Sinergie e multifunzionalità delle produzioni agro-energetiche

Sinergie e multifunzionalità delle produzioni agro-energetiche

Il quadro politico delle agroenergie

Lo sviluppo di produzioni agroenergetiche è stimolato dall’aumento dei prezzi dei combustibili fossili, dalla crescente dipendenza energetica da paesi politicamente instabili, causa di insicurezza nelle forniture energetiche ed economicamente destabilizzanti per le fluttuazioni indotte sui prezzi dei prodotti energetici. Lo sviluppo di fonti energetiche rinnovabili si impone dunque quale scelta strategica, per motivi economici, ecologici, per la disponibilità di nuove tecnologie e capacità imprenditoriali utilizzabili nella elaborazione dei progetti agro-energetici di rilevante interesse economico ed occupazionale per il nostro paese.
I comparti agricolo e forestale possono svolgere un ruolo importante nella produzione di biocombustibili in sostituzione dei tradizionali combustibili fossili. Attraverso processi chimici già sperimentati (transesterificazione e metatesi) si possono produrre combustibili e materiali organici (polimeri, plastiche, surfatanti, lubrificanti) in grado di sostituire i prodotti derivati del petrolio. L’interesse economico è enorme: si è stimato che utilizzando adeguatamente le potenzialità produttive di queste nuove filiere si potrebbe realizzare da un ettaro di coltura l’equivalente di un milione di euro ed occupare 60 unità (Vannozzi, 2006). Tali prospettive stanno facendo emergere una nuova tipologia di impresa agro-energetica dedicata alla produzione di colture cerealicole, oleaginose, crucifere, biomasse e materiali legnosi (comprendenti prodotti residuali e colture specializzate) e reflui degli allevamenti zootecnici convertiti in prodotti energetici.
Le opportunità offerte dalle filiere agroenergetiche sono state evidenziate in diversi documenti comunitari: (Libro Verde dell'UE, Piano d'Azione per la Biomassa, Direttiva 01/77/CE per la promozione dell'energia elettrica da fonti rinnovabili, recepita in Italia nel 2004, Direttiva 03/30/CE per la promozione dell'uso dei biocarburanti da trazione e la direttiva 03/96 riguardante la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità recepite in Italia dalla legge 06/81, Comunicazione CE 2006 “Strategia della UE per i biocarburanti”).
Un robusto impulso alla produzione di agroenergie è stato impresso con la riforma della Politica Agricola Comunitaria attuata nel 2003 (Regolamento comunitario 1782/2003), che concede il sostegno al reddito svincolato dalla produzione agricola; i produttori agricoli possono adeguare le loro produzioni alle esigenze del mercato energetico: essendo queste equiparate alle attività connesse, possono beneficiare dello speciale regime di “aiuto alle colture energetiche” (45 euro/ettaro). La nuova filosofia comunitaria, imperniata sulla multifunzionalità e sulla condizionalità dell’azienda agricola (secondo pilastro), assume come contributo integrante dello sviluppo rurale, l’espletamento da parte degli operatori del settore primario di compiti, funzioni ed altre attività sinergiche alle attività agricole, organizzate in modelli di integrazione verticale tra filiere agro-energetiche ed orizzontale fra aziende appartenenti ad una stessa area produttiva.
Gli orientamenti comunitari più recenti su queste tematiche sono emersi nel vertice tenutosi il 10 marzo scorso: gli Stati membri dell'UE hanno sottoscritto un accordo vincolante con il quale entro il 2020 il 20% dell’energia consumata nell’Unione deve essere di fonte rinnovabile. E’ un obiettivo ambizioso, che trova per ora l'Italia impreparata ad affrontare i cambiamenti strutturali ed organizzativi richiesti, alle prese con forti ritardi sugli obiettivi già identificati nelle precedenti direttive. A livello nazionale l’emergente ruolo strategico dell’agricoltura nella politica energetica nazionale è un fattore chiave del disegno di legge Ronchi, attualmente in discussione al Parlamento per dar via all' attuazione del Protocollo di Kyoto sulla riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra. Tale proposta favorisce lo sviluppo delle fonti rinnovabili, l'efficienza e l' innovazione del sistema energetico e sottolinea la necessità di un pieno impegno del Governo e delle Regioni nel portare a compimento la riconversione degli ex-zuccherifici a centrali di bioetanolo e biodiesel, favorire la crescita della filiera nazionale dei biocarburanti e sviluppare le potenzialità dell’agricoltura energetica favorendo lo sviluppo di ordinamenti produttivi con l’adozione di sistemi colturali a basso consumo energetico e ridotto impatto ambientale. Sono in atto sperimentazione di colture geneticamente predisposte allo sviluppo di biomassa fra le quali si annoverano: mais, soia, colza, girasole, miscanto, panico, sorgo, pioppo specializzato nella short rotation forestry, altre linee di ricerca hanno privilegiato la elaborazione di modelli climatico-previsionali allo scopo di adeguare i consumi idrici di tali colture alle disponibilità d’acqua che rappresentano un vincolo sempre più cruciale per lo sviluppo produttivo.
L’approccio agricolo non food deve essere sostenuto da una coerente politica agro-industriale che preveda l’adozione di misure fiscali ed interventi finanziari agevolativi, per promuovere lo sviluppo delle filiere agro-energetiche con un efficace sistema di accordi interprofessionali fra gli operatori del settore agricolo ed industriale, in grado di ridurre il rischio derivante dallo scarso coordinamento delle decisioni fra stadi di filiera ed informazioni non adeguate alle richieste degli operatori di filiera. I punti nodali sono: la definizione di norme riguardanti la remunerazione dei prodotti, le modalità di consegna ed tempi di pagamento, la ripartizione dei profitti e del rischio fra gli operatori, i criteri di standardizzazione dei prodotti energetici, la risoluzione delle controversie fra operatori attraverso un arbitrato equo e simmetrico.
Fattori di debolezza della filiera agro-energetica possono essere così sintetizzati:

  • insufficiente specializzazione delle colture agricole dedicate alla produzione di energia; limitata sperimentazione di tecniche colturali a ridotto consumo energetico e basso impatto;
  • insufficiente definizione dei parametri e standard qualitativi delle materie prime;
  • clausole contrattuali degli accordi interprofessionali eccessivamente rigide per la parte agricola, difficoltà di accordo nell’individuare il prezzo di riferimento della materia prima;
  • inefficienze strutturali della filiera agroindustriale (dimensioni, basso livello di utilizzo della capacità produttiva della industria di trasformazione, barriere all’entrata;
  • asimmetria contrattuale: concorrenza oligopolista con costituzione di cartelli fra operatori industriali e riluttanza a concordare accordi di filiera con gli operatori agricoli;
  • difficoltà logistiche di stoccaggio, conservazione, trasporto e consegna del prodotto;
  • dipendenza del mercato interno da fattori congiunturali internazionali (andamento delle produzioni e delle riserve mondiali dei prodotti cerealicoli, leadership di prezzo, cambio euro-dollaro);
  • concorrenza delle materie prime a basso costo reperibili sui mercati internazionali (in particolare olio di palma);
  • quadro politico di riferimento confuso e talora contraddittorio sulle strategie energetiche nazionali.

Di seguito vengono esaminate le strategie organizzative dell’azienda agricola, attraverso due approcci che si stanno diffondendo: l’approccio aziendale basato su una filiera corta e l’approccio agro-industriale di filiera lunga.

