La lana: rifiuto o risorsa?

p. 75
La lana: rifiuto o risorsa?

L’allevatore e la lana

Si stima che in Italia siano allevati 8 milioni di ovini: con una produzione media di ca. 1,5 kg per capo, si calcola approssimativamente una produzione annua di 12 mila tonnellate di lana sucida (dati IZS Abruzzo e Molise, 2009).
La lana è oggi considerata soprattutto un costo per l’allevatore: il ricavo medio della vendita dei velli di razza non selezionata è di ca. € 0,50/kg, cifra che non ripaga i costi di tosatura necessari per la cura ed il benessere dell’animale. Se la lana non viene ritirata presso l’allevamento, deve essere smaltita come rifiuto speciale con forti oneri economici e di gestione per l’allevatore1.
La normativa igienico–sanitaria inerente la gestione delle lane (stoccaggio ed eventuale smaltimento) rappresenta una delle criticità responsabili della posizione di debolezza dell’allevatore nei mercati delle lane prodotte2 . A ciò si aggiunge la mancanza di mercati di destinazione ad alto valore aggiunto per la maggior parte delle lane prodotte in Italia, caratterizzate in media da un alto micronaggio e generalmente non selezionate.
Produzione, gestione e trasformazione della lana, sono state oggetto di studio del progetto “Percorsi di Orientamento” (2008-2011), finanziato da Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, finalizzato allo sviluppo dell’imprenditoria femminile in aree rurali e alla possibile ricostruzione di “filiere corte” del tessile al femminile -dalla terra alla confezione- in quattro regioni: Toscana, Emilia Romagna, Campania e Sardegna.

Il ruolo degli allevamenti nel territorio

Oltre alle linee produttive industriali e semi-industriali cui destinare la grande quantità di lane disponibili, uno degli scenari su cui riflettere è rappresentato dalla possibilità di valorizzare le lane proprio nei territori dove sono prodotte. Questo scenario è di particolare interesse per il significato che tali produzioni assumono per le economie dei territoriali rurali, come mezzo di valorizzazione, tutela delle risorse ambientali e sostegno all’occupazione.
L’azienda agricola multifunzionale è il punto di partenza per raggiungere la sostenibilità multidimensionale (e.g. Knickel and Renting, 2000; Arzeni et al., 2001; van der Ploeg et al., 2002; Belletti et al., 2003) e ciò implica che essa non si limita solo alla produzione agricola ma soddisfa esigenze sociali più ampie: la protezione ambientale, la tutela della natura, la fornitura di servizi (l’agriturismo, le attività didattiche e quelle di cura) e la salvaguardia delle tradizioni rurali (De Rooij et al., 2010). Dunque, se è possibile considerare un allevamento ovino nella prospettiva di diversificazione aziendale di cui l’allevatore benefici da un punto di vista economico (produzione di latte, carne e lana), è indubbio che esso costituisca anche per il territorio rurale che lo accoglie, un elemento di multifunzionalità territoriale strettamente legato ad attività economiche e sociali (il mantenimento della biodiversità e del paesaggio e la rivalutazione della figura dell’allevatore). A loro volta tali attività permettono di innescare un "circolo virtuoso" in cui multifunzionalità e diversificazione si alimentano a vicenda, in una prospettiva di sostenibilità (Belletti et al., 2003, 2006 e 2009).
Se è vero che l’ampliamento delle attività svolte nell’ambito dell’azienda agricola rispetto a un nucleo “tradizionale” di attività (produzione di alimenti, fibre, legname e fiori) può rappresentare un mezzo per trasformare in valore di mercato uno o più manifestazioni della multifunzionalità (Belletti et al., 2009), anche la lana può rappresentare un elemento per contribuire a questa diversificazione. Un caso di studio sull’agricoltura multifunzionale in Abruzzo (De Rooij et al., 2010) ha messo in evidenza l’uso molteplice delle risorse: le pecore non sono allevate solo per il latte ma anche per la lana la cui lavorazione ha allargato le attività aziendali creando nuove forme di impiego della popolazione locale.
L’ipotesi sulla quale confrontarsi, dunque, riguarda la possibilità di poter chiudere il ciclo produttivo di un materiale, la lana che, non solo dal territorio ritorna al territorio, ma che potrebbe ritornare alla stessa azienda agricola di provenienza, costituendo così non più un onere in quanto materiale di scarto, ma una risorsa: lane derivanti da razze ovine caratteristiche per qualità o consistenza di un determinato territorio, possono, una volta trasformate, ritornare nei territori di provenienza ed essere valorizzate come prodotti tessili locali alla stessa stregua dei prodotti tipici alimentari.
Parallelamente all’analisi di comparto regionale e alla mappatura dei diversi progetti di recupero di razze ovine autoctone e di valorizzazione delle lane italiane (AA.VV., 2011), realizzati nell’ambito di “Percorsi di Orientamento”3, è stato necessario comprendere l’attuale sistema nazionale ed europeo di leggi, norme e regolamenti che definiscono l’identità del prodotto lana al momento della sua produzione e della sua prima trasformazione.
La lana è dunque un prodotto agricolo o un sottoprodotto? Quali sono le condizioni normative che potrebbero renderla elemento economicamente vantaggioso per l’allevatore?
Con quali strumenti normativi nazionali possono essere attuate le politiche europee per promuovere la diversificazione e la multifunzionalità aziendali, per sostenere la valorizzazione dei territori rurali attraverso il prodotto lana?
Questi strumenti normativi sono compatibili con quelli europei che allo stato attuale definiscono e regolamentano la produzione, la trasformazione e la commercializzazione della lana?

