Contratti agrari ed impresa in agricoltura: dinamiche e nuove opportunità

Contratti agrari ed impresa in agricoltura: dinamiche e nuove opportunità
Un’analisi alla luce della teoria dei costi di transazione e dei diritti di proprietà

Nei sistemi economici uno degli scopi precipui di un'organizzazione è quello di armonizzare le relazioni tra le parti impegnate in uno scambio e così impresa e mercato (Coase, 1989) sono strumenti alternativi di organizzazione economica: cioè mentre la prima coordina gli agenti che partecipano al processo produttivo attraverso un sistema di gerarchie interne, nel secondo la coordinazione avviene tra agenti autonomi1 per mezzo del meccanismo dei prezzi. Secondo questa visione le due opzioni possono risultare alternativamente da una variabile decisionale dipendente dai costi di transazione e dalle condizioni associate alle due realizzazioni. Quali siano i costi di transazione prevalentemente responsabili di una o dell’altra realizzazione è argomento molto dibattuto in letteratura; tuttavia nella negoziazione che presiede al conferimento del fondo, sicuramente l’aspetto della specificità della risorsa è più rilevante di quello dei costi di raccolta delle informazioni; viceversa, nella negoziazione che presiede per esempio al conferimento della produzione agricola per la vendita al meglio, l’aspetto dei costi di raccolta delle informazioni relative all’andamento di mercato dei prodotti, in base ad offerta disponibile e livelli di consumo, diviene senz’altro più rilevante.
Le assunzioni fondamentali sulle quali poggia la teoria dei costi di transazione sono razionalità limitata, opportunismo degli agenti nonché grado di specificità dei capitali coinvolti: quest'ultimo assume la dimensione di importanza critica per la configurazione delle transazioni soprattutto del tipo in esame. Comunque, corollario della teoria è che qualora solo una delle condizioni venisse meno, il sistema contrattuale e la conseguente struttura negoziale ne risulterebbero sostanzialmente semplificati. Per esempio in presenza di razionalità illimitata, gli agenti possono negoziare ex ante tutte le contingenze possibili: il contratto diviene così strumento di semplice pianificazione. Invece, non rilevando opportunismo da parte degli agenti, non si potranno verificare comportamenti strategici: il contratto giunge ad esecuzione in modo efficiente perché ogni agente non potrà che derivare solo i vantaggi derivanti dalle clausole negoziate ex ante: il contratto diviene così atto di promessa. Se invece, per ipotesi, viene meno la specificità del capitale, viene meno parimenti l'interesse continuato per le parti alla propria identità reciproca: in queste condizioni la contrattazione sul mercato è pienamente efficiente e perfettamente "contendibile", con l'Ordinamento giudiziario che scoraggia frodi ed inadempienze. In questo mondo la concorrenza è sovrana.
Quando però nessuna delle assunzioni fatte può verificarsi, l’evidenza a sostegno della teoria prova che la pianificazione risulta incompleta, le promesse mancate e l'identità specifica delle parti appare utile se non vincolante. Sotto queste condizioni - spesso reali - l'imperativo organizzativo è di economizzare in razionalità limitata salvaguardando le transazioni dai rischi di opportunismo2, in un contesto in cui l'Ordinamento giudiziario non è più considerato necessariamente efficiente, mentre Istituzioni e strutture regolative dell’ordinamento privato rappresentano lo strumento che consente questa tutela. Il peso ed il tipo delle condizioni regolative adottate dagli agenti risulteranno tuttavia diversi a seconda del grado di specificità delle attività coinvolte e la frequenza con cui deve ripetersi la transazione: in genere un basso grado di specificità rende la transazione più contendibile e riconduce le parti all'accordo classico, anche se non tutti i termini possano essere completamente specificati ex ante. All'aumentare del grado di specificità, però, gli agenti passeranno agli accordi relazionali trilaterali (neoclassici) ed a quelli gerarchici (impresa) in base alla maggiore frequenza con la quale dovrà ripetersi la transazione. Infatti quando i costi diretti ed indiretti dell'accordo relazionale divengono piuttosto alti, una delle parti (acquisizione) od entrambe (fusione) considerano la possibilità di liquidare la controparte onde acquisire il controllo e la piena responsabilità della transazione all’interno di un’unica impresa.
Questo contributo, in particolare, vuole studiare modalità e contenuti delle transazioni che presiedono nel reale al conferimento del fattore terra all’impresa ai fini della produzione agricola. E’ intenzione inoltre di analizzare sotto quali condizioni gli agenti economici tendono a sottrarre tale negoziazione ai meccanismi regolatori del mercato (patti di scambio) per regolarla e svilupparla all’interno di accordi d’impresa (patti sociali), se queste condizioni si siano verificate negli ultimi anni e se siano state favorite da indirizzi di politiche di settore o se lo saranno ad opera delle nuove norme finalizzate alla modernizzazione dell’agricoltura.