L'approccio di filiera corta: l’azienda agricola energetica (bioenergy farm)

Con questo approccio si assume che le produzioni agricole che direttamente o indirettamente concorrono alla produzione energetica (cerealicole ed oleaginose) vengano impiegate direttamente in azienda per soddisfare il fabbisogno energetico. L’azienda pertanto integra due livelli della filiera: produzione e prima trasformazione. Mentre si ritiene che la produzione di etanolo non sia proponibile a causa della limitata superficie aziendale disponibile rispetto alle grandi quantità di approvvigionamento richieste dagli impianti di lavorazione, i prodotti oleari paiono più appropriati all’uso energetico aziendale.
Le colture da olio suscitano un interesse crescente dal momento che impianti aziendali anche di piccola scala, possono produrre direttamente in azienda olio vegetale per alimentare caldaie termiche aziendali, macchine motrici ed operatrici semoventi con opportuni adattamenti ai motori endotermici tradizionali e cogeneratori per la produzione di energia elettrica e termica. Il fabbisogno di materia prima da destinare alla produzione energetica è relativamente limitato ed essendo le strutture di lavorazione di modeste dimensioni, necessitano di investimenti i cui oneri finanziari non appesantiscano eccessivamente la gestione e possano essere affrontati con tempi di ritorno relativamente brevi. Adottata una rotazione del tipo: frumento, mais, colza, girasole si destina un 50% di superficie aziendale a colture oleaginose dalla cui lavorazione si ottengono panelli per alimenti zootecnici ed olio combustibile (1); il rimanente 50% di superficie è destinato alla produzione di prodotti cerealicoli destinati all’attività zootecnica (insilato di mais) e/o produzione di energia, tipicamente biogas ottenuto da biomassa e da reflui dell’allevamento. L’attività zootecnica è quindi complementare alla produzione energetica sia per l’uso dei prodotti cerealicoli che per il reimpiego dei panelli oleosi realizzati con la produzione di olio in un rapporto stimato 5,5/4,5. Da un ettaro coltivato a girasole/colza si ottengono mediamente 1150 litri di olio/biodiesel sufficienti a garantire il funzionamento di un trattore della potenza di 80 KW per circa 90 ore; la produzione di panelli oleosi ricchi in proteine è in grado di garantire il fabbisogno proteico di una lattifera per un anno. Un’alternativa possibile è la generazione elettrica: si stima che ogni Kwh prodotto richieda 0,35 litri di prodotto (2); dato che il funzionamento del generatore è di 8 mila ore il consumo medio annuo si attesta sulle 2,4 t di olio pari a poco più di 2 ettari di produzione media di girasole. A favore di questa soluzione sono stati varati interventi istituzionali, che prevedono accise agevolate per la produzione di biocarburanti. (vedasi produzione e vendita dell’energia da parte delle imprese agricole: legge 296/2006, e le disposizioni fiscali previste nella legge Finanziaria 2007). Con il via libera della Finanziaria all’esenzione dall’accisa dell’olio vegetale puro per fini energetici, a partire dal 2007 nell’ambito di imprese agricole singole o associate, esso può essere altresì utilizzato per l’autotrazione. Nel caso di produzione di energia elettrica dal biocombustibile, il decreto M.I.C.A./Ministero Ambiente dell’11/11/1999, prevede la concessione di certificati verdi (CV), il cui prezzo (attorno a 0,12 €) rende interessante la produzione di energia elettrica da fonte agricola. L’autosufficienza energetica alla quale sono orientati i modelli di small bioenergy farm consente di migliorare il bilancio economico dell’azienda riducendo il costo dei prodotti energetici valutabile nella misura del 30% circa.
Il modello organizzativo di filiera corta per la produzione di biodiesel, favorisce l'azienda agricola a gestione individuale o societaria produttrice di materia prima direttamente lavorata in proprio o conferita ad un impianto di spremitura per la produzione di olio. Questa soluzione riduce i passaggi di filiera, richiede minori costi di investimento per macchine adibite alla pressatura, eventualmente spalmati fra più aziende riunite in Consorzi ed offre il vantaggio che il valore aggiunto del biocarburante viene direttamente trasferito all'azienda agricola, con fruizione economica immediata e maggiore autonomia imprenditoriale.
L'approccio di filiera corta sembra destare l’attenzione delle stesse organizzazioni professionali agricole, esistono tuttavia evidenti vincoli economici a causa delle modeste dimensioni degli impianti di trasformazione che limitano i vantaggi delle economie di scala mentre la migliore organizzazione della filiera lunga permette una maggiore specializzazione delle attività svolte.

L’approccio di filiera lunga: il distretto agroenergetico

Ben diversa è della produzione industriale di biocarburanti organizzata nel modello di filiera lunga, assai più complessa per la necessità di coordinare le numerose funzioni svolte a diversi stadi della filiera. La filiera lunga richiede un approvvigionamento di materia prima assai più consistente che richiede un approccio energetico distrettuale un concetto mediato da precedenti teorie sullo sviluppo endogeno locale. Il decreto legislativo del 18 maggio 2001, n. 228, “Orientamento e modernizzazione del settore agricolo” istituisce il distretto rurale definito come “identità territoriale omogenea derivante dall'integrazione fra attività agricole e altre attività locali, dedicate alla produzione di beni o servizi di particolare specificità”. La legge Finanziaria 2006 (legge 266/2005) definisce i distretti “libere aggregazioni di imprese articolate sul piano territoriale e sul piano funzionale, con l’obiettivo di accrescere lo sviluppo delle aree e dei settori di riferimento, per migliorare l’efficienza nell’organizzazione e nella produzione, secondo princìpi di sussidiarietà verticale ed orizzontale, anche individuando modalità di collaborazione con le associazioni imprenditoriali”. La stessa legge tratta la revisione della disciplina dei certificati verdi e individua, tra gli altri, i seguenti obiettivi:

  • impiego a fini energetici delle materie prime provenienti dai contratti di coltivazione;
  • impiego a fini energetici di prodotti e materiali residui provenienti dall'agricoltura, dalla zootecnia, dalle attività forestali e di trasformazione alimentare, nell'ambito di progetti rivolti a favorire la formazione di distretti locali agroenergetici;
  • impiego a fini energetici di materie prime provenienti da pratiche di coltivazione a basso consumo energetico e in grado di conservare o integrare il contenuto di carbonio nel suolo.

Il concetto di distretto agro-energetico elaborato in tempi più recenti, nasce dall'esigenza di superare le condizioni di insufficiente competitività di questo settore per accrescere i vantaggi della produzione energetica con la creazione di una rete di distribuzione di calore ed energia elettrica (cogenerazione) in su uno spazio geografico dedicato. Gruppi di aziende agricole opportunamente organizzate per la produzione energetica possono integrarsi con impianti industriali contribuendo allo sviluppo di catene del valore generate dalle produzioni agro-energetiche. L’integrazione verticale favorisce il coordinamento fra le diverse fasi del ciclo produttivo con la stipula di accordi contrattuali interprofessionali. Il vantaggio della integrazione verticale consiste quindi nella riduzione dei costi di transazioni causati da inefficienze organizzative e di mercato indotte da asimmetrie informative che sorgono per la complessità di funzionamento della filiera e dei mercati energetici. L’integrazione orizzontale attuata tramite cluster di aziende agro-energetiche riunite nel distretto favorisce la concentrazione produttiva, riduce i costi logistici di trasporto e stoccaggio, migliora la performance dei sistemi locali di produzione agro-energetica. La realizzazione di consistenti economie di scala degli impianti di trasformazione dipenderà dalla quantità di materia prima reperibile “in loco” a costi compatibili con i vantaggi di scala e dagli apporti esterni che rappresenteranno la leva cruciale per la sostenibilità economica della filiera agro-energetica.
Da esperienze che stanno emergendo in Francia, Austria e Germania è possibile prevedere che l’azienda agricola verrà progressivamente integrata nel distretto a sua volta allargato al parco energetico che con le sue risorse di conoscenza potrà ulteriormente potenziare la produzione energetica delle fonti rinnovabili. Il distretto si va quindi configurando come unità agro-energetica di riferimento atta a sviluppare processi di integrazione delle attività produttive in direzione verticale ed orizzontale, in grado di concentrare conoscenze utili ad applicazioni di processo e di prodotto. Il vantaggio del sinergismo fra ricerca e produzione si evince dall’elevato contenuto di conoscenza e tecnologie che hanno oggi i prodotti agro-energetici. L’aumento di velocità di trasferimento di conoscenza attraverso le collaborazioni fra Università, centri di ricerca dedicati e parchi scientifici è in grado di convertire le conoscenze della ricerca di base in progetti agro-industriali in tempi pianificati tramite spin off Università-Impresa, sviluppo di start up d’impresa e reperimento delle risorse finanziarie private e pubbliche necessarie al decollo progettuale.

Conclusioni

Le produzioni agroenergetiche si prospettano come un’alternativa alle produzioni agro-alimentari e contribuiscono a diversificare i canali di mercato rendendo meno cruciale il passaggio ad una Agricoltura sempre meno sostenuta da fondi pubblici ed offrono soluzioni non conflittuali per l’allocazione di prodotti agricoli da parte dei nuovi paesi comunitari. La diversificazione produttiva che comporta la rotazione colturale sebbene utile a mantenere le condizioni di fertilità del suolo, crea un problema di approvvigionamento di materia prima tale da garantire il funzionamento ottimale della fase industriale della filiera agro-energetica. E’ quindi opportuno ipotizzare nuove forme di organizzazione della produzione specie nel caso di filiere lunghe. Un congruo numero di aziende produttrici riunite nel distretto possono contribuire alla concentrazione dell’offerta di prodotto eventualmente integrato da un approvvigionamento esterno per raggiungere le dimensioni ottimali di filiera. All’interno dell’azienda la produzione energetica consente di sviluppare nuove sinergie e complementarietà fra produzione di biodiesel, produzione zootecnica e riciclo dei reflui nella produzione di biogas. Secondo questo approccio strategico si individuano tre vantaggi rispetto alle produzioni convenzionali: i) vantaggio energetico che consiste nella possibilità di migliorare con la cogenerazione il bilancio energetico complessivo dell’azienda; ii) vantaggio economico realizzato con la vendita di prodotti energetici in canali diversificati di mercato; iii) vantaggio ecologico imputabile alla riduzione dei gas ad effetto serra e delle emissioni maleodoranti degli allevamenti. L’azienda agro-energetica non deve quindi essere considerata un’azienda in competizione con la tradizionale azienda agro-alimentare mentre pare essere evidente il rapporto di complementarietà fra i due ordinamenti produttivi; ciò rappresenta una evidente applicazione del principio di multifunzionalità che ha assunto un ruolo preminente nelle politiche dello sviluppo rurale.

Note

(1) Si sta sperimentando nell’ambito del progetto Voice coordinato dal CREAR della Università di Firenze un motore diesel per trazione agricola che utilizza olio puro prodotto ed utilizzato direttamente dagli agricoltori, senza dover subire processi chimici di trasformazione. Gli agricoltori, quindi sono i beneficiari principali del valore aggiunto finale del prodotto”. Il potenziamento di filiere "bioenergetiche" rappresenta un fattore di forte crescita per sistemi produttivi locali.
(2) Il generatore sviluppato da Tessari Energia è un motore diesel Volvo di circa 200 kw (modello TD 740 GE) con un consumo di circa 50 chilogrammi l'ora di olio vegetale.

Riferimenti bibliografici

  • Hill J., E. Nelson, D. Tilman, S. Polasky, D. Tiffany, (2006) “Environmental, Economic, and energetic costs and benefits of Biodiesel and Ethanol Biofuels”, Proceedings of the National Accademy of Sciences.
  • Rosa F., (2006) Ifeco – “Modelling The Agro-Fuel Chain For Energy Cogeneration” Innovation and System Dynamics in Food Industry, Innsbruck - Igls
  • Vannozzi G.P, M. Nicli, (2006), “Materie prime rinnovabili: le prospettive di utilizzo di colture oleaginose per filiere alimentari ed energetiche”, in a cura di F. Rosa, Sentieri dell’innovazione nel territorio, dinamiche di sviluppo ed aggregazione – Il caso Italia-Romania, Forum, Udine.
  • Phillips P.W.B., G.G. Khachatourians, (2001), “The Biotechnology Revolution in Global Agriculture: Invention, Innovation and the Investment in Canola Sector”, Biotechnology in Agriculture, Series N° 24, CABI Publishing, New York.
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