Differenziazione, tutela della qualità e concentrazione dell’offerta: come riprendersi il valore

Differenziazione, tutela della qualità e concentrazione dell’offerta: come riprendersi il valore
a Università di Perugia, Dipartimento di Scienze Economiche-Estimative e degli Alimenti
b Centro per lo Sviluppo Agricolo e Rurale (CeSAR)

I temi della formazione dei prezzi, della catena del valore lungo la filiera agroalimentare e del differenziale di prezzi produttore-consumatore sono al centro del dibattito delle forze economiche e sociali.
Nel moderno sistema agroalimentare si constata una generale tendenza all’aumento dei margini totali di mercato (1), in conseguenza del maggiore contenuto di servizi e di sicurezza richiesti dal consumatore. L’aumento dei margini totali di mercato e le conseguenze sui prezzi agricoli spingono i produttori alla ricerca di un nuovo posizionamento dei prodotti e di nuove strategie di filiera.
A tal proposito, una parte del mondo agricolo sostiene che i sistemi di garanzia della qualità (etichettatura, certificazione, rintracciabilità) siano strumenti in grado di perseguire, oltre all’obiettivo della tutela dei consumatori, anche quello, più importante, della differenziazione del prodotto attraverso la quale conseguire maggiore potere di mercato e valore aggiunto da parte dei produttori.
L’Unione europea, già dal 1991 e più recentemente con il Libro Verde sulla qualità dei prodotti agricoli, ha dedicato una grande attenzione alle modalità più utili al fine di proteggere e promuovere la qualità dei prodotti agricoli (Canali, 2008).
Questo articolo è dedicato ad individuare le conseguenze, in termini di mercato, dell’introduzione di un sistema di garanzia della qualità dei prodotti agricoli e della capacità di offrire vantaggi di mercato ai produttori della materia prima agricola. Il presente lavoro intende offrire un contributo di natura metodologica per introdurre alcuni concetti di natura economica, utili alla trattazione del tema della qualità nell’agroalimentare, che sarà approfondito negli altri lavori pubblicati in questa rivista.
Per affrontare efficacemente il tema è necessario partire da una premessa che richiama le difficoltà dell’impresa agricola all’interno del moderno sistema agroalimentare.

La posizione di mercato dell’impresa agricola

Il mercato agricolo presenta un carattere fortemente concorrenziale a differenza dei settori acquirenti; ogni agricoltore produce una quota molto bassa della produzione totale e pertanto non ha alcuna influenza sul prezzo. Al contrario, le imprese della trasformazione e, ancor più quelle della distribuzione, detengono una quota di mercato sufficientemente grande da influire sul prezzo (Hallett, 1968).
Da ciò deriva che, in generale, tutti i vantaggi di efficienza che il settore primario riesce ad acquisire non sono mantenuti al suo interno, ma vengono trasferiti, in misura consistente, agli anelli che si trovano a valle della filiera o ai consumatori finali.
Le imprese agricole presentano forti difficoltà a definirsi unità produttive orientate al mercato, perché solo raramente sono in grado di acquisire potere di mercato, ostacolate da alcune caratteristiche dell’offerta agricola che possono essere riepilogate nelle seguenti:

  • la sostanziale stabilità delle utilizzazioni dei prodotti dovuta alla saturazione dei bisogni che essi soddisfano (un consumatore può mangiare una quantità massima di cibo giornaliera, e non più di questa, per limiti di natura biologica);
  • il carattere sostitutivo che ogni prodotto assume dentro ciascuna categoria di beni che hanno una stessa “missione”;
  • il collegamento, sempre condizionante e talora imprescindibile, tra la possibilità di coltivazione di alcune specie e l’ambiente pedoclimatico; il rapporto di dipendenza esistente tra le caratteristiche genetiche di specie e varietà e la forma, il colore, il gusto e la qualità dell’alimento; la riduzione della quota riservata ai beni alimentari rispetto alla spesa totale, che si osserva al crescere dei redditi pro capite (legge di Engel); la progressiva contrazione dell’attività agricola nell’ambito della filiera a causa della progressiva estromissione di fasi precedentemente svolte all’interno del settore a monte (concimazione, trazione, selezione semente ecc.) e a valle (trasformazione dei prodotti, commercializzazione).

La determinazione di comportamenti price-maker in agricoltura è limitata dall’esistenza di realtà aziendali caratterizzate da dimensioni fisiche ed economiche molto ridotte; tale circostanza origina forti difficoltà nella concentrazione dell’offerta, l’impossibilità di generare un flusso autonomo di progresso tecnico e, di conseguenza, una posizione di mercato svantaggiata dei produttori agricoli nei confronti degli acquirenti. Si è cercato di superare questo problema ricorrendo a forme di integrazione orizzontale e verticale, che rappresentano la via obbligata per migliorare la posizione di mercato dell’impresa agricola; ma anche queste iniziative hanno avuto successo solo in alcuni casi.
Tali considerazioni dimostrano che l’agricoltura partecipa in modo marginale alla creazione della catena del valore. Questo ruolo è ricoperto primariamente dal settore della distribuzione, soprattutto al dettaglio, che rappresenta il baricentro strategico e competitivo, riuscendo ad incamerare la quota maggiore del prezzo finale del prodotto alimentare.
Il settore della distribuzione ha assunto una posizione quasi egemonizzante, per la sua capacità di pilotare gli orientamenti del consumatore; potente strumento di questo processo strategico è lo sviluppo delle nuove tecnologie dell’informazione che consentono l’acquisizione di dati per prevedere e comprendere il comportamento del consumatore. Dal punto di vista delle relazioni di filiera, l’effetto più visibile ed economicamente determinante della centralità del ruolo della distribuzione è la formazione di nuovi margini che lucrano direttamente gli aumenti di prezzo e trasferiscono a monte le eventuali flessioni, penalizzando così il settore dell’industria e, soprattutto, quello agricolo, che è il più lontano e il più concorrenziale.

La strategia della differenziazione

Di fronte allo scenario appena descritto, una strategia imprescindibile per le imprese agricole è la qualificazione della produzione agroalimentare. Questa strategia, dal punto di vista operativo, pone il problema di come la qualità possa essere resa nota all’utilizzatore (consumatore finale o intermedio).
L’incapacità da parte del consumatore di percepire la vera qualità del prodotto e, di conseguenza, di ottimizzare le proprie scelte (fenomeno noto come asimmetria informativa) è un tema abbondantemente analizzato da molti autori ed è all’origine degli interventi pubblici di garanzia istituzionale della qualità (Caiati, 1995; Boccaletti, 1994). L’asimmetria informativa genera una diminuzione del benessere del consumatore, direttamente proporzionale al numero dei consumatori disinformati e agli atteggiamenti ingannevoli da parte delle imprese. Due sono le modalità per trasferire le informazioni sulla qualità al consumatore: l’informazione e la certificazione.
L’informazione avviene tramite una politica di marca o marchio. La marca o marchio è un nome, simbolo, segno (o una combinazione di questi elementi) che viene apposto su un prodotto e permette al consumatore di identificarlo.
Generalmente il marchio è collettivo o pubblico e indica una denominazione unica, irripetibile che viene riconosciuta ad un prodotto per attestarne le caratteristiche produttive e qualitative. Il marchio è pubblico, perché concesso con un atto legislativo, è collettivo, perché concesso a più produttori localizzati in genere in un determinato territorio, ed è certificato, perché le caratteristiche proprie del prodotto vengono garantite da enti di certificazione, come nel caso dei prodotti tipici locali (Zucchi, 2008).
La marca, invece, garantisce la qualità di tipo commerciale; garantisce al consumatore che un prodotto ha delle specifiche caratteristiche qualitative standardizzate nel tempo e nello spazio. In questo caso la certificazione diviene uno strumento complementare.
La garanzia istituzionale della qualità, realizzata tramite il marchio collettivo e la certificazione, ha un impatto diretto sugli aspetti economici della filiera e sul potere di mercato degli attori della stessa. Essa consegue l’obiettivo di ridurre l’asimmetria informativa, il che significa permettere al consumatore di accertare le differenze qualitative dei prodotti e, di conseguenza, consentirgli di disporre di un sistema di riferimento qualità-prezzo che gli permetta scelte coerenti con le sue esigenze (Caiati, 1995). In altre parole, gli strumenti di garanzia della qualità rappresentano una modalità con cui il produttore riesce a segmentare il mercato alimentare e a differenziare i prodotti legati ad una specifica origine geografica da quelli di massa e indifferenziati.

