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A fine giugno, l’incontro di livello ministeriale a Ginevra, che avrebbe dovuto essere decisivo per la definizione delle modalities, si è addirittura concluso in anticipo, una volta constatate le divergenze esistenti tra le varie posizioni. Pascal Lamy, direttore generale del WTO, ha ammesso la presenza di una vera e propria crisi nei negoziati.
Il 17 luglio, in occasione del G-8 (che riunisce i capi di stato di Regno Unito, Usa, Francia, Russia, Germania, Giappone, Italia, Canada), Lamy ha parlato in presenza dei leader mondiali dei paesi sopra elencati, e di quelli di Brasile, India, Cina, Messico e Sud Africa, nonché dei rappresentanti dell’Unione Africana, del Commonwealth degli Stati Indipendenti, dell’ONU, dell’UNESCO, della Banca Mondiale, dell’OMS. La Russia, che ha ospitato per la prima volta il G-8, non fa ancora parte del WTO [link alla news] mentre al contrario non appartengono al G-8 Australia, India e Brasile.
Lamy ha ribadito come un fallimento a questo stadio significherebbe rinunciare a tutti i progressi compiuti negli ultimi cinque anni di trattative, nonché alla possibilità di integrare nel sistema del commercio mondiale i paesi più poveri, esponendosi al rischio di un ritorno al protezionismo, aggravato dall’attuale situazione di instabilità geopolitica. Ha quindi chiesto ai capi di stato di concedere più ampi margini di manovra ai propri ministri, perché “un sistema commerciale basato su regole multilaterali è l’assicurazione meno costosa per l’economia mondiale” ma “non è gratis”, e quindi c’è bisogno di uno “sforzo ulteriore” per far procedere le trattative.
I rappresentanti del G-6 (Ue, Usa, Australia, Brasile, India, Giappone), si incontreranno nei quartieri generali del WTO a fine luglio in un estremo tentativo di sbloccare lo stallo dei negoziati [link alla news] ed ottenere un accordo sulle modalities prima della metà di agosto. Secondo un parere condiviso da molti, questa potrebbe davvero costituire l’ultima data utile per poi riuscire a concludere il Doha Round entro la fine del 2006. Una volta ottenute le modalities, resterebbero da definire le cosiddette schedules, ovvero gli impegni specifici dei singoli paesi; il tutto 180 giorni prima che scada la Trade Promotion Negotiationg Authority del Presidente Bush, il 1 giugno 2007.
Quella che si rende necessaria è la soluzione dell’ormai famoso “triangolo” di interessi: il sostegno interno per gli Stati Uniti, l’accesso al mercato per la UE, i prodotti industriali per i Paesi in Via di Sviluppo.
“20-20-20” è un altro slogan lanciato dallo stesso Lamy a fine giugno: per giungere ad un accordo la UE dovrebbe accettare la proposta sull’accesso al mercato del G-20; i Paesi come l’India e il Brasile accettare un tetto del 20% per le tariffe sui prodotti industriali; gli Usa essere disposti a mantenere l’ammontare complessivo del sostegno interno distorsivo dei mercati sotto i 20 mld di dollari.
Si pensi che la bozza delle modalities presentata da Crawford Falconer il 22 giugno 2006 è composta da 74 pagine con qualcosa come 760 parentesi, che indicano altrettanti punti di disaccordo [link alla news]. La volontà di preservare per quanto possibile un approccio “dal basso” nelle trattative, considerando tutte le opzioni suggerite dai vari membri, ha portato ad elaborare un testo su cui è di fatto impossibile discutere. Quello che attende i membri del Wto è quindi un compito non semplice.
Vediamo ora rapidamente a che punto sono i negoziati. Per quanto riguarda l’accesso al mercato, sono ancora sul tavolo delle trattative le opzioni sulla riduzione delle tariffe, ma anche il numero ed il tipo di trattamento cui sottoporre i prodotti sensibili ed i prodotti speciali. I tagli per le tariffe più elevate variano dal 42% del G-10, al 90% degli Usa, con l’Unione Europea ferma sul 60%. La Ue si dichiara però pronta a fare qualche passo verso la posizione del G-20 di tagliare, in media, tutte le tariffe del 54% (invece del 46% da lei inizialmente proposto), probabilmente operando ulteriori tagli solo sulle tariffe più basse. Per i prodotti sensibili, che sicuramente costituiscono un elemento chiave dei negoziati, le richieste vanno dal 15% di tutte le linee tariffarie proposto dal G-10, all’8% proposto dalla Ue, all’1% Usa. Per i prodotti speciali, le proposte vanno dal 20% delle linee tariffarie del G-20, alle 5 linee degli Usa. Recentemente, Falconer ha definito la proposta del G-20 a metà tra i due estremi Usa e Ue, una sorta di compromesso da cui far partire le trattative, suscitando aspre reazioni sia da parte degli uni che degli altri. Prodotti sensibili, prodotti speciali e meccanismo speciale di salvaguardia sono stati recentemente indicati dai rappresentanti statunitensi come dei “sotterfugi” facenti parte di una sorta di “scatola nera” , che per questo rendono molto difficile capire realmente fino a che punto si spingono le proposte di accesso al mercato.