Le rigidità imposte dalle norme sui patti agrari

Le relazioni che presiedono in Italia al conferimento del terreno all’impresa attraverso meccanismi di mercato sono fortemente regolamentate da un sistema di norme, il quale intende regolare in dettaglio una serie di aspetti e contingenze che verosimilmente sarebbero difficilmente prevedibili nei singoli contesti3. Le stesse norme, inoltre, fissano obbligatoriamente durata della relazione e livello di prezzo nello scambio: la determinazione di questo parametro, in particolare, avviene all’interno di strutture terze alle parti (Commissioni provinciali) dove gli interessi sono rappresentati attraverso il meccanismo della rappresentanza di categoria. Il primo criterio che hanno da seguire le Commissioni per la fissazione del canone è l’equa remunerazione del lavoro dell’affittuario o conduttore4 e solo in via secondaria curano l’esigenza di riconoscere un compenso ai capitali investiti dal locatore (art. 9 legge 203/1982).
Per la legge in vigore, d’altro canto, non deve esservi alternativa all’affitto nei patti con struttura di scambio (art. 27) e, dato che intende imporre un equo canone - non necessariamente remunerativo per la proprietà -, deve necessariamente ricondurre tali aspetti della negoziazione in una struttura trilaterale (presenza di Commissioni provinciali). A ben vedere tale struttura è giustificata altresì dall’esigenza di ricondurre la frequenza della transazione ad un livello compatibile con il grado di specificità del capitale coinvolto5: per cui la legge viene ad imporre una durata - 15 anni - in quanto funzionale alla pianificazione dell’attività produttiva ed agli investimenti connessi. La legge è del 1982 e buon senso dice che la finalità non poteva essere solo produttiva ed aziendale: difatti la possibilità di pianificare la produzione su un arco di tempo sufficientemente lungo è buona premessa non solo per la vitalità nel tempo dell’impresa, ma anche per la possibilità di adottare ordinamenti colturali e rotazioni compatibili con il pedoclima e con il mantenimento dei principali parametri della fertilità: obiettivo questo di carattere ambientale e di (giusto) interesse generale. Il problema è che il tutto è stato accoppiato ad un prezzo non libero, scaricando su una delle parti il costo di un beneficio non solo particolare ma anche generale; inoltre anche le facoltà concesse alle parti dall’art. 45 non liberano la transazione dalla struttura necessariamente trilaterale: difatti è necessaria la presenza delle Organizzazioni di categoria per validità dei “patti in deroga”.

Il conferimento del fondo alla produzione: atti di impresa vs. atti dell’impresa

Ma se l’affitto risulta tra i patti di scambio l’unica tipologia ammessa dalle norme in vigore – e per altro alle condizioni anzidette – per l’impresa l’unica alternativa, oltre l’acquisto della proprietà, per acquisire il fondo alla produzione resta quella di ricondurre il suo conferimento all’interno di una struttura associativa – diversa dalle tipologie non più consentite6 - cioè all’interno di un patto sociale. Tuttavia se non fosse noto dalle statistiche strutturali il numero delle aziende condotte da forme societarie, a questo punto saremmo quasi indotti a pensare che questa forma è particolarmente diffusa nell’agricoltura italiana, se non altro perché è l’unica struttura contrattuale che restituisce piena autonomia alle parti, ampiamente limitata invece dalle norme sui patti agrari. Ma non è così! Vediamo perché, nonostante che l’opzione del patto sociale possa risultare agli operatori teoricamente preferibile e più conveniente.
Assumendo che, per la piccola e media impresa, i redditi agrari e fondiari sono minori di quelli ottenibili allocando le risorse altrove ed assumendo possibile ed almeno indifferente7 per i piccoli agenti allocare i fattori diversi dal fondo (capitale, lavoro) anche fuori dalla propria azienda, è ragionevole concludere che il patto sociale viene a sostituire il patto di scambio per il conferimento del fondo, quando la remunerazione di quest’ultimo all’interno del primo è più alta che nel secondo8. Ma dato che, come detto, il canone d’affitto è una variabile fuori dal controllo dei contraenti, ovvero pari all’equo canone di locazione fissato dalla suddette Commissioni e spesso inferiore a quello che verrebbe pattuito in libero mercato, è facile dimostrare9 che anche per il conduttore avverso al rischio risulterebbe conveniente, verosimilmente e sotto certe assunzioni, conferire il fondo in un patto sociale anziché cederlo in affitto. Questa conclusione rafforzerebbe ulteriormente le probabilità a sostegno dell’ipotesi di ampia diffusione della forma sociale nell’agricoltura italiana. Ma i risultati censuari continuano ad offrire evidenze contrarie. La tabella 1 espone tali evidenze.

Tabella 1 – Forme societarie di conduzione di aziende agricole
Un confronto 1991 - 2000

Fonte: Istat, 4° e 5° Censimento dell'Agricoltura
S.A.T. superficie agricola totale

Se, nonostante quanto precedentemente esposto, possiamo escludere che le ragioni della limitata diffusione della forma societaria10 in agricoltura non risiedano in una particolare avversione e ritrosia culturale alla forma societaria e non dovendo dimostrare l’impossibilità di conseguire redditi fondiari migliori a seguito di fusioni e di maggiori dimensioni aziendali11, non resta che trovare altrove le ragioni della scarsa diffusione della forma societaria nell’agricoltura italiana degli ultimi decenni.

Dimensioni aziendali ed aggiustamento dell’agricoltura italiana

Se le piccole e medie imprese agricole non hanno abbandonato il settore quanto avrebbero potuto o dovuto in base ai criteri microeconomici predetti, si vede che hanno potuto operare aggiustamenti che hanno reso possibile, in buona parte, la loro sopravvivenza. Infa ti ben osservare, alla data dell’ultimo Censimento, circa la metà dei conduttori ha dichiarato di far uso di servizi di contoterzismo per un totale di oltre 4,5 milioni di giornate di lavoro annue, di cui il 54% fornito da altre aziende agricole ma prevalentemente (74%) ad aziende con superficie totale inferiore a 10 ettari (tavola 2): il fenomeno dunque è notevole, diffuso e strutturale, tanto che in molte realtà la presenza dei contoterzisti ha reso solo nominale l’esistenza delle aziende censite, integrando di fatto in un’unica gestione tutte le aziende che ricorrevano completamente ai servizi esterni, approssimando la costituzione di forme societarie di fatto senza implicare costi accessori per la costituzione della società e per la gestione della relazione nel tempo12.
Il rapporto di contoterzismo, dunque, e la sua validità economica soprattutto per le piccole e medie imprese si giustifica - data la specificità relativamente contenuta dei capitali coinvolti13 - in una struttura relazionale di scambio bilaterale - e spesso verbale - all’interno della quale - con una media frequenza - vengono a ripetersi transazioni regolate dal mercato e che non implicano un vero e proprio conferimento del fondo, sul quale però tendono a diminuire anche gli investimenti fissi i quali, diversamente, innalzerebbero la specificità dei capitali coinvolti richiedendo, viceversa, di portare la transazione all’interno di un patto sociale che è in grado di offrire, in mancanza di contratti completi, la salvaguardia necessaria per gestire razionalità limitata ed opportunismo delle parti nel tempo.

