'attuazione per i 27 Stati membri mediante le quali provvede a diffondere i risultati ottenuti dalla realizzazione della politica di coesione17, ma riesce a farlo solo per quei progetti per i quali le informazioni sui risultati in termini fisici e socio-economici vengono puntualmente rilevate e poi tempestivamente fornite ai suoi uffici. In effetti, la specifica regolamentazione comunitaria sulla valutazione ex post prevede la rilevazione dei risultati ottenuti grazie all’impiego dei fondi strutturali non solo in termini di efficienza, ma anche in termini di efficacia rispetto agli obiettivi prefissati, nonché in termini d’impatto prodotto sulle principali variabili socio-economiche. Ma tale compito spetta appunto agli Stati membri18.

Inoltre, non va trascurato di ricordare che molto spesso la mancanza di adeguate e attendibili informazioni quantitative circa i risultati ottenuti dalla politica di coesione dell’UE in alcuni suoi Stati membri, tra cui certamente anche l’Italia, non è riconducibile solo e tanto ad una mancanza di capacità operativa, quanto piuttosto ad una mancanza di volontà politica, soprattutto quando tali risultati sono insoddisfacenti, per cui la loro diffusione potrebbe nuocere in termini di riconferma o di rielezione ai responsabili politico-amministrativi.
Peraltro, in Italia è risaputo che quasi tutti i vari tipi d’intervento pubblico condotti da vari decenni nelle regioni meridionali a fini di riequilibrio fra il Centro-Nord e il Sud del Paese19 non sono finora riusciti a far uscire quest’ultimo dallo stato di profonda arretratezza economica e sociale in cui si trova tuttora, come denuncia quantomeno annualmente la Svimez20.
In definitiva, a nostro avviso una delle principali cause delle gravi e indubbie problematiche che sono state di recente documentate, non è rintracciabile tanto nelle caratteristiche intrinseche della politica di coesione dell’UE, quanto nel fatto che in un Paese come l’Italia – nonostante che esso figuri tra i fondatori della Comunità europea (in quanto firmatario del Trattato di Roma del 1957) e che usufruisca di quote, più o meno consistenti, del Fesr a partire dal 1975, cioè dal primo anno di applicazione di tale fondo – la politica di coesione non è stata finora recepita in modo adeguato, cioè in modo del tutto coerente con quanto previsto dalla normativa comunitaria21. Del resto, il fatto che per il periodo 2014-2020 si sia arrivati alla terza versione dell’AP, perché le due precedenti non risultavano soddisfacenti per la Commissione europea, non rappresenta altro che l’ennesima conferma della presunzione appena espressa.

Riferimenti bibliografici

  • Bruzzo A. (2014), "La performance finanziaria delle Regioni nell’ambito della politica di coesione", EyesReg, vol. 4, n. 2

  • Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica (2014), Accordo di Partenariato 2014-2020. Italia, Roma, maggio

  • Eurispes (2014), Un’Italia a metà. Le occasioni perdute: fondi Ue, ancora da spendere più della metà delle risorse disponibili, http://www.eurispes.eu/, 12 agosto

  • Governo italiano, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero per la Coesione Territoriale (2013), Accordo di Partenariato per il ciclo di programmazione dei Fondi strutturali 2014-2020, Roma, dicembre

  • Perotti R., Teoldi F. (2014), “Il disastro dei fondi strutturali europei”, Lavoce.info, luglio

  • Pon Governance e Assistenza Tecnica 2007-2013 (2013), “Verso l’Accordo di Partenariato 2014-2020: metodologia, percorso e obiettivi”, Una PA per la crescita, n. 2