Circa il sostegno interno, nonostante la Ue si dichiarasse anche qui disposta a rivedere la propria posizione spostandosi verso quanto richiesto dal G-20, è stata fondamentalmente l’intransigenza della posizione statunitense ad impedire di discutere circa l’ammontare dei tagli per la scatola gialla, l’ammontare complessivo del sostegno distorsivo, la scatola blu e la clausola de minimis [link alla Scheda 3]
Ciò ha per ora impedito di risolvere altre questioni, come i sussidi all’esportazione, il trattamento dei prodotti tropicali, l’erosione delle preferenze dei paesi in via di sviluppo. Fino a quando gli Usa non si dichiareranno disposti ad aprirsi sul fronte del sostegno interno, è molto improbabile che Ue e Paesi in via di sviluppo vengano loro incontro accettando maggiori riduzioni tariffarie.
G-33 e G-90 hanno rinnovato la loro richiesta ai paesi sviluppati affinché si impegnino per implementare l’accesso libero e senza limitazioni ai loro prodotti, secondo quanto disposto nella Conferenza di Hong Kong. Tra l’altro, la possibilità, allora prevista, di esentare dal meccanismo il 3% delle linee tariffarie, consentirebbe di porre al riparo circa 400 prodotti sia al Giappone che agli Usa, di fatto vanificandone gli intenti. La Ue, che ha già in atto l’accordo Eba, non si avvarrebbe di tale possibilità.
Quando e se si sbloccherà la situazione in agricoltura, e secondo molti soltanto allora, potrà essere risolta anche la questione dell’accesso al mercato per i prodotti non agricoli (NAMA).
Nulla di fatto neppure sulla questione delle indicazioni geografiche (IG): la Svizzera, la Ue, la Tailandia, il Marocco, la Turchia, il Kenya e la Bulgaria hanno chiesto di iniziare i negoziati per l’estensione delle IG. Secondo alcune fonti, la Cina avrebbe espresso il proprio favore, così come l’India e il Brasile. Invece l’Australia, sostenuta dagli Usa e dal Canada, ritiene che ciò sarebbe prematuro, dal momento che non si è ancora discusso di numerosi argomenti lasciati in sospeso (come le implicazioni per i nomi ormai considerati generici in molti paesi). Poche novità anche dalla sessione speciale del 12-13 giugno del Consiglio Trips, nella quale si è discusso della creazione del registro multilaterale per la protezione di vini e bevande alcoliche. Paesi come la Ue vorrebbero che la protezione dei termini registrati fosse obbligatoria per tutti i membri del Wto; Hong Kong, al contrario, vorrebbe che lo fosse solo per quei paesi che decidono di partecipare al sistema; Argentina, Australia, Canada e Usa propendono per considerare il registro nulla più che uno strumento da consultare per prendere decisioni di politica interna.
I più accesi sostenitori dell’estensione delle IG hanno esplicitamente collegato questo tema ad altre aree negoziali, soprattutto all’agricoltura e al NAMA; Svizzera e Bulgaria hanno quindi specificato che qualunque accordo sulle modalities dovrà tener conto della questione. La Ue, in una proposta informale nel negoziato agricolo, ha ribadito la propria posizione a favore dell’estensione delle IG, e la volontà di proibire l’uso di “un numero limitato di IG molto note” a chi non sia detentore dei diritti.
Rappresentanti dell’industria lattiero-casearia provenienti da Usa, Oceania e Sud America hanno espresso parere contrario all’estensione delle indicazioni geografiche, in quanto sarebbe solo un tentativo da parte dell’Unione di trarre vantaggio su un mercato secondo loro “appartenente ad altri”, poiché la produzione di certe denominazioni, in uso in questi paesi già dal diciannovesimo secolo, supera in molti casi quella europea.