Differenziazione e potere di mercato

La strategia della qualificazione della produzione agricola, tramite gli strumenti della garanzia della qualità (rintracciabilità, etichettatura, certificazione), può realmente accrescere il potere di mercato (2) dei produttori agricoli e il valore aggiunto dei loro prodotti?
La teoria economica consente di specificare le condizioni che permettono di acquisire potere di mercato. La condizione necessaria per esprimere potere di mercato è rappresentata dalla possibilità per l’impresa di ritagliarsi, sulla curva di domanda di mercato, una propria domanda, che risulti comunque inclinata rispetto all’asse delle ascisse (3). La condizione necessaria e sufficiente per generare potere di mercato è che l’impresa massimizzi il profitto determinando quantità e prezzi sul tratto della curva di domanda con elasticità superiore all’unità. L’impresa è in grado di tracciare una propria curva di domanda a due condizioni:
1. - la differenziazione del prodotto;
2. - la concentrazione del mercato.
Le due variabili si influenzano reciprocamente e unitamente contribuiscono alla formazione del potere di mercato (Saccomandi, 1999).
Dato un paniere di n prodotti venduti al consumo e ottenuti dalla manipolazione di n prodotti agricoli di base, il margine totale dell’i-esimo prodotto può essere calcolato in termini assoluti o percentuali (Saccomandi, 1991).
In termini assoluti, il margine totale dell’i-esimo prodotto (MTi) vale (4):

MTi = (Pci – Pai)

mentre in termini percentuali vale:

MTi = (Pci – Pai)/Pci x 100

Il margine totale è uno strumento interessante perché permette la valutazione del funzionamento del sistema e delle filiere di agrimarketing. In termini generali, un aumento del margine totale significa un minore potere di mercato per le imprese della produzione agricola a vantaggio delle imprese a valle della filiera e viceversa.
I margini non possono essere assunti come indicatori di efficienza di una filiera; essi tuttavia sono utili da analizzare in quanto misurano l’aumento delle funzioni, servizi ed attività (tra cui appunto rintracciabilità, certificazione ed etichettatura) che si aggiungono ad un prodotto agricolo passando dalla produzione al consumo.
È stato già accennato che nel moderno sistema agroalimentare si constata una generale tendenza all’aumento dei margini totali di mercato, in conseguenza del maggiore contenuto di servizi e di sicurezza richiesti dal consumatore. Per analizzare questa relazione è utile fare riferimento al modello di Gardner (5) che analizza i nessi esistenti tra aumento o diminuzione dei margini totali di mercato e prezzi agricoli alla produzione (Gardner, 1975).
Il modello di Gardner evidenzia come l’aumento del margine totale è sempre pagato dal produttore agricolo e dal consumatore. Questa conclusione sottolinea la debolezza strutturale degli anelli iniziali e finali della filiera. Pertanto l’introduzione, in tutta la produzione agricola, di sistemi di etichettatura e rintracciabilità obbligatoria produce un aumento del prezzo dei servizi di mercato che, a sua volta, genera un aumento del margine che è sempre pagato dal produttore e dal consumatore, essendo gli anelli più deboli della filiera.