  • Svimez (2013), Rapporto 2013 sull’economia del Mezzogiorno, il Mulino, Bologna

  • 1. Le regioni italiane meno sviluppate sono Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia, cioè cinque regioni meridionali che – anche in seguito alla “grande recessione” – nel corso del precedente periodo di programmazione hanno visto aumentare il loro divario rispetto a quelle del Centro-Nord, tanto che la Basilicata è rimasta a far parte di questo gruppo anziché transitare in quello delle regioni sviluppate.
  • 2. Le regioni italiane più sviluppate – come si può facilmente immaginare – sono tutte quelle centro-settentrionali (con esclusione però di Abruzzo, Molise e Sardegna), sebbene negli ultimi anni anche molte di queste abbiano perso posizioni nella graduatoria (decrescente in termini di Pil pro capite) delle regioni dell’UE.
  • 3. Le regioni italiane in transizione sono ovviamente le tre già citate: Abruzzo, Molise e Sardegna che nel settennio 2007-2013 facevano già parte delle regioni dell’ex Obiettivo 2 (Competitività regionale e occupazione).
  • 4. Si veda, in particolare, Pon Governance e Assistenza Tecnica 2007-2013 (2013).
  • 5. Il provvedimento cui ci si riferisce è costituito dal Regolamento (UE) n. 1303/2013 del Consiglio del 17 dicembre 2013, il quale – recando disposizioni comuni sui Fondi strutturali e di investimento europei - definisce il quadro normativo comunitario in materia di politica di coesione per il ciclo di programmazione 2014-2020, ivi compresi gli obiettivi e gli strumenti finanziari di intervento.
  • 6. I Fondi che fanno capo al Qsc sono i seguenti cinque: il Fondo Sociale Europeo (Fse), il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (Fesr), il Fondo di Coesione, il Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale (Feasr) e il Fondo Europeo per la Pesca (Fep). I primi tre costituiscono i fondi strutturali comunitari, mentre gli ultimi due, pur operando in modo coordinato con gli altri proprio grazie al Qsc, non sono considerati strumenti della politica di coesione.
  • 7. La Raccomandazione del Consiglio sul programma nazionale di riforma 2014 dell'Italia, che formula anche un parere del Consiglio sul programma di stabilità 2014, è contenuta nel Com(2014) 413 final del 2.6.2014.
  • 8. Tale documento delinea per il nuovo ciclo di programmazione le seguenti innovazioni metodologiche, sia di natura generale, sia relative a ogni singolo obiettivo tematico comunitario, che tengono conto di tutte le soluzioni tecniche ritenute più valide in materia di programmazione e progettazione: 1) risultati attesi; 2) azioni; 3) tempi previsti e “sorvegliati”; 4) trasparenza dei processi decisionali; 5) partenariato “mobilitato”; 6) valutazione d’impatto; 7) rafforzamento del “presidio” nazionale. In particolare, da quest’ultimo punto deriva l’istituzione dell’Agenzia per la coesione territoriale, avvenuta verso la fine del 2013, alla quale sono affidate funzioni soprattutto di supporto, accompagnamento e di assistenza a favore delle autorità interessate, da fornire nella gestione di procedure particolarmente complesse, nonché di monitoraggio e di controllo dell'impiego dei fondi da parte delle autorità di gestione, centrali o regionali.
  • 9. Più avanti verrà effettuata una sommaria descrizione di queste tre opzioni strategiche.
  • 10. I temi affrontati nei quattro tavoli tecnici sono i seguenti: “Lavoro, competitività dei sistemi produttivi e innovazione”; “Valorizzazione, gestione e tutela dell’ambiente”; “Qualità della vita e inclusione sociale”; “Istruzione, formazione e competenze”.
  • 11. Coerentemente con il coordinamento derivante dal Qsc, anche i Programmi operativi relativi al Feamp e i Programmi di sviluppo rurale (Psr) verranno predisposti e attuati in riferimento ai contenuti dell’AP, il quale in tal modo dovrebbe svolgere la funzione di garantire il coordinamento delle varie azioni intraprese in ambito nazionale ma soprattutto a livello regionale, nella fase di attuazione della politica di coesione e delle altre due ad essa strettamente connesse, con la comune finalità di perseguire lo sviluppo economico e sociale.
  • 12. In proposito si sottolinea che sono state accolte le richieste avanzate dall’Anci e finalizzate a: (a) rafforzare il Programma dedicato alle città metropolitane (Pon Metro), quale strumento essenziale per sostenere l’implementazione della riforma istituzionale in atto; (b) riconoscere ai Comuni un chiaro ruolo gestionale nell’ambito dell’Agenda urbana; (c) garantire la rappresentanza di tutti i livelli istituzionali interessati (nazionali, regionali, locali) nel sistema di gestione e controllo che si va definendo; (d) sostenere e rafforzare il ruolo di supporto dell’Associazione.
  • 13. Sono definite “interne” quelle aree significativamente distanti dai centri di offerta di servizi essenziali (di istruzione, salute e mobilità), ma ricche di importanti risorse ambientali e culturali e fortemente diversificate per natura o a seguito di secolari processi di antropizzazione. In queste aree vive circa un quarto della popolazione italiana, ma in una porzione di territorio che supera il sessanta per cento del totale e che è organizzata in oltre quattromila Comuni.
  • 14. Qui si esclude il Fondo per gli affari marittimi e la pesca (Feamp), in quanto all’epoca del riparto delle risorse finanziarie attribuite al nostro Paese esso non disponeva ancora di un apposito regolamento per il periodo 2014-2020.
  • 15. Nel corso del 2011 era stata avviata, d’intesa con la Commissione Europea, un’azione per accelerare l’attuazione dei programmi cofinanziati dai Fondi Strutturali 2007-2013, denominata appunto Piano di Azione per la Coesione, il quale si attua attraverso una revisione delle scelte di investimento già compiute e attraverso fasi successive di riprogrammazione dei Programmi cofinanziati dai Fondi Strutturali 2007-2013, con lo scopo di:
    - accelerare l’attuazione della programmazione di questo periodo;
    - rafforzare l’efficacia degli interventi, concentrando le risorse e orientando le singole misure verso risultati misurabili;
    - avviare nuove azioni, alcune delle quali di natura prototipale che, in base agli esiti, potranno essere riprese nella programmazione 2014-2020.
    In altri termini l’obiettivo è di spendere i fondi disponibili e spenderli bene, per evitare che le risorse comunitarie vengano sprecate o, addirittura, in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi, revocate da parte dell’UE. Il Piano di Azione per la Coesione impegna quindi le Amministrazioni centrali e locali a rilanciare i programmi in grave ritardo, garantendo una forte concentrazione delle risorse su poche priorità.
    L’intervento, definito tenendo conto degli esiti del confronto con il partenariato istituzionale ed economico-sociale, anticipa inoltre alcuni principi della programmazione 2014-2020:
    - cooperazione rafforzata con la Commissione europea e supporto dei centri di competenza nazionale;
    - concentrazione su tematiche di interesse strategico nazionale, declinate secondo le esigenze dei diversi contesti regionali, esplicitazione di risultati attesi in termini di qualità di vita dei cittadini con individuazione di indicatori misurabili e definizione puntuale di azioni mirate al loro raggiungimento;
    - applicazione del nuovo Codice di condotta europeo sul partenariato con il coinvolgimento sostanziale, nella preparazione e nell’attuazione, delle responsabilità istituzionali rilevanti e delle organizzazioni dei soggetti (del lavoro, dell’impresa, della società civile) i cui interessi sono coinvolti dagli interventi programmati;
    - trasparenza e apertura delle informazioni.
  • 16. Cfr. anche Eurispes (2014).
  • 17. La “Relazione strategica” delinea i progressi compiuti da ciascun paese in vista del raggiungimento degli obiettivi unionali, in linea con gli obiettivi della strategia Europa 2020Si veda http://ec.europa.eu/regional_policy/how/policy/strategic_report_en.cfm.
  • 18. La stessa relazione, infatti, incoraggia gli Stati membri a misurare i progressi realizzati in settori strategici fondamentali come la ricerca e l'innovazione, le ferrovie, l'energia, il capacity building, i trasporti urbani sostenibili, la creazione di posti di lavoro e la formazione.
  • 19. Ci si riferisce, quantomeno, prima all’Intervento straordinario nel Mezzogiorno condotto dalle sole Amministrazioni nazionali, poi a questo tipo d’intervento congiunto con la politica regionale comunitaria ed infine alla sola politica di coesione dell’UE.
  • 20. Si veda, da ultimo, Svimez (2013), nonché le anticipazioni dell’edizione 2014 di tale Rapporto diffuse nel corso dell’estate.
  • 21. Salvo, ovviamente, le debite e non rare eccezioni!
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