I lavori della commissione Istat sulle “metodologie per la classificazione del territorio”

I lavori della commissione Istat sulle “metodologie per la classificazione del territorio”
a Università Politecnica delle Marche (UNIVPM), Dipartimento di Scienze Economiche e Sociali

Il cammino verso le Nuts di quarto livello

La classificazione del territorio riveste una importanza fondamentale per l’analisi dei fenomeni demografici, sociali ed economici. Nel mese di giugno del 2004 l’Istituto Nazionale di Statistica (Istat) ha istituito una apposita commissione, presieduta dal prof. Augusto Merlini, con il compito di formulare ipotesi di aggiornamento o di nuova definizione di classificazioni territoriali da utilizzare nella raccolta e nella analisi dei dati statistici. Gli obiettivi della commissione sono: a) consentire una migliore rispondenza alle esigenze dell’utenza e degli organismi nazionali ed internazionali; b) individuare una strategia complessiva intesa ad armonizzare le diverse classificazioni specifiche del territorio; c) permettere una più efficiente pianificazione dei disegni delle indagini.
Tra i numerosi temi affrontati finora dalla commissione, uno particolarmente importante riguarda l’estensione della classificazione Nuts a un quarto livello, da affiancare ai tre già esistenti, in base a quanto previsto nel regolamento CE n. 1059/2003. Come è noto, la Nomenclatura delle unità territoriali per la statistica (Nuts1), elaborata da Eurostat più di 25 anni fa, fornisce una ripartizione unica e uniforme delle unità territoriali dell'Unione Europea per la produzione di statistiche regionali. La Nuts è una classificazione di tipo gerarchico: ogni Stato membro è suddiviso pertanto in un numero intero di regioni Nuts 1, ognuna delle quali è a sua volta suddivisa in un numero intero di regioni Nuts 2, e così via.
Dei tre livelli esistenti della Nomenclatura europea, generalmente, soltanto due coincidono con la struttura amministrativa dei singoli Stati membri, mentre il restante livello corrisponde ad una struttura amministrativa meno importante o addirittura inesistente. In Italia, ad esempio, Nuts 1 rappresenta semplicemente un’aggregazione di regioni e non possiede quindi un fondamento amministrativo, diversamente dai livelli Nuts 2 e 3, i cui confini coincidono rispettivamente con quelli regionali e provinciali.
Per il nostro Paese, quindi, l’istituzione di un nuovo quarto livello della Nomenclatura europea comporterebbe la definizione di aree intermedie tra la dimensione provinciale e quella comunale. Nonostante la definizione del quarto livello Nuts sia stata per ora esclusa, rinviando l’esame del problema ad una successiva verifica (da svolgersi presumibilmente nel 2008), il confronto in commissione ha prodotto risultati inattesi ed interessanti, indirizzando il dibattito sui Sistemi Locali del Lavoro (SLL) e sulla possibilità che proprio questi ultimi corrispondano alla Nuts 4. La posizione dell’Istat su questo punto emerge infatti chiaramente dalle risposte fornite dall’Istituto ad un questionario Eurostat, allegato ad un documento dal titolo “Nuts levels below level 3”2, nelle quali i SLL vengono richiamati costantemente3.
Chi scrive4, viceversa, oltre a ritenere che i SLL non possano costituire il quarto livello regionale della Nuts, mantiene anche una posizione particolarmente critica circa la loro validità a rappresentare “i luoghi della vita quotidiana della popolazione che vi risiede e lavora5”.