La concentrazione del mercato

Il modello di Gardner giunge anche ad un’altra conclusione importante per quanto attiene ai produttori agricoli: un forte controllo dell’offerta e dell’elasticità da parte del produttore consente di sterzare l’aumento dei margini sui consumatori (Saccomandi, 1991).
In altre parole, la teoria economica indica la necessità per l’impresa di ritagliarsi una propria curva di domanda sulla domanda globale mediante la differenziazione del prodotto; tuttavia tale condizione è necessaria ma non sufficiente ad accrescere il potere di mercato dei produttori agricoli.
Infatti, anche con la differenziazione, il potere di mercato dei venditori è praticamente nullo, in quanto essi si trovano in una condizione di mercato concorrenziale e subiscono lo sfruttamento oligopsonistico da parte degli acquirenti. Il potere di mercato quindi è totalmente posseduto dagli attori a valle della filiera, in particolare dalla Gdo, che lo esercita non solo nei confronti dei produttori, ma anche verso l’industria di trasformazione che è sottoposta, negli ultimi anni, ad una situazione di relativa crisi economica.
Questa situazione spiega il motivo della crisi di mercato di molte produzioni differenziate italiane (es. Parmigiano Reggiano, Grana Padano ecc.) che, pur avendo conseguito l’obiettivo della differenziazione, non garantiscono un’adeguata remunerazione ai produttori agricoli. La causa di tale mancanza di risultati deriva dalla polverizzazione dell’offerta, soprattutto in presenza di alti volumi di produzione, a cui si contrappongono pochi compratori (oligopsonio), per cui si arriva a logiche di mercato che sono tipiche delle commodity (Pantini, 2008).
Per conseguire il potere di mercato e sterzare il valore aggiunto a vantaggio dei produttori, è necessario che alla differenziazione del prodotto sia associata la concentrazione dell’offerta, allo scopo di controllare il prezzo di uno o più prodotti in un determinato mercato. In altre parole, a fronte della concentrazione degli acquirenti, è necessaria una concentrazione dei produttori. Pertanto, parallelamente ai sistemi di garanzia della qualità, il produttore agricolo deve creare una coalizione delle imprese tale che si configuri come un oligopolio o, per lo meno, come un oligopolio con impresa dominante.
Da questo punto di vista, ci sono alcuni esempi significativi in Italia, anche se rari, come nel caso delle carni bovine di razze italiane, attraverso i loro Consorzi di commercializzazione (Occhipinti, 2004) o alcune produzioni locali di nicchia, la cui produzione è fortemente concentrata in strutture associative (es. lenticchia di Castelluccio di Norcia, olio di Brisighella, mele del Trentino ecc.).
In primo luogo, quindi, gli operatori agricoli devono utilizzare la strategia della differenziazione, la quale deve essere effettivamente percepita dal consumatore (Cavicchi, 2008); per questo è necessario usare adeguatamente la politica di marca/marchio e la certificazione (Boccaletti, 2008).
In secondo luogo è necessario comprendere che, se non esistono un adeguato controllo dell’offerta e una strategia di marketing, non si riescono ad internalizzare i vantaggi della differenziazione. La concentrazione dell’offerta è necessaria per controbilanciare il potere di mercato degli acquirenti ed anche per ridurre i costi di informazione e certificazione. La strategia di marketing deve tener conto degli adattamenti alle condizioni socio-economiche attuali, all’evoluzione della domanda, alla segmentazione del mercato, alla disponibilità a pagare, ecc. (Zucchi, 2008).
Trattandosi di prodotti differenziati, molto dipende dalla dimensione territoriale dell’offerta, dalle peculiarità del sistema territoriale e dalle caratteristiche dei potenziali clienti.
Ad esempio, ci sono prodotti le cui quantità sono limitate e che possono essere collocati con la sola vendita diretta perché ottenuti in zone ad alto flusso turistico; in tal caso si deve favorire la fidelizzazione dei consumatori sui mercati locali, generando un progressivo aumento dei prezzi di vendita. Altri prodotti necessitano invece di un aumento delle quantità vendute e quindi di un allargamento geografico dei mercati e richiedono un’adeguata organizzazione commerciale: grossisti, distributori, uffici di rappresentanza o esportatori (Banterle, 2008). Ci sono infine prodotti ancorati al consumo locale; per promuoverne la vendita fuori dal territorio è necessaria una promozione complessiva del territorio, che non può essere affidata esclusivamente ad una impresa ma deve essere di competenza pubblica, allo scopo di sfruttare i vantaggi della reputazione collettiva (Belletti, 2008).
In sintesi, gli strumenti di garanzia della qualità non sono sostitutivi di un’adeguata concentrazione dell’offerta delle imprese e dei consorzi di imprese, che contempli la necessaria politica di prezzo e strategia di marketing; la differenziazione non è sufficiente ad affermare un prodotto sul mercato e a generare vantaggi per i produttori agricoli.

