L’impatto della globalizzazione asimmetrica sull’agricoltura dei PVS

L’impatto della globalizzazione asimmetrica sull’agricoltura dei PVS
a Università di Firenze, Dipatimento di Scienze per l'Economia e per l'Impresa

Introduzione

“Is globalization killing India’s cotton farmers?” si chiedeva l’Economist dello scorso 18 gennaio, analizzando l’inquietante fenomeno dei suicidi da parte di agricoltori nella regione di Vidarbha – il “cotton bowl” indiano (nel nord-est dello stato di Maharashtra) – che a metà febbraio aveva raggiunto le 1.377 vittime da giugno 2005 (Infochange, 2007). La rapida analisi metteva in evidenza come i suicidi fossero da attribuire ad una serie di concause, “nessuna delle quali [concludeva l’articolo] dipendente dalla globalizzazione”. In realtà, pur non escludendo che alcune delle determinanti dei suicidi siano da ricercare in cause interne al paese, ci sembra che la conclusione dell’Economist sia piuttosto semplicistica e, tutto sommato, frettolosamente assolutoria nei confronti della globalizzazione.
In effetti, alcuni recenti contributi (cfr. Yotopoulos e Romano, 2007) mettono in evidenza come gli effetti della globalizzazione sui diversi paesi siano asimmetrici, nel senso che essi sono sistematicamente sfavorevoli per i paesi poveri e, al loro interno, per gli strati più poveri della popolazione. Con questo articolo vorremmo provare a proporre all’attenzione del lettore i principali argomenti al riguardo, spiegando perché esistono delle asimmetrie nella globalizzazione e quali sono le conseguenze per l’agricoltura dei paesi in via di sviluppo (PVS). 

Le asimmetrie della globalizzazione

Le cause che determinano effetti asimmetrici nella globalizzazione, generalmente avversi ai PVS, sono riconducibili alle diversità nella dotazione infrastrutturale e istituzionale, al cambiamento della composizione del commercio internazionale e alla liberalizzazione dei mercati dei capitali in presenza di valute forti e deboli.

Le asimmetrie nella dotazione infrastrutturale e istituzionale

Globalizzazione significa soprattutto estensione e approfondimento dei mercati. È ovvio perciò che, per poter cogliere le opportunità offerte da tali mercati, bisogna avere a disposizione infrastrutture materiali (strade, ferrovie, porti), immateriali (reti di telecomunicazioni, sistemi di istruzione e formazione professionale) e istituzioni economiche (mercati del credito e delle assicurazioni, borse merci e valori, ecc.)(1) . Purtroppo, i PVS partono svantaggiati nella competizione globale, dato che generalmente la mancanza di istituzioni e infrastrutture è direttamente proporzionale al livello di povertà.

Il commercio in servizi e beni “demercificati”

Uno dei cambiamenti strutturali che più colpisce negli anni della globalizzazione è la crescita del volume del commercio e il cambiamento della sua composizione. Ad esempio, il peso dei servizi nel commercio internazionale è quadruplicato in termini assoluti nel ventennio che va dalla metà degli anni ’80 ad oggi, passando dal 16% al 20% del valore delle esportazioni . Ancora più interessante è il fatto che non soltanto la quota di servizi è aumentata, ma sta rapidamente aumentando anche il commercio di quelli che Yotopoulos (2007) definisce beni “demercificati” (decommodified), cioè di tutto quell’insieme di beni differenziati qualitativamente, cui può essere assegnata una differente (superiore) reputazione e da cui, in ultima analisi, deriva la possibilità di sfruttamento di rendite economiche dovute alla segmentazione dei mercati e alla protezione dei diritti di proprietà intellettuali a livello mondiale.
Il passaggio da un commercio internazionale basato principalmente su merci indifferenziate (commodities) a beni demercificati implica il passaggio da un commercio basato sui vantaggi comparati, ad uno basato sulla reputazione dei beni scambiati. In questo quadro, pur continuando ad operare ambedue le determinanti (costi di produzione e qualità dei beni), la competizione si sposta sempre più verso una competizione basata sulla qualità (reale e/o percepita) anziché sui costi di produzione delle merci. È evidente come i PVS siano svantaggiati in tale tipo di competizione. I paesi sviluppati sono, infatti, meglio attrezzati dei PVS, disponendo non solo di migliori infrastrutture e istituzioni, ma anche del capitale umano e delle risorse (ad esempio, per la pubblicità) necessarie per la creazione, il sostegno e la difesa di un logo globale.

La diversa reputazione delle valute e la sostituzione valutaria

Tutte le valute sono utilizzate a scopo transazionale, cioè per effettuare scambi nel mercato. Solo alcune, invece, sono richieste a fini precauzionali, cioè come riserva di valore. In quest’ultimo caso la reputazione di una data valuta diventa un fattore discriminante. In un contesto di mercati valutari caratterizzati da liberi movimenti dei capitali finanziari, i differenziali di reputazione che favoriscono l’accumulazione di valuta di riserva si traducono operativamente in un processo di sostituzione valutaria della valuta meno reputata (debole) con quella più reputata (di riserva) (Yotopoulos, 1996).
Anche in questo caso i PVS sono svantaggiati rispetto ai paesi sviluppati, possedendo valute che sono generalmente meno forti. La valuta del PVS sarà sicuramente danneggiata nel caso in cui la svalutazione avvenga non in risposta a cambiamenti nella bilancia delle partite correnti, ma in conseguenza della sua sostituzione valutaria con la valuta di riserva. Infatti, per gli agenti, questo tipo di svalutazione rappresenta una conferma della capacità della valuta di riserva di conservare il proprio potere d’acquisto e, quindi, le loro aspettative si auto-realizzeranno in un processo senza fine. Questo è un caso paradigmatico di “cattiva competizione” in cui tutti, dal gestore di capitali speculativi al semplice cittadino di un PVS, possono scommettere e vincere senza alcun rischio sulla svalutazione futura della valuta del PVS (3).

Dalla competizione tradizionale alla competizione posizionale

Una caratteristica comune degli scambi di merci e valute nel contesto della globalizzazione è che servizi, beni demercificati e valute sono tutti “beni posizionali”, cioè beni cui è associato un differente livello di reputazione, tale che i beni possono essere ordinati su una scala che va da quello maggiormente reputato a quello meno reputato. Se la reputazione è una caratteristica importante di beni e valute, è chiaro che questo trasforma il commercio internazionale da una competizione di tipo tradizionale, in una competizione posizionale.
La competizione posizionale è generalmente molto più dura di quella tradizionale, basata su beni privati (Pagano, 2007). Infatti, nella competizione tradizionale, se gli agenti economici riescono ad essere più efficienti, possono poi consumare più beni privati (e pubblici) e, quindi, migliorare il proprio benessere. Lo stesso non può dirsi per i beni posizionali, per i quali se tutti gli agenti si sforzano di essere più efficienti, la posizione dei beni sull’ordinamento potrebbe non cambiare affatto. Ciò dimostra quanto sia difficile, per chi parte da una posizione svantaggiata nella scala reputazionale, riuscire a risalire verso posizioni più elevate.
La specializzazione del mondo sviluppato nella produzione di beni che presentano un elevato contenuto reputazionale, protetto a livello di WTO da diritti globali come nel caso dell’accordo TRIPS, può essere una causa di sviluppo asimmetrico. Infatti, i beni prodotti dai paesi poveri sono in genere merci indifferenziate (4) che vengono scambiate su mercati fortemente contendibili, soggetti ad una notevole competizione, mentre i paesi ricchi, che producono merci differenziate (e protette da diritti di proprietà intellettuale), possono scambiare i propri beni in mercati non-contendibili che implicano restrizioni di fatto al libero commercio e uno scambio ineguale che favorisce questi ultimi rispetto ai primi.

Quali impatti sull’agricoltura dei PVS?

Per quanto una stima quantitativa degli impatti di questi cambiamenti sia difficile da realizzare, soprattutto per mancanza di dati sul commercio internazionale disaggregati in base al contenuto di reputazione dei beni scambiati, è però possibile fare qualche ragionamento di tipo qualitativo circa l’effetto di tali cambiamenti sull’agricoltura dei PVS. In particolare, accenneremo agli effetti sulla sicurezza alimentare, sulla redditività della produzione agricola e sul ruolo dell’agricoltura nel processo di crescita economica (Romano, 2006).

Globalizzazione e sicurezza alimentare

Sen (1981) ha messo in evidenza come i meccanismi di condotta che portano all’insicurezza alimentare hanno radici tanto dal lato dell’offerta (riduzione della disponibilità alimentare a causa di una diminuzione nella produzione o nelle importazioni/aiuti alimentari) quanto dal lato della domanda (mancanza del potere d’acquisto necessario per avere accesso al cibo). Diversi autori hanno sostenuto che la globalizzazione dovrebbe avere un effetto positivo sulla sicurezza alimentare perché agisce su ambedue gli aspetti grazie alla possibilità di ridurre il rischio di uno shock dell’offerta a livello mondiale (Runge et al., 2003), ridurre il prezzo in termini reali dei beni alimentari (FAO, 2004) e ridurre la volatilità dei prezzi dei beni alimentari (World Bank, 2003).
Purtroppo, le considerazioni avanzate nel paragrafo precedente circa la mancanza di infrastrutture implicano una scarsa efficacia della globalizzazione come strategia per assicurare la sicurezza alimentare in regioni prive di infrastrutture (strade, depositi per lo stoccaggio, ecc.) che dovessero subire una riduzione della produzione agricola. D’altra parte, anche ipotizzando che le derrate possano giungere in una data regione, a meno che esse non siano parte di aiuti di emergenza (doni), l’abbassamento dei prezzi dei beni alimentari in condizioni standard di operatività dei mercati, per quanto vantaggioso, rischia di essere comunque al di fuori della portata di paesi (e strati della popolazione all’interno di paesi) per i quali il vincolo della valuta straniera è limitante. Ciò è vero in particolare per paesi per i quali esiste una tendenza sistematica alla svalutazione della propria valuta a seguito di sostituzione monetaria, come accade nella generalità dei PVS. Infine, la prevista riduzione della volatilità dei prezzi non si è osservata nella realtà. Anzi, sembra che ci sia stato un sostanziale aumento del rischio di prezzo delle commodities agricole a partire dagli anni ’70 (Dehn, 2000). Ancora una volta, per far fronte a questo problema sarebbe necessario avere delle istituzioni che consentano di cautelarsi contro il rischio di prezzo (ad esempio, mercati per merci future), ma il loro costo è spesso insostenibile per molti PVS.

Globalizzazione e redditività dell’azienda agricola nei PVS

È fuori dubbio che le politiche protezionistiche da parte dei paesi sviluppati rappresentino il peggior handicap per l’agricoltura dei PVS (Martin e Anderson, 2006). Tuttavia, il cambiamento nella composizione del commercio mondiale verso beni sempre più differenziati sulla base della reputazione rappresenta nel medio-lungo periodo un ulteriore problema. Infatti, se questo trend continuerà in futuro, ci si può attendere un peggioramento della redditività dell’agricoltura dei PVS.
Diversi fattori contribuiscono a questo risultato. Dal lato della domanda, una percentuale sempre maggiore della spesa alimentare sarà allocata su beni ad alta reputazione (effetto Engel) anche nei PVS man mano che strati sempre più ampi della popolazione entreranno a far parte delle classi medie. Inoltre, la struttura dei mercati in cui vengono scambiati i beni ad alta reputazione è quella di mercati non contendibili in cui difficilmente le produzioni agricole dei PVS troveranno spazio se questi paesi non saranno capaci di migliorare il contenuto reputazionale dei propri prodotti agricoli.
D’altra parte, già oggi la struttura dei mercati degli input agricoli è tale per cui il potere di mercato dei produttori/distributori di input sfavorisce gli agricoltori. Tale tendenza è ulteriormente rafforzata dall’attuale assetto istituzionale a livello globale, in cui l’accordo TRIPS garantisce l’estrazione di rendite monopolistiche estremamente onerose per gli agricoltori che vogliano utilizzare input protetti da diritti di proprietà intellettuale, come ad esempio le sementi geneticamente modificate (cfr. par. 4).

Il cambiamento del ruolo dell’agricoltura nel processo di crescita economica

Il peggioramento dei termini di scambio agricoli appena descritto ricorda il meccanismo della “forbice dei prezzi”, familiare agli studiosi di agricoltura e sviluppo economico. Il cambiamento delle regole del gioco, implicito nella globalizzazione, da una competizione basata sui vantaggi comparati, ad una basata sulla reputazione, ha effetti anche su tale meccanismo, determinando un anticipo della sua entrata in azione (Romano, 2006).
Schultz (1953), nel suo classico lavoro sulla dinamica del settore agricolo, individuava tre diverse fasi nello sviluppo dell’agricoltura: quella della “crisi alimentare”, quella del “problema alimentare” e la fase del “problema dell’azienda agricola”. Storicamente le prime due fasi sono servite a costituire le precondizioni dello sviluppo economico, agendo da locomotiva della crescita economica. Il problema della forbice dei prezzi in genere si è manifestato nella terza fase, quando si assiste al peggioramento delle ragioni di scambio agricole, alla diminuzione dei redditi agricoli e all’esodo dal settore agricolo verso altri settori dell’economia. Nell’era della globalizzazione, questi problemi non necessariamente si manifestano in fasi avanzate del processo di sviluppo. Infatti, l’integrazione dei mercati globali e l’accorciamento delle distanze economiche ha come effetto che praticamente tutto il mondo è esposto alla concorrenza sui mercati internazionali. Le opzioni disponibili sembrano essere ristrette o ad una evoluzione dell’agricoltura verso la new economy, rappresentata da un sentiero tecnologico basato sull’adozione di biotecnologie, lo sfruttamento delle economie di scala, ecc., o ad una agricoltura che punta tutto sulla qualità, come nel caso ad esempio di alcuni settori di punta dell’agricoltura europea (Yotopoulos, 2000). In ambedue i casi, la battaglia sembra particolarmente difficile per i PVS, essendo basata sulla ricerca e lo sviluppo di nuovi prodotti, sullo sfruttamento di barriere all’entrata, ecc., tutti meccanismi di difficile applicazione nei paesi poveri. 

La necessità di governare la globalizzazione: l’adozione di cotone GM in India e in Cina

Un esempio della differenza che la capacità di governare la globalizzazione può avere per il benessere di milioni di individui si può avere analizzando il caso dell’adozione di cotone GM da parte di piccoli agricoltori in India e in Cina.
Gli agricoltori dello stato di Maharashtra, cui faceva riferimento l’articolo dell’Economist citato all’inizio, sono in genere piccoli produttori estremamente pronti nel rispondere agli incentivi di prezzo (Infochange, 2007). È questo il motivo per cui nella prima metà degli anni ’90 si è assistito nella regione di Vidarbha ad un vero boom della coltivazione di cotone (5) , in risposta all’aumento del prezzo che è passato da 0,63 US$/libbra a 0,98 US$/libbra (+ 54,6%). Tuttavia, a partire dal 1995 il prezzo del cotone ha cominciato a diminuire, fino a raggiungere 0,43 US$/libbra nel 2006 (- 51,4% rispetto al prezzo del 1995 e -30,1% rispetto al prezzo del 1988).
Essendo l’India entrata nel GATT nel 1994, tutte le barriere protezionistiche erano state smantellate fin dall’aprile del 2001 e anche il ruolo del Marketing board del cotone (Monopoly Cotton Procurement Scheme, MCPS) era stato fortemente ridotto: pertanto, gli agricoltori sono stati lasciati completamente soli a fronteggiare questo cambiamento avverso dei prezzi. D’altra parte, nello stesso periodo, gli agricoltori hanno dovuto subire un sostanziale aumento dei costi degli input variabili o come conseguenza dell’aumento del prezzo del petrolio, come nel caso di fertilizzanti e pesticidi, o per lo sfruttamento del potere di mercato dei distributori, come nel caso delle sementi GM (6). È, quindi, facilmente comprensibile come un paio di stagioni senza monsone, in un’area in cui il cotone non è coltivato in irriguo, abbiano condotto la stragrande maggioranza dei produttori sull’orlo della bancarotta (oltre il 70% dei piccoli produttori di Vidarbha ha ipotecato i propri terreni, cfr. Infochange, 2007) o, in casi estremi, al suicidio.
La Cina rappresenta un esempio opposto di come si possano precostituire le condizioni istituzionali affinché l’adozione di un’innovazione tecnica come il cotone GM possa avere successo, portando ad una suddivisione più equa dei benefici tra l’impresa biotecnologica e gli utilizzatori dell’innovazione (Fok et al., 2007). Anche in Cina la Monsanto ha tentato di sfruttare il proprio potere di mercato, ma in questo caso il tentativo non ha avuto successo, per una serie di motivi. Anzitutto, la Cina già possedeva le necessarie infrastrutture e conoscenze per condurre attività di ricerca e sviluppo in campo biotecnologico, che l’hanno condotta ad individuare e produrre una serie di varietà locali di cotone GM. Tali varietà autoctone hanno esercitato una concorrenza molto efficace a quelle della multinazionale, dato che si trattava di varietà più adatte alle condizioni agro-ecologiche di adozione e commercializzate ad un prezzo minore. Ciò ha costretto la Monsanto a offrire le proprie varietà GM ad un prezzo enormemente più basso rispetto a quanto sono costretti a pagare gli agricoltori indiani (7).
Inoltre, la distribuzione degli input complementari, necessari per un’efficace produzione del cotone, viene garantita in Cina da un sistema di distribuzione estremamente capillare, che permette agli agricoltori cinesi di ottenere tempestivamente gli input di cui hanno bisogno e ad un prezzo molto più conveniente rispetto ai propri colleghi indiani. Infine, nonostante la Cina sia ormai membro effettivo del WTO, ciò non ha impedito di implementare una politica sostanzialmente protezionistica che ha consentito ai produttori cinesi di non risentire della diminuzione del prezzo internazionale del cotone, garantendo nel contempo prezzi stabili. Ad esempio, nel 2003 la parità all’azienda nella provincia di Hebei (nel cuore della regione cotoniera cinese) era di 0,89 US$/libbra, contro una parità rispetto ai mercati internazionali (cif nord Europa) di 0,63 US$/libbra (Fok et al., 2007).

Conclusioni

La globalizzazione ha portato cambiamenti fondamentali nell’economia mondiale. In particolare, gli scambi internazionali sono aumentati e la loro composizione è cambiata profondamente. Ad esempio, nel caso del commercio agricolo si è assistito ad un aumento senza precedenti del valore degli scambi, che si stanno sempre più spostando da un commercio di commodities largamente indifferenziate verso beni agro-alimentari ad alto contenuto di valore aggiunto.
L’impatto di questi cambiamenti sull’agricoltura dei PVS è stato alquanto differenziato, con molti paesi che hanno sperimentato un peggioramento della propria bilancia commerciale. Si tratta di un risultato contro-intuitivo se ci ostiniamo a pensare al commercio agricolo come uno scambio basato sui vantaggi comparati, cioè come ad una competizione basata sui costi di produzione. Se invece si introduce la variabile reputazione e si riconosce che la competizione mondiale è sempre più una competizione di tipo posizionale, il fenomeno può essere spiegato.
Le implicazioni di questi cambiamenti per l’agricoltura dei PVS non sono molto incoraggianti. La povertà di molte economie in via di sviluppo (con la conseguente scarsa dotazione di infrastrutture, istituzioni, capitale umano) e il cambiamento di alcuni fondamentali macro (come il peggioramento sistematico del tasso di cambio dovuto al fenomeno della sostituzione valutaria) sono degli handicap formidabili che agiscono contro lo sviluppo dell’agricoltura dei PVS. Inoltre, le forze che guidano la globalizzazione – rendimenti di scala crescenti, ricerca e sviluppo di nuovi prodotti, ecc. – sembrano minare il tradizionale ruolo di “motore della crescita” storicamente svolto dall’agricoltura nel processo di sviluppo.
L’analisi presentata in questo articolo, per quanto solo qualitativa, rappresenta un’ulteriore evidenza che gli effetti della globalizzazione sono asimmetrici. Tuttavia, la conclusione non è che la globalizzazione è necessariamente negativa per i PVS. La globalizzazione è stata, infatti, estremamente positiva per alcuni paesi, come la Cina, che sono stati capaci di ridefinire le regole del gioco in modo che essa potesse funzionare (Romano, 2007). Tali paesi sono riusciti a “governare” la globalizzazione, adottando politiche di sviluppo specifiche per il contesto in cui esse sono applicate e sufficientemente flessibili da evolversi con il cambiamento del sistema socio-economico a cui esse si applicano, anziché adottare ricette di politica economica standard, come il “free-market, free-trade, laissez-faire” suggerito da Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale negli scorsi due decenni.

Note

(1) Si tratta di un’affermazione ben nota, che ha trovato cittadinanza tra gli economisti fin dai tempi di Adam Smith, passando per la teoria dei fallimenti del mercato, fino ad arrivare a quella dei mercati incompleti. Quello che stupisce è che ci si sia dimenticati di questo quando, ad esempio, si è pensato che i paesi ad economia cen-tralmente pianificata potessero trasformarsi in economie di mercato per decreto, sorvolando sul fatto che senza la realizzazione delle necessarie precondizioni istituzionali questo esperimento di globalizzazione sarebbe stato de-stinato al fallimento.
(2) Anche a livello settoriale questo trend è confermato: il commercio agricolo dagli inizi degli anni ’90 è cresciuto ad un ritmo medio del 4% per anno e la sua composizione ha visto un aumento di peso di beni ad alto valore ag-giunto che, nello stesso periodo, sono passati dal 42% al 48% degli scambi agricoli totali (WTO, 2004).
(3) È evidente, inoltre, l’effetto discriminante (asimmetrico) di tale gioco, non solo a livello globale (PVS vs. paesi sviluppati), ma anche all’interno di uno stesso paese: nei PVS solo le classi affluenti, che hanno sufficiente li-quidità, possono scommettere contro la propria moneta, mentre i poveri ne subiranno solo gli effetti negativi.
(4) È appena il caso di ricordare che la gran parte delle produzioni agricole dei PVS ricadono in questa categoria.
(5) Va, peraltro, sottolineato come la sostituzione della coltivazione di food crops con cash/export crops abbia im-plicazioni anche in termini di vulnerabilità. Se, infatti, si manifesta un cambiamento avverso nei prezzi del pro-dotto tale da rendere non conveniente la sua vendita, nel caso di un export crop ciò determina una perdita dell’entitlement, mentre nel caso di un food crop si può sempre fare ricorso all’auto-consumo.
(6) Il potere di mercato esercitato dalla Monsanto era talmente elevato che la commissione regolatrice della con-correnza indiana è dovuta intervenire nel giugno del 2006 per richiedere una riduzione del technological fee im-posto dalla Monsanto da 900 Rp/libbra di semente GM (pari a oltre il 50% del prezzo di vendita garantito dal MCPS per una libbra di cotone!) a soli 40 Rp/libbra. Inoltre, il governo cinese è riuscito ad imporre alla Monsanto anche l’eliminazione di una serie di costi impliciti che sono invece presenti in tutti i contratti di uso di semi GM in altre parti del mondo. Ad esempio, gli agricolto-ri cinesi possono conservare da una stagione all’altra sementi GM, senza doverli comprare dal distributore ogni anno.
(7) Inoltre, a differenza del contratto standard, in Cina non spetta all’agricoltore l’onere del mantenimento di superfici coltivate con varietà tradizionali (refuge plots) al fine di prevenire l’insorgenza di resistenza da parte del patogeno.

Riferimenti bibliografici

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