Land grabbing e turismo di caccia. Il caso di Loliondo, Tanzania

Land grabbing e turismo di caccia. Il caso di Loliondo, Tanzania
a Università della Calabria, Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali

Introduzione 1

Il termine land grabbing si riferisce ai processi di acquisizione di terra e territorio. Il dibattito evidenzia come l’accaparramento avvenga in forme differenti (acquisto, ma anche affitti e concessioni a lungo termine) e sia finalizzato ad investimenti in agricoltura, nell’industria estrattiva, nel turismo e per l’istituzione di aree naturali protette (Cotula, 2012).
Questo lavoro intende illustrare l’intreccio fra land grabbing e caccia, con riferimento ad una zona specifica della Tanzania: Loliondo. Verranno presentati i risultati di una indagine inizialmente avviata con l’intento di comprendere le condizioni di sicurezza alimentare in aree rurali differenziate. La ricerca è stata condotta attraverso l’analisi della letteratura (grigia e non) e della stampa nazionale tanzaniana, verificando i dati raccolti attraverso colloqui informali con testimoni privilegiati.

Il turismo di caccia in Tanzania

Situata in Africa Orientale, la Tanzania si presenta come una delle aree a più alta concentrazione di biodiversità del continente africano, per varietà climatica e fauna selvatica. È famosa per le sue dotazioni naturali protette, molte delle quali designate Patrimonio dell'Umanità e Riserve della Biosfera. I suoi parchi naturali - Serengeti, Ngorongoro, Manyara, Tarangire, solo per citarne alcuni – e l’immensa ricchezza in termini di risorse faunistiche selvatiche attira turisti da tutto il mondo.
Negli ultimi due decenni, ed in seguito all’imposizione dei programmi di aggiustamento strutturale, il Paese ha sperimentato una crescita esponenziale del settore turistico. In questo sviluppo sono state centrali le politiche di conservazione, fortemente richieste da una curiosa alleanza internazionale fra organizzazioni ambientaliste globali e Banca Mondiale, la quale elargisce consigli per la razionalizzazione e la messa a valore di quello che considera “capitale naturale”, come strategia di riduzione della povertà (World Bank, 2003). Così, dalla fine degli anni Novanta, il governo tanzaniano ha tradotto le politiche di protezione in paradigma per lo sviluppo rurale, attraverso un approccio community-based.
In questo quadro, la fauna selvatica si è progressivamente trasformata in rilevante risorsa economica, fonte di entrate crescenti per il governo, al quale, per legge, appartiene. È soprattutto per osservare, fotografare o abbattere la fauna selvatica che la Tanzania riceve annualmente un elevato numero di turisti, attratti dalla possibilità di esperire un safari, che in lingua swahili significa “viaggio”: un’escursione in parchi o riserve, ma anche una battuta di caccia. Queste due specifiche attività turistiche, da sole, hanno significativamente determinato un incremento degli introiti del 22 per cento dal 2006 al 2009, con un contributo di quattro volte superiore del turismo di caccia (Urt, 2010, pag. 137).
Il termine safari di caccia si riferisce alle attività venatorie pagate dai turisti per abbattere, sotto la guida di cacciatori professionisti, e in base a convenzioni internazionali, determinati animali, ai quali vengono attribuite caratteristiche fisiche eccezionali (teste o zanne grandi, corni larghi o una particolare misura del corpo). In Tanzania, la commercializzazione e vendita di questi prodotti è gestita da fornitori autorizzati che affittano le aree di caccia, attrezzate con campi tendati dotati di servizi (bar, ristorazione, veranda), e impiegano personale con specifici requisiti (cacciatori professionisti, autisti, scuoiatori, personale di campo). I safari più costosi sono generalmente venduti a pacchetti (di 10, 16 o 21 giorni), e riguardano la caccia a particolari animali (leoni, elefanti, leopardi, bufali, antilopi). La stagione di caccia dura nove mesi (1 luglio-31 marzo) e l’attività si svolge in quelli che vengono chiamati “blocchi di caccia”, ossia aree date in concessione dal governo ai fornitori privati per un periodo di cinque anni.
Questa caccia è il costoso sport che può permettersi soltanto un esclusivo club di turisti internazionali. Il costo del pacchetto è principalmente composto da quote giornaliere, pagate indipendentemente dall’abbattimento degli animali, e dalle tasse governative. Il pacchetto non include il costo del biglietto aereo per raggiungere l’area di caccia, l’hotel prima e dopo il safari, il costo del trofeo degli animali uccisi o feriti, l’eventuale imbalsamazione. Calcolando tutte le voci, un pacchetto di 21 giorni di caccia al leopardo costa poco più di 37 mila dollari, arrivando a 48 mila dollari per la caccia al leone (in 16 giorni) ([link]). La somma totale può aumentare se si decide, come qualche fornitore suggerisce, di chiedere il servizio di baiting per garantire la buona riuscita della spedizione, soprattutto se si va a caccia di grandi felini: consiste nella preparazione di animali da utilizzare come esche.
Si comprende come il governo tanzaniano consideri questo mercato un rilevante canale di entrate; ciò spiega la crescente importanza attribuita al settore negli ultimi decenni. La strategia governativa è stata orientata ad incrementare il contributo del settore all’economia nazionale. La razionalizzazione ha riguardato la ridefinizione delle quote e la ripartizione dei blocchi, sulla base di valutazioni relative a quantità e qualità degli animali che possono o no essere cacciati, su criteri quali densità demografica, maturità e riproduzione degli animali, norme dei trattati internazionali. Come preparazione all’ultima gara pubblica di allocazione per il periodo 2013-2018, conclusasi a settembre 2011, il governo ha riclassificato 156 blocchi in cinque categorie (www.mnrt.go.tz).
La tendenza è stata quella di ridurre la dimensione dei blocchi, per aumentarne il numero e il valore, a fronte del numero crescente di aziende operanti nel Paese. Al momento, infatti, la Tanzania gode di una posizione particolarmente favorevole: avendo il Kenya vietato lo sport venatorio – permesso solo per alcune famiglie di uccelli - è l’unica destinazione dell’Africa Orientale ad accogliere cacciatori provenienti da Europa, Stati Uniti, Asia e Medio Oriente.

Il caso studio: la Loliondo Game Controlled Area

Lo studio di caso riguarda il blocco di caccia della Loliondo Game Controlled Area (Gca), che ha un’ampiezza di 6.188 chilometri quadrati. Localizzata nel nord della Tanzania, ai confini con il Kenya, l’area è di uno dei più famosi – e di maggior valore - circuiti turistici, frutto della lunga storia di espropriazione territoriale a fini di protezione subita dai pastori Masai (Parkipuny, 1983). Contigua al parco del Serengeti, Loliondo è parte dello spettacolare corridoio migratorio che la fauna selvatica percorre stagionalmente fra Ngorongoro, Serengeti e Masai Mara in Kenya.
Loliondo è anche una game controlled area, vale a dire un’area dove, oltre alle attività di caccia (con licenza), fino al 2009 erano anche consentite la residenza e le attività produttive. Su di essa insistono otto villaggi, sotto la cui giurisdizione, per legge, ricadono i territori registrati da essi amministrati. La popolazione locale è costituita in massima parte da pastori Masai, che hanno sviluppato una profonda conoscenza delle risorse fondamentali per l’allevamento: acqua e pascolo, risorse scarse in un ambiente arido e semiarido, l’accesso alle quali è determinante per la riproduzione delle condizioni di esistenza. La strategia di adattamento consiste in un modello di utilizzo non distruttivo, che prevede movimenti stagionali delle mandrie fra la stagione secca e la stagione delle piogge.
Agli inizi degli anni Novanta, il governo tanzaniano concede alla Ortello Business Corporation (Obc) diritti esclusivi di caccia sull’intera Loliondo Gca. L’azienda ha sede negli Emirati Arabi Uniti, è proprietà di un alto funzionario del ministero della difesa strettamente legato alla famiglia reale (Gardner, 2012). Appare nella lista degli operatori turistici autorizzati dal governo tanzaniano, ma non conduce operazioni commerciali: non compare in nessuna brochure o sito internet dedicato al turismo. È il re a cacciare a Loliondo: alla Obc è stato recentemente attribuito lo status diplomatico, rendendo così inviolabile il controllo sullo spazio in cui opera.
La concessione arriva direttamente dal presidente tanzaniano, in assenza di consultazione locale, nonostante il fatto che sul territorio operino diritti consuetudinari di uso. L’opacità delle procedure seguite fa sì che la vicenda venga subito assunta a paradigma di reiterate pratiche di corruzione: battezzata dalla stampa con il nome di Loliondogate, nel corso degli anni attira l’attenzione di più commissioni parlamentari nazionali. Innumerevoli articoli denunciano le pratiche illegali di caccia, tese a creare un bacino artificiale di prede: abbattimenti indiscriminati e sommari della fauna, che viene spesso attirata nell’area della concessione spargendo sale sul terreno e, nella stagione secca, costruendo delle pozze d'acqua artificiali; o utilizzando il fuoco per deviarne i movimenti, soprattutto in coincidenza con la grande migrazione degli ungulati (Merc, 2002).
Il processo di appropriazione materiale del territorio da parte della Obc si realizza con il montaggio di campeggi da safari, l’edificazione di un deposito presso una importante fonte d’acqua (che i pastori non possono più utilizzare), un lussuoso residence per accogliere gli ospiti reali. L’area viene dotata di una pista di atterraggio di 3 chilometri (utilizzata per trasportare cacciatori, animali vivi e trofei, oltre che sofisticate attrezzature di caccia), e di una propria rete di telecomunicazioni che interferisce pesantemente con le altre connessioni telefoniche.
La presenza dell’azienda condiziona profondamente l’esistenza quotidiana dei residenti, che ne denunciano, senza successo, l’insostenibilità, con numerose proteste pubbliche e attraverso i loro rappresentanti in parlamento. L’area è militarmente controllata: il quartier generale viene sorvegliato da membri dell’esercito degli Emirati e si avvale della presenza costante della polizia tanzaniana. Durante l’intera stagione di caccia, l’accesso alle risorse naturali (acqua e pascolo) viene fortemente limitato: i pastori sono costretti a rispettare le condizioni loro date dai manager della Obc, relativamente a dove e come possono pascolare le loro greggi. Ma sconfinare è facile: l’area di caccia non è segnata da confini palesi. La violazione alle restrizioni sui movimenti si risolve spesso in atti di intimidazione e pestaggi, supportati dal personale di sicurezza della Obc, a cui viene consentito di trattenere i pastori e poi eventualmente rilasciarli o consegnarli alla polizia locale, che li arresta o li multa pesantemente per “violazione di domicilio” e “pascolo illegale”.
Le tensioni tendono a salire alla fine dell’ultimo decennio, quando la siccità porta con sé pascoli riarsi e fiumi in secca, mentre la crisi mondiale prospetta una diminuzione degli introiti dell’industria turistica. Mentre sta per iniziare il periodo più importante della stagione di caccia della Obc.
La soluzione al conflitto sulle risorse naturali sarà lo sgombero dei pastori. L’ordine di liberare l’area di caccia arriva ai villaggi alla fine di maggio del 2009 e, due mesi dopo, scatta l’operazione di espulsione, condotta dalla polizia tanzaniana, con il sostegno delle guardie anti-bracconaggio della Obc. Più di 200 residenze vengono cosparse di benzina, date alle fiamme e ridotte in cenere, vengono distrutte le scorte alimentari e, nel caos, muoiono vitelli e mucche, tremila persone vengono lasciate senza casa e senza cibo, cinquantamila capi di bestiame, sospinti verso altre zone, sono lasciati senza acqua e senza pascolo. Nelle parole di un intervistato: “non puoi immaginare… a me personalmente sono morti 200 animali, cioè il 75 per cento di quello che avevo”.
Le vicende trovano abbondante spazio sulla stampa nazionale: la violazione dei diritti umani è unanimamente denunciata dalle associazioni di base locali e nazionali (si veda il filmato Loliondo is burning su [video]) e dalla mobilitazione degli ambienti internazionali. Ciò dà un po’ di respiro ai pastori espulsi, che nei mesi successivi ritornano nei loro territori, anche se continuano gli arresti indiscriminati e, più subdolamente, gli atti di intimidazione. Come ci ha confermato un testimone privilegiato: “è meglio non far sapere che hai intenzione di andare a Loliondo. E non per paura della polizia … ”.
Avaaz, l’organizzazione non governativa di New York che opera come comunità on-line per la difesa dei diritti umani, ha lanciato un campagna internazionale di successo per i Masai tanzaniani [link]. Ma intanto, la Obc si è nuovamente assicurata la concessione per i prossimi cinque anni.
La tendenza sembra quella di costringere sempre di più lo spazio dei pastori Masai. Nel febbraio 2009, una nuova legge2, intesa a garantire “l’uso sostenibile della fauna selvatica”, sottopone l’accesso ai pascoli ricadenti nelle Game Controlled Areas alla concessione di permessi governativi. Per neutralizzare le tensioni, nel 2011 il governo ha proposto un nuovo piano di demarcazione (Land Use Plan for Ngorongoro 2010-2030), così da separare operativamente le differenti attività (produttive e turistiche) che hanno luogo nell’area. “Sarebbe un disastro totale per la gente di Loliondo”, ci è stato detto.

Considerazioni conclusive

Il turismo di caccia, diventato un affare globale, è ancora poco studiato nelle sue determinazioni economiche e nei suoi effetti sociali, pur essendo ormai una vera e propria industria gestita da operatori multinazionali. Paradossalmente, i pochi dati disponibili sono quelli raccolti dalle associazioni internazionali di cacciatori, che si sono prontamente convertite in organizzazioni dedicate alla conservazione della fauna selvatica delle aree rurali, nel Sud come nel Nord del mondo.
La specificità di questa forma di land grabbing, oltre che legata alla distruzione delle condizioni di sicurezza alimentare di pastori e contadini, interroga anche una serie di fondamenti etici nel rapporto con gli esseri viventi extra-umani che popolano gli ecosistemi. E che sono parte dei sistemi sociali di sicurezza alimentare.

Riferimenti bibliografici

  • Cotula L. (2012), The international political economy of the global land rush: a critical appraisal of trends, scale, geography and drivers, Journal of Peasant Studies, vol. 39, n. 3-4, pp. 649-680

  • Gardner B. (2012), Tourism and the politics of the global land grab in Tanzania: markets, appropriation and recognition, The Journal of Peasant Studies, vol. 39, n.2, pp. 377-402

  • Merc (2002), The Killing Fields of Loliondo. A Report on the Negative Effects of the Ortello Business Company [link]

  • Parkipuny M.L. (1983), Maasai Struggle for Home Right in Ngorongoro, Paper presented at the XI International Congress of Anthropological and Ethnological Science, Vancouver. Urt, The Economic Survey 2009, Dar es Salaam, june 2010, [link]

  • World Bank (2003), World Development Report 2003. Sustainable Development in a Dynamic World. Transforming Institutions, Growth and Quality of Life, Washington e New York: World Bank e Oxford University Press.

  • 1. L’articolo riporta alcuni risultati di un progetto finanziato dal Miur, nell’ambito dei Prin 2008, dal titolo Strategie innovative dei produttori agricoli tra sicurezza e sovranità alimentare, coordinatore scientifico Annamaria Vitale, Università della Calabria, protocollo 2008LY7BJJ_001. Vengono ripresi alcuni contenuti dell’abstract proposto (ed accettato come poster) al XIII World Congress of Rural Sociology (Lisbona, 2012).
  • 2. The Wildlife Conservation Act 2009, disponibile su www.parliament.go.tz.
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