Condizionalità e direttiva nitrati: economia ecologica o gabbia burocratica?

Condizionalità e direttiva nitrati: economia ecologica o gabbia burocratica?
a Università di Pisa, Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali

Introduzione

Introdotta con il Reg. Ce. 1782/03, la condizionalità rappresenta uno degli strumenti principali con cui l’Unione Europea ha proceduto all’inclusione delle tematiche ambientali a livello di politica agricola comunitaria. Il principio su cui si basa lo strumento è che il sostegno finanziario di cui gli agricoltori godono è un corrispettivo dei servizi ambientali che naturalmente l’agricoltura fornisce, atteso che le pratiche agricole rispettino la legislazione esistente e le norme di “buona pratica”. Nell’applicazione di questo principio, l’Unione europea dispone di uno strumento in più per assicurare in tutti gli stati membri l’applicazione di varie Direttive già presenti non solo in materia di ambiente, ma anche di conservazione della natura, di sanità e benessere animale e di sicurezza alimentare.
In particolare, il Regolamento 1782/03 stabilisce i principali requisiti applicabili ai regimi di pagamento diretto mentre il successivo Regolamento della Commissione 796/04 stabilisce i provvedimenti di attuazione e modulazione e definisce un sistema integrato di gestione e controllo; in definitiva, tutti gli agricoltori beneficiari di pagamenti sono tenuti al rispetto di Criteri di Gestione Obbligatori (CGO) e Buone Condizioni Agronomiche e Ambientali (BCAA) a prescindere dall’indirizzo produttivo.
I CGO inseriti nella condizionalità sono basati su 18 atti comunitari in materia di sanità pubblica, animale e vegetale, di ambiente e benessere animale; cinque di questi atti sono relativi alla protezione dell’ambiente. Il presente articolo si propone di analizzare le principali implicazioni dell’applicazione della condizionalità, concentrando l’attenzione sulla direttiva 676/91, più nota come ‘direttiva nitrati’. La sua inclusione all’interno dei CGO, il cui controllo da parte degli organi preposti dà luogo, in caso di inadempienze, alla decurtazione degli aiuti PAC, ha reso ancora più urgente la necessità di adeguamento dello Stato italiano a tale normativa, che ha avuto un percorso piuttosto accidentato.
Anche se al momento l’impasse normativa può considerarsi risolta, riteniamo necessaria una riflessione sulla sua implementazione e in particolare sui fattori che possono ostacolare o facilitare il pieno rispetto di tali norme. E’ noto, infatti, che in generale si è più predisposti a rispettare un insieme di regole quando si ritiene che siano appropriate e giuste; per superare un alto livello di trasgressione delle regole in questione (Devis, Hodge, 2006) i soli controlli tecnico-amministrativi non solo potrebbero non essere sufficienti, ma potrebbero minare alla base la motivazione e la potenzialità delle imprese agricole di adottare sentieri di sviluppo virtuosi.

La direttiva nitrati: una breve sintesi dell’evoluzione legislativa

Il problema dell’inquinamento delle acque superficiali e sotterranee provocato da nitrati è all’attenzione della Comunità europea sin dagli anni ’70 del secolo scorso; il Consiglio della allora Cee aveva fissato il limite alla presenza di nitrati nelle acque a 50 mg/l con la direttiva 440/75 (Qualità delle acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile negli Stati Membri). Visto l’aggravamento della problematica, nel quarto Programma d’Azione delle Comunità Europee in materia ambientale, viene presentata una proposta di direttiva sul controllo e sulla riduzione dell’inquinamento idrico risultante dallo spandimento e dallo scarico di deiezioni del bestiame o dall’uso eccessivo dei fertilizzanti, pratiche ritenute le principali responsabili di questo tipo di contaminazione: da questa proposta nasce la direttiva 676/91, relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento da nitrati provenienti da fonti agricole.
La direttiva imponeva agli Stati membri la designazione, entro due anni dall’entrata in vigore, delle Zone Vulnerabili note all’interno del loro territorio, prevedendo un riesame periodico di tali aree almeno ogni quattro anni. Al fine di stabilire un livello di protezione generale per tutti i tipi di acque, sempre entro due anni dall’entrata in vigore della direttiva, si dovevano predisporre uno o più Codici di Buona Pratica Agricola ed, eventualmente, programmi comprensivi di disposizioni per la formazione e l’informazione degli agricoltori.
Entro due anni dalla prima designazione, gli Stati membri dovevano fissare dei Programmi d’Azione per le Zone Vulnerabili, da attuare entro quattro anni dalla loro fissazione. Inoltre è stato fissato a 170 kg/ha il quantitativo massimo di azoto da effluenti distribuibile sui terreni e sono state date indicazioni sulle modalità di determinazione della quantità massima di fertilizzante da distribuire sulla base del bilancio dell’azoto. La direttiva è stata recepita in Italia mediante la Legge 146 del 22 febbraio 1994 (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'ltalia alle Comunità Europee). L’Italia non ha dato seguito immediato a queste disposizioni ed è stata destinataria di un’accusa di inadempienza formulata dalla Corte di Giustizia del Lussemburgo su richiesta della Commissione.
Alcune lacune sono state in parte colmate con il DM del 19 aprile 1999 che segna l’approvazione del Codice di Buona Pratica Agricola (1) previsto dalla direttiva. Il successivo Decreto Legislativo 11 maggio 1999 n. 152 (Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 676/91 relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento da nitrati provenienti da fonti agricole) (2) sancisce la prima individuazione delle Zone Vulnerabili ai nitrati sul territorio italiano, attribuendo facoltà alle Regioni di individuarne di ulteriori; è inoltre conferito alle Regioni il compito di predisporre, entro un anno dall’entrata in vigore del suddetto decreto, Programmi d’Azione obbligatori basati sulle indicazioni del Codice da attuare all’interno delle Zone Vulnerabili individuate.
Tali Programmi dovevano essere rivisti almeno una volta ogni quattro anni, così come la designazione stessa delle Zone Vulnerabili. Ancora una volta l’Italia non ha dato seguito alle prescrizioni, inadempienza che comporta una condanna da parte della Corte di Giustizia Europea alla fine del 2001, dovuta al fatto che le istituzioni nazionali e regionali non hanno applicato correttamente la direttiva. Nel 2002, inoltre, la Commissione europea ha sottolineato che tra le possibili conseguenze di un’ulteriore posticipazione nell’attuazione della direttiva nitrati avrebbe potuto esserci la sospensione dei pagamenti relativi allo sviluppo rurale nelle Regioni inadempienti (Zolin, 2006).
Conseguentemente, alcune Regioni italiane hanno proceduto alla delimitazione delle aree vulnerabili e alla predisposizione dei Programmi di Azione, contestati nuovamente dalla Commissione europea; nel 2006 è stata aperta una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia per non aver individuato e designato le Zone Vulnerabili o per averle indicate di insufficiente estensione e per non aver adottato Programmi d’Azione sufficientemente vincolanti per gli agricoltori.
Con il DL 7 aprile 2006 n. 152 (Norme in materia ambientale) (3), vengono riviste le Zone Vulnerabili e si impone alle Regioni di definire o di rivedere, se già posti in essere, i Programmi d’Azione entro un anno dall’entrata in vigore dello stesso decreto; in questo modo viene data attuazione alla direttiva nitrati.

L’implementazione della normativa in Toscana: come gestire l’adeguamento?

La Regione Toscana si è adeguata al D.L. 152/06 e di conseguenza alla direttiva nitrati con il Decreto del Presidente della Giunta regionale del 13 luglio 2006 n. 32/R (Regolamento recante definizione del Programma d’azione obbligatorio per le zone vulnerabili) (4). Il Programma d’Azione è in vigore dal primo marzo 2007 ed è stato recentemente modificato con il DPGR 21 aprile 2008 n. 17/R (modifiche al regolamento emanato con decreto del Presidente della Giunta Regionale 13 luglio 2006 n. 32/R)(5).
L’applicazione del Regolamento risulta essere gravosa in modo particolare per il settore zootecnico, per il quale è prevista una serie di adeguamenti strutturali, talvolta di notevole rilevanza economica, e a carico del quale è anche la maggior parte degli adempimenti burocratici e amministrativi (comunicazione di spandimento e piano di utilizzazione agronomica degli effluenti). All’interno di Zone Vulnerabili dove l’attività zootecnica non è presente o lo è in modo sporadico, il settore più coinvolto è quello dei seminativi, specialmente quello delle imprese ad indirizzo orticolo, per le quali le problematiche maggiori riguardano, oltre agli adempimenti amministrativi, l’epoca e le dosi di concime applicabili alle colture (divieto di concimazione durante il periodo invernale, dosi di concime calcolate in base al bilancio dell’azoto).
Riconoscendo la complessità del Programma d’Azione e le difficoltà connesse alla relativa entrata in vigore, l’ARSIA (Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione in Agricoltura), per informare gli agricoltori in merito alla direttiva, ha organizzato una serie di seminari che hanno visto coinvolte la Regione Toscana , che ha emanato il Regolamento, l’ARTEA, come ente preposto ai controlli e il mondo della ricerca (Università di Pisa) a diretto confronto con i soggetti tenuti al rispetto della direttiva e della condizionalità.
Il dibattito negli incontri è stato piuttosto vivace, anche se la partecipazione delle aziende non è stata molto alta: questo denota una lontananza dalle fonti di informazione da parte di molte aziende, specialmente quelle di piccole dimensioni oppure hobbistiche, che risultano difficili da raggiungere anche per poter svolgere azioni di divulgazione come i seminari organizzati dall’Arsia, concepiti tra l’altro con l’intento di provare a far comprendere una serie di norme talvolta troppo “avanzate” rispetto al livello medio di imprenditoria delle aziende che operano nelle Zone Vulnerabili.
In generale, il mondo agricolo si è lamentato per un generale senso di vessazione, inteso come obbligo imposto al rispetto di una pioggia di norme di cui gli agricoltori tra l’altro sono venuti a conoscenza solo in tempi recenti (dopo l’entrata in vigore dei requisiti di condizionalità obbligatori appunto) e che sono state imposte loro come conditio sine qua non da rispettare, pena altrimenti la riduzione del contributo, senza avere il tempo di comprenderne e assimilarne l’importanza. Questa sensazione deriva anche da una diffusa sfiducia nel sistema pubblico che molto spesso non coinvolge gli attori in fase decisionale e che, presentandosi in un’ottica di imposizione e controllo, contribuisce ad alimentare il senso di vessazione che investe il mondo agricolo.
Un altro aspetto che è stato affrontato durante gli incontri è quello dei controlli che Artea, l’ente preposto all’erogazione dei contributi della Regione Toscana, svolge per verificare il rispetto della condizionalità e quindi della direttiva nitrati: i controlli si basano su una check list costruita in base alle prescrizioni del Programma d’Azione. Ad oggi, l’Ente ha svolto alcuni controlli in merito al rispetto dei requisiti di condizionalità.
Oltre che con gli agricoltori l’Agenzia ha organizzato degli incontri con i tecnici delle associazioni di categoria e con agronomi liberi professionisti: anche i servizi di supporto e di assistenza tecnica d’altro canto inizialmente si sono trovati in difficoltà nell’imporre l’applicazione di norme non semplici ed immediate dal punto di vista tecnico e nell’interfacciarsi con le aziende per far comprendere e accettare dei vincoli ritenuti talvolta anacronistici rispetto alla situazione odierna dell’agricoltura (la direttiva nitrati risale al 1991 ed è stata applicata dalla Regione Toscana nel 2006). Il principale problema tecnico è relativo alla predisposizione del piano di concimazione per ogni coltura facendo riferimento al bilancio dell’azoto; sostanziale difficoltà è risultata quella di far coincidere le esigenze della coltura con le epoche in cui è concesso concimare e con la dose di concime risultante dall’applicazione della formula del bilancio. Il sentimento comune è che, in base al Regolamento e ai dati tecnici in esso contenuti, non sia possibile fertilizzare le colture in modo adeguato e quindi ottenere rese tali da derivarne un ricavo soddisfacente.
Occorre ulteriormente sottolineare che le difficoltà connesse con l’applicazione della direttiva sono condivise anche dalle istituzioni e dalle strutture di supporto tecnico; sia l’Agenzia che le associazioni di categoria hanno, infatti, prodotto del materiale divulgativo (brochure, brevi vademecum) contenente soprattutto indicazioni riguardo ai divieti ed agli adempimenti burocratici, ritenuti i principali elementi di criticità. Nonostante l’impegno comunque dimostrato anche da parte istituzionale, il livello di accettazione delle norme continua ad essere molto basso; questo sostanzialmente perché, generalmente, è fortemente presente tra gli agricoltori che operano all’interno di una Zona Vulnerabile la convinzione diffusa di non essere i maggiori responsabili dell’inquinamento da nitrati, aspetto non trascurabile nel determinare l’accettazione dei divieti e delle pratiche agronomiche da rispettare.