Tabella 2 – Aziende che fanno uso di contoterzismo e relativo numero di giornate di lavoro per classe di superficie totale dell'azienda

Fonte: Istat, 4° e 5° Censimento dell'Agricoltura

A 20 anni circa dalla fine delle politiche di sostegno al prezzo, viene da chiedersi perché l’agricoltura italiana abbia scelto l’aggiustamento attraverso la strada del contoterzismo14, ed in parte come noto dell’agricoltura part-time, e non abbia invece prodotto la diffusione della forma societaria nel settore - solo ora tanto incentivata dalle recenti norme di modernizzazione dell’agricoltura - per favorire la ricomposizione fondiaria e la capitalizzazione delle aziende, compensando per altro le rigidità che la legge sui patti agrari ha imposto per il conferimento del capitale terra all’impresa.
La trasformazione epocale della Politica agricola - che è passata da un sostegno al prezzo dei prodotti15 ad un sostegno al reddito dei conduttori16 - ha coinciso sfortunatamente anche con l’imposizione delle suddette rigidità normative al mercato fondiario, le quali hanno reso più complesso e difficile l’aggiustamento dell’agricoltura italiana verso un innalzamento della dimensione aziendale, anche mediante l’adozione di soluzioni negoziali (patti agrari) più flessibili. Difatti l’introduzione del sostegno al reddito disaccoppiato dalla produzione ha costituito posizioni di rendita che hanno sostenuto l’economicità del piccolo investimento fondiario e che a sua volta il contoterzismo e l’agricoltura part-time hanno reso conveniente conservare più a lungo17 di quanto sarebbe stato possibile in assenza di tali fenomeni ed in presenza di processi di concentrazione attivati da iniziative di fusione (art. 7 legge 203/1982), ragionevolmente giustificate dalla convenienza economica, come evidenziato precedentemente.
Non tanto, a miglior spiegazione della mancata diffusione della forma societaria, si può invocare il diverso regime fiscale dei redditi di società rispetto a quello dei redditi agricoli, giacché almeno la società semplice18 continua ad essere tassata in base alle rendite catastali diversamente dai redditi derivanti da attività di contoterzismo che sono tassati, invece, in regime ordinario. Prospettive e conclusioni Indubbiamente le recenti norme in tema di modernizzazione dell’agricoltura, consentono il trasferimento (sic!) delle agevolazioni fiscali (imposizione indiretta) e creditizie garantite ai coltivatori diretti anche a favore delle nuove società agricole, costituite in una delle forme previste al Titolo V e VI del Libro V del codice civile e che abbiano nella loro compagine sociale almeno un socio (società di persone), un amministratore (società di capitali e consorzi) od un socio-amministratore (società cooperative) in possesso della qualifica di coltivatore diretto come sancito dall’art. 2 del decreto legislativo 99/2004. Tuttavia, visto il percorso seguito dall’agricoltura italiana, non è detto che queste agevolazioni riusciranno ad innescare finalmente consistenti e diffusi processi di fusione od acquisizione necessari per raggiungere dimensioni ed efficienze sufficienti per le imprese che vogliono competere nel confronto europeo ed internazionale, giacché in un mercato fondiario irrigidito dalle norme sui patti agrari, l’agricoltura part-time sostenuta da rendite unitarie19 ancora consistenti e servizi esterni (contoterzismo) continua ad essere settore di investimento relativamente interessante per piccoli e medi produttori tradizionalmente avversi al rischio ed ora immersi in un sistema di riferimento che premia l’investimento immobiliare in un contesto caratterizzato da tassi d’interesse mai stati così bassi, anche nella attese di lungo periodo.
Pertanto, rendite ed esternalizzazione di processi aziendali in regime di azienda part-time potrebbero ancora - ed almeno in parte - rimandare necessità ed opportunità di uscire dal settore, ovvero di negoziare patti sociali per costituire forme societarie più grandi, anche in regime fiscale agevolato. Rendite, mantenimento dell’autonomia e servizi ricreativi e di benessere offerti da questo investimento rappresentano ancora benefici aggiuntivi e strumento di diversificazione di investimenti nel portafogli dell’imprenditore rurale. Certamente, una maggiore disincentivazione dell’agricoltura part-time, potrebbe meglio spingere piccoli e medi operatori a cogliere l’opportunità delle agevolazioni tributarie e creditizie concesse anche alle “società agricole” dalle nuove norme relative alla modernizzazione del settore.