Alcune obiezioni sui Sistemi Locali del Lavoro individuati dall’Istat

L’individuazione dei SLL nel nostro Paese fa riferimento alla esperienza anglosassone dei mercati locali del lavoro, anche se tra le due classificazioni esistono alcune sostanziali differenze. I SLL sono “unità territoriali” disgiunte, “costituite da più comuni contigui fra loro, geograficamente e statisticamente comparabili”. Non viene pertanto posto alcun vincolo affinché tali sistemi rispettino il principio gerarchico stabilito per le NUTS e questo costituisce un primo ma importante ostacolo al loro inserimento nel quarto livello della Nomenclatura.
In secondo luogo tali unità vengono individuate mediante una procedura6 basata su algoritmi iterativi “multi-step” applicati alla matrice dei flussi pendolari per motivi di lavoro. Per tale motivo i SLL devono considerarsi unità territoriali di tipo specifico, ed è proprio in virtù di questa loro caratteristica che non possono essere proposti come livello 4 della Nuts. Infatti tra i principi in base ai quali la nomenclatura è stata elaborata figura il seguente: “La Nuts privilegia unità regionali di carattere generale”, che viene argomentato con due affermazioni: “in taluni Stati membri possono essere utilizzate unità territoriali specifiche a determinati settori di attività (regioni minerarie, ferroviarie, agricole, di mercato del lavoro, ecc.). La Nuts esclude unità territoriali specifiche e unità locali favorendo invece unità regionali di tipo generale7”.
Diversi sono i limiti dei SLL proposti dall’Istat e numerose le critiche alle quali questi ultimi sono stati sottoposti, anche recentemente (Calafati 20058, Chelli e Merlini 20059).
Innanzitutto essi costituiscono una partizione dell’intera popolazione dei comuni italiani in sottoinsiemi disgiunti: in altre parole la procedura utilizzata esclude, da un lato, le aggregazioni multiple e, dall’altro, le mancate aggregazioni. In effetti il caso di aggregazione multipla di un comune non sembra essere insolito nella realtà territoriale oggetto di studio: tale circostanza potrebbe essere infatti interpretata come espressione della struttura relazionale che normalmente lega SLL vicini tra loro. Al contrario l’imposizione dell’impenetrabilità dei confini delle unità territoriali rende l’analisi più schematica ed in definitiva meno interessante.
In merito al problema delle mancate aggregazioni va detto che l’inserimento forzato di tutti i comuni dentro i confini dei SLL individuati, produce, in molti casi, sistemi inidonei a rappresentare “i luoghi della vita quotidiana della popolazione che vi risiede e lavora”. Cerchiamo di chiarire, con un esempio, il senso della precedente affermazione. Il comune di Bolognola risulta inserito nel SLL di Pieve Torina (Macerata) per un flusso di pendolari complessivo, in entrambe le direzioni, inferiore alle 10 unità. Il fenomeno, per la sua evidente esiguità numerica, non può giustificare tale assegnazione o, in altre parole, i legami risultano essere così deboli, che non ha senso affermare che i comuni del SLL di Pieve Torina rappresentano per la popolazione di Bolognola i “luoghi della vita quotidiana”. 
Un tentativo di superare tali incoerenze tra obiettivi e risultati, potrebbe essere quello intrapreso da Chelli e Merlini10 con le aree funzionali di mobilità, che però non costituiscono una partizione del sistema territoriale nazionale.

Ovviamente si potrebbero fare molti altri esempi di questo tipo, soprattutto considerando i SLL situati nelle aree montane, ma questo esula dagli obiettivi della presente nota.
Un altro limite non trascurabile è la difficoltà che si incontra nel replicare il risultato ottenuto dall’Istat basandosi sulle informazioni fornite dagli autori stessi in merito alla metodologia per l’individuazione dei SLL. Questa scarsa trasparenza sulle procedure adottate impedisce di fatto che al di fuori dell’Istat, si possa controllare la classificazione territoriale.
Tutte queste obiezioni sono state sostenute in commissione, oltre che da un punto di vista teorico, anche da applicazioni empiriche sia sulle aree funzionali di mobilità (Merlini, Chelli), sia sulla possibilità di individuare i distretti industriali indipendentemente dai SLL (Merlini, Abbate). Una riflessione su questi ultimi contributi, che sono attualmente all’esame della commissione, andrebbe certamente al di là dei limiti imposti a questa nota e potrà essere quindi rimandata ad un successivo momento.

  • 1. Sito dell'Unione Europea [link].
  • 2. Working Party on “Regional and Urban Statistics”, 3-5 November 2004, Luxembourg. Document E4/REG/2004/10.
  • 3. È bene dire comunque che, nello stesso documento, troviamo anche inserito un esplicito riferimento alla istituzione della commissione ed alla sua funzione di orientare le scelte dell’Istituto anche nella materia in oggetto.
  • 4. Le opinioni espresse in questo nota, anche se condivise dalla maggior parte dei membri della commissione, sono ovviamente personali.
  • 5. I dati definitivi sui Sistemi Locali del Lavoro per il 2001, sono stati pubblicati il 21 luglio 2005. Si veda il sito Istat: [link].
  • 6. Frutto della collaborazione tra l’Istat, l’Irpet e le università di Newcastle e di Leeds. La metodologia è descritta in Istat, I Sistemi Locali del Lavoro 1991, Roma, 1997.
  • 7. Cfr. nota 1.
  • 8. Calafati A. G.,”The use of local labour systems: a note”, in Scienze Regionali / Italian Journal of Regional Science, n. 1, 2005. Calafati A. G. e Compagnucci F., “Oltre i sistemi locali del lavoro”, in Economia Marche, n.1, 2005.
  • 9. Chelli F. e Merlini A., “Quali sistemi locali del lavoro?”, contributo presentato alla XXVI Conferenza scientifica annuale dell’AISRE, Napoli, 17-19 ottobre 2005.
  • 10. Cfr. nota 9.
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