Il processo di modernizzazione che ha interessato l’agricoltura italiana a partire dal secondo dopoguerra ha portato a molti e profondi cambiamenti. Negli anni ’60 l’agricoltura italiana poteva essere ancora descritta in termini di dualismo strutturale con le piccole aziende contadine contrapposte alle grandi di tipo capitalistico (Fabiani, 1979; Bonanno, 1989). Già negli anni ’80 la lettura di tipo dualistico cominciava a perdere efficacia nel descrivere la realtà agricola nazionale a causa dell’affermarsi dell’agricoltura imprenditoriale (Van der Ploeg, 2008). Nel lessico di analisti e politiche veniva mano a mano eliminata l’azienda contadina, espressione di un modo di produrre ritenuto antico e arretrato, progressivamente rimpiazzata dall’impresa agricola vista come il luogo in cui si proponeva un modo di produrre moderno e innovativo, quindi al passo con i cambiamenti che si andavano realizzando nel resto della società. La moderna impresa agricola, anche se di piccole dimensioni, ambiva ad usare le innovative tecnologie una volta accessibili solo alle grandi aziende capitalistiche e, visto che le moderne tecnologie sono spesso pensate per le grandi scale, il piccolo imprenditore era obbligato ad imboccare un percorso di crescita e di adattamento strutturale che alla fine, come hanno elegantemente ed efficacemente dimostrato De Benedictis e Cosentino già all’inizio degli anni ’80, porta alla crescita delle piccole aziende e alla omogeneizzazione dei loro comportamenti rispetto a quelli delle grandi (De Benedictis e Cosentino, 1982).
Il fascino della modernizzazione insieme con l’ingente sostegno che le politiche agricole hanno ad essa accordato hanno contribuito a far diffondere rapidamente la nuova logica imprenditoriale all’interno del settore agricolo che si è così incamminato lungo un percorso di sviluppo segnato da crescita dimensionale, specializzazione e intensificazione, ma anche dalla perdita dell’autonomia finanziaria e, più in generale, decisionale proprie della logica contadina. Un ulteriore cambiamento si è fatto strada nel tempo, l’imprenditore agricolo, che come ogni altro buon imprenditore cerca di ottenere il massimo dalle risorse a propria disposizione; conseguentemente, la produzione stessa progressivamente si sposta dai prodotti alimentari tradizionali dapprima verso nuove colture non alimentari (le non food nel lessico degli anni ’80), fino ad arrivare in epoche più recenti al crescente uso della terra per la produzione di servizi (ricreativi, educativi, sociali, ecc.) oltre che prodotti sempre più distanti da quelli agricoli (energia solare o eolica).
Questi cambiamenti non riguardano solo il settore agricolo, piuttosto si propagano nella società. Poche grandi aziende che impiegano poco lavoro e molta tecnologia significano infatti poche persone che popolano le campagne , elevata pressione sull’ambiente, scarsa attenzione alla conservazione delle risorse naturali, prodotti alimentari sempre più standardizzati e sempre meno freschi perché fatti lontano dai luoghi di consumo finale. E’ in questo contesto che si sono fatte strada le crescenti richieste da parte dei consumatori per cibo sano prodotto in campagne sane. La ricerca di risposte a tali domande sta dando vita a delle nicchie di innovazione le cui ricadute stanno interessando tutto il sistema alimentare.
In questo numero di Agriregionieuropa sono presentati i risultati di alcune ricerche che permettono di cogliere la dimensione, la pervasività e le conseguenze di alcuni dei fenomeni che stanno caratterizzando la vita di alcune di queste nicchie innovative. Un primo gruppo di lavori rappresenta il risultato del progetto finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca, Prin 2008, dal titolo “Strategie innovative dei produttori agricoli tra sicurezza e sovranità alimentare”. Il contributo di Corrado testimonia come il distretto di economia solidale Rurale Parco Agricolo Sud Milano stia perseguendo la sovranità alimentare locale, ovvero la soddisfazione dei bisogni alimentari e di riproduzione di un’ampia area metropolitana. Tale obiettivo, evidenzia l’articolo, richiede la ricostruzione del rapporto città-campagna, progressivamente compromesso dallo sviluppo agro-industriale, che sta implicando importanti trasformazioni nei modi di produrre e distribuire il prodotto alimentare. L’articolo di Rossi e altri mostra come i movimenti sociali che si stanno sviluppando attorno al tema del cibo stiano progressivamente coinvolgendo un numero crescente di attori della società civile, del mondo della produzione e delle istituzioni e, al contempo, come stiano assumendo un ruolo centrale nella promozione e realizzazione di processi di innovazione orientati ad obiettivi di sostenibilità. Il contributo di Di Iacovo e altri parte dal riconoscimento di questo ruolo per dimostrare come in un ambiente che loro stessi definiscono “ricco di iniziative” sia possibile pianificare un intervento pubblico centrato sul cibo e che incentivi i processi di innovazione sociale attualmente in nuce. Un secondo gruppo di articoli mette in evidenza come, mano a mano che ci si sposta verso Sud, il processo di innovazione sociale innescato dalle nuove istanze della domanda di cibo stia procedendo ad un passo più lento e assuma attributi diversi da quelli osservati nel Centro-Nord. In particolare, l’articolo di Fonte mette in evidenza lo scetticismo degli agricoltori circa la capacità di rafforzare le reti e costruire distretti di economia solidale e, quindi, la presenza di un ambiente ancora non in grado di promuovere e sostenere queste iniziative innovative. Sivini documenta la diffusione anche al Sud della presenza di consumatori e produttori critici, mentre Vitale mette in evidenza come in Sicilia il processo di transizione sia promosso da iniziative avviate principalmente dai produttori critici che operano all’interno di reti estese e politicizzate in luogo di quelle locali create al Nord. Infine, il contributo di Carrosio evidenzia le nuove problematiche relative ai rapporti tra cibo e produzione di bio-energia. Particolare attenzione viene posta sulle conseguenze in termini di cambiamento d’uso della terra e sulle conseguenze ambientali ed economiche delle nuove produzioni bio-ergetiche.
La filiera corta rappresenta tra le iniziative promosse nelle nicchie di innovazione di consumatori e produttori critici quella di maggiore successo e che in breve tempo è riuscita a contaminare ampi strati del sistema agroalimentare dando vita ad una traiettoria socio-tecnico-economica alternativa a quella dominante basata sulla concentrazione della commercializzazione in strutture di grandi dimensioni. Gli articoli di Marino e altri e di Galasso ben documentano come questa nuova traiettoria si stia affermando a livello territoriale anche al di fuori delle nicchie dei consumatori critici e quali modalità stia assumendo per adattarsi ai diversi contesti socio-economici in cui si inserisce. L’interesse per la filiera corta anche al di fuori dei circuiti critici viene ulteriormente testimoniato dal lavoro di Chiorri e altri. Il contributo di Belletti e altri mostra come la filiera corta possa contribuire alla riuscita del recupero di razze autoctone animali marginalizzate dal sistema agroalimentare dominante. Infine, l’articolo Triantafyllidis e Ortolani si concentra sui Sistemi Partecipativi di Garanzia la cui adozione potrebbe garantire un’ulteriore espansione dell’agricoltura biologica soprattutto in quegli ambiti in cui si è già realizzato un riavvicinamento tra produttori e consumatori.
Riferimenti bibliografici
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Bonanno A. (1989), Agriculture and dualistic development: The case of Italy. Human Values. Winter–Spring, 1989, Volume 6, Issue 1-2, pp 91-100
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De Benedictis M., Cosentino V. (1982), Economia dell'azienda agraria. Teoria e metodi. Il Mulino
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Van der Ploeg J.D. (2008), The New Peasantries, Earthscan, London
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Fabiani G. (1979), L'Agricoltura Italiana tra Sviluppo e Crisi. Bologna: I1 Mulino