Introduzione
La classificazione tipologica adottata dal Censimento agricolo (Commissione europea, 2008) è stata utilizzata in alcuni precedenti lavori degli stessi autori di questo approfondimento (Arzeni, Sotte, 2013, Sotte, Arzeni 2013, Arzeni, Sotte, 2014), come base per distinguere il grado di imprenditorialità delle aziende agricole. Questa analisi ha fatto emergere come solo una parte circoscritta del vasto universo censuario (355 mila aziende su 1,6 milioni, il 19,1%), ha caratteristiche tali da poter essere associata al concetto di impresa economica.
Nei lavori citati, le unità produttive al di sotto della soglia degli 8.000 euro annui di produzione standard sono state infatti definite sinteticamente “aziende non-imprese” per la dimensione economica troppo modesta per poter conseguire un reddito significativo dai rapporti con il mercato. Si tratta, a livello nazionale, di un numero di aziende molto elevato (1.085.507, il 67% di quelle censite), che coltivano il 17,3% della Sau e hanno un peso molto modesto in termini di valore prodotto (solo il 6,5% della produzione standard totale). Si consideri anche che solo il 45,7% di queste ha dichiarato di vendere sul mercato più del 50% della propria produzione, essendo le altre aziende prevalentemente o esclusivamente auto-consumatrici, e che, comunque, anche questo gruppo di aziende market oriented ha una produzione standard media di soltanto 3.730 euro/anno. Considerando i costi indiretti non computati nella produzione standard, si può ipotizzare per queste unità produttive un reddito medio annuo sotto i 2 mila euro.
Per le ragioni esposte e al livello di generalizzazione delle ricerche fin qui svolte continuiamo a ritenere che l’appellativo “aziende non-imprese” fosse pienamente giustificato. Dal momento però che questo assunto ha suscitato particolare interesse, in quanto considerato inadeguato a descrivere l’ampia e diversificata platea delle piccole aziende e le loro molteplici funzioni, con il presente lavoro si intende affinare l’analisi approfondendo la conoscenza di questa classe aziendale.
È opportuno comunque ricordare che la definizione di “aziende non-imprese” non intendeva assumere connotati negativi, semmai la considerazione di fondo era che per questi agricoltori fosse inappropriata una politica che non tenesse conto della loro effettiva natura non imprenditoriale. A volte, questa è una condizione esplicitamente scelta dagli stessi conduttori, come nelle aziende con finalità hobbistiche o di autoconsumo, o in quelle a carattere accessorio rispetto ad altre finalità personali o familiari. Altre volte la non-imprenditorialità è una condizione oggettiva, determinata dalle limitate dotazioni strutturali.
È chiaro comunque che l’universo delle non-imprese è estremamente variegato e al proprio interno comprende anche realtà che possono aspirare e a volte effettivamente ambiscono a svilupparsi in imprese più strutturate. Inoltre va anche considerato che, se singolarmente le aziende sono sottodimensionate per poter operare su un mercato non solo locale, esse possono avere un ruolo economico significativo se aggregano la propria offerta e si integrano nella filiera di appartenenza.
Per comprendere la varietà ed il peso delle diverse tipologie all’interno della categoria delle “aziende non-imprese”, in questa ricerca è stata ampliata la classificazione fin qui utilizzata, introducendo altre informazioni disponibili dall’ultima rilevazione censuaria 2010.
I paragrafi che seguono illustrano l’analisi svolta e, in particolare, il paragrafo 2 presenta le informazioni utilizzate per la classificazione aziendale e la logica adottata, il paragrafo 3 analizza una serie di parametri quantitativi che descrivono le caratteristiche delle diverse tipologie di aziende, e infine l’ultimo paragrafo fornisce una lettura riepilogativa dei risultati con delle considerazioni conclusive.
Metodologia di analisi
La base informativa di partenza è costituita ancora una volta dai dati del Censimento generale dell’agricoltura del 2010 diffusi on-line dall’Istat1. Successivamente si è proceduto ad una rielaborazione dei microdati aziendali relativi all’universo della regione Piemonte.
Nella prima fase, sono state individuate nel datawarehouse pubblico le informazioni che possono essere combinate con la classificazione per dimensione economica. In questa prima ricognizione sono state selezionate e classificate le seguenti variabili: (a) zona altimetrica, (b) percentuale di produzione autoconsumata, (c) giornate di lavoro, (d) ricorso al contoterzismo passivo, (e) età del capo azienda2, (f) presenza di attività connesse, (g) quota dei pagamenti diretti sui ricavi, (h) titolo studio del capoazienda, (i) presenza di produzioni qualità, (j) orientamento tecnico-economico (Ote).
Come si può notare, il numero di variabili è più ampio di quello adottato nei precedenti lavori, proprio per discriminare più analiticamente il gruppo delle non-imprese, con l’obiettivo di individuare una serie di profili.
Poiché l’accesso ai dai pubblici dell’Istat non consente di estrarre in un’unica tabella tutte le variabili individuate, è stato necessario lavorare sui microdati aziendali. Ciò è stato possibile grazie alla collaborazione della Regione Piemonte e dell’ufficio regionale Istat per il Piemonte e la Valle d’Aosta3.
I dati delle aziende piemontesi sono stati quindi il banco di prova di questo approfondimento metodologico che è auspicabile si possa replicare per altre regioni, soprattutto meridionali, dove il fenomeno delle non-imprese tende particolarmente ad addensarsi.
Nell’agricoltura piemontese le aziende con meno di 8.000 euro di produzione standard sono 25.237 (il 37,6 per cento delle aziende censite) e coltivano 59.219 ettari di Sau (5,9 per cento), impiegando 2,55 milioni di giornate di lavoro all’anno (13,7 per cento). La loro dimensione economica particolarmente modesta determina un apporto complessivo alla produzione standard di 88,1 milioni di euro (soltanto il 2,3 per cento del totale di tutte le aziende piemontesi censite).
La figura che segue sintetizza, per queste aziende, le distribuzioni di frequenza relativa per ogni classe.
Figura 1 - Distribuzione percentuale delle aziende con meno di 8.000 euro di produzione standard per variabile e classe
Fonte: nostra elaborazione su dati Istat pretrattati dalla Regione Piemonte
Questa prima elaborazione evidenzia come alcune variabili abbiano una bassa capacità di discriminare l’insieme delle aziende ed in particolare le attività connesse, i pagamenti diretti, le produzioni di qualità e l’Ote. Queste variabili non sono state quindi considerate tra i criteri di classificazione aziendale. Altra variabile esclusa è quella relativa alla zona altimetrica Istat, in quanto è sembrato più opportuno considerarla come informazione esplicativa in grado di contestualizzare territorialmente le diverse tipologie aziendali.
I profili delle aziende agricole non-imprese
L’identificazione dei profili ha seguito, come logica generale, quella di dedurre, sulla base delle combinazioni tra le variabili, l’obiettivo prevalente degli agricoltori nella conduzione dell’azienda.
Sulla base delle cinque variabili di classificazione selezionate sono stati delineati innanzitutto quattro macro-profili aziendali, a loro volta suddivisi in nove profili elementari. Lo schema di classificazione, rappresentato in figura 2, è il seguente:
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I “potenziali”: si tratta degli agricoltori che, pur condizionati dalle dimensioni economiche particolarmente modeste della propria azienda, mostrano attitudini che (ampliando la dotazione di fattori limitanti come la terra, aggregandosi ad altre aziende, investendo ed innovando, diversificando, aggiungendo nuove attività a quelle attualmente svolte) potrebbero ambire alla trasformazione della non-impresa in una impresa vera e propria. Una politica agricola rivolta allo sviluppo imprenditoriale delle non-imprese dovrebbe concentrarsi esclusivamente su questi soggetti favorendo le varie forme di aggregazione, offrendo la possibilità di accedere ai fattori di produzione più limitanti, migliorando la qualità del capitale umano. I “potenziali” si caratterizzano per: un consistente impegno lavorativo in azienda (oltre 50 giornate/anno); l’età lavorativa del capo azienda (inferiore a 65 anni); la vendita al mercato di almeno la metà della produzione aziendale (autoconsumo inferiore al 50%); il ricorso mai completo, ma tutt’al più parziale, a imprese contoterziste.
Questo macro-profilo si scinde in due profili elementari:
a.1 – I “qualificati”: in possesso di titolo di studio superiore o laurea.
a.2 – I “dequalificati”: in possesso di titolo di studio inferiore. -
Gli “uscenti”: il raggruppamento raccoglie i conduttori che svolgono una attività agricola orientata al mercato e organizzano la produzione in autonomia, ma che per l’età avanzata (65 anni e oltre) hanno condizioni personali che possono essere considerate un basso incentivo ad una evoluzione imprenditoriale. Si può immaginare che questi soggetti siano poco propensi agli investimenti, all’innovazione e quindi ad adottare strategie di impresa, trattandosi di un’agricoltura inerziale, poco attraente per i giovani, date le limitazioni fisiche. Gli “uscenti” si dividono in tre profili elementari:
b.1 – I “tradizionali”: sono gli agricoltori anziani che, più degli altri, sono rivolti al mercato; essi sono impegnati in azienda per più di 50 giornate, limitano il ricorso ai contoterzisti e vendono la maggior parte della propria produzione;
b.2 – Gli “autosostentati” sono gli anziani che dedicano la parte prevalente della propria produzione all’autoconsumo, pur svolgendo anche qualche piccola attività commerciale;
b.3 – Gli “accessori” sono gli anziani che vendono la maggior parte della propria produzione ma dedicano all’azienda un impegno lavorativo particolarmente limitato (meno di 50 giornate all’anno) pur non facendo significativamente ricorso al contoterzismo. -
I “disimpegnati” sono gli agricoltori con meno di 65 anni che dedicano all’azienda un impegno lavorativo molto ridotto (meno di 50 giornate all’anno) e/o affidano totalmente ad aziende contoterziste almeno una produzione aziendale. Si tratta di un aggregato di aziende condotte da soggetti che si può ritenere abbiano con l’agricoltura un rapporto particolarmente disimpegnato e che considerano l’azienda agricola alla stregua di un capitale qualsiasi dal quale estrarre la massima rendita con un impegno personale molto limitato. Comparativamente alle altre aziende non-imprese, queste sono condotte con intenti più speculativi, ottica di breve periodo e scarso impegno personale. Dal punto di vista degli obiettivi di policy, queste aziende andrebbero guidate verso strategie di più lungo orizzonte. La compagine dei “disimpegnati” si articola in due profili elementari:
c.1 – I “disattivati”: si affidano totalmente al contoterzismo o soltanto parzialmente, ma, in tal caso, dedicano all’azienda meno di 50 giornate l’anno di lavoro;
c.2 – Gli “occasionali”: lavorano in azienda meno di 50 giornate l’anno ma non ricorrono al contoterzismo. -
Infine i “fai-per-te” sono gli agricoltori che, in qualsiasi condizione di età e di impegno personale in azienda, dichiarano di auto-consumare tutta la propria produzione o che, pur in età non ancora anziana o vecchia (meno di 65 anni) e pur impegnandosi per più di 50 giornate all’anno, dichiarano di auto-consumare la parte prevalente della produzione aziendale. Si tratta di soggetti che esercitano l’agricoltura con un rapporto con il mercato nullo o comunque molto ridotto, essendo obiettivo esclusivo o prevalente la cura dei bisogni di consumo familiari e la soddisfazione di un rapporto affettivo, culturale e diretto con la coltivazione e il piccolo allevamento. Questo raggruppamento si divide in:
d.1 – “autoconsumatori”: riservano al consumo della propria famiglia il 100 per cento della produzione;
d.2 – “hobbisti”: con autoconsumo non esclusivo, ma prevalente e consistente impegno lavorativo personale in azienda.
Figura 2 - Schema di classificazione dei profili aziendali
Fonte: nostra elaborazione
La tabella 1 riepiloga la distribuzione percentuale per profilo in Piemonte in termini di numerosità delle aziende, produzione standard, Sau e giornate di lavoro totali.
Tabella 1 - Riparto percentuale per profilo aziendale delle aziende non-imprese del Piemonte
Fonte: nostra elaborazione su dati Istat-Regione Piemonte
Come si può notare, l’universo delle non-imprese piemontesi si distribuisce nei quattro macro-profili e nei profili elementari, concentrandosi in alcuni di essi. In particolare, quasi un terzo delle aziende, che controlla il 35,3 per cento della Sau, ricade nel macro-profilo dei “disimpegnati”. Questo si caratterizza per un impegno lavorativo particolarmente contenuto: solo l’8,8 per cento del totale. Contenendo al massimo rispetto agli altri profili l’impiego del lavoro e facendo ricorso al contoterzismo, questo macro-profilo massimizza la produzione standard per giornata (115,3 euro, contro 34,5 euro della media delle non-imprese – tabella 2) organizzandosi in ordinamenti produttivi a basso valore aggiunto, come lascia supporre la minore produzione standard per ettaro di Sau (1.234 euro contro 1.485 in media).
Il secondo macro-profilo per numerosità decrescente, è quello degli “uscenti”, costituito, come detto, dagli agricoltori ultra sessantacinquenni. Rappresenta il 27,6 per cento delle aziende e una quota attorno al 30 per cento della produzione standard, della Sau e delle giornate di lavoro. Si tratta di un aggregato al suo interno particolarmente disomogeneo. I “tradizionali” e gli “autosostentati” presentano infatti elevati livelli di impiego di lavoro ad ettaro, spingendo verso il basso la produttività del lavoro (sotto 30 euro a giornata). Il terzo profilo, invece, quello degli “accessori”, ha un comportamento opposto, molto simile a quello dei “disimpegnati” sia “disattivati” che “occasionali”, con un bassissimo impiego di lavoro, finalizzato ad elevare la produttività, che va oltre 120 euro/giornata, ma a scapito della produzione complessiva aziendale e per ettaro.
Il macro-profilo dei “potenziali”, è quello che raccoglie le aziende che avrebbero le condizioni per evolvere verso modelli di sviluppo imprenditoriali, data l’età non avanzata del capoazienda e il suo orientamento al mercato. Questo gruppo rappresenta circa il 20 per cento delle aziende, della produzione standard e della Sau, ma una quota molto maggiore (38,3 per cento) delle giornate di lavoro complessive. Come si può notare in tabella 2, si tratta di aziende con una dotazione mediamente maggiore di superficie (2,9 ettari di Sau), che, dati i vincoli dimensionali, tendono a puntare verso la massimizzazione della produzione aziendale intensificando l’impiego del lavoro per unità di superficie (64,1 giornate per ettaro). Ne consegue una produzione standard media per azienda più elevata che nei macro-profili già analizzati, che si associa però ad una valorizzazione del lavoro particolarmente modesta (23,6 euro a giornata). Sulla base dei dati esposti, un giudizio sulla effettiva vocazione di queste aziende ad evolvere verso dimensioni e comportamento da imprese va espresso con molte riserve. Mentre è evidente la loro funzione integrativa del reddito del conduttore, sia pure per importi relativamente modesti. Si può presumere infatti che, data la produzione standard aziendale pari in media a 4.437 euro/anno, queste aziende, a meno che non offrano altri servizi non compresi nel calcolo (es. agrituristici), possano produrre redditi netti tra i 100 e i 200 euro al mese. D’altra parte, soltanto uno su tre di questi agricoltori ha un titolo di studio superiore. Ove si rilevasse una propensione all’evoluzione verso modelli imprenditoriali, la dequalificazione diffusa segnala l’esigenza di una strategia che attraverso la formazione miri al miglioramento del capitale umano.
L’ultimo macro-profilo, quello dei “fai-per-te”, rappresenta il 19,6 per cento delle aziende non-imprese piemontesi. La caratteristica precipua del gruppo è data dalla dimensione molto contenuta dei fondi a disposizione e della altissima intensità di lavoro (addirittura 84,3 giornate di lavoro ad ettaro). La prevalenza assoluta o relativa dell’autoconsumo nella destinazione della produzione aziendale e il carattere hobbistico dell’esercizio dell’agricoltura, spiegano la poca rilevanza attribuita alla produttività in valore del lavoro, che infatti è la più bassa in assoluto. Evidentemente altri obiettivi relativi alla qualità dei prodotti e/o di carattere culturale, ricreativo, delle forme di produzione prevalgono su quello della valorizzazione economica.
Tabella 2 - Rapporti caratteristici per profilo aziendale delle aziende non-imprese del Piemonte
Fonte: nostra elaborazione su dati Istat-Regione Piemonte
Fin qui sono state analizzate le variabili che hanno concorso alla definizione dei profili, ad esclusione della produzione standard che è stata utilizzata come soglia per selezionare a priori le aziende non-imprese. Per verificare la coerenza di questi profili e raccogliere ulteriori informazioni sulle aziende appartenenti a ciascun aggregato, sono state introdotte nell’analisi le variabili categoriali escluse in precedenza dalla classificazione.
La tabella 3 riepiloga gli indici di specializzazione calcolati come rapporto tra le quote percentuali delle aziende per profilo e classe della variabile e la ripartizione percentuale totale delle aziende. L’indice assume valore superiore a 1 quando la percentuale di aziende del profilo in una determinata classe è superiore a quella delle aziende totali comprese nella stessa classe. Per comodità di lettura nella tabella sono riportati solo i valori inferiori a 0,75 o superiori a 1,25.
Tabella 3 - Indici di specializzazione per profilo
Fonte: nostra elaborazione su dati Istat-Regione Piemonte
Com’era da aspettarsi, gli agricoltori “potenziali” (e in particolare quelli “qualificati”) sono relativamente più propensi a impegnarsi in attività connesse e in produzioni di qualità. Questa peculiarità, anche se caratteristica di un numero molto ridotto di aziende, segnala effettivamente una vocazione imprenditoriale: non potendo ampliare le dimensioni aziendali si integra la produzione con altre attività di servizio o migliorando la qualità dei prodotti. La diversificazione è tipica, anche se meno marcata, anche del profilo degli “uscenti”, ma in questo caso forse conta più il legame con la tradizionale policoltura dei piccoli agricoltori piemontesi.
I “disimpegnati” risultano più presenti nelle aree di pianura e al loro interno i “disattivati” sono quelli sui quali più si concentrano i pagamenti diretti della Pac nella formazione dei ricavi. Anche questa circostanza poteva essere attesa, in considerazione del fatto che quel tipo di pagamenti tende concentrarsi in produzioni labour saving e ad alto impiego di macchine.
Infine il gruppo dei “fai-per-te” accoglie due profili con marcate differenze in termini di incidenza delle attività connesse e di produzioni di qualità. Gli “hobbisti” sono tendenzialmente specializzati al contrario degli “autoconsumatori”.
Considerazioni conclusive
In estrema sintesi questa analisi, che comunque per migliori riscontri andrebbe estesa ad altri contesti territoriali, lascia intravedere una forte diversificazione tra le aziende non-imprese piemontesi. Quello delle non-imprese è dunque un universo formato da diverse galassie ognuna con caratteristiche peculiari per struttura ed evoluzione. Che richiede appropriate politiche.
Per la loro numerosità, per la loro vocazione spesso genuinamente ambientalistica, per il loro inserimento nel mondo rurale, per la carica di passione verso la natura dei loro conduttori, molte di queste non-imprese, che per condizioni oggettive, ma spesso anche per scelta, perseguono obiettivi diversi da quello imprenditoriale, svolgono la funzione di cerniera tra l’agricoltura professionale e il mondo esterno all’agricoltura. In altri casi, all’opposto, esse possono manifestare la tendenza alla passività e a darsi obiettivi speculativi e di massimizzazione della rendita nel breve periodo. In altri ancora possono evolvere verso forme di impresa agricola professionale.
In ogni caso, più che di sostegni indistinti o di piccoli contributi, le non-imprese necessitano di servizi appropriati che, rompendo il loro isolamento, ne valorizzino il ruolo produttivo, ma anche culturale e (bio)etico, per favorire il rapporto tra consumatori e agricoltori e avvicinare i cittadini alla campagna e alla ruralità.
Riferimenti bibliografici
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Arzeni A., Sotte F. (2013), “Imprese e non-imprese nell’agricoltura italiana”, Working Paper Gruppo 2013
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Arzeni A., Sotte F. (2014), Agricoltura e territorio: dove sono le imprese agricole? in QA, n.1
-
Commissione europea, Regolamento (Ce) n. 1242/2008, 8 dicembre 2008 che istituisce una tipologia comunitaria delle aziende agricole, http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32008R1242&qid=1402385833801&from=IT
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Fanfani R., Spinelli L. (2012), “L’evoluzione delle aziende agricole italiane attraverso cinquant’anni di censimenti (1961-2010)”, Agriregionieuropa n.31
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Istat (2012), VI Censimento generale dell’agricoltura, Datawarehose
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Sotte F., Arzeni A. (2013), “Imprese e non-imprese nell’agricoltura italiana”, Agriregionieuropa n.31
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Sotte F. (2006), “Quante sono le imprese agricole in Italia?”, in Agriregionieuropa, n.5, 2006b
- 1. Datawarehouse on-line [link].
- 2. In Piemonte, nel 97% delle aziende con meno di 8.000 euro di produzione standard, il capo azienda coincide con il conduttore.
- 3. I microdati aziendali del Censimento non sono accessibili al pubblico. Si ringraziano il dott. Mario Perosino della Regione Piemonte – Direzione agricoltura, Responsabile dell'Ufficio regionale di censimento e la dott.ssa Lorena Cora del Csi-Piemonte per aver effettuato le elaborazioni necessarie.