Introduzione
I media spesso enfatizzano come le buone performance dei prodotti alimentari italiani nei mercati internazionali siano riconducibili al loro elevato livello qualitativo. In tal senso, sono principalmente i prodotti tipici del “Made in Italy”1, ovvero quella parte delle esportazioni di prodotti agroalimentari trasformati a saldo commerciale stabilmente positivo, a riscuotere il maggior successo e a fungere da traino per le esportazioni nel settore agroalimentare italiano. Appare evidente quindi l’esistenza di una relazione positiva tra qualità dei prodotti e performance di impresa nel mercato delle esportazioni. Tuttavia, tale relazione non sempre trova un effettivo riscontro empirico. Da alcuni recenti lavori di ricerca sembra emergere infatti che la relazione tra performance di impresa nel mercato delle esportazioni e qualità dei prodotti alimentari esportati sia fortemente condizionata dal mercato di destinazione (Curzi e Olper, 2010) e dal tipo di prodotto esportato (Fischer, 2010).
La letteratura in tema di commercio internazionale negli ultimi anni, ha mostrato crescente interesse nell’individuare quali caratteristiche di impresa siano positivamente correlate al successo nel mercato delle esportazioni. Inizialmente l’attenzione si è concentrata sull’eterogeneità delle imprese in termini di produttività, spostando poi l’enfasi sul cosiddetto quality sorting, ovvero l’eterogeneità delle imprese in termini di qualità dei prodotti.
Dai primi modelli di commercio internazionale in concorrenza monopolistica con imprese eterogenee (Melitz, 2003) è emerso come le imprese più produttive riescano ad ottenere migliori performance nel mercato delle esportazioni, grazie a bassi costi marginali e potendo applicare quindi prezzi maggiormente competitivi rispetto ai concorrenti (Bernard, Jensen e Schott, 2009). Tuttavia, l’analisi empirica restituisce una realtà in apparente contraddizione con quanto predetto da questi modelli.
In particolare, dalla più recente letteratura emerge come i grandi esportatori si caratterizzino per un elevato costo del lavoro (dovuto alla presenza di personale altamente qualificato) e per una maggior qualità degli input e, di conseguenza, per un prezzo finale dei prodotti maggiore rispetto agli esportatori minori e ai non esportatori (Verhoogen, 2008; Hallack e Sivadasan, 2008).
I modelli di commercio internazionale basati sul quality sorting, provano a risolvere questa apparente contraddizione introducendo, nei classici modelli di concorrenza monopolistica à la Melitz, l’eterogeneità delle imprese in termini di qualità dei prodotti. In questo contesto, le imprese più efficienti ottengono migliori performance nel mercato delle esportazioni grazie all’utilizzo di input costosi e di elevata qualità, ottenendo così prodotti di elevato livello qualitativo venduti a prezzi più alti rispetto alla concorrenza (Verhoogen, 2008; Manova e Zhang, 2009). L’intuizione fondamentale alla base di questi modelli è rappresentata dal fatto che la qualità dei beni esportati, più che la produttività per sè, sia l’elemento chiave in grado di determinare il successo di un impresa nel mercato delle esportazioni.
Produttività, qualità e successo sui mercati internazionali
In un recente lavoro di ricerca, Curzi e Olper (2010) provano ad isolare l’effetto “qualità” rispetto all’effetto “produttività” nell’analisi delle performance delle imprese alimentari italiane nel mercato delle esportazioni. L’obiettivo è quello di individuare quale tra questi due elementi sia il fattore in grado di determinare il successo delle imprese nei mercati internazionali. Il settore alimentare italiano si presta particolarmente bene allo scopo, essendo generalmente riconosciuta a livello internazionale la qualità delle proprie produzioni, con particolare riferimento ai prodotti tipici del “Made in Italy”. Pochi lavori hanno indagato la relazione tra qualità delle esportazioni e performance di impresa nel settore agroalimentare italiano, ricorrendo normalmente all’analisi dei prezzi unitari, calcolati a partire dai dati sul commercio internazionale (es. Scoppola, 2003; Ninni et al. 2006; Fischer, 2010). Nel lavoro sopracitato viene proposto un approccio alternativo per lo studio di tale relazione, basato sull’utilizzo di variabili proxy a livello di impresa, in grado di catturare il livello di differenziazione qualitativa dei prodotti esportati. Lo studio fa riferimento ad un campione di circa 800 imprese alimentari italiane, ottenuto dalla nona e decima Indagine sulle imprese manifatturiere condotta da Unicredit-Capitalia2 rispettivamente riferite agli anni 2001-2003 e 2004-2006.
L’evidenze empirica
La tabella 1 presenta le statistiche descrittive relative al campione di imprese utilizzato, distinguendo le imprese esportatrici da quelle che operano prevalentemente sul mercato interno. Dalla tabella emerge chiaramente come gli esportatori, rispetto ai non esportatori, presentino, in media, un valore maggiore in tutti gli indicatori considerati. Pur non essendo sorprendente, questo risultato conferma quanto emerso nel corso degli anni nella letteratura relativa al commercio internazionale basata su imprese eterogenee, ovvero una maggior produttività delle imprese che operano nei mercati internazionali, dovute ad ingenti investimenti, un capitale umano di alto livello e, più in generale, una maggiore qualità degli input.
Tabella 1 - Descrizione del campione
Nella tabella 2 sono riportate alcune statistiche di base al fine di analizzare le attitudini all’export dei prodotti “Made in Italy” sui diversi mercati di destinazione. Nel campione il 23% di imprese esporta prodotti tipici “Made in Italy”, mentre il 60% sono esportatori generici. L’analisi dell’intensità delle esportazioni, ovvero del rapporto tra il fatturato esportato sul fatturato totale, mostra una maggiore intensità delle esportazioni delle imprese alimentari che esportano prodotti tipici del “Made in Italy” verso le aree ad alto reddito, mentre le imprese che esportano prodotti generici presentano un’intensità delle esportazioni maggiore verso le aree a basso reddito. Anche se tali differenze non appaiono particolarmente rilevanti, esse rappresentano un primo indizio sul potenziale ruolo svolto dalla qualità nella scelta dei mercati di destinazione delle imprese esportatrici. Di seguito viene proposta una verifica empirica più rigorosa di questa ipotesi.
Tabella 2 - Intensità delle esportazioni verso aree ad alto e basso reddito
Nota: Le aree ad alto reddito comprendono UE 15, USA, Canada e Oceania, quelle a basso reddito Nuovi Paesi membri UE, Cina, Africa e Sud America.
La figura 1 mostra come nel campione le imprese che esportano hanno una produttività, espressa come valore aggiunto per occupato, maggiore di quelle che non esportano. Questo dato è in linea con le predizioni dei modelli di commercio internazionale à la Melitz, secondo i quali solo le imprese maggiormente produttive riescono a competere nel mercato internazionale, mentre le meno produttive esercitano la loro attività soprattutto nel mercato interno.
Questa regolarità empirica, tuttavia, non sembra confermata quando il confronto viene fatto tra esportatori “Made in Italy” con gli altri esportatori. In particolare, le imprese che appartengono a questi settori mostrano, addirittura, una produttività nel complesso inferiore rispetto alle altre imprese esportatrici. Perciò, la produttività per sè non può essere considerata come l’unico elemento chiave in grado di spiegare il comportamento delle imprese nel mercato delle esportazioni. Al contrario, la giusta chiave di lettura potrebbe essere proprio ricercata nell’elevata qualità che i consumatori a livello internazionale riconoscono ai prodotti tipici del “Made in Italy”.
Figura 1 - Distribuzione della produttività delle imprese nel campione
Per verificare in termini più rigorosi le relazioni tra produttività, qualità e performance delle esportazioni italiane nei differenti mercati di destinazione, è stata sviluppata una semplice analisi econometrica. In particolare, l’obiettivo è quello di rispondere ai seguenti interrogativi: la qualità dei beni prodotti influenza le strategie delle imprese alimentari esportatrici? Quale tra qualità e produttività rappresenta l’elemento predominante in grado determinare le strategie di un’impresa nel mercato delle esportazioni?
A questo fine è stata studiata la seguente relazione empirica:
ln EXPlj = α0 + α1 ln TFPJ + α2XJ + ηi + uj
dove EXPl rappresenta l’intensità delle esportazioni dell’impresa j verso le aree a basso reddito3; TFP è la produttività totale dei fattori, calcolata con il metodo di Olley e Pakes (1996), Xj è una variabile proxy per la qualità delle produzioni dell’impresa j; η rappresentano gli effetti fissi settoriali a 3 digit, per catturare eventuali eterogeneità a livello di settore; infine uj è il termine di errore.
L’idea di base è quella di testare differenti variabili proxy per la qualità sia a livello di prodotto che, in modo particolare, di impresa, al fine di verificarne il ruolo nello spiegare il comportamento all’export delle imprese. La produzione di beni alimentari tipici del “Made in Italy” e DOP è stata considerata come proxy per la qualità di prodotto, in considerazione dell’elevata qualità tradizionalmente riconosciuta dai consumatori a livello internazionale a tali prodotti. Le variabili utilizzate come proxy per la qualità a livello di impresa, fanno riferimento invece alle caratteristiche aziendali che, secondo la recente letteratura di economia industriale (Sutton, 1998), sono positivamente correlate alla qualità di prodotto.
In una prima fase lo studio citato si è soffermato sulla differenziazione qualitativa in termini di prodotto, utilizzando due semplici dummy: la prima assume valore 1 se un’impresa produce beni tipici del “Made in Italy” (0 negli altri casi); la seconda assume valore 1 se l’impresa produce beni a denominazione di origine protetta (DOP).
Tabella 3 - Intensità delle esportazioni nelle aree a basso reddito, produttività di impresa e qualità dei prodotti
Legenda: Regressioni OLS. In parentesi gli errori standard, significatività *** 0.01; ** 0.05; * 0.10.
Come risulta evidente dalla colonna (1) della tabella 3, emerge l’esistenza di una relazione negativa statisticamente significativa tra intensità delle esportazioni nelle aree a basso reddito e produttività totale dei fattori. Ciò non risulta sorprendente, data la bassa propensione delle imprese più produttive ad esportare verso le aree più povere. Il punto centrale della questione, tuttavia, è capire se questa bassa propensione dell’export italiano verso le aree a basso reddito è attribuibile alla qualità dei prodotti esportati.
Una chiara indicazione dell’importanza della qualità nelle esportazioni delle imprese emerge dall’analisi dei risultati riportati nelle colonne (2) e (3) della tabella 3, dove viene verificato se, a parità di TFP, le imprese che producono beni “qualitativamente superiori” si differenziano dalle concorrenti nell’intensità delle esportazioni verso le aree a basso reddito.
I risultati evidenziano come le imprese che producono beni tipici del “Made in Italy”, in media, hanno un livello di esportazioni nelle aree a basso reddito inferiore dell’80% rispetto alle altre imprese. Il risultato forse più sorprendente, tuttavia, emerge dalla terza e quarta colonna della tabella 3.
Le imprese che producono beni a denominazione di origine protetta, sempre a parità di TFP, non risultano avere un comportamento significativamente differente dalle altre imprese. Tale risultato suggerisce che le imprese alimentari italiane, nell’ambito dei mercati internazionali, non sembrano otenere particolari vantaggio competitivo dal riconoscimento DOP.
Tabella 4 - Intensità delle esportazioni nelle aree a basso reddito, TFP e qualità a livello di impresa
Legenda: Regressioni OLS. In parentesi gli errori standard, significatività *** 0.01; ** 0.05; * 0.10.
I risultati di un’analisi più articolata finalizzata a testare in modo esplicito il nesso qualità-produttività e comportamento all’export, sono riportati nella tabella 4. In questo caso la proxy per la qualità è stata costruita a partire da specifiche caratteristiche di impresa che, secondo la letteratura di economia industriale (Sutton, 1998; Crinò e Epifani, 2010), consentono di catturare il livello di differenziazione qualitativa dei prodotti. In particolare, la proxy sulla qualità è stata ottenuta dall’estrazione delle componenti principali, mediante analisi fattoriale, delle seguenti variabili: spesa totale per attività di investimento; ricavi dalla vendita di prodotti innovativi; investimenti in ICT e ricerca e sviluppo; costo del lavoro; presenza di innovazioni di prodotto.
La regressione 1 mette in evidenza come la proxy per la qualità a livello di impresa esercita un effetto negativo e statisticamente significativo sull’intensità delle esportazioni nelle aree a basso reddito. Poiché tale proxy è correlata positivamente con il livello di produttività delle imprese, nella regressione 2 è stata aggiunta alla specificazione anche quest’ultima variabile. L’impatto della produttività sull’intensità delle esportazioni è, come in precedenza, negativo ma non più significativo, mentre la proxy per la qualità rimane negativa e altamente significativa, suggerendo come la qualità, piuttosto che la produttività per sé, sembrerebbe essere il fattore cruciale nel definire le strategie aziendali in riferimento alla destinazione delle esportazioni. Si noti, infine, che quest’ultimo risultato è piuttosto robusto: per esempio controllando per le differenze settoriali a livello 4 digit, il coefficiente della variabile proxy per la qualità aumenta a livello assoluto e rimane statisticamente significativo.
Conclusioni
Il commercio internazionale in generale e, le esportazioni in particolare, rappresentano uno dei principali motori della crescita economica a livello di impresa, di settore e di paese. Perciò comprendere le determinanti di questo fenomeno appare, da questo punto di vista, di fondamentale importanza. Parallelamente, una migliore comprensione dei fattori che determinano le performance delle imprese agroalimentari nei mercati internazionali, può guidare il disegno di politiche che promuovono il commercio con l’estero delle imprese italiane.
I risultati del presente studio sembrano evidenziare una chiara priorità per politiche che favoriscono innovazioni e R&S finalizzate a favorire strategie di non-price competition. In particolare, dall’analisi emerge come il successo dell’agroalimentare italiano sia chiaramente attribuibile alle esportazioni di prodotti con elevato livello di differenziazione e di qualità, che vengono venduti a prezzi elevati sui mercati di consumo dei paesi ricchi. Gran parte del “Made in Italy” alimentare è infatti collocata in questi segmenti di mercato.
Tuttavia, abbastanza sorprendentemente, ciò non appare confermato, almeno nel nostro campione, per i prodotti a denominazione di origine. Una possibile interpretazione di questa evidenza potrebbe portare alla considerazione che il consumatore “medio” dei principali paesi di destinazione delle nostre esportazioni, non sia ancora in grado di percepire la differenza tra un “Made in Italy” generico e un prodotto la cui origine è certificata.
Bibliografia
- Bernard, A., Jensen, J., Schott P. (2009), Importers, Exporters, and Multinationals: A Portrait of Firms in the U.S. that Trade Goods, in T. Dunne, J.B. Jensen, and M.J. Roberts, eds., Producer Dynamics: New Evidence from Micro Data, University of Chicago Press
- Crinò, R., Epifani P. (2010), “Productivity, Quality, and Export Behavior across Destinations”, Development Working Paper No. 271, Centro Studi Luca d'Agliano, University of Milano
- Curzi D., Olper A. (2010), “Export Behaviour of Italian Food Firms Across Destinations: Does Product Quality Matter?”, XLVII Convegno Società Italiana di Economia Agraria (SIDEA), L’Agricoltura oltre la crisi, 22-25 Settembre, Campobasso
- Fischer, C. (2010), “Food quality and product export-performance: an empirical investigation of the EU situation”, Journal of International Food & Agribusiness Marketing, n. 22(3), pp. 210-233
- Hallak, J.C., Sivadasan J. (2008), “Productivity, Quality and Exporting Behaviour under Minimum Quality Requirements”, University of San Andres mimeo
- Manova, K., Zhang Z. (2009), “Quality Heterogeneity across Firms and Export Destinations”, NBER Working Papers No. 15342
- Melitz, M.J. (2003), “The impact of trade on intra-industry reallocations and aggregate industry productivity”, Econometrica, n.. 71 (6), pp. 1695-1725
- Ninni, A., Raimondi, M., Zuppiroli M. (2006), “The success of “Made in Italy”: an appraisal of quality-based competitiveness in food markets”, Economics Department Working Papers 2006-EP10, Department of Economics, Parma University
- Olley, S., Pakes A. (1996), “The dynamics of productivity in the telecommunications equipment industry”, Econometrica, n. 64(6), pp. 1263-98
- Scoppola, M. (2003). “Il commercio internazionale dei prodotti agro-alimentari: la posizione e le prospettive dell’Italia in una Europa allargata”, Atti del XL Convegno della SIDEA, Padova
- Sutton, J. (1998), Technology and Market Structure: Theory and History, MIT Press: Cambridge, Massachusetts
- Verhoogen, E. (2008), “Trade, Quality Upgrading and Wage Inequality in the Mexican Manufacturing Sector”, Quarterly Journal of Economics, n. 123 (2), pp. 489-530
- 1. La definizione di ”Made in Italy” fa riferimento alla classificazione adottata dall’INEA nel Rapporto sul commercio con l’estero dei prodotti agroalimentari italiani.
- 2. L’Indagine sulle imprese manifatturiere condotta da Unicredit-Capitalia, fornisce informazioni, qualitative e quantitative, su un vasto campione di imprese manifatturiere italiane, includendo informazioni dettagliate sul bilancio, sull’internazionalizzazione e sulle caratteristiche strutturali.
- 3. La relazione tra produttività, qualità e intensità delle esportazioni si concentra solo sulle aree a basso reddito, semplicemente perché per un paese come l’Italia, la stessa relazione con riferimento alle aree ad alto reddito risulta difficile da determinare a priori, data la prevalenza delle nostre esportazioni verso queste aree. Per una derivazione formale di questo risultato si veda Crinò e Epifani (2010).