La direttiva nitrati vista dagli agricoltori: alcune considerazioni

I primi passi dell’implementazione dei piani di azione in Toscana mostrano come la loro efficacia sia fortemente dipendente: a) dal livello di accettazione delle norme da parte dei produttori, e che in assenza di una tale accettazione un’applicazione basata soltanto sui controlli potrebbe rivelarsi costosa e alla fine inefficace; b) da un atteggiamento della pubblica amministrazione volto a concepire le norme agro-ambientali come parte di un più completo meccanismo di innovazione tecnico-organizzativa, piuttosto che come adempimento burocratico.
Brunori et al. (2001), riferendosi alle norme agro-ambientali volontarie, sottolineano come una efficace implementazione abbia bisogno di un adeguato modello teorico in grado di comprendere le risposte degli agricoltori in funzione delle caratteristiche individuali e del contesto in cui operano.
Wilson (Wilson, 1996; Wilson, 1997) ha studiato i fattori che potevano influenzare la partecipazione degli agricoltori in schemi agro ambientali volontari (Environmentally Sensitive Areas ad esempio) ed è emerso che età, educazione, anni di residenza nella stessa zona e presenza di habitat seminaturali all’interno dei confini aziendali possono influenzare la disponibilità degli agricoltori a partecipare alla misura. Studi analoghi svolti in Belgio (Valsenbrouck et al., 2002) confermano questi dati osservando in particolare una maggiore sensibilità nei confronti di questo tipo di tematiche tra agricoltori giovani con un elevato titolo di studio; altri fattori determinanti in questo tipo di scelte sono risultati essere l’esperienza pregressa di adesione a misure agro ambientali, nonché la vicinanza ad aziende che aderiscono ad una misura di questo tipo. Questo ultimo aspetto in particolare è molto significativo: i rapporti con le aziende vicine e le opinioni dei titolari riguardo alle tematiche ambientali si sono dimostrate avere un effetto rilevante sulla volontà ad aderire o meno ad una misura agro ambientale (Defrancesco et al., 2007).
Considerando in modo più specifico il caso dell’inquinamento da nitrati e quindi non una adesione volontaria ad una misura ma una norma cogente, da un’indagine condotta tra agricoltori residenti e operanti all’interno di una Zona Vulnerabile della Scozia è emerso che essi non ritengono di essere responsabili dei problemi relativi alla qualità delle acque; tendono, infatti, a considerare loro stessi in primo luogo produttori di generi alimentari e l’eventuale consapevolezza in termini di responsabilità ambientale è generalmente subordinata agli aspetti produttivi. Questo anche perché si riscontra difficoltà ad avere una percezione delle conseguenze del proprio operato al di fuori dei confini della singola azienda (Macgregor, Warren, 2005).
La stessa linea di pensiero è emersa anche tra gli agricoltori di una Zona Vulnerabile ai nitrati della Spagna, Campo de Dalìas: si è riscontrata una generale reticenza ad ammettere che le pratiche agricole che vengono attuate possano avere un effetto dannoso sull’ambiente e, inoltre, il fatto che praticamente tutte le aziende siano seguite da servizi di assistenza tecnica porta gli agricoltori a pensare di agire nel migliore dei modi possibile. Questo pensiero è generalmente più diffuso tra gli agricoltori più anziani, mentre tra i giovani si riscontra una maggiore predisposizione al cambiamento (Palacios, 1998).
La visione degli agricoltori quindi, nei confronti dell’inquinamento da nitrati soprattutto in termini di responsabilità connessa con l’attività svolta, sicuramente può influenzare la corretta applicazione della direttiva. Si deve comunque ulteriormente sottolineare che la disponibilità ad adottare pratiche agricole eco-compatibili generalmente viene subordinata all’aspetto produttivistico; gli agricoltori non accettano di essere considerati una sorta di “giardinieri” dell’ambiente, in quanto ritengono che il loro principale compito sia produrre beni alimentari. Tra gli agricoltori della Regione Marche, ad esempio, si avverte la volontà di svolgere un ruolo “positivo” per la società in questi termini, ma allo stesso tempo ritengono che ci sia una generale prevenzione nei loro confronti (Arzeni et al., 2004); per questo si potrebbe essere portati a pensare che l’attitudine degli agricoltori ad adottare pratiche agricole eco-compatibili possa dipendere più da pressioni derivanti dall’opinione pubblica e dalla società in genere che da una reale e consapevole preoccupazione per l’ambiente (Michael-Guillou, Moser, 2006).
In sintesi, tra i fattori che influenzano l’adeguamento alle norme da parte degli agricoltori rientrano il livello di educazione degli attori, le reti sociali in cui sono inseriti, i livelli di conoscenza delle norme stesse, la sensibilità nei confronti dell’ambiente; da parte delle istituzioni sono invece cruciali l’adeguatezza delle norme al contesto produttivo e ambientale, la coerenza delle iniziative di formazione e informazione, la presenza e l’efficacia delle reti di supporto tecnico.

Considerazioni conclusive

Nell’analizzare i livelli di consapevolezza e la sensibilità ambientale degli agricoltori nel caso specifico della direttiva nitrati non si può prescindere dal fatto che rimane comunque un CGO e che quindi la corretta applicazione della norma deve sussistere a prescindere dalla presenza o meno di una coscienza “ecologista” nell’agricoltore; ma la questione dell’approccio da adottare per far sì che una norma “complessa” dal punto di vista tecnico come la direttiva nitrati non venga vista come l’ennesima imposizione, dovrebbe spingere a riflessioni più ampie che considerino, oltre che le pratiche agricole e lo stato delle risorse ambientali, anche i processi sociali, la base socio-culturale locale e il contesto delle istituzioni che potrebbero condizionare il comportamento delle persone che gestiscono l’agricoltura.
Le pratiche agricole possono cambiare nella direzione di una maggiore eco-compatibilità solo se: a) gli agricoltori, e il sistema di conoscenze all’interno di cui sono inseriti, sono consapevoli dell’esistenza delle norme; b) se vi è una reale comprensione delle implicazioni pratiche delle norme tecniche; c) se questa comprensione stimola comportamenti di aggiustamento che tendono ad ottimizzare i processi produttivi e l’organizzazione aziendale intorno ai vincoli esistenti; d) se le condizioni interne ed esterne garantiscono il passaggio dalla motivazione all’azione.
In quest’ottica, diviene fondamentale rafforzare la rete di supporto e divulgazione per gli agricoltori; la promozione di servizi di assistenza tecnica mirati al problema specifico, come ad esempio il Nutrient Management Support Service olandese (Klerkx et al., 2006), potrebbe contribuire a ricreare un legame tra agricoltori e servizi pubblici, oltre che facilitare l’applicazione delle norme tecniche, anche se proprio l’esperienza olandese dimostra che la presenza di servizi ad hoc non è sufficiente se non vi sono specifiche iniziative volte a vincolare eticamente i produttori al rispetto dell’ambiente. A questo proposito l’audit aziendale previsto nell’ambito della PAC può rappresentare un’occasione importante, sempre che i consulenti aziendali sappiano incorporare nelle proprie strategie di intervento la consapevolezza della necessità di un coinvolgimento attivo degli agricoltori nella ricerca di soluzioni appropriate al problema ambientale.
In questo contesto potrebbero prospettarsi delle opportunità importanti anche per il mondo della ricerca: l’esperienza dei seminari ARSIA ha dimostrato come la ricerca scientifica possa interporsi nel processo di apprendimento delle norme ambientali svincolandosi dal ruolo di supporto tecnico-scientifico ai processi decisionali e provando ad interfacciarsi con gli attori coinvolti in tali processi. Se i ricercatori potessero andare oltre al tradizionale approccio alla ricerca di tipo top down (Bouma et al., 2008) e al classico modello di trasferimento della conoscenza di tipo unidirezionale (Steyaert, Jiggins, 2007), si potrebbero creare dei processi di apprendimento condivisi, insieme ai soggetti coinvolti nel sistema delle norme ambientali, per impostare e implementare una concreta ed efficace gestione sostenibile delle risorse (Collins et al., 2007).

Note

(1) Vedi [link]
(2) Vedi [link]
(3) Vedi [link]
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(5) Vedi [pdf]

Riferimenti bibliografici

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