Riferimenti bibliografici

  • Albisinni, F. (2004). “Diritto agrario territoriale: lezioni, norme e casi”. Tellus, pp. 11-56, 83-91.
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  • Kreps D.M. (1993). “Corso di microeconomia”. Il Mulino, pp. 95-157.
  • INEA (1993) “Annuario dell’agricoltura italiana 1992”. Il Mulino.
  • Istat (2000). 5° Censimento Generale dell’Agricoltura. Caratteristiche strutturali delle aziende agricole. Istat 2002.
  • Istat (1991). 4° Censimento Generale dell’Agricoltura. Caratteristiche strutturali delle aziende agricole. Istat 1992.
  • Montresor, E. (1989) “Le strategie di adattamento delle strutture aziendali” in Fanfani R. (a cura di) Il contoterzismo nell’agricoltura italiana. Quaderni della Rivista di Economia agraria, Il Mulino; pp. 231-265.
  • Williamson, O.E. (1985) "The economic institutions of capitalism. Firms, markets, relational contracting”. New York, The free Press pp 15-84.
  • 1. I rapporti all'interno dell'impresa sono non anonimi e di lungo periodo; nel mercato invece i rapporti sono anonimi e di breve termine (hit and run).
  • 2. Tale proposizione amplia e modifica l'intera concezione dei problemi economici rispetto all'obiettivo ortodosso e restrittivo della massimizzazione dei profitti (le utilità neoclassiche).
  • 3. Il sistema delle norme vigenti poggia implicitamente sulla assunzione che la legge possa supplire alla razionalità limitata degli agenti, compensarne l’opportunismo e regolare ogni contingenza, inclusa la gestione delle migliorie fondiarie.
  • 4. E (eventualmente) della famiglia.
  • 5. Per comprendere meglio il grado di specificità del capitale nel negozio in questione si pensi a due aziende confinanti o limitrofe, le quali possono cedersi parte del loro capitale fondiario in affitto (specificità nello spazio) il quale può essere oggetto di investimenti fissi non liquidabili e non ancora ammortizzati (specificità nel tempo).
  • 6. Mezzadria, colonia parziaria, compartecipazione agraria non stagionale, soccida con conferimento di pascolo e soccida parziaria.
  • 7. Ma verosimilmente conveniente in termini di costo opportunità.
  • 8. Formalizzando, quando Bfsoc1+2/Ha > Canaff1/Ha. Dove per Bfsoc1+2 deve intendersi il beneficio fondiario unitario nell’impresa associata (da fusione di impresa 1 e impresa 2), computato da bilancio aziendale dell’impresa “normale” (il profitto dell’imprenditore normale od ordinario si ana per la teoria economica nel lungo periodo). Canaff1/Ha è invece il canone d’affitto unitario che percepirebbe il conduttore dell’impresa 1 affittando il fondo ed abbandonando il settore, o riducendo l’attività.
  • 9. Il lettore più avvezzo alle formalizzazioni può seguire la seguente schematica dimostrazione. Per i fini della presente analisi, va osservato che mentre il canone d’affitto è predeterminato, il reddito pertinente al socio (Bf) titolare del fondo conferito all’impresa è comunque aleatorio; per cui per operare correttamente il confronto è necessario rendere i termini economicamente comparabili. Così, potendo assumere gli altri costi di produzione costanti e prezzi stabili nel medio periodo (infatti l’agricoltore comunque può negoziare a termine la sua produzione, come per i cereali), la variabilità del Bf diviene strettamente dipendente dalla variabilità della produzione fisica. Sotto queste condizioni l’agricoltore deve scegliere in condizione di rischio calcolabile e non di incertezza. Inoltre è ben noto che anche il rischio della variabilità fisica della produzione può essere ceduto ad altri attraverso contratti d’assicurazione, il cui costo dipende anche dal grado “normale” di avversione al rischio degli agricoltori. Infatti nelle analisi di teoria economica si assume normalmente che gli operatori siano avversi al rischio, ipotizzando la neutralità come caso limite (il lettore più attento può fare riferimento alle funzioni di utilità degli agenti riportate in Kreps, 1993) assunzione cui, come noto, corrisponde una funzione di utilità delle produzioni concava per l’agricoltore. Pertanto data la funzione di utilità (U = f(produzione)) e noti i parametri della distribuzione di probabilità della produzione fisica è possibile determinare tanto il valore atteso della produzione, quanto la sua utilità attesa ed il corrispondente equivalente certo (C(p)): dove la differenza tra valore atteso ed equivalente certo rappresenta la quantità massima di produzione che l’agricoltore è disposto a cedere per trasferire ad altri il rischio della variabilità della produzione. Sotto queste condizioni è possibile calcolare il beneficio fondiario dell’impresa sociale in condizioni di sostanziale certezza che può così essere confrontato con l’equo canone di locazione (come noto contenuto e spesso sensibilmente inferiore al prezzo che gli operatori pattuirebbero in libero mercato). L’evidenza empirica dovrebbe facilmente consentire di verificare che, anche in presenza di una percettibile avversione al rischio, il reddito del socio titolare del fondo la cui società ha operato cedendo ad altri il rischio della produzione è ragionevolmente e di frequente superiore all’equo-canone di locazione.
  • 10. Motivazione improbabile a meno di chiare e finora insospettate evidenze.
  • 11. Fortunatamente la teoria delle economie di scala ci risparmia questa ulteriore verifica.
  • 12. Quanto esposto d’altro canto, non vuole e non può contraddire quanto da più parti condiviso e, cioè, che il contoterzismo risulta aver assunto per forza di cose il ruolo di fattore dinamico della nostra agricoltura: esso ha sostituito (rispetto agli obiettivi di redditività ed efficienza) la mobilità fondiaria, ha razionalizzato l'utilizzazione delle risorse e la capacità produttiva delle macchine, aumentando la redditività di parte dei capitali investiti; ha agevolato la diffusione dell'innovazione e reso accessibile livelli tecnologici che altrimenti sarebbero alla portata solo delle aziende di più grandi dimensioni; ha facilitato, inoltre, l'avvicinamento dell'impresa agricola al mercato dei prodotti e dei fattori e favorito la diffusione di nuove colture (cfr. Annuario INEA, 1992), senza richiedere l’investimento di nuovi capitali in azienda (es. soia negli anni ’80).
  • 13. Il contoterzista può utilizzare le sue macchine non solo nell’azienda in questione ma in diverse altre aziende del comprensorio, pertanto la specificità tra le parti è moderata.
  • 14. Fenomeno che in effetti non è stato “governato” da indirizzi di politiche di settore, e forse lasciato più o meno deliberatamente agli agenti come fattore di aggiustamento.
  • 15. Insostenibile da un punto di vista macro, ma razionale da un punto di vista micro.
  • 16. Più sostenibile da un punto di vista macro, ma irragionevole e meno efficiente da un punto di vista micro e meso.
  • 17. Si veda a tal proposito anche lo studio di Montresor Elisa (op. citata) di cui si riporta uno stralcio. “Nell’azienda più o meno disattivata scompare la funzione obiettivo dell’impresa coltivatrice –l’occupazione-, diminuisce la produttività della terra, ed aumenta considerevolmente la redditività…(…)…Questo evidenzia…..una realtà nuova nell’agricoltura italiana: le aziende ad alta disattivazione, anche se accessorie e part-time, sembrano destinate a permanere stabilmente in alcune realtà territoriali, dato che è sufficiente che uno dei suoi componenti dedichi parte del suo tempo alla mera organizzazione dei contoterzisti, investendo elevati capitali di anticipazione - che godono però di una buona redditività - e godendo di una forma di rendita”.
  • 18. Benché solo questa tra le società.
  • 19. Rappresentate oggi dai pagamenti unici aziendali (PUA)
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