Introduzione
L’ambiente competitivo in cui si collocano i moderni sistemi agroalimentari obbliga gli operatori che ne fanno parte ad adottare comportamenti, operativi e strategici, che attengono contemporaneamente a due contesti dimensionali, l’uno globale e l’altro locale.
Il processo di globalizzazione condiziona, infatti, le attività ed i processi dei moderni sistemi agroalimentari attraverso, in particolar modo, alcune tendenze in atto. I nuovi modelli di consumo, il ruolo dominante della distribuzione moderna, la crescente pressione legislativa internazionale sull’assetto organizzativo delle filiere ed il progresso tecnologico rappresentano alcuni dei più importanti fattori sovranazionali che condizionano il comportamento delle aziende agroalimentari. Allo stesso tempo, però, una vasta gamma di strategie adottate dagli operatori risulta essere strettamente dipendente dal contesto locale in cui si collocano le attività produttive e distributive. Gli ultimi decenni, in particolare, si caratterizzano per la rivitalizzazione di sistemi produttivi locali che individuano nel radicamento al territorio e nella attivazione delle risorse locali il proprio punto di forza, il quale, a volte, assicura una forza competitiva tale da porre le aziende nelle condizioni per affrontare il mercato globale.
L’obiettivo di questo contributo è di descrivere alcune dinamiche di globalizzazione e di localizzazione in atto nei moderni sistemi agroalimentari. Ci si soffermerà, in particolare, sul ruolo che il fattore “territorio” e le sue caratteristiche assumono nel contesto della localizzazione delle attività produttive e distributive e su alcuni approcci di analisi utilizzati a tal fine. La conclusione offrirà un’interpretazione delle dinamiche individuate.
Globalizzazione e localizzazione nei moderni sistemi agroalimentari
Un possibile punto di partenza per l’analisi delle dinamiche di globalizzazione e localizzazione che caratterizzano i moderni sistemi agroalimentari è rappresentato dalla constatazione che i nuovi modelli alimentari rispondono ad una pluralità di esigenze del consumatore le quali si traducono in un vasto assortimento di prodotti agroalimentari. Le caratteristiche dei prodotti, a loro volta, sono il risultato di filiere produttive e distributive profondamente diverse.
I prodotti con un elevato livello di servizi incorporati sono spesso il risultato di una filiera produttiva geograficamente complessa in cui l’attività agricola e le prime fasi di trasformazione delle materie prime avvengono nei Paesi di origine mentre i processi che incorporano la maggior parte del valore aggiunto si svolgono vicino ai mercati al consumo. I bassi costi di produzione, le favorevoli condizioni climatiche, la velocità dei trasporti e la crescente capacità delle economie emergenti di alcuni Paesi di produrre nella quantità e qualità richieste dai gruppi industriali e dalle catene distributive occidentali determinano spesso la separazione spaziale tra le aree produttive e i mercati al consumo, attivando flussi di commerci internazionali.
Una manifestazione di queste dinamiche è ravvisabile nella delocalizzazione delle attività produttive. Motivata da una molteplicità di vantaggi, la delocalizzazione delle attività produttive trova nel settore agroalimentare uno specifico interesse nel controllo delle fonti di approvvigionamento e nello sfruttamento delle risorse locali.
La delocalizzazione internazionale può avvenire tramite processi di integrazione diversi, orizzontali o verticali, a seconda che si scelga di replicare in diversi contesti geografici la struttura produttiva della casa madre, attraverso l’investimento diretto estero, oppure si scelga di frammentare e dislocare, mediante rapporti di subcontratto o di subfornitura, in ambiti geografici separati (Schiattarella, 1999).
Alcune multinazionali hanno dimostrato di prediligere la delocalizzazione dei processi produttivi di tipo orizzontale, ricorrendo all’acquisizione di realtà produttive locali. Un aspetto interessante della politica adottata da tali multinazionali consiste nel riconoscimento di un elevato livello di indipendenza al management delle unità produttive acquisite (Robinson, 2004) per permettere la definizione delle strategie più efficaci nella valorizzazione delle risorse locali (multi-domestic strategies).
La delocalizzazione verticale nei moderni sistemi agroalimentari si caratterizza, invece, per la diffusione di forme di integrazione verticale in cui i soggetti coinvolti operano in ambiti geografici separati. I rapporti di integrazione a monte e a valle dell’impresa agraria, dopo aver rappresentato una delle caratteristiche più tipiche del processo di industrializzazione dell’agricoltura nelle economie capitalistiche avanzate, assumono una nuova connotazione nel contesto della globalizzazione. Adottati dall’industria per approvvigionarsi dei prodotti agricoli e per effettuarne la prima trasformazione, i rapporti di fornitura regolati contrattualmente stanno progressivamente sostituendo gli spot market, modificando l’organizzazione dei sistemi agroalimentari.
Anche i sistemi agroalimentari si stanno, perciò, caratterizzando per l’avanzamento di un fenomeno già noto ad altri settori secondo cui la produzione di qualunque bene si polverizza e i singoli frammenti possono essere delocalizzati fuori dell’impresa finale, anche all’estero (offshoring). Di conseguenza, anche il commercio internazionale si configura in maniera crescente come trade-in-tasks piuttosto che trade-in-goods, spostandosi dal tradizionale scambio di beni completi a commercio, fra nazioni, dei vari “compiti” necessari alla produzione di quei beni. Si tratta, in altri termini, di un nuovo assetto della divisione internazionale del lavoro, in cui un numero crescente di beni sono il risultato di lunghe catene produttive globali alle quali diversi Paesi contribuiscono, aggiungendo gradualmente frammenti di valore.
Dinamiche differenti caratterizzano le produzioni in cui è il radicamento al territorio ad indirizzare le attività che si esprimono attraverso la valorizzazione delle risorse specifiche (naturali, cognitive, sociali, ambientali) e degli attori locali coinvolti, formando un “sistema”, nell’ambito del territorio, che si interfaccia con altri sistemi in esso presenti e rappresenta un patrimonio comune del territorio e della comunità di produttori e degli altri attori che in esso vivono.
Il fenomeno della localizzazione non si limita agli aspetti produttivi ma si estende alla modalità distributive: il km zero, gli spacci aziendali, i mercati degli agricoltori costituiscono solo alcune manifestazioni di una tendenza che si pone come obiettivo di contribuire allo sviluppo locale, accorciando le filiere alimentari e mettendo in contatto diretto i produttori ed il loro territorio con i consumatori.
La rinnovata vitalità di iniziative produttive accomunate dal senso di appartenenza territoriale si presenta come un fenomeno significativo, soprattutto se considerato nel contesto della globalizzazione. Queste esperienze testimoniano che la globalizzazione non ha determinato la scomparsa della distinzione territoriale ma, al contrario, le sue implicazioni hanno condotto ad una rivalutazione dei singoli territori, in quanto è proprio dal territorio che si possono attingere quelle risorse, di natura materiale e immateriale, frutto del patrimonio culturale ed istituzionale del luogo, in grado di sostenere le attività di innovazione e interazione fondamentali per sopravvivere all’iper competizione globale (Valdani et al., 2001).
Alcuni approcci di analisi dei sistemi produttivi in chiave territoriale
Lo studio delle condizioni socio-economiche che accrescono la capacità competitiva complessiva delle imprese localizzate in un determinato territorio è, da tempo, oggetto di interesse degli economisti agrari, che hanno formalizzato diversi approcci per qualificare i sistemi produttivi locali. Fra i più noti, Iacoponi, attingendo alla teoria del Distretto Industriale marshalliano, poi ripreso da Becattini (1979), ha introdotto nell’economia agraria i concetti di distretto agricolo, di distretto agro-industriale e, successivamente, di distretto rurale (Iacoponi 1990; Iacoponi 2001).
Secondo questo approccio, come noto, è nel territorio che si sviluppa il complesso di relazioni che legano i diversi attori interni allo spazio distrettuale e che si realizzano processi innovativi endogeni in cui sono coinvolti gli imprenditori, agricoli e non agricoli, e gli altri soggetti locali. Se associato ad alcune caratteristiche del prodotto e delle imprese1, il territorio, così inteso, diventa la variabile esplicativa del modello produttivo di un insieme di imprese concentrate in una dimensione geografica locale.
Anche la scuola francese ha contribuito all’analisi del ruolo competitivo svolto dal territorio, producendo un ricco filone di studio che indaga gli aspetti culturali e sociali delle produzioni territoriali ed il valore della dimensione collettiva delle conoscenze produttive (Thevenot, 1989; Casabianca et al., 1996; De Sainte Maire, 1996; Berard et al. 1997). L’influenza del territorio assume un rilievo particolare rispetto alle produzioni tipiche le cui caratteristiche sono riconducibili a tre ordini di fattori: la specificità delle risorse locali; la storia e la tradizione produttiva; la dimensione collettiva e la presenza di conoscenze condivise a livello locale (Barjolle et al., 1998; Casabianca et al., 2005).
Espressione del rapporto tra i prodotti agroalimentari, le persone e il territorio sono anche i sistemi agroalimentari localizzati (SYAL), che sono stati definiti recentemente da Muchnik (2006) come “modelli di sviluppo agroalimentari fondati sulla valorizzazione delle risorse locali, più rispettose dell’ambiente, più attente alla diversità e qualità dei prodotti agroalimentari, più attenti alle dinamiche locali di sviluppo e alle nuove sfide del mondo rurale”.
L’utilizzo della variabile territoriale per lo studio di iniziative produttive locali ha condotto alla proliferazione di classificazioni. I Sistemi Agro-alimentari Territoriali (Favia, 1992; Carbone, 1992), le Filiere Territoriali e i Proto-distretti (Bagarani et al., 1994) o, più recentemente, i Alternative Agro-Food Networks (Goodman, 2003), i Local Food Systems (Feenstra, 1997), le Short Food Supply Chains (Renting et al., 2003), solo per citarne alcuni, testimoniano la significatività di questi sistemi produttivi, che, soprattutto negli ultimi anni, sono stati assurti a modelli alternativi alle produzioni di filiere lunghe e geograficamente complesse.
Conclusione
I fenomeni della globalizzazione, a cui si associa un modello produttivo disperso spazialmente, e della localizzazione, intesa come valorizzazione e sfruttamento delle risorse locali, appaiono tendenze dicotomiche. Esiste però una corrente della letteratura che considera i sistemi produttivi locali come una semplice ricollocazione del locale nel globale. La localizzazione diventa, in accordo ad essa, una strategia necessaria per guadagnare posizioni nella globalizzazione dei mercati (Lucas, 2003) attraverso la creazione di nuovi spazi economici (Goodman, 2003). Si spiega, perciò, la crescente tendenza da parte delle filiere, sia alternative sia convenzionali, a produrre alimenti che sono radicati in un contesto territoriale specifico ma, allo stesso tempo, contengono le potenzialità per raggiungere mercati distanti, creando una forma di concorrenza tra le due filiere produttive (Murdoch et al., 1999). Una sintesi efficace di questo pensiero è attribuibile a Goodman (1997) secondo il quale la sfida dell’economia globale consiste nella individuazione di nuove forme di negoziazione e di scambio tra ciò che è locale, regionale, nazionale e mondiale. Goodman supera, in tal modo, la teoria secondo cui la globalizzazione provocherebbe l’anamento delle distanze spaziali e la sottomissione del locale al globale. Al contrario, la sfida che si pone ai moderni sistemi agroalimentari diventa il soddisfacimento della variegata domanda del consumatore ricorrendo alla organizzazione produttiva e distributiva in “una serie di centri di innovazione globalmente interdipendenti e spazialmente dispersi” (Gordon, 1994) in cui possano trovare la giusta valorizzazione i tessuti locali socio-istituzionali e le relative risorse tecnico-economiche che li caratterizzano.
Riferimenti bibliografici
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- 1. Tra gli elementi essenziali per la identificazione di un distretto agro-industriale sono stati individuati: (1) la realizzazione di un prodotto finale che caratterizzi il sistema locale; (2) l’esistenza di relazioni tra agricoltura e industria di trasformazione; (3) la specializzazione flessibile (flessibilità intesa sia nel modo di produrre e quindi capacità di riadattare la produzione in seguito a cambiamenti repentini di varia natura sia nella tipologia dei prodotti offerti); (4) la capacità di innovazione; (5) lo sviluppo di capitale umano; (6) il supporto delle istituzioni; (7) l’esistenza di un mercato comunitario.