Forum sull'Health check e la PAC dopo il 2013 (parte 6)

Forum sull'Health check e la PAC dopo il 2013 (parte 6)

Questo articolo a più mani raccoglie un’ulteriore serie di contributi sulle prospettive della Pac dopo il 2013. Aperto da Franco Sotte (Sotte, Agriregionieuropa, n.15, 2008), al Forum hanno contribuito numerosi autorevoli esperti (Cioffi, Corsi, De Filippis, Frascarelli, Salvatici, Scoppola, Agriregionieuropa, n.16, 2009; Boatto, Brunori, Henke, Mantino, Pupo D'Andrea, Sckokai, n.17, 2009; Comegna, Gios, Musotti, Pretolani, Zanni, Fahlbeck, n. 18, 2009; Gallerani, Giacomini, Severini, n.19, 2009, Moyano Estrada, Greif, Popp, Linhard, n.20, 2010). In questo numero raccogliamo il pensiero di altri autorevoli esperti internazionali, membri del Groupe de Bruges. Il Groupe de Bruges www.groupedebruges.eu è un’associazione internazionale di ricercatori e intellettuali democratici, europeisti e impegnati sul fronte della politica agricola e di sviluppo rurale.

Alcune riflessioni sulle interazioni tra agricoltura, energia e sviluppo locale

Hans-Heinrich Rieser (Heberhard Karls Universität Tübingen, Germania)

Traduzione di Roberto Esposti

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Agricoltura ed energia

Intensa nel senso più ampio, includendo quindi allevamento e silvicoltura, l’agricoltura è un comparto economico tipicamente multifunzionale. Inoltre, è un settore con numerose implicazioni che influenzano nel complesso le aree rurali ed i relativi abitanti.
Prima dell’inizio della cosiddetta rivoluzione industriale, l’agricoltura è sempre stata la principale fonte di energia per le attività umane. A parte i mulini a vento e ad acqua, l’agricoltura forniva legname e residui di produzione da poter usare per la generazione di calore, nonché carbone da legna per i primi processi produttivi non agricoli. Più in generale, gli animali agricoli e la crescita della produzione agricola hanno fornito “energia” alle popolazioni consentendo loro, per esempio, una maggiore possibilità di muoversi.
Dopo oltre 150 anni, l’agricoltura torna oggi a svolgere questo ruolo. Grazie a nuove e ben più efficienti tecnologie rispetto al passato, la produzione di energia di origine agricola è divenuta un vero e proprio comparto economico. Ciò nonostante, va ricordato che le diverse funzioni che l’agricoltura può oggi assumere devono sempre essere ordinate sulla scorta di alcune precise priorità della società, vale a dire:

  • la produzione di alimenti;
  • la produzione di materie prime, per esempio fibre;
  • la funzione ecologica nel senso più ampio e la connessa produzione di “beni pubblici”, quali la conservazione del paesaggio, la protezione della natura e dell’ambiente;
  • infine, la produzione di energia.

Se l’agricoltura viene concepita solo come un normale settore di attività economica nell’ambito di un’economia di mercato non regolamentata, tuttavia, difficilmente essa potrà adeguatamente svolgere tutte queste funzioni secondo questo ordine di priorità. La stessa produzione di cibo, nonché le stesse funzioni ecologiche, richiedono oggi un livello di qualità, sicurezza e varietà tali, che maggiori sono anche la complessità e l’incertezza.
Il più alto costo associato a questi fattori non può essere interamente trasferito sui prezzi agricoli per via della competizione globale. E, d’altro canto, le numerose attività relative alla funzione ecologica dell’agricoltura e alla produzione di “beni pubblici” non possono comunque, per loro natura, essere guidate da un sistema di prezzi di mercato. D’altro canto, la domanda di energia “pulita”, quale appunto l’energia da biomasse agricole, è in rapida crescita e la sua produzione ha un unico semplice obiettivo: realizzare la massima produzione di energia da biomassa agricola. Questa domanda crescente, con i suoi vincoli tecnici relativamente limitati, rischia di rendere la produzione di energia da biomasse agricole un’alternativa valida, semplice e poco rischiosa, alla produzione di cibo nonché alle altre funzioni dell’agricoltura. Ciò può determinare, in numerose regioni, soprattutto nei paesi industrializzati, un effetto rialzista sui prezzi dei prodotti agricoli, nonché un vero e proprio problema di scarsità di produzione alimentare e una minore attenzione alla produzione di beni pubblici.
Perciò, alla politica agricola del futuro verrà chiesto, da un lato, di preservare le condizioni necessarie affinché l’agricoltura svolga fino in fondo tutte le sue molteplici funzioni secondo le priorità sociali sopra definite. D’altro lato, di continuare ad incentivare la produzione di energia da biomassa agricola consentendo, tra le altre cose, ai produttori agricoli un’ulteriore fonte di reddito.
In modo ancora più esplicito si può sostenere che la promozione delle funzioni dalla prima alla terza sopra descritte deve oggi fare i conti con le problematiche sollevate dalla quarta funzione, cioè la produzione di energia da biomasse agricole. Ne consegue che la promozione della produzione di energia di fonte agricola va garantita solo se non confligge con le altre funzioni e, quindi, solo se usa scarti, rifiuti, residui (residui della lavorazione del legname o della produzione alimentare; produzioni difettose o eccedentarie non impiegabili altrimenti, ecc.), nonché risorse e capacità che non trovano adeguato impiego nello svolgimento delle prime tre funzioni, come nel caso di aree marginali o non altrimenti utilizzabili.
Questa competizione tra “piatto e serbatoio” nell’esercizio dell’attività agricola, a cui sempre più spesso si fa riferimento, andrebbe perciò chiaramente risolta da parte delle politiche agricole a favore del “piatto”.

Agricoltura e sviluppo locale

Nelle società agrarie, i piccoli centri urbani sono spazi complementari allo spazio rurale, dal momento che consentono gli scambi commerciali, svolgono le funzioni amministrative, culturali e garantiscono la sicurezza. Nelle società industriali, invece, e ancor più nelle società post-industriali, sono le aree rurali ad essere funzionali rispetto ai centri urbani, giacché forniscono ad essi alimenti, risorse naturali, acqua per usi civici e industriali, ma anche aria pulita e spazi per l’attività ricreativa, nonché, come detto, una crescente quantità di energia rinnovabile. Questa è certamente la situazione prevalente nelle società dell’Unione europea.
Intesa nell’accezione ampia sopra riportata, l’agricoltura è il principale motore e regolatore dello sviluppo locale nelle aree rurali. Con la sua attività, l’agricoltura gestisce e modella il 90% della superficie territoriale in queste aree, svolgendo così le suddette funzioni in termini di produzione di beni e generazione di benessere. Ma, in più, l’agricoltura condiziona anche fortemente, in via diretta o indiretta, la struttura e l’articolazione degli insediamenti sul territorio, la presenza di infrastrutture e le altre attività economiche locali.
In considerazione di ciò, quindi, la politica agricola, in combinazione con le altre politiche e soprattutto con le politiche regionali, deve svolgere la funzione di rendere stabile l’esercizio dell’attività agricola in questi territori, in modo da rendere stabile, vista la suddetta centralità del settore, la permanenza e lo sviluppo delle comunità rurali e, quindi, lo svolgimento delle relative funzioni nei confronti delle aree urbane. La politica deve cioè mettere in condizioni l’agricoltura non solo di svolgere la sua funzione economica come un qualsiasi altro settore produttivo, ma anche di garantire quei servizi che solo l’agricoltura può fornire alla società in modo efficace: la protezione e la cura del paesaggio e delle aree con funzioni turistico-ricreative, la garanzia della produzione di alimenti anche nel lungo periodo, e molte altre funzioni.
A mio giudizio, solo un’agricoltura non industrializzata, quindi per certi versi “contadina”, sebbene economicamente solida, è in grado di garantire questi servizi. Ne consegue che una politica agricola, nell’interesse dell’intera società, dovrebbe promuovere questo tipo di agricoltura. Direttamente, mediante pagamenti per i servizi resi e non commercializzabili e la promozione di altre iniziative a livello di singola azienda. Indirettamente, garantendo uguali condizioni e opportunità di sviluppo e di qualità della vita nelle aree rurali, in modo da prevenirne il loro progressivo declino.
Con riferimento alle interazioni tra agricoltura, energia e sviluppo locale, la produzione decentrata di energia da fonti rinnovabili offre alle aree rurali numerosi vantaggi e altrettante opportunità di sviluppo. I flussi finanziari generati dalla produzione di energia non vengono immessi nei grandi circuiti finanziari globali, bensì rimangono investiti nel contesto locale e ciò ne promuove lo sviluppo e garantisce al territorio rurale un maggior potenziale di crescita. La domanda di energia può così essere soddisfatta secondo queste soluzioni “verdi”, mediante lo sviluppo nel giro di pochi decenni di tecnologie già esistenti, mentre i territori recuperano una capacità di auto-approvvigionamento energetico che avevano quasi interamente perduto.
L’agricoltura può contribuire a questo sistema decentrato di produzione di energia in modi diversi. Può offrire aree adatte per l’insediamento di impianti di energia eolica o fotovoltaici. Le stesse strutture e fabbricati agricoli possono ospitare piccoli impianti di questo tipo. Residui del taglio e della lavorazione del legname possono essere venduti in varie forme (cippato, pellets, ecc.). Altri residui e scarti dell’attività agricola possono essere impiegati per produrre energia in situ oppure, sempre di più, in impianti cooperativi che aggreghino numerosi produttori agricoli locali per conseguire la necessaria massa critica nella produzione di energia. Allo stato attuale, per esempio, impianti per la produzione di biogas combinati con reti per il teleriscaldamento su base locale rappresentano soluzioni molto efficienti. Si tratta di sistemi flessibili nella produzione di energia elettrica e calore e gli ulteriori residui della fermentazione possono essere infine usati come fertilizzanti organici. Tutte queste sono anche soluzioni che consentono all’agricoltore interessanti e stabili integrazioni di reddito.
Invece, il caso della produzione di biomassa agricola per l’esclusivo uso energetico deve essere esaminato con attenzione caso per caso. Infatti, come discusso in precedenza, tale circostanza può entrare in conflitto con altre priorità sociali, come la produzione di alimenti, e le politiche dovrebbero evitare che ad essa vengano garantite condizioni di favore rispetto all’uso food e, invece, indurre all’uso a fini energetici solo delle “capacità libere” (appunto, terreni marginali, residui e scarti di lavorazione, ecc.). Le conseguenze negative di un significativo dirottamento di risorse e attività agricole dalla produzione alimentare a quella energetica verrebbero soprattutto pagate, nella forma di prezzi alimentari più elevati, dai paesi in via di sviluppo e, nei paesi sviluppati, dalle fasce più povere della popolazione. Non si tratta, chiaramente, di una risposta accettabile al problema energetico.
In particolare, nei nuovi Stati membri dell’UE dell’Est e del Sud-Est europeo, nonché nei paesi in procinto di entrare nell’UE e negli altri paesi dell’Europea orientale comunque partner commerciali dell’UE, l’agricoltura sta cambiando radicalmente. In molte realtà regionali la transizione non è ancora compiuta e l’adattamento alle norme e alle pratiche dell’UE talora è ancora all’inizio. In questo contesto, il ruolo fondamentale di una politica agricola comune è quello di definire un percorso stabile di trasformazione di queste agricolture non solo verso un orientamento al mercato, ma anche secondo lo svolgimento delle suddette molteplici funzioni che all’agricoltura vengono chieste. Deve quindi far sì che l’agricoltura svolga il suo fondamentale e omnicomprensivo ruolo per lo sviluppo locale nelle aree rurali. Altrimenti queste aree sono destinate ad un inesorabile declino e a perdere una qualsiasi funzione produttiva. In questo quadro, la produzione di energia da fonti agricole è certamente da considerare uno dei pilastri fondamentali.

Distorsione o vantaggio equo di mercato? La “politica della verità” nella negoziazione della PAC del dopo 2013 in Danimarca e Svezia

Rasmus Klocker Larsen, Sofie Joosse (Stockholm Environment Institute e Department of Social and Economic Geography, Uppsala University, Svezia)

Traduzione di Andrea Bonfiglio

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La regolazione del mercato nell'agricoltura europea: distorsione o vantaggio equo?

Sull’onda dell’Health Check della PAC, completato a fine 2008, i vari gruppi d'interesse negli Stati membri dell'UE hanno avanzato le loro prime proposte sulla politica agricola comune del dopo 2013. La recente riforma del 2003 e l’Health Check hanno spinto verso il disaccoppiamento dei pagamenti diretti dalla produzione, motivato dall’obiettivo di un maggiore orientamento al mercato in conformità alle richieste dell'OMC. Alcuni suggeriscono che l’obiettivo di ridurre le distorsioni nell’ambito del commercio internazionale sia stato implementato parallelamente ad un crescente atteggiamento neo-liberale in seno alla Commissione agricola (Erjavec, Erjavec, 2009).
Ancora, il passaggio ad una diversa concettualizzazione dell’agricoltura, dal produttivismo, al post-produttivismo fino alla multifunzionalità, ha favorito una crescente regolamentazione pubblica delle pratiche agricole, con particolare riguardo alle misure agro-ambientali (si veda ad esempio Björkhaug e Richards, 2007). Ciò si riflette nella predominanza di due strumenti politici di governo, vale a dire l'uso del mercato e la normalizzazione delle pratiche agricole. Entrambi gli strumenti si affidano piuttosto ad approcci basati sulla conoscenza prescrittiva (Steyart e Jiggins, 2007) che a negoziazioni collettive a livello nazionale o locale, concernenti ciò che lo sviluppo rurale dovrebbe auspicabilmente includere.
In aggiunta, la progressiva trasformazione della politica agricola in una politica di sviluppo rurale, come dimostra per esempio la modulazione, utilizzata per ridistribuire i fondi tra i beneficiari degli Stati membri (LEI e IEEP, 2009), sta ampliando il ventaglio dei possibili stakeholder. Questo pone la necessità di una negoziazione più estesa e la conciliazione di interessi anche molto diversi tra loro. Una premessa fondamentale da fare è che, mentre per alcuni la regolazione della PAC rappresenta una “distorsione di mercato”, per altri è invece un “vantaggio equo di mercato”! Esistono quindi posizioni molto divergenti sulle modalità di distribuzione delle risorse che coinvolgono istituzioni, gruppi di interesse e altre parti interessate (cfr. anche Dwyer et al., 2008). In tutti i casi, le riflessioni sul futuro della PAC hanno ad oggetto la definizione di “bene pubblico” e la ricerca di forme desiderabili di produzione sostenibile.
I 27 Stati membri dell’UE hanno davanti a sé un compito difficile nel trovare un accordo su una PAC riformata che sia adatta a tutte le regioni e alle sfide future che il settore agricolo è chiamato ad affrontare. Questa difficoltà deriva dal disaccordo esistente tra gruppi di Stati membri su ciò che rappresenta il livello più desiderabile di regolamentazione nell’ambito della PAC. Per esempio, nel dicembre 2009, il governo francese organizzò un incontro per discutere della PAC del dopo 2013, al quale tutti gli Stati membri dell'UE furono invitati, ad eccezione di Svezia, Danimarca, Olanda, Malta e Regno Unito. Gli organizzatori dell’incontro ritennero che i paesi esclusi, essendo orientati ad una PAC deregolamentata, avessero una visione politica troppo distante da quella degli altri Stati membri. Questa esclusione non fu accolta favorevolmente dalla Svezia, che a quel tempo aveva la presidenza dell'UE.

Una sintesi dei punti di vista di Svezia e Danimarca

Agriregionieuropa, attraverso il Groupe de Bruges ci ha chiesto di delineare alcuni dei punti principali del dibattito sul futuro della politica agricola comune europea in Svezia e Danimarca, due nazioni che sono tra i principali promotori della deregolamentazione della PAC. Abbiamo scelto di non fare una disamina delle politiche di governo o dei documenti prodotti dai gruppi di interesse, dal momento che la maggior parte di queste informazioni è disponibile in lingua inglese e accessibile online. Piuttosto, questo saggio esamina le opinioni e le preoccupazioni di quanti operano all’interno del settore agricolo o si interessano di questioni agricole, cercando di far emergere i punti di vista di chi si trova, per così dire, in “prima linea”. Si fa qui riferimento ad interviste a più di 20 soggetti che attuano o sono beneficiari dell’attuale PAC in Svezia e Danimarca. Come tale, presentiamo quindi un’analisi qualitativa del dibattito attuale, che non ha lo scopo di essere in alcun modo esaustiva. Inoltre, si tenga presente che l'analisi qui riportata discende da riflessioni personali che attingono dalla nostra esperienza maturata nell’ambito dell'agricoltura e dello sviluppo rurale. Riconosciuti i limiti di questo saggio, speriamo che la nostra digressione renda giustizia alla complessità delle questioni affrontate e sia di interesse per quanti saranno coinvolti nella negoziazione della PAC del dopo 2013.
Adottiamo un modello interpretativo che riconosce che la formulazione di proposte riguardanti la PAC del dopo 2013 trovano, ora e nel corso dei prossimi anni, espressione in differenti forme di dialogo sul futuro dell'agricoltura e dello sviluppo rurale. Ispirandoci ad Anne-Lise Francois, ipotizziamo che molti di coloro che esprimono i loro punti di vista lo facciano attraverso narrazioni che considerano la storia come necessità e il futuro come dato. Proviamo ad illustrare questo concetto con un esempio proveniente dagli Stati Uniti, con il quale Francois (2003, p. 44) osserva che un "velato determinismo emerge quando la Monsanto e gli altri difensori degli organismi geneticamente modificati (OGM) parlano come se esistesse un’unica storia riguardante l’agricoltura: una strada unidirezionale che conduce diritta dai primi semi salvati dall'uomo alla soia Roundup Ready". Per difenderci da eventuali critiche per aver difeso una posizione anti-OGM riportiamo anche la replica di Francois (2003, p. 43) ad un movimento ambientalista che sogna una natura incontaminata: "Qual è la minaccia prodotta dalle colture e dagli animali geneticamente modificati: la realtà fattuale e la possibilità di un cammino spontaneo verso il predeterminato, o l'illusione che non via nulla di prestabilito? E in quest'ultimo caso, non dovremmo gioire per la possibilità di essere liberi dalle nostre persistenti illusioni sulla natura come un Eden la cui generosità si offre liberamente?". Qui di seguito, affrontiamo la discussione sulla PAC nel modo descritto da Foucault come “politica della verità” (Barrett, 1991), intendendo il tentativo di lotta agli schemi mentali che determinano quella che è considerata una definizione accettabile di “bene pubblico” nella valutazione delle possibili opzioni politiche. In particolare, ci concentriamo sui disaccordi e sulle prospettive riguardanti ciò che rappresentano equità e distorsione nella regolazione del mercato nell'ambito della PAC.

Discussione

Rispetto a molti altri paesi dell'Unione Europea, la Danimarca e la Svezia hanno un approccio normativo rigoroso in materia di inquinamento di origine agricola. In entrambe, in gran parte, vi è una diffusa auto-concezione che l’agricoltura interna sia all'avanguardia per quanto riguarda l'innovazione e le pratiche agricole eco-compatibili, compreso il benessere degli animali. E' quindi prevedibile che la promozione di questi standard nell’ambito dei regolamenti agro-ambientali nell'UE fornirà un vantaggio competitivo nella concorrenza di mercato, soprattutto nei confronti dell'Europa centrale e meridionale, e consentirà anche l'esportazione di tecnologie verdi con un aumentato guadagno economico (vedi anche Mills e Dwyer, 2009).
Prima che la Svezia entrasse nell'Unione Europea nel 1995, il paese aveva cominciato a deregolare il settore agricolo, prevedendo anche l’abolizione dei sussidi alle esportazioni e degli strumenti di regolazione del mercato interno (Prop. 1997/1998). Il Governo scelse di finanziare il settore agricolo con il sostegno diretto all’offerta di specifici servizi pubblici, come il mantenimento della terra in buone condizioni agro-ambientali e un’agricoltura diversificata. Quando la Svezia entrò nell'UE, il settore agricolo venne ri-regolamentato e molti svedesi lo ritennero un passo indietro. Molti cittadini hanno riserve sull'Unione Europea. In particolare, il sostegno diretto agli agricoltori viene spesso definito come qualcosa di costoso e inutile1. Sin dall’entrata nell'Unione Europea, i governi svedesi hanno sostenuto, coerentemente con la politica nazionale esistente prima dell’ingresso nell’UE, la deregolamentazione della PAC, la diminuzione del budget ad essa assegnato e la modulazione delle risorse verso lo sviluppo rurale e misure ambientali.
Anche il governo danese sostiene la deregolamentazione della politica comune, in particolare la totale abolizione del sostegno nell'ambito del 1° pilastro. Durante il dibattito sull’Health Check della PAC, la linea del governo danese era che le risorse del 1° pilastro dovevano essere trasferite verso le misure agro-ambientali e si dovesse evitare la rinazionalizzazione della PAC2. Coerentemente con questa linea politica, la strategia di “crescita verde” del governo danese, intrapresa a partire dal 2009, mira a promuovere un’agricoltura multifunzionale che in maniera dualistica sia al servizio dell’ambiente e delle esigenze produttive. Questo dovrebbe accadere attraverso una fusione di interessi settoriali, resa possibile dall'innovazione tecnologica, da accresciuti vantaggi competitivi e da un’ulteriore modernizzazione della normativa agricola. Le modifiche legislative che sono state recentemente apportate, per la prima volta, rendono possibile la proprietà collettiva della terra, consentendo quindi un aumento significativo della scala produttiva.
La difesa danese e svedese in favore della deregolamentazione della PAC è considerata un tentativo di asservire gli interessi dell'agricoltura nazionale piuttosto che rappresentare semplicemente una spinta ideologica verso la liberalizzazione del mercato. In Danimarca, questo si spiega con il fatto che, rispetto alle agricolture più specializzate dell’Europa meridionale, la produzione è generalmente molto più semplice e realizzata su grande scala: è questo il caso, ad esempio, della produzione suina, di grano e colza. La monocoltura su larga scala ha un basso impatto nella catena del valore, ma può pur sempre concorrere con i produttori più specializzati in un libero mercato europeo. Un problema raramente preso in considerazione nel dibattito sui sussidi è la crescente esportazione di problemi ambientali attraverso l’appropriazione della terra in altri paesi europei che presentano una minore regolamentazione agro-ambientale. Questo problema si ricollega alla questione ben più ampia riguardante gli impatti ambientali e sociali derivanti dalle politiche di liberalizzazione del commercio agricolo (Würtenberger et al., 2005). È stato suggerito che la posizione della Svezia sulla deregolamentazione possa analogamente essere spiegata dagli interessi nazionali, poiché dalla deregolamentazione trarrebbe vantaggio la sua "piccola economia aperta, fortemente dipendente dal commercio e [...] dunque tradizionalmente [...] orientata al libero scambio" (Rabinowicz e Hammarlund, 2008).
Una visione alternativa all’attuale politica del governo proviene da un certo numero di ONG ambientaliste e di organizzazioni sindacali, le quali sostengono che, mentre i benefici in termini di reddito e occupazione, derivanti dalle esportazioni, in precedenza potevano legittimare le “esternalità” agricole sull’ambiente, ora si ritiene che i costi ambientali siano maggiori dei benefici. A questo si aggiunge la lamentela di alcuni funzionari pubblici secondo cui il dibattito sui sussidi spesso non tiene conto dei costi sostenuti dalla collettività, sotto forma di tasse destinate a sovvenzionare un settore agricolo indebitato. In Danimarca, questa preoccupazione di un “onere” a carico della collettività è connessa a quella che è considerata una “bolla” dei prezzi della terra che rende l’azione pubblica di sostegno a favore dell'agricoltura un’attività troppo costosa. Si sostiene che molte aziende agricole sarebbero tecnicamente insolvibili senza i sussidi e i prezzi sostenuti dei terreni. Tuttavia, è chiaro che anche sulla definizione di tipologia accettabile di “natura” non esiste un consenso unanime: mentre le ONG verdi sono a favore della conversione di terre improduttive verso ecosistemi “incontaminati”, molti agricoltori e altri cittadini sono soddisfatti dei paesaggi circostanti. Innanzi alla frustrazione delle ONG ambientaliste sul mancato raggiungimento degli obiettivi in termini di inquinamento, le organizzazioni degli agricoltori sostengono che la lisciviazione dei nutrienti è già al di sotto dei livelli del 1950.
In entrambi i paesi vi è una visione comune e dominante in base alla quale l’attuale pagamento unico aziendale (PUA) rappresenta un miglioramento significativo. Un agricoltore intervistato ha dichiarato che: "il pagamento unico aziendale è una misura ragionevole in quanto non influenza la produzione, ma affida le strategie agricole all'agricoltore". Tuttavia, ha continuato giudicando che la politica sarebbe ancora più efficace se: "una piccola percentuale, circa il 20% del PUA, fosse destinata al sostegno alla qualità. Un sostegno alla creatività e alla motivazione, in modo che l'agricoltore si impegni in azioni a favore dell'ambiente e della biodiversità." Per molti degli intervistati, però, i conflitti in termini di obiettivi fra gli attuali sistemi di pagamento sono un motivo ricorrente di preoccupazione. Per la stessa impresa, vigono infatti sistemi che spingono i singoli agricoltori ad inquinare e sistemi che sanzionano comportamenti dannosi per l’ambiente.
Come sostenuto da alcuni agricoltori in entrambi i paesi, nonostante il sussidio alla terra sia ora in gran parte disaccoppiato, beneficiano ancora di questo aiuto soprattutto alcune forme di agricoltura estensiva grazie alla loro ampia dimensione. Questo è dovuto al fatto che il PUA è così diffuso e influente da rendere inefficaci le minori ma più mirate forme di incentivi. Per esempio, un agricoltore ha dichiarato di non essere interessato a queste misure in quanto è maggiore il costo (in termini di tempo) nel richiedere i relativi fondi rispetto ai benefici (in termini di risorse) che ne potrebbero derivare.
Questo spiegherebbe anche perché un ricercatore che si occupa di sviluppo rurale ha suggerito che il PUA dovrebbe essere eliminato prima possibile, in quanto "è così elevato e diffuso, da non essere di alcuna utilità dal punto di vista dell’incentivazione". Egli avverte però che togliendo il PUA potrebbero verificarsi conseguenze impreviste e indesiderate. In generale, sarebbe preferibile un corpo normativo più semplificato. Tuttavia, lo stesso ricercatore dubita dell’efficacia di interventi volti a rimuovere solo alcune parti dalla normativa vigente, in quanto "il sistema di sostegno è così complesso che è difficile capire se la modificazione di una sola regola, senza toccare il resto, condurrebbe effettivamente ad un miglioramento".
La modulazione tra i pilastri in favore delle politiche di sviluppo rurale consente a ciascuno Stato membro di trasferire il 20% dei sussidi agricoli ai programmi di sviluppo rurale. La dimensione di questa dotazione è motivo di ampia discussione a livello nazionale, dove le diverse posizioni giustificano differenti modelli di allocazione. In Danimarca, alcuni pianificatori territoriali suggeriscono che l'attuale e limitata modulazione nazionale fornisca benefici in gran parte agli agricoltori e alle priorità ambientali che non allo sviluppo delle aree rurali, dove i gruppi di azione locale non ricevono il sostegno necessario. Per entrambi i Paesi, questo dibattito si colloca in un contesto in cui la liberalizzazione del commercio e della produzione agricola provoca una frammentazione nelle aree rurali, dove i divari di reddito e di performance all’interno e tra le regioni si sono ampliati, causando costi crescenti per il mantenimento della coesione sociale (OCSE, 2010). Altri ritengono che la modulazione potrebbe essere aumentata per finanziare programmi che considerano più ambiziosi, quali lo sviluppo dell'agricoltura biologica o il sostegno a pratiche agricole che contrastino gli effetti del cambiamento climatico.

Conclusioni

La politica agricola comune europea è caratterizzata da un elevato grado di inerzia, al pari di altre strutture di governance regionale che dipendono da una negoziazione tra diversi Stati membri e gruppi di interesse. Questo fa sì che, spesso, abbia difficoltà nel tenere il passo con l'evoluzione delle diverse esigenze e opinioni di quanti sono coinvolti. Ciò è ulteriormente complicato dalla difficoltà, richiamata da molti degli intervistati, che le decisioni sulla forma appropriata di regolamentazione si devono più frequentemente ad assunzioni politiche dei policy maker che all'esperienza dei funzionari pubblici e di altri implementatori e clienti della politica. In questo breve saggio, abbiamo discusso alcune delle implicazioni che emergono dal rapporto fra obiettivi politici e realtà dei soggetti interessati e quali possano essere gli sviluppi della PAC del dopo 2013.
La conclusione più significativa, che si può trarre da questa breve analisi, è forse quella che, sottostante alla posizione in materia di regolamentazione del settore agricolo di Stati membri come la Svezia e la Danimarca, vi siano alcune interessanti considerazioni di base di cui tener conto per garantire un futuro regime di politica che sia efficiente. E’ necessario che gli Stati membri sviluppino un dialogo inclusivo, in cui siano ammesse posizioni divergenti, al fine di conciliare le molte differenze nella definizione di bene pubblico e di giusto vantaggio in un'economia di libero mercato. La politica dell’UE del dopo 2013 deve anche fornire più spazio e opportunità agli Stati membri per adattare gli obiettivi comunitari al contesto nazionale. In Svezia e Danimarca, l'agricoltura, forse più di altri settori, è caratterizzata da una situazione peculiare in cui gli ideali del libero mercato soddisfano valori profondi e radicati di proprietà privata e di autonomia dei cittadini. È questo un fattore principale che contribuisce alla predominanza delle cosiddette misure “volontarie” nell'ambito di schemi agro-ambientali in entrambi i paesi, nel tentativo di trovare un equilibrio tra intervento statale e autonomia privata. Probabilmente, un’agricoltura multifunzionale sostenuta da strumenti politici volontari richiede un alto grado di concertazione tra gruppi di interesse. Fino ad oggi, sia la Svezia che la Danimarca hanno fatto numerosi sforzi in questa direzione. Riteniamo che sia necessaria maggiore attenzione verso la “politica della verità” come componente vitale del futuro negoziato sulla PAC. Questo richiederà una decostruzione condivisa di nozioni di massima quali “liberalizzazione del mercato”, “deregolazione”, e “distorsione”, che dovranno essere oggetto di un processo di negoziazione.

La discussione sul futuro della PAC in Austria

Klaus Wagner (Federal Institute of Agricultural Economics, Vienna)

Traduzione di Antonello Lobianco

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Le questioni di fondo

In Austria è iniziato un ampio dibattito-processo sul futuro della PAC. Accanto alle preoccupazioni internazionali riguardo ad una ri-nazionalizzazione delle politiche di intervento UE, sono incominciate le lotte interne nazionali per influenzare le decisioni e per accaparrarsi i fondi. Probabilmente la situazione è molto simile anche negli altri Paesi.
Accanto ad argomenti puramente tecnici ed “obiettivi” ci sono vari altri livelli e dimensioni da considerare nella formazione nel mondo reale del processo politico: (a) in una prospettiva generale l'agricoltura deve lottare per le misure di sostegno e giustificarle nei confronti degli altri settori dell'economia e della società; (b) al di là di questo, i diversi settori delle scienze della vita esigono una quota del budget in quanto vi sono aspetti relativi a natura, acque, suoli, protezione climatica, economia rurale, qualità della vita rurale, rapporti tra i generi; (c) in aggiunta abbiamo la competizione tra i diversi settori: la pastorizia contro l'agricoltura dei seminativi, l'agricoltura di montagna contro l'agricoltura delle regioni favorite, il biologico contro i metodi convenzionali, la protezione delle falde acquifere contro la tutela delle acque di superficie, a volte anche botanici contro zoologi; (d) un'altra dimensione che si sovrappone alle precedenti è data dalla suddivisione dell'Austria nelle varie Province. In maniera similare alla battaglia per le quote tra i vari Paesi membri, a ciascuna Provincia spetta una specifica quota della torta e gli aggiustamenti sono tutt'altro che facili da realizzare; (e) un altro argomento maggiormente tecnico è relativo alla controversia che si è osservata nel settore bancario (e recentemente anche in quello lattiero-caseario) tra sostenitori di un mercato libero e sostenitori di un mercato fortemente regolamentato: nei periodi espansivi, la deregolamentazione e i profitti privati sono gli unici obiettivi, ma nei periodi recessivi si invoca la regolamentazione e la responsabilità della società; (f) ultimo nell'elenco, ma non nell'importanza (anzi, più probabilmente, il primo) le posizioni politiche dei vari partiti sono molto importanti e, almeno in Austria, gli agricoltori sostengono prevalentemente i partiti conservatori, mentre maggiore attenzione agli aspetti ambientali è tipica dei socialisti.
Ogni nuova misura sarà e dovrà essere verificata tenendo in debita considerazione tutti questi elementi. Un altro aspetto, di carattere generale, è che implementare nuove misure addizionali è facile, ma per rimuovere quelle esistenti serve un'eccezionale capacità di resistenza alle pressioni politiche.

I temi della discussione

I punti principali della discussione austriaca sul futuro della PAC sono i seguenti: c’è un forte sostegno alla politica dei due pilastri e si ritiene necessario battersi per una forte politica agricola comune per un'agricoltura sostenibile e multifunzionale; la sicurezza alimentare e la sicurezza nell'approvvigionamento, la protezione climatica e delle risorse acquifere, le energie sostenibili sono tutti argomenti centrali nel dibattito; c’è una notevole convergenza nel Paese a favore dei pagamenti disaccoppiati, rivendicando soluzioni per abbassare gli oneri amministrativi; in relazione alla crisi economica e all’alta volatilità dei prezzi si ritiene siano necessari strumenti, anche innovativi, di stabilizzazione dei mercati; c’è accordo e sostegno ai pagamenti diretti disaccoppiati, ma in minor grado nelle regioni sensibili dove si chiede anche, in alternativa, che sia consentito il pagamento accoppiato per alcuni settori; si sostiene che il livello dei pagamenti diretti debba essere proporzionato in misura inversa all'imponibile, mentre si è contrari al cofinanziamento nazionale; il cofinanziamento delle misure del secondo pilastro invece, si ritiene abbia avuto successo ed apra ampie prospettive all'azione nazionale; si sostiene infine che il secondo pilastro dovrebbe includere la protezione delle risorse naturali e la produzione agricola sostenibile.
Le stime per l'Austria comunque indicano che l'agricoltura dei seminativi sia comunque condannata al declino, in tutti gli scenari ipotizzabili, mentre l’allevamento al pascolo e l'agricoltura di montagna beneficerebbero di una regionalizzazione estesa a tutto il Paese. Ci si aspetta quindi che la PAC continui a svolgere il suo ruolo di sostegno dell’agricoltura pur riformata, in quanto senza di essa si rischierebbe nel Paese un drastico abbassamento dei redditi, una concentrazione delle produzioni soltanto nelle regioni più vocate, un impatto particolarmente negativo nelle regioni svantaggiate, con pesanti perdite di aree agricole, ecosistemi e biodiversità, con incremento delle neo-formazioni forestali e perdita di spazi aperti e di aree rurali vitali ad alto potenziale turistico.

L’Albania e la PAC del futuro

Fatos Fico (Albanian Foundation for Training&Development - AFTD, Tirana)

Traduzione di Beatrice Camaioni

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Introduzione

Si racconta che, ai tempi dell’impero ottomano, i contadini dei Balcani, probabilmente romeni, crearono una nuova varietà di mais. A quel tempo le tasse caricate dagli intermediari o “predatori di terre” erano molto alte, e i contadini inventarono questa terribile varietà di mais sapendo che gli esattori non l’avrebbero tassata in quanto non commerciabile. In questo modo, i contadini poterono tenere per sé l’intera produzione di questa varietà che utilizzavano per fare una poltiglia di mais disgustosa, chiamata “mamaliga”, ossia madre cattiva. Il nome è da attribuirsi al fatto che i bambini la detestavano, e per questo, va notato, biasimavano non gli esattori, ma la propria madre.
Al di là del folklore, la storia mette anche in evidenza lo spirito imprenditoriale dei contadini e degli agricoltori che vogliono massimizzare il proprio risultato e trattenere il più possibile per se stessi, come ogni imprenditore farebbe in ogni altra circostanza in tutto il mondo. La storia si potrebbe ripetere oggi su un diverso piano. Un giovane utilizzatore di computer potrebbe parlare di “padre cattivo” imputando al genitore di avergli comprato un computer con i driver in conflitto, i virus, dei malware.
Storie ed esperienze come questa appena citata, dettata dalla fame, in cui il vero interrogativo è se domani si avrà abbastanza cibo, furono alla base dell’introduzione della PAC in Europa. E la storia continua con la PAC che diviene la madre cattiva, così cattiva che ci si chiede, costantemente, cosa c’è in essa di sbagliato? Per cui, rifletterò sull’Albania e sul futuro della PAC, ma proponendo una posizione differente rispetto ai contributi provenienti da autori di altri paesi dell’Unione europea, visto che l’Albania non è membro dell’UE, ma Paese che aspira a diventarlo al più presto, tanto che ha presentato la propria candidatura nel 2009.

L’agricoltura in Albania

L’agricoltura albanese continua ad essere dominata da piccole aziende agricole (350 mila) con una dimensione media di 1,14 ettari. Solo l’11,5% delle aziende possiede più di 2 ettari. L'agricoltura produce circa il 20% del PIL e, ancorché poco sviluppata, ha un ruolo fondamentale per l'economia nazionale. Le zone rurali ospitano la metà della popolazione del paese che conta sull’agricoltura, sull’allevamento, sulle attività forestali e sulle altre attività rurali per il proprio sostentamento.
Durante la transizione le piccole aziende agricole furono lasciate sole e si accollarono tutti i relativi disagi. Il sostegno ricevuto dagli agricoltori anche oggi è minimo e limitati sono gli investimenti in infrastrutture agricole e in servizi di consulenza. Il passaggio dalla sussistenza alla commercializzazione dei propri prodotti continua ad essere una sfida per le piccole aziende albanesi, considerato che solo circa il 20-30% della produzione agricola è commercializzato.
Inoltre, una delle fonti cruciali di liquidità proviene dalle rimesse inviate in patria dai giovani migranti che lavorano prevalentemente nei paesi dell'Unione europea (molti dei quali impiegati in agricoltura) e rappresenta una criticità per quel che concerne il sostegno al sostentamento e soprattutto per gli investimenti effettuati nel settore agricolo del paese, in termini di capitali, ma anche di know how.
Essendo i membri dell’UE i principali partner commerciali dell’Albania, uno dei maggiori problemi degli agricoltori albanesi è la competitività delle proprie produzioni rispetto a quelle europee. Le importazioni di prodotti agro-alimentari ammontano a più di 500 milioni di euro l’anno; ovviamente non si può produrre tutto internamente, peraltro l’export rappresenta meno di 1/10 delle importazioni e, per di più, il paese importa prodotti quali verdura, frutta e lattiero-caseari il cui potenziale produttivo locale sarebbe molto alto. Eppure, i prodotti importati sono spesso percepiti dai consumatori come qualitativamente migliori e presentano molti altri vantaggi comparati, che riescono a battere sul mercato le produzioni interne.
Gli agricoltori albanesi dichiarano costantemente che uno dei principali problemi è la sicurezza di uno sbocco sul mercato per i propri prodotti. La vendita, cioè la finalizzazione del prodotto, rappresenta la grande incertezza per tutti gli agricoltori. Una PAC che sostiene le vendite e produce valore aggiunto è alla base dello sviluppo per gli agricoltori. Questo non implica di legare il sussidio alla quantità prodotta o introdurre un sistema di garanzia sui prezzi, o altre forme di protezionismo, ma si chiede una politica che sostenga gli agricoltori: innanzitutto essi debbono essere riconosciuti dalla PAC stessa, dall’economia e dalla società come agricoltori, in grado di raggiungere il mercato; con politiche e misure che consentano di migliorare gli standard produttivi come richiesto dai consumatori. Dopodiché sia il mercato a decidere.
Gli agricoltori albanesi accettano la competizione. Abituati da anni ad un mercato aperto, non protetto, quasi selvaggio e non sovvenzionato, essi hanno uno sviluppato spirito imprenditoriale e buona attitudine al rischio, anche se il rapporto mercato-impresa è ancora sottosviluppato. Il collegamento al mercato rimane dunque la questione fondamentale sia per gli agricoltori che per l’industria di trasformazione, ma anche per gli altri operatori commerciali e per i consumatori. La PAC dovrebbe sostenere l’organizzazione dell’offerta dei piccoli agricoltori intervenendo, ad esempio, sul funzionamento delle organizzazioni dei produttori; nel favorire una cooperazione forte ed effettiva tra agricoltori, creando preventivamente il necessario clima legale e sociale; sulla commercializzazione e sugli impianti di conservazione; sul fabbisogno informativo e sul concreto sostegno per aumentare i livelli qualitativi delle produzioni e raggiungere più alti standard di mercato.

Le misure della PAC e l’Albania

Ciò detto, occorre affrontare un altro tema: il diritto di proprietà e la registrazione della proprietà terriera sono il presupposto per lo sviluppo agricolo e rurale albanese. La certezza del diritto di proprietà sulla terra è la base per lo sviluppo dell’economia di mercato e per superare definitivamente e velocemente le barriere allo sviluppo. La questione fondiaria rappresenta la priorità del governo nazionale al fine di proiettare l'agricoltura albanese verso quella europea.
Il regime di pagamento unico, così come è attualmente applicato nell’UE, è difficilmente attuabile in Albania (se non è addirittura impossibile), considerate le ridotte dimensioni della maggior parte delle aziende agricole. Nel migliore dei casi questo si trasformerebbe in un sistema indiretto di assistenza sociale. Maggiormente idonee alla realtà agricola albanese sono politiche e misure di stimolo alla produzione che contribuiscano a creare le giuste basi per la concorrenza nell’economia interna, quali: favorire il consolidamento fondiario, evitando l’ulteriore frammentazione dei terreni e sostenendo il mercato fondiario; incentivare la cooperazione, ad esempio favorendo l’aggregazione tra produttori, trasformatori o venditori; migliorare le condizioni di accesso al credito; sostenere specifiche misure di assicurazione per l’agricoltura; migliorare i sistemi funzionali di irrigazione e drenaggio dei terreni.
Anche incentivare la diversificazione delle attività agricole in favore di attività quali l'energia rinnovabile (e l'efficienza energetica) può contribuire in maniera diretta sui costi di produzione e sulle condizioni di vita. L’Albania è un grande territorio vergine e una strategia adeguata, considerato l’alto potenziale di energia solare, l’assenza di infrastrutture per la distribuzione di gas naturale, la domanda globale crescente di energia e l’aumento consecutivo dei prezzi, potrebbe dare risultati sorprendenti. In caso contrario, la pressione sulle foreste e sulle biomasse, l'utilizzo di legna per il riscaldamento e per la trasformazione nell’agroalimentare potrebbe esaurire in poco tempo la risorsa terra.
Inoltre, maggiori investimenti in ricerca e sviluppo, in formazione e assistenza tecnica sia agricola in senso stretto, che con riferimento ai ruoli multifunzionali dell’agricoltore, sono fondamentali, dato il gran numero di piccole aziende e la loro diversità in termini di produzione e di attività agricole intraprese o che potrebbero essere intraprese.
Migliorare l'ambiente e sostenere la gestione del territorio rimane la base per lo sviluppo agricolo e rurale. In Albania, durante la transizione, le politiche e le pratiche espansioniste del periodo socialista, seguite da pratiche aziendali di sfruttamento caotico e aggressivo delle risorse naturali e del territorio, hanno inciso molto negativamente sulle risorse disponibili nelle zone rurali e sull’atteggiamento della popolazione rispetto all'ambiente e alla natura. Affrontare questa situazione a tutti i livelli è di vitale importanza per l'Albania e la nuova PAC dovrebbe includere misure rivolte alla protezione delle risorse naturali a livello comunitario, e contemporaneamente contribuire allo sviluppo delle capacità istituzionali a livello nazionale e locale.
In Albania, l'agricoltura continua ad essere considerata unicamente come la principale attività produttiva delle aree rurali. La Pac dovrebbe sostenere la multifunzionalità delle aziende agricole e i molteplici ruoli degli agricoltori, il rispetto dell'ambiente, la biodiversità, la conservazione della natura, delle risorse idriche, delle amenity rurali, della vitalità del territorio e delle altre risorse naturali e create dall’uomo. Allo stato attuale, gli agricoltori non hanno altra scelta che sfruttare massimamente le risorse esistenti. Se non sono adeguatamente e attentamente supportati e indirizzati, non solo in termini di sostegno finanziario ma anche attraverso approcci formativi, insieme ad un’energica e decisa azione delle istituzioni e della normativa, si potrà arrivare presto ad un punto di non ritorno.
Lo sviluppo sostenibile è legato alla modalità di applicazione e alla maturità della democrazia di un paese. In Albania la democratizzazione dovrebbe essere un processo continuo. In questo contesto, l’Asse Leader è particolarmente importante in quanto consentirebbe di aumentare e migliorare il livello di partecipazione delle comunità e dei soggetti interessati all’approccio "bottom up”, non solo per lo sviluppo economico, ma anche per ragioni di coesione sociale e di democrazia attraverso la partecipazione diretta dei soggetti nei processi decisionali e tramite una collaborazione diretta tra istituzioni pubbliche, imprese e comunità.
Nel caso dell'Albania, un Paese con poca esperienza e scarse risorse a livello delle amministrazioni locali, è difficile che le politiche di sviluppo rurale sostenibile diventino la priorità se a promuoverle dovessero essere unicamente i governi locali. Il ruolo della PAC nel coprire gran parte di tali priorità è pertanto fondamentale. L'esperienza di paesi con i sistemi democratici recenti non ancora funzionanti a pieno regime e la recente crisi, non solo economica, nei paesi dell'Unione europea dimostrano che agricoltori e cittadini possono essere maggiormente protetti e aiutati se ci si basa su strutture e politiche europee condivise e concordate democraticamente, capaci di fare fronte alle distorsioni prodotte dai leader populisti locali e da politici in cerca di voto.

Considerazioni conclusive

La futura PAC sarà una delle politiche dell'Unione europea che influenzerà maggiormente la società albanese, dato il gran numero di persone che vive e che dipende dall'agricoltura e dalle attività rurali. Ma non si tratta semplicemente di applicare la PAC attuale o futura all’Albania. Sono anche necessarie misure ad hoc che dovrebbero essere sottoposte a un ampio processo democratico di designazione, discussione e negoziazione coinvolgendo tutta la società e le parti interessate. Sarebbe funzionale, a questo scopo, la creazione di un più ampio processo di consultazione e di scambio di esperienze, la costruzione di network, soprattutto tra paesi che presentano forti analogie come i nuovi Stati membri dell'UE (es. Bulgaria e Romania), i paesi candidati e i paesi candidabili, in modo da mettere in pratica la lezione appresa. Ma qui è importante sottolineare ancora una volta che non solo il governo deve essere coinvolto, come avviene con le burocrazie, ma tutti gli stakeholder, gli agricoltori e le loro associazioni, la società civile, i consumatori, i dettaglianti, e così via.
È fondamentale un’attività continua di informazione di massa, ma è anche molto importante mantenere localmente una massa critica di conoscenza, di istituzioni e di persone che sono capaci e che possono portare avanti la discussione e il processo negoziale. A questo scopo, sia l’asse Leader che misure ad hoc potrebbero svolgere un ruolo importante. La Pac è "economia", ma anche "democrazia", per questo il regime di pagamento unico, oltre che essere difficilmente applicabile in Albania, rischierebbe di indebolire lo spirito imprenditoriale degli agricoltori, la loro creatività e il legame con il mercato. In paesi come l'Albania caratterizzati da "deboli" governi locali, soprattutto per quanto riguarda la costruzione di politiche e strategie di sviluppo rurale sostenibile, la futura PAC deve mirare a compensare tale debolezza e giocare un ruolo determinante con la sua lunga esperienza e con buoni programmi e strutture.
E’ fortemente necessaria una PAC semplice, che si autovaluti continuamente e conceda ai beneficiari e alla società lo spazio necessario e gli strumenti per verificare il suo funzionamento, facendo attenzione al rischio che altri livelli (nazionale o locale), più burocratici e parassitari, possano distorcere le intenzioni delle politiche dell'Unione Europea.
L'ulteriore sviluppo e il rafforzamento del pilastro relativo allo sviluppo rurale è essenziale per l'Albania. Il mantenimento, per quanto possibile, delle popolazioni rurali, in modo sostenibile, è una condizione essenziale. La percentuale delle persone che vivono nelle zone rurali è diminuita da oltre l’80% al 50%, ma le città difficilmente riescono ad assorbire la domanda emergente di lavoro e l'emigrazione non è un'alternativa.
L'Albania è un paese piccolo, confinante soprattutto con altri piccoli paesi. Da un lato, tutti questi paesi sono diversi per caratteristiche agricole, climatiche, geomorfologiche e tradizioni, dall'altro non mostrano grandi differenze in termini di sviluppo economico. Sono tutti candidati o potenziali candidati all’ingresso nell'UE. La complementarità del settore agricolo regionale dovrebbe essere rafforzata e i Paesi incoraggiati allo scambio e al commercio dei prodotti agro-alimentari sui quali hanno vantaggi comparati, in modo da favorire la specializzazione e la differenziazione interna e in tutta la regione. L'Unione Europea non avrà a che fare con una moltitudine disparata di piccoli produttori per ogni paese, ma con la più grande realtà specializzata a livello regionale.
Nello stato attuale dell'economia, con le sue strutture agricole e il suo bilancio import-export agro-alimentare, l'Albania mostra grandi potenzialità. Se supportata dalla PAC, l'agricoltura albanese può incrementare la produzione, raggiungere gli standard europei, adempiere alle richieste della società in merito a natura e ambiente e progettare uno sviluppo rurale sostenibile. Ma questo deve accadere presto.

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  • 2. Si veda [link].
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