Note

(1) Per margine totale o margine di commercializzazione, trasformazione e distribuzione si intende la differenza rilevabile tra il prezzo pagato dal consumatore per ottenere un prodotto nei tempi, luoghi e forma desiderati (Pc) e quello ricevuto per lo stesso dal produttore agricolo (Pa).
(2) Il potere di mercato indica la capacità di un’impresa a controllare il prezzo di uno o più prodotti in un determinato mercato.
(3) Zucchi in questo numero di Agriregionieuropa spiega lo stesso concetto in questo modo: “creare condizioni di mercato imperfetto attraverso diversificazioni di processo e di prodotto, non facilmente imitabili, che possano conseguire prezzi migliori per realizzare differenziali assimilabili al concetto di quasi rendita o, addirittura, di rendita”.
(4) Pc indica il prezzo al consumatore e Pa indica il prezzo all’agricoltore.
(5) Il modello di Gardner analizza la relazione esistente tra l’aumento o la diminuzione dei margini totali di mercato e i prezzi agricoli alla produzione mediante l’analisi della domanda totale dei servizi offerti dalla filiera, partendo da due informazioni certe di mercato: la curva della domanda al dettaglio (Dd) e la curva di offerta agricola (Sa).

Riferimenti bibliografici

  • Belletti G., Martescotti A. (2008), “Approcci alternativi per la regolazione e la tutela dei nomi geografici: reputazioni collettive e interesse pubblico”, Agriregionieuropa, n. 15, anno 4
  • Boccaletti S. (1994), Il ruolo delle produzioni tipiche e delle denominazioni di origine nella salvaguardia della competitività della produzione agroalimentare italiana, Quaderni della Rivista di Economia agraria, n. 18, Il Mulino, Bologna
  • Boccaletti S. (2008), “Gli effetti di mercato delle indicazioni geografiche”, Agriregionieuropa, n. 15, anno 4
  • Caiati G. (1995), Strumenti per la garanzia istituzionale della qualità, Quaderni della Rivista di Economia agraria, n. 21, Il Mulino, Bologna
  • Canali G. (2008), “Verso una strategia europea per i prodotti agroalimentari di qualità: il ‘green paper’”, Agriregionieuropa, n. 15, anno 4
  • Cavicchi A. (2008), “Qualità alimentare e percezione del consumatore”, Agriregionieuropa, n. 15, anno 4
  • Gardner B.L. (1975), “The farm – Retail Price Spread in a Competitive Food Industry”, American Journal of Agricultural Economy, n. 57
  • Hallett G. (1968), Economia e politica del settore agricolo, Il Mulino, Bologna
  • Occhipinti M. (2004), “Il valore del marchio comunitario: Il caso del Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale”, Agriregionieuropa, n. 0, anno 1
  • Pantini D. (2008), “Dopo e Igp non bastano per guadagnare di più”, L’Informatore Agrario, n. 32
  • Saccomandi V. (1991), Istituzioni di economia del mercato dei prodotti agricoli, Reda, Roma
  • Saccomandi V. (1999), Economia dei mercati agricoli, Il Mulino, Bologna
  • Zucchi G. (2008), “Produzioni tipiche e sviluppo”, Agriregionieuropa, n. 15, anno 