Secondo il Piano d'Azione Nazionale per le Energie Rinnovabili (Pan) entro il 2020 le biomasse costituiranno la prima fonte energetica rinnovabile in Italia, coprendo il 44% dei consumi da fonti rinnovabili (Mse, 2010). In particolare i biocombustibili legnosi dovranno fornire 5 Milioni di tep (Mtep) di energia termica. I dati Eurostat indicano già per il 2011 un consumo di biomasse legnose pari a 3,6 Mtep, equivalenti a oltre il 70% del contributo atteso dal Pan al 2020 (EurObserv’ER, 2012), mentre stime recenti (Pettenella e Andrighetto, 2011) suggeriscono che il legno potrebbe rappresentare già oggi la prima fonte energetica rinnovabile in Italia.
A fronte di un ruolo così rilevante per le biomasse legnose nel panorama nazionale delle rinnovabili, si riscontrano alcuni elementi di scarsa chiarezza o di manifesta criticità che suggeriscono alcune riflessioni. In primo luogo si rileva un problema di non piena attendibilità delle statistiche esistenti sulla disponibilità attuale delle risorse. In particolare il dato relativo ai prelievi forestali interni - stimato in 2,2 milioni (M) t di sostanza secca dal Pan - è da più parti considerato fortemente sottostimato (Ciccarese et al., 2003; Corona et al. 2007). Lo stesso report nazionale predisposto per l’edizione 2010 del Forest Resource Assessment della Fao dichiara espressamente che le statistiche ufficiali non sono con ogni probabilità in grado di cogliere le dimensioni reali dei prelievi di legna da ardere in Italia (Fao, 2010). Ciò appare ancora più evidente laddove i dati relativi ai prelievi siano confrontati con le stime riferite ai consumi e ai dati del Bilancio Energetico Nazionale che, nato come base statistica per un Paese importatore di energia, ha prestato minore attenzione alle fonti interne (Tomassetti, 2010). La mancanza di una base dati pienamente attendibile se da un lato pone seri problemi di stima e adeguata programmazione, dall’altro potrebbe sottendere anche ad altre problematiche. Come evidenziato dai risultati del Progetto Stop crimes on Renewables and Environment (Score - www.euscore.eu), il settore forestale è tutt’altro che esente da fenomeni di irregolarità e manifesta illegalità, quali l’evasione fiscale legata al commercio della legna da ardere o condizioni diffuse di lavoro irregolare, che possono trovare terreno particolarmente fertile in un quadro di sostanziale incertezza dei dati e di sottostima della dimensione economica del fenomeno (Pettenella et al., 2012): un settore percepito come marginale tende ad avere un’area di azione politica secondaria.
Nonostante i prelievi forestali nazionali siano prevalentemente orientati alla produzione di legna da ardere e sebbene il Pan non riporti alcun dato in merito alle importazioni di biomasse legnose a uso energetico, il ruolo dell’import italiano è in realtà non trascurabile. Secondo i dati Faostat (2013) l’Italia è, infatti, il primo importatore mondiale di legna da ardere e il terzo di residui e scarti di legno, con un import complessivo di circa 3 M t. E’ bene precisare che tali materiali non sono destinati esclusivamente all’impiego energetico, nondimeno tanto i valori assoluti, quanto i trend crescenti dell’import rimangono rilevanti. Le potenziali criticità legate al ruolo delle importazioni sono molteplici. Se analisi condotte da Favero (2011) evidenziano livelli medi di emissioni di CO2 associati al trasporto di tali biomasse inferiori rispetto a quelli che si avrebbero in caso d’impiego di combustibili fossili, restano invece attuali le preoccupazioni per altre possibili esternalità negative. In particolare deve essere prestata attenzione alla gestione delle risorse forestali, ricordando come si stimi che il 5-9% di legna da ardere e cippato importati in Italia possano provenire da tagli illegali nei Paesi di origine (Ispra, 2009). Tali preoccupazioni sembrano trovare ulteriore ragion d’essere alla luce del crescente numero di partner commerciali extra-europei dell’Italia e dell’instabilità delle nostre relazioni commerciali con i diversi paesi fornitori di biomasse. Questo turnover suggerisce la presenza di strategie commerciali “mordi e fuggi” orientate volta per volta alla ricerca del materiale a minor costo e potrebbe essere interpretato anche alla luce di condizioni di scarsa sostenibilità dell’offerta. L’importazione di biomasse, ancorché limitata in proporzione ai prelievi interni, rischia di enfatizzare una frattura tra l’impiego di tali materiali e la gestione delle risorse locali, riducendo le potenzialità di sviluppo legate alla crescita del comparto delle rinnovabili. Ciò a maggior ragione laddove si consideri che spesso le biomasse importate sono destinate a rifornire grandi impianti - che difficilmente possono servirsi della produzione interna, troppo frammentata e dispersa (Tomassetti, 2010) - con il rischio di favorire la creazione di soluzioni sproporzionate, nella scala, alla disponibilità effettiva in loco di biomasse. In tal senso la recente tendenza al gigantismo degli impianti in numerosi paesi europei (in primis il Regno Unito) è stata già sottolineata da più voci (EurObserv’Er, 2012), alimentando in molti casi dure reazioni dell’opinione pubblica, delle organizzazioni ambientaliste e dello stesso mondo industriale. Rappresentanti delle industrie dei pannelli in legno e delle paste per carta - e in genere dei settori che impiegano biomasse ad uso industriale - hanno, infatti, in sede nazionale ed europea, manifestato forte opposizione agli impianti energetici a biomasse. Tale opposizione è fondata su una critica agli effetti distorsivi sui prezzi delle biomasse dovuti agli incentivi pubblici alla produzione di energia da rinnovabili (Confindustria, 2007).
La riattivazione della gestione forestale sul territorio nazionale, la razionalizzazione degli impianti e la promozione di filiere corte locali, ispirate a criteri di gestione sostenibile della risorsa legno, sembrano poter contribuire alla soluzione delle problematiche sopra elencate. Il presente contributo intende analizzare tale approccio, presentando un esempio di linee-guida per la definizione e la valutazione delle filiere corte e proponendo i risultati preliminari di alcuni test in campo.
La filiera corta e gli strumenti per la sostenibilità delle filiere per i biocombustibili
Il concetto di filiera corta si è andato affermando nel corso degli ultimi anni, soprattutto con riferimento al settore agroalimentare (short food supply chain, Sfsc), anche se non esiste ancora una piena convergenza di pareri verso una definizione chiara e univoca. Nella Proposta di Regolamento sul sostegno allo sviluppo rurale (2011) la Commissione Europea ha definito la filiera corta come una “filiera di approvvigionamento formata da un numero limitato di operatori economici che si impegnano a promuovere la cooperazione, lo sviluppo economico locale e stretti rapporti socio-territoriali tra produttori e consumatori”. In tale sede si è anche prevista la possibilità che singoli Stati Membri, nell’ambito dei propri programmi di sviluppo rurale, possano sviluppare sottoprogrammi tematici dedicati alle filiere corte.
Un’approfondita rassegna delle definizioni di filiera corta condotta da Fondse et al. (2012), pur evidenziando diverse possibili denominazioni in uso (quali ad esempio filiere locali o alternative), ha identificato quattro criteri fondamentali per la definizione di questo concetto: (i) la vicinanza geografica tra produttori e consumatori; (ii) la capacità di generare valore aggiunto e profitti su scala locale; (iii) l’equità sociale e un’equilibrata ridistribuzione del valore lungo la filiera; (iv) la sostenibilità ambientale. Ne deriva un quadro articolato, imperniato sul tema della provenienza locale dei materiali trasformati, ma comprensivo di molteplici aspetti complementari1.
Con riferimento ai biocombustibili (e ai bioliquidi in particolare) il concetto di filiera corta è implicitamente presente già nella Direttiva 2009/30/CE relativa al controllo e riduzione delle emissioni dei combustibili fossili, che richiede il rispetto di criteri di sostenibilità della filiera affinché l’energia derivante da tali prodotti possa concorrere al raggiungimento degli obiettivi nazionali sulle rinnovabili. In particolare si fa riferimento alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra lungo l’intero ciclo di vita e alla garanzia che le materie prime non provengano da aree che presentino un elevato valore in termini di biodiversità o un elevato stock di carbonio. Tali criteri si ritrovano comunemente anche in molte delle numerose iniziative di carattere volontario finalizzate a certificare/promuovere la sostenibilità delle filiere per i biocarburanti, quali ad esempio Biosucro, per l’etanolo da canna da zucchero, e il Roundtable on Sustainable Biofuels, per l’olio di palma. Come emerso da recenti studi di carattere comparativo (Scarlat e Dallemand, 2011; Johnson et al., 2012) alcune di queste iniziative non si limitano a valutare solamente aspetti ambientali, ma prendono in considerazione anche elementi di carattere socio-economico legati alla gestione della filiera, quali ad esempio gli aspetti di salute e sicurezza sul lavoro e quelli legati al rispetto dei diritti di proprietà/uso della terra.
Anche per le biomasse legnose di origine forestale si registrano iniziative volte a fornire garanzie di sostenibilità della filiera e trasparenza nei confronti del mercato. Si possono ricordare, tra le altre, le certificazioni secondo gli standard del Forest Stewardship Council (FSCsc) e del Programme for the Endorsement of Forest Certification schemes (Pefc) per la gestione forestale sostenibile e la rintracciabilità dei prodotti lungo la filiera (catena di custodia), o ancora le norme EN della serie 14961, che definiscono le caratteristiche e le classi qualitative di differenti tipologie di biocombustibili solidi, e della serie 15234, che, per gli stessi materiali, definiscono i criteri per il controllo e l’assicurazione della qualità. Più recentemente è stato avviato il progetto “Enplus green” ([link]), che mira a promuovere un approccio di sostenibilità di filiera per i pellet. In generale tuttavia si riscontra una sostanziale incompletezza delle iniziative in corso che, da un lato, non sono in grado di assicurare la copertura dell’intero spettro di criteri di sostenibilità che appaiono di rilievo per il settore delle biomasse, e dall’altro rivolgono attenzioni marginali ai prodotti a minor grado di industrializzazione quali legna da ardere e cippato (Francescato et al., 2011).
Rispetto al contesto italiano, il concetto di filiera corta per le biomasse a fini energetici ha trovato un riconoscimento e una qualificazione normativa con il Decreto Ministeriale (DM) 2 marzo 2010, approvato in attuazione della legge finanziaria 2007 (n. 296) e del collegato Decreto Legge 1 ottobre 2007, n.159. Secondo tale disposizione - che integra il DM 18 dicembre 2008 - si considerano da filiera corta biomasse prodotte entro il raggio di 70 km dall’impianto di produzione dell’energia elettrica2. Tali disposizioni si applicano anche a biomasse derivanti da gestione forestale, colture agro-forestali dedicate e residui di trasformazione di prodotti forestali. L’adozione di un mero criterio di distanza geografica per la qualificazione di una filiera come corta appare tuttavia come non sufficiente a coprire la molteplicità di aspetti cui questo concetto rinvia e, nel contempo, pone un problema di coerenza e univocità di parametri per i medesimi materiali. A titolo di esempio si ricorda che, per l’uso di legno in edilizia, il sistema volontario di classificazione dell’efficienza energetica (iniziativa Leadership in Energy and Enviromental Design, LEED®, dello US Green Building Council), adottato anche in Italia, definisce materiali provenienti da filiera corta quelli approvvigionati entro un raggio massimo di 350 km (fino a 1.050 km se il trasporto dei materiali avviene su rotaia o via mare - Gbc-Italia 2012).
In generale, mentre in letteratura esistono numerosi studi e modelli incentrati sulla valutazione della convenienza commerciale e degli impatti ambientali della filiera foresta-legno-energia, si ravvisa sempre più l’esigenza di includere nelle valutazioni anche parametri relativi alla dimensione sociale, di governance e di pubblica utilità, al fine di assicurare un reale approccio multidimensionale in sede di definizione e implementazione di progetti (Shabani et al., 2013). La definizione di criteri chiari e univoci per l’identificazione e la valutazione delle filiere corte per le biomasse legnose appare dunque un’esigenza prioritaria per il corretto sviluppo e l’efficace implementazione di progetti di valorizzazione su scala locale di queste risorse.
Una proposta di linee-guida per valutare le filiere corte delle biomasse legnose
Nell’ambito del progetto Biomass Trade Center II (IEE/10/115 - [link]), cofinanziato dal Programma Intelligent Energy Europe, Etifor (spin-off dell’Università di Padova) e Aiel (Associazione Italiana Energie Agroforestali) hanno sviluppato delle linee-guida per la valutazione della sostenibilità della filiera legno-energia, con particolare attenzione alla produzione di cippato e legna da ardere. L’ambito di applicazione del documento include tutti i passaggi, a partire dall’origine e gestione del materiale, sino alla bocca dell’impianto, mentre non comprende - al momento - aspetti legati all’efficienza dell’impianto in sé3. All’interno della filiera sono inclusi sia operatori del segmento produttivo (proprietari forestali, ditte boschive, segherie), sia operatori che conducono attività di distribuzione (commercianti).
Le linee-guida sono articolate secondo una struttura logica e gerarchica che comprende 4 principi dettagliati in 13 criteri, a loro volta definiti per mezzo di 38 indicatori, 11 dei quali assumono il carattere di prerequisiti (figura 1 e tabella 1). Il documento è di seguito presentato in sintesi: per maggiori dettagli è possibile fare riferimento al sito web dedicato al progetto Biomass Trade Center II.
Figura 1 - Struttura logica e gerarchica delle linee-guida
Fonte: Ns. elaborazione
Tabella 1 - Principi e criteri proposti dalle linee-guida
Fonte: Ns. elaborazione
Principi e criteri
I quattro principi alla base del documento, così come i criteri correlati, riguardano aree tematiche (legalità, ambiente, sviluppo locale, efficienza economica) che consentono un approccio sistematico alla descrizione di una filiera corta legno-energia. In particolare il primo principio, “Legalità e responsabilità socio-ambientale”, include riferimenti al rispetto delle vigenti norme in materia ambientale, occupazionale e di sicurezza sul lavoro. Il tema della legalità nel settore foresta-legno ha del resto acquisito forte rilevanza e priorità negli ultimi mesi a seguito dell’entrata in vigore del Regolamento (EU) 995/2010 - meglio noto come EU Timber Regulation - che obbliga chiunque immetta legno e derivati sul mercato dell’Unione Europea a dimostrarne la provenienza legale.
Con il secondo principio vengono valutati gli impatti ambientali associati alla filiera legno-energia. Anzitutto le linee-guida pongono attenzione alle emissioni medie di CO2 associate alla produzione e al trasporto delle biomasse. Si prende in esame inoltre la provenienza del materiale, in particolare valorizzando la presenza di legno proveniente da foreste certificate secondo gli standard Fsc o Pefc. Oltre a ciò sono valutate le caratteristiche (accessibilità, pendenza, ecc.) delle particelle forestali di origine della biomassa, con l’obiettivo di premiare la gestione attiva delle particelle sottoutilizzate e contribuire pertanto alla diminuzione dei processi di invecchiamento e conseguente degrado, comuni in molti boschi italiani. Da ultimo, per ridurre gli impatti ambientali in fase d’impiego delle biomasse, si tengono presenti anche certificazioni di qualità dei combustibili (contenuto idrico, ceneri, potere calorifico, ecc.) così come definite, ad esempio, dalle norme della serie EN 14961.
Con il terzo principio viene valutata la capacità della filiera di promuovere una valorizzazione delle produzioni locali e di creare, più in generale, condizioni di sviluppo per la comunità residente su scala locale. In tale prospettiva si considerano importanti sia il coinvolgimento nella filiera di attori (non necessariamente produttori) locali, sia la possibilità di destinare su scala locale il materiale prodotto e venduto.
Infine, al fine di valutare l’efficienza economica (quarto principio), anche al di là della contingente presenza di incentivi pubblici alla filiera, si considera importante la capacità delle imprese di ottimizzare la destinazione d’uso delle materie prime legnose, favorendone, laddove possibile, l’impiego industriale per prodotti a maggiore valore aggiunto (evitando di “bruciare” materie prime che possono generare impieghi a maggior valore aggiunto) e il conseguente recupero degli scarti per fini energetici. Altrettanto importante è la possibilità di basare la programmazione degli investimenti su rapporti consolidati con i fornitori, al fine di garantire condizioni di maggiore stabilità e una diminuzione dei possibili trade-off con altri settori produttivi, quale ad esempio il settore dei pannelli a base di legno.
Prerequisiti, indicatori e valutazione complessiva della filiera
Per ognuno dei 13 criteri individuati sono stati definiti specifici prerequisiti (11 totali) e indicatori (27 totali). I prerequisiti riguardano per lo più il rispetto di norme vigenti in materia ambientale e di lavoro (regolarità contrattuale, formazione, salute e sicurezza) e devono essere tutti necessariamente rispettati per poter raggiungere un livello di sufficienza nella valutazione della sostenibilità.
A ciascuno dei ventisette indicatori, invece, è associato uno specifico punteggio: la somma dei punti ottenuti in base alle prestazioni valutate permette di attribuire a ogni singola impresa un punteggio finale che corrisponderà a una classe di sostenibilità della corrispondente filiera (Figura 2).
Figura 2 - Quadro di sintesi di punteggi e classi di prestazione della filiera biomasse secondo le linee-guida
Fonte: Ns. elaborazione
Test in campo: risultati preliminari
Le linee-guida sinteticamente descritte sono state testate in campo al fine di verificarne l’applicabilità e identificare possibili ambiti di miglioramento. I risultati preliminari al momento disponibili si riferiscono all’analisi delle filiere per l’approvvigionamento di cippato relative al Consorzio Forestale Alto Serio (CoFas) e al Consorzio Forestale Presolana (CoFP) nel territorio di competenza della Comunità Montana Valle Seriana (Provincia di Bergamo) (Figura 3).
Figura 3 - Localizzazione geografica Consorzio Forestale Alto Serio (CoFas) e del Consorzio Forestale Presolana (CoFP)
Fonte: Mologni 2012
I due Consorzi gestiscono aree forestali pari rispettivamente a 3.050 e 4.300 ettari, e, pur trovandosi in aree limitrofe, hanno modalità di organizzazione delle filiere ampiamente differenti. Il CoFas deriva poco più del 62% della biomassa da superfici di proprietà pubblica gestite direttamente dal Consorzio, mentre il restante 37% circa è acquisito dalla gestione di superfici private limitrofe a opera di ditte boschive locali. Al momento il materiale è venduto a un solo impianto pubblico (minirete di teleriscaldamento) con una potenza installata di 130 kW e un fabbisogno di circa 150-200 t/anno di cippato. Il CoFP, di contro, deriva il cippato esclusivamente dalla gestione diretta delle superfici pubbliche di proprietà dei soci consorziati e rifornisce due impianti pubblici per una potenza totale installata di 580 kW e un consumo complessivo di circa 750 t/anno di biomassa legnosa.
L’applicazione delle linee-guida ha evidenziato come in entrambi i casi esistano delle carenze di tipo documentale/formale nel sistema di gestione interno. In particolare è stata rilevata l’assenza di registri relativi ai fornitori e al materiale in ingresso, richiesti al fine di dimostrare l’origine e la provenienza legale del materiale acquistato ai sensi del Regolamento (UE) 995 del 20 ottobre 2010, che impone un sistema di due diligence nel valutare l’origine del legname4. Queste mancanze si configurano come mancato rispetto di prerequisiti e dovrebbero pertanto classificare entrambe le filiere in Classe D. Si tratta peraltro di non conformità che potrebbero creare difficoltà anche ai fini del rispetto del già citato Regolamento (UE) 995/2010. Ciononostante, nell’intento di testare le linee-guida nella loro interezza, si è deciso di proseguire con la valutazione di tutti gli indicatori applicabili. Al netto delle considerazioni precedenti, entrambi i Consorzi hanno ottenuto complessivamente una valutazione finale buona, corrispondente alla classe B (Tabella 2). Le due filiere possiedono le caratteristiche fondamentali per essere definite corte soprattutto con riferimento al Primo e al Secondo Principio. In particolare le buone prestazioni sono imputabili a: provenienza locale della materia prima, limitate emissioni associate al trasporto, impiego di materiale proveniente da boschi sottoutilizzati e da aree difficilmente accessibili e ridotto numero di intermediari coinvolti. Di contro, sembrano mancare requisiti di eccellenza - quali certificazioni di parte terza della gestione forestale e adozione di piattaforme logistiche per la gestione delle biomasse - che potrebbero far fare un salto di qualità importante rispetto a criteri di sostenibilità e capacità competitiva.
Tabella 2 - Risultati, distinti per Principio, e giudizi complessivi relativi ai due Consorzi analizzati
Fonte: Ns. elaborazione da Mologni 2012
Conclusioni
L’espansione del settore delle biomasse legnose sta attirando un numero crescente di operatori e investitori, rendendo quanto mai attuale il dibattito circa la definizione di criteri chiari e univoci per la sostenibilità del comparto. In particolare, con riferimento al contesto italiano, s’impongono riflessioni circa le modalità più corrette per sostenere l’offerta interna, orientandola verso criteri di responsabilità, e facendone un volano per un più ampio processo di sviluppo del settore forestale su scala locale.
Nei paragrafi precedenti sono stati presentati i risultati preliminari relativi alla definizione e al test in campo di nuove linee-guida per la verifica delle filiere corte per le biomasse legnose a fini energetici. Ulteriori test sono attualmente in corso e maggiori risultati saranno disponibili nei prossimi mesi. Alla luce di questi sarà possibile disporre di un quadro informativo più completo e di apportare eventuali integrazioni allo strumento. Le prime valutazioni possibili in questa fase del progetto evidenziano come le linee-guida sembrino essere tarate su un livello prestazionale medio, con la possibilità di premiare, in termini di giudizio e punteggio, eventuali filiere realmente eccellenti. Sebbene tali condizioni non siano state riscontrate nei due test in campo e, più in generale, potrebbero essere poco comuni nel contesto nazionale, esse sembrano rappresentare reali sfide per il miglioramento e la maggiore competitività della filiera legno-energia soprattutto in aree montane.
Un aspetto cruciale emerso già in questa fase è che la sfida per lo sviluppo sostenibile del settore delle biomasse legnose non è meramente di carattere tecnico, ma coinvolge aspetti di governance e di organizzazione che sembrano rappresentare il vero banco di prova per la piena maturità del settore.
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- 1. Si noti che la presenza di limitate transazioni lungo la catena di valore tra produttore e consumatore, criterio che si ottimizza nella vendita diretta, non rientra tra questi criteri (un mobile prodotto in Russia in una fabbrica Ikea e venduto in Usa in un grande magazzino della stessa catena potrebbe, infatti, rientrare nella definizione di filiera corta).
- 2. La lunghezza di tale raggio è da intendersi come la distanza in linea d’aria che intercorre tra l’impianto di produzione dell’energia elettrica e i confini amministrativi del Comune in cui ricade il luogo di produzione della biomassa.
- 3. E’, comunque, implicita la preferenza verso impianti su piccola-media scala a produzione di energia termica e Chp a prevalenza di produzione di energia termica, gli unici in grado di collegarsi con le caratteristiche forestali dei territori dell’Europa centro-meridionale, secondo un’impostazione peraltro ampiamente condivisa in altri contesti territoriali (vd. il Biomass Energy Resource Center del Vermont [link]).
- 4. In effetti, al momento dell’indagine presso i due Consorzi, il Regolamento, entrato in vigore il 1.3.2013, non imponeva l’obbligo di una due diligence.