Lo status della lana a livello europeo e nazionale

La gestione della lana derivante dalla tosatura periodica è disciplinata a livello europeo dal reg. CE 1774/2002 (da marzo 2011 sostituito dal reg. CE 1069/2009) che definisce: i requisiti perché il prodotto sia commercializzabile, i criteri di trasporto, i requisiti dei magazzini di stoccaggio (ad es: pareti e pavimento smaltati e lavabili, presenza di pozzetti di raccolta dei reflui ecc.) e detta le norme per la manipolazione e il commercio del prodotto. Secondo il regolamento la lana non è una materia prima, ma un sottoprodotto che, per essere immesso sul mercato, deve subire alcuni trattamenti specifici che ne abbassino il potenziale carico di batteri patogeni. Solo se proveniente da allevamenti controllati e da animali che non mostrano sintomi di malattie trasmissibili all'uomo o agli animali la lana può essere destinata a “impianti tecnici” per essere trasformata in “prodotti tecnici” (ovvero lane trasformate destinate alla filatura o altri impieghi artigianali e industriali). Lo smaltimento di velli provenienti da animali non sottoposti a provvedimenti sanitari può invece avvenire con tutti i metodi previsti per i sottoprodotti di origine animale sempre dallo stesso regolamento all’art. 14. In termini pratici, l’inclusione della lana tra i materiali a rischio igienico-sanitario necessita ingenti investimenti negli impianti che la “ospitano”, anche solo di passaggio. Secondo il reg. CE 1774/2002 la lana passa dallo status di sottoprodotto di origine animale a quello di “prodotto tecnico” quando subisce un trattamento igienizzante (normalmente rappresentato dal lavaggio secondo i criteri del regolamento stesso): tuttavia è interessante sottolineare che un altro regolamento europeo - il reg. CE 510/2006 - include la lana nell’elenco dei “prodotti agricoli” che possono essere tutelati con una DOP o una IGP. Vi è quindi una forte incongruenza: da un lato, la normativa europea considera la lana un prodotto di scarto da sanificare per essere commercializzato come “prodotto tecnico”, dall’altro la inserisce tra i prodotti agricoli tutelabili con una DOP o una IGP. È evidente che il precedente reg. 1774/2002 e l’attuale reg. 1069/2009 che lo integra dovrebbero essere quantomeno aggiornati nella considerazione del prodotto lana come sottoprodotto o prodotto agricolo.
Secondo il Codice Civile italiano, l’attività di produzione di lana, sia essa collaterale ad un’altra destinazione dell’allevamento ovino (produzione di latte o carne), sia essa la produzione primaria, è riconducibile ad un’“attività connessa” a quella agricola4 e – secondo quanto descritto dall’art. 2135 – tali sarebbero anche il lavaggio, la filatura, la tessitura e la commercializzazione delle lane prodotte da un’azienda agricola: la lana in Italia pertanto si configura come vero e proprio prodotto agricolo dal punto di vista civilistico.
Dal punto di vista fiscale, dall’emanazione del DPR n. 633 del 1972, Parte I, tabella A, in Italia sono considerate prodotto agricolo le “lane in massa sudice o semplicemente lavate; cascami di lana e di peli” (per quanto il termine “semplicemente” sia tutt’altro che chiaro); tuttavia sono considerate attività agricole soltanto quelle “attività connesse” di cui tratta l’art. 2135 del Codice Civile relative a beni individuati ogni due anni con decreto del Ministro delle Finanze (Belletti, 2009). Nel decreto emanato e in vigore dal 01/01/2007, ad esempio, tra le attività connesse ammesse a regime fiscale agricolo figuravano la produzione e cessione di energia elettrica e calorica da fonti rinnovabili e la produzione e cessione di carburanti ottenuti da produzioni vegetali, ma in tale elenco non è nominata la trasformazione delle lane oltre il “semplice” lavaggio e neppure nel nuovo elenco dell’agosto 20105 vi è alcun riferimento alla lavorazione delle lane. Pertanto, dal punto di vista fiscale le lane lavate (industrialmente come da CE 1774/2002 e successivi), filate ed eventualmente tessute contoterzi - secondo criteri di trasformazione che esaltino la qualità tecnica ed estetico-formale di prodotti tessili contribuendo a collocare meglio quest’ultimi sul mercato - non si configurano più come prodotto agricolo e non rientrano tra le attività connesse esenti ad esempio, dall’ordinario regime IVA e dalla ordinaria contabilità aziendale. Ciò comporta che un allevatore di capi da fibra (e produttore di lana) che voglia commercializzare con vendita diretta presso la propria azienda prodotti che derivano dalla trasformazione delle lane di propria produzione, debba necessariamente aprire una partita IVA.

La lana come risorsa

Da quanto illustrato emerge la mancanza di una definizione chiara della lana: qual è per esempio, il suo status in base al quale poter stilare un disciplinare di produzione ed ottenere una denominazione geografica?
La valutazione del recupero di lane locali italiane per diverse destinazioni produttive tessili locali che permettano un maggior ricavo per l’allevatore non può prescindere dalla valutazione dei punti critici a monte e a valle della filiera: la necessità di un censimento ovino per razza e la stima dei quantitativi di lana per tipologia; la cura dell’allevamento e di prima selezione a livello di tosatura; la ristrutturazione della filiera di trasformazione locale; l’individuazione di diverse destinazioni produttive della lana e dei sottoprodotti di trasformazione; studi di marketing per collocare sul mercato i prodotti tessili o quelli tecnici (pannellistica per coibentazione e insonorizzazione). Il trattamento igienico-sanitario e il lavaggio sono cruciali, tanto più in relazione ai piccoli quantitativi di lana prodotti dai piccoli allevamenti tra cui sono spesso inclusi quelli di ovini di razza autoctona.
Uno scenario possibile è quello di una maggiore remunerazione dell’allevatore da parte di una filiera di trasformazione che avvicini l’allevatore ed il primo trasformatore (lavaggio e cernita), con il “vincolo” che il prodotto lana sia venduto in condizioni migliori (in termini di pulizia dei velli e di selezione) di quanto non avvenga allo stato attuale.
L’altro scenario è la valorizzazione del prodotto tessile con la promozione e vendita nel territorio stesso, attraverso il sostegno di circuiti enogastronomici, agrituristici, del turismo rurale e culturale e con modalità simili a quanto già avviene per i prodotti agro-alimentari.
A questo proposito si deve sottolineare che qualsiasi fase successiva al lavaggio della lana non è inserita all’interno dell’elenco delle attività connesse dal punto di vista fiscale e pertanto non è soggetta al regime agevolato per le aziende agricole. Considerando i quantitativi di materia prima derivata da razze ovine autoctone, spesso molto limitati, si potrebbe ipotizzare per le aziende agricole uno scenario di multifunzionalità legato alla produzione, trasformazione (esternalizzata per alcuni processi) e vendita di un prodotto tessile artigianale (lana, filato, tessuto, prodotto confezionato) presso l’azienda, purché tali attività siano considerate fiscalmente connesse all’agricoltura.
Sarebbe auspicabile, quindi, considerare piccoli quantitativi di una lana caratteristica di un territorio, lavata secondo gli unici criteri normativi attualmente in vigore e successivamente lavorata, un prodotto agricolo a tutti gli effetti che l’azienda agricola può commercializzare con vendita diretta.
È indubbio però che per far sì che la lana possa avere un effettivo valore economico per l’azienda agricola produttrice sono necessarie “aperture” normative, sia a livello europeo, che italiano (in termini fiscali). Il valore aggiunto conseguente al ricollocamento della lana in circuiti produttivi ad alta remunerazione avrebbe una ricaduta importante in termini ambientali e culturali, non solo per l’azienda, ma anche per il territorio, purché alla lana siano riattribuiti status giuridico di materia prima e dignità di prodotto a tutti gli effetti.

Riferimenti bibliografici

  • AA.VV. (2011), "Fotorafia di quattro regioni italiane: Toscana", in "Risorse dei territori rurali e impresa femminile nell’artigianato tessile", Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Direzione Generale per le Politiche per l’Orientamento e la Formazione, CNR – IBIMET

  • Arzeni A., Esposti R. and Sotte F. (2001), “Agriculture in transition countries and the European model of agriculture: entrepreneurship and multifunctionality”. The Worldbank. Šibenik-Knin and Zadar Countries: Framework for a Regional Development Vision. University of Ancona, October 2001

  • Belletti G., G. Brunori, A. Marescotti and A. Rossi (2003), Multifunctionality and rural development: a multilevel approach. In: Multifunctional Agriculture, pp. 55 - 80, Guido Van Huylenbroeck, Ghent University, Belgium, 2003

  • Belletti G., Brunori G., Marescotti A., Pacciani A., Rossi A., Rovai M., Scaramuzzi S. (a cura di) (2006), “Guida per la valorizzazione delle produzioni agroalimentare tipiche. Concetti, metodi, strumenti”, Firenze, ARSIA - Regione Toscana, pp. 1-128

  • Belletti G. (2009), “Strategie e strumenti per la promozione della multifunzionalità”, in Casini, L. (a cura di) “Guida per la valorizzazione della multifunzionalità dell'agricoltura: per i cittadini, le imprese, le pubbliche amministrazioni”, FUP, pp. 11 – 21

  • De Rooij S., Milone P.L., Tvrdoñová J., Keating P. (2010), “Cap. 3 Italy − Multifunctional Agriculture Breathes New Life into Mountainous Areas. The Case of Abruzzo in Endogenous Development in Europe” COMPAS

  • Knickel K. and Renting H. (2000), “Methodological and Conceptual Issues in the Study of Multifunctionality and Rural Development”, Sociologia Ruralis 40 (4), pp. 525 – 528

  • Ploeg J. D., Long A., Banks J. (2002), “Living Countrysides. Rural Development Processes in Europe: the State of the Art”, Elsevier, Doetichem, Netherlands

  • 1. Si veda il reg. CE 1774/2002 (e successivi) - in vigore fino al 4 marzo 2011- che classifica i sottoprodotti di origine animale in tre categorie secondo del livello di rischio connesso al loro trattamento: all’art. 6 definisce in particolare i “materiali di categoria 3”, ovvero i materiali a rischio e che devono essere smaltiti come rifiuti “speciali”.
  • 2. Secondo quanto emerso da interviste condotte nell’ambito di “Percorsi di Orientamento”, le lane italiane sono destinate ai mercati dei paesi asiatici, quali Pakistan, India, Cina dove sono utilizzate per la produzione di complementi di arredo e del Nord Europa (rivestimenti, moquettes).
  • 3. [link]
  • 4. Secondo l’art. 2135 per “attività connesse” si intendono anche tutte le attività esercitate dal medesimo imprenditore, dirette alla “manipolazione, conservazione, trasformazione,commercializzazione e valorizzazione di prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali”.
  • 5. Ministero dell’Economia e delle Finanze, Decreto 5 agosto 2010 “Individuazione dei beni che possono essere oggetto delle attività agricole connesse di cui all'articolo 32, comma 2, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi”, Gazzetta Ufficiale N. 212 del 10 Settembre 2010.
Tematiche: 
Rubrica: