Introduzione
La mezzadria era un contratto agrario che prevedeva l’assegnazione di un fondo agricolo (podere) costituito dalla terra idonea alla produzione e dalla casa di abitazione per la residenza stabile del coltivatore (mezzadro o colono) e della sua famiglia, da parte di un proprietario o affittuario terriero (concedente). Le dimensioni del podere erano commisurate alle capacità di lavoro della famiglia colonica la quale s’impegnava a lavorarlo e a dividere a metà con il concedente spese e prodotti.
In Italia i primi contratti di mezzadria comparvero in Toscana nel IX secolo, ma fu solamente nel XII secolo che la mezzadria divenne una forma contrattuale prevalente in Toscana, Emilia-Romagna, Marche, Umbria e meno presente nelle aree collinari delle altre regioni centrosettentrionali.
Tra la metà del ‘700 e ‘800 si consolidò in Europa un processo di cambiamento dell’agricoltura frutto di un’azione congiunta dovuta al mercato e alle innovazioni agronomiche definito “rivoluzione agricola”. Questo processo ebbe il suo epicentro in Italia nella pianura Padana distribuendosi però in maniera non omogenea sul territorio: più forte nelle zone a colture intensive e legnose, più debole nelle grandi aree dell’agricoltura estensiva cerealicolo-pastorale. Il cambiamento stentò a manifestarsi nelle aree dell’Italia centrale dove era egemone la presenza della mezzadria. Il contratto, che basava le scelte produttive sulle necessità alimentari della famiglia colonica, dimostrava difficoltà ad adattarsi alle esigenze di un’economia in via di progressiva apertura al mercato. A tale riguardo Marx vide nella mezzadria un sistema di transizione dalla forma della rendita originaria alla rendita capitalistica (Marx, 1964). Marshall e altri riconobbero nella mezzadria una forma di conduzione meno efficiente rispetto ad altre per cui, alla fine, avrebbe ceduto il passo a un più razionale sistema di rendite fisse e lavoro salariato, come è avvenuto. Più recentemente, all’interno di un approccio neo-istituzionalista, la critica marshalliana è stata a sua volta messa in discussione e la razionalità economica dei contratti parziari, che in molti paesi in via di sviluppo continuano a svolgere un ruolo rilevante, è stata giustificata introducendo nei modelli costi di transazione, asimmetrie informative e incompletezza dei mercati (Cecchi, 1991; Otsuka, 2007). Studi di storia economica dell’agricoltura nell’Italia mezzadrile (Ciuffoletti, 1985; Pazzagli, 1979; Gasparo, 1981; Anselmi, 1990) hanno reso evidente la presenza di un processo di trasformazione del sistema mezzadrile definibile una rivoluzione agraria precoce e incompiuta ma dotata di una sua dinamica moderna, riscontrabile nell’innovazione tecnica e agronomica in termini d’incremento produttivo e di investimenti fissi nelle opere fondiarie, nella subordinazione del lavoro colonico alle nuove norme dell’individualismo proprietario e nello sforzo di adeguare la “fattoria” al mercato. Tali innovazioni, seppur combinate alla difesa dei vantaggi sociali connessi alla permanenza del sistema mezzadrile, chiamano in causa particolari rapporti tra la campagna e il complesso reticolo urbano dell’Italia centrale.
Molte leggi hanno modificato consuetudini mezzadrili e usi locali mettendo in discussione il principio della ripartizione a metà dei costi e della produzione che ha subito nel tempo cambiamenti in seguito al variare delle capacità contrattuali dei due contraenti in funzione della maggiore o minore pressione demografica sulla terra. La legge del 15 settembre 1964 n. 756 vietava la possibilità di stipulare nuovi contratti di mezzadria accelerando, contestualmente all’industrializzazione, l’abbandono dei poderi da parte dei mezzadri e l’adeguamento del paesaggio alla meccanizzazione agricola. Infine la legge del 3 maggio 1982 n. 203 prevedeva definitivamente la scelta tra affitto e conduzione in economia su la sola richiesta di una delle due parti1.
La mezzadria è stata per secoli in grado di porre a coltura il territorio e conservarlo in buone condizioni di produttività. Questo studio, a cinquant’anni dalla sua abrogazione, vuole analizzare alcuni caratteri che ancora oggi possono rappresentare “un’eredità positiva” per l’agricoltura e costituire oggetto di riflessione sull’attualità della politica agricola.
Utilizzando una metodologia interpretativa “sistemica”, con riferimento alla mezzadria tra la metà del ‘700 e tutto ‘800 in Italia centrale, ci soffermeremo brevemente su due aspetti. Il primo, in virtù del riconoscimento che l’agricoltura produce beni pubblici ambientali, riguarda la capacità della mezzadria di conciliare la produzione con la conservazione dell’ambiente e del paesaggio (secondo paragrafo). Il secondo, analizzato il processo organizzativo necessario ad armonizzare i fattori produttivi, riguarda i modi attraverso i quali la mezzadria ha manifestato una propria dinamicità in termini d’innovazione tecnologica e integrazione di filiera (la fattoria) in parziale sostituzione dei rapporti con il mercato (terzo paragrafo).
Mezzadria e produzione di beni ambientali
Emilio Sereni (Sereni, 1972), tra i primi economisti e storici dell’agricoltura a studiare il paesaggio agrario italiano, ha lasciato un’ampia monografia sul tema e ha elaborato una definizione sintetica ed efficace. Egli ha scritto: “paesaggio agrario significa quella forma che l’uomo, nel corso ed ai fini delle sue attività produttive agricole, coscientemente e sistematicamente imprime al paesaggio naturale” (Sereni, 1972, pag. 29). Come si può costatare si tratta di una formulazione irreprensibile nella sua essenzialità, ma per i nostri fini di esplorazione più circostanziata è troppo generale e onnicomprensiva. Ad esempio, la “collina mediamente arborata dell’Italia centrale” è certo un paesaggio agrario. In esso non possiamo non scorgere un paesaggio naturale su cui l’uomo agricoltore ha impresso la sua impronta con il proprio lavoro secolare, i propri insediamenti, coltivazioni, strade; tuttavia è qualcosa di meno generico di un paesaggio. Esso è, precisamente, un sistema agrario; cioè una particolare organizzazione dell’habitat agricolo in cui sono rinvenibili rapporti di funzionalità sistematica tra le forme e i modi dell’abitare e l’organizzazione produttiva agricola, fra gli insediamenti e la campagna, fra la casa e il campo. Gli storici hanno individuato tre grandi sistemi agrari che contrassegnano in forme originali il paesaggio agricolo italiano. Questi tre grandi sistemi sono la cascina dell’Italia padana, la mezzadria delle regioni di centro del nostro Paese e il latifondo cerealicolo-pastorale del meridione (Bevilacqua, 1989).
Nell’analisi economico-agraria il “sistema agrario mezzadrile” era dato dal singolo podere isolato in mezzo alla campagna, da una dimora più grande, talora una vera e propria villa che poteva essere l’abitazione permanente o semplicemente estiva del proprietario, dalle fattorie intese come centro servizi, e dai piccoli centri abitati (borghi o villaggi). Nel podere isolato abitava il mezzadro, con la sua famiglia, in conformità a un contratto di durata annuale tacitamente rinnovabile.
L’elemento abitativo caratteristico e più importante era il “podere” costituito da un complesso di terreni da coltivare organizzati unitariamente e da una casa colonica dove abitava la famiglia mezzadrile. Il podere rappresenta quindi una piccola azienda. La famiglia mezzadrile doveva stare sulla terra, anche per curare il territorio - prevalentemente collinare - incanalare le acque piovane, impedire le erosioni del suolo, riparare i terrazzamenti, ecc. Ma le produzioni di cui doveva occuparsi - da dividere a metà, col proprietario - erano anche quelle che dovevano garantirgli l’autosufficienza alimentare. Perciò intorno al podere il paesaggio agrario era dominato dalla presenza contemporanea di più colture realizzate contemporaneamente sulla superficie aziendale da parte del contadino (le rotazioni agrarie): grano, erba medica, ulivi, viti, alberi da frutto, orto, bosco, pascolo, ecc. Una campagna continuamente bisognosa di lavoro, dunque di presenza umana. In questo contesto possiamo parlare di sistema agrario, perché si scorgono i legami funzionali che intercorrono tra le ragioni dell’insediamento, in questo caso il podere, e le logiche e i vincoli della produzione. Questo è “il bel paesaggio” delle colline toscane, umbre e marchigiane così spesso descritto e ammirato, diventato ormai l’emblema del paesaggio agrario italiano.
La mezzadria ha quindi contribuito a modellare il paesaggio della campagna dell’Italia centrale in modo determinante. Le attuali trasformazioni (specializzazione degli oliveti, dei vigneti e dei seminativi in corpi più ampi) con la sostituzione delle vecchie sistemazioni a terrazzamenti o ciglioni con sistemazioni compatibili con le esigenze della moderna meccanizzazione, non hanno impedito la conservazione di alcuni elementi caratteristici del paesaggio, quelli che costituiscono la struttura primaria dello stesso (Baldeschi, 2006), come le varietà tradizionali, le siepi, i filari e viali di confine dei campi, necessariamente più ampi di quelli del passato, cipressi e altri alberi isolati significativi, le strade, l’alternanza di copertura del suolo con vigneti, seminativi e boschi, tutti elementi tipici ereditati dal paesaggio mezzadrile. Nel processo di cambiamento della politica agricola comunitaria emerge con forza e da più parti l’indicazione di promuovere gli interessi della società nel suo insieme, finanziando il settore solo nella misura in cui l’intervento sia connesso al raggiungimento di obiettivi più generali e lasciando le politiche redistributive alle autorità nazionali e regionali. In quest’ottica alcuni autori hanno individuato quattro obiettivi potenziali per il futuro della Pac: “migliorare l’efficienza economica e la competitività, garantire la sicurezza alimentare, modificare la distribuzione del reddito, promuovere la produzione dei beni pubblici. Soltanto l’ultimo di questi obiettivi costituisce però una base sostenibile per la Pac del futuro.” (Anania e altri, 2009, pag. 26).
All’interno di questo quadro emerge una continuità tra il passato “mezzadrile”, il presente e il futuro della nostra agricoltura, costituito dalla produzione di beni pubblici, beni e servizi che hanno valore per la società ma non sono remunerati adeguatamente dal mercato. Ci riferiamo alla protezione dell’ambiente, alla fertilità dei suoli e alla qualità delle acque, alla conservazione della biodiversità e del paesaggio, alla salute delle piante e degli animali e allo sviluppo rurale. (Anania e altri, 2009).
Fattoria: centro organizzativo dei poderi mezzadrili
L’organizzazione della produzione consiste in un processo di coordinazione temporale degli input, delle operazioni colturali e del materiale nel processo al fine di realizzare una combinazione di prodotti da parte di un imprenditore che agisce in base ad un proprio obiettivo produttivo. All’interno del processo produttivo si possono distinguere tre differenti organizzazioni ognuna delle quali realizzata per raggiungere specifici obiettivi:
- l’unità tecnica di produzione (o azienda) rappresenta l’organizzazione produttiva costituita da elementi il cui obiettivo è realizzare tecnicamente un prodotto qualitativamente e quantitativamente definito;
- l’unità gestionale (o impresa) rappresenta l’organizzazione funzionale volta a gestire economicamente la produzione e a permettere la sopravvivenza della stessa impresa;
- l’ambiente operativo rappresenta un apparato relazionale che ha l’obiettivo di predisporre le condizioni di valorizzazione dell’output delle singole imprese. L’ambiente operativo è quindi l’assetto interattivo spaziale (distretto, territorio), temporale (filiera), o tipologico (settore, industria) all’interno del quale sono perseguiti gli interessi delle imprese che vi aderiscono (Romagnoli, 2004).
Le prospettive che nascono dalla precedente sistemazione permettono una sostanziale uniformità d’indagine dell’intero fenomeno produttivo nel suo complesso: infatti, le diverse modalità con cui si analizzano l’azienda, l’impresa e il suo ambiente operativo mettono in evidenza sia un certo numero di pre-requisiti comuni (sistema, organizzazione, cooperazione) sia la centralità dell’impresa per la comprensione dell’intero processo produttivo. Se da un lato l’organizzazione tecnica della produzione (l’azienda) si configura dalle decisioni adottate dall’impresa in termini di conferimento di risorse e di obiettivi produttivi, dall’altro le differenti strutture relazionali con l’ambiente operativo di ogni impresa (che hanno origine dall’attività istituzionale e contrattuale) trasformano la funzione produttiva in risultati economici (Romagnoli, 2004).
Il raggiungimento di una scala efficiente nello svolgimento di alcune attività e funzioni può essere conseguito attraverso forme innovative a livello di organizzazione, mediante coordinamento e collaborazione orizzontale (tra aziende che operano nella stessa fase della filiera) e/o verticale (tra aziende o loro aggregazioni operanti su fasi diverse della filiera). Un’innovazione organizzativa volta alla realizzazione di economie di scala o di specializzazione può essere quindi realizzata attraverso la costituzione di filiere di produzione e reti d’imprese.
Queste considerazioni ci consentono di analizzare meglio il ruolo della fattoria. Spesso, soprattutto in Toscana, il proprietario che concedeva la mezzadria possedeva più poderi nella stessa zona e li amministrava in fattoria. Dai primi dell’800 si assiste a un processo di modernizzazione e di razionalizzazione degli assetti produttivi interni al sistema di fattoria che si evolvono sia sul piano produttivo sia su quello gestionale. In questo periodo la fattoria passa da centro puramente amministrativo a centro di direzione tecnica, di trasformazione e commercializzazione dei prodotti di parte padronale, i quali potevano essere venduti direttamente agli acquirenti in forma aggregata. La fattoria è quindi intesa come centro servizi, dove si trovano collocate le strutture produttive e di servizio necessarie alla gestione e all’organizzazione comune di tutti i poderi. Tra le strutture produttive possiamo ricordare la tinaia e la cantina, il frantoio e l’orciaia necessari per la trasformazione dei prodotti intermedi provenienti dai poderi quali l’uva e le olive, i magazzini per la conservazione dei prodotti (grano, altri cereali, ecc.) e per la conservazione dei fattori produttivi, i locali di falegnameria, l’officina del fabbro e altri ancora. Tra i locali di servizio possiamo ricordare lo scrittoio (l’ufficio del fattore o direttore tecnico della fattoria) e i locali del sottofattore, dei contabili, del guardiacaccia, della fattoressa (amministratrice della villa ma non moglie del fattore affinché tra fattore e fattoressa vi fosse un reciproco controllo) oltre alla cucina, le dispense e le abitazioni di questi dipendenti.
Se è vero che i maggiori rapporti con il mercato si manifestarono principalmente nel sistema agrario della “cascina padana” favorendo uno sviluppo moderno dell’agricoltura di quest’area, è altrettanto vero che il sistema delle ”fattorie” ha in parte compensato la minor integrazione con il mercato attraverso un processo di organizzazione produttiva basato sul funzionamento delle filiere e delle reti d’impresa (Biagioli, 1991).
L’attualità di questa soluzione è documentata dalla politica agricola comunitaria che per aumentare il potere negoziale degli agricoltori, propone un cambiamento di paradigma passando dalla politica dei mercati all’applicazione di strumenti indirizzati al miglioramento delle filiere alimentari. Infatti, la volatilità dei prezzi dei beni agricoli e l’aumento della forbice tra prezzi alla produzione e quelli al consumo, sono due fenomeni che hanno caratterizzato l’agricoltura europea in questi ultimi anni e sui quali la politica agricola ha posto particolare attenzione. Le scelte della Commissione per la soluzione di questi problemi sono state diverse rispetto al passato. Invece di promuovere interventi di sostegno dei mercati agricoli, ha potenziato strumenti già presenti e ne ha proposti di nuovi, indirizzati alla stabilizzazione dei prezzi e al miglioramento delle relazioni di filiera. Ci riferiamo alle: organizzazioni dei produttori; organizzazioni professionali; relazioni contrattuali; gestione del rischio; trasparenza di mercato e filiera corta (Frascarelli, 2012).
Conclusioni
Lungo un periodo di mille anni la mezzadria è nata, si è affermata ed è morta. Tuttavia buona parte del paesaggio agrario dell’Italia centrale è stato determinato dalle strutture produttive mezzadrili: il podere e la fattoria. Il podere ha modellato il territorio collinare in molti sistemi integrati attraverso la combinazione di differenti colture e sistemazioni idraulico-agrarie, stabilendo un rapporto funzionale tra casa e terra coltivata, generando un assetto dotato di stabilità e sicurezza tra territorio e produzione. La fattoria ha svolto funzioni d’integrazione applicando forme (semplici) di coordinamento di filiera e reti d’impresa. Non è poco per una forma di conduzione definita residuo feudale, tanto più che queste stesse funzioni di produzione di beni pubblici e integrazione di filiera costituiscono obiettivi per il futuro della Pac.
Riferimenti bibliografici
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- 1. La mezzadria e i contratti simili sono regolati dagli artt. 2141 e ss. del codice civile. La legge 15 settembre 1964, n. 756, vieta però, dal 23 settembre 1974, la stipulazione di nuovi contratti di mezzadria, colonia parziaria o soccida, mentre la legge 3 maggio 1982, n. 203, prevedeva la conversione di quelli esistenti in contratti di affitto a coltivatore diretto, in seguito alla richiesta di una sola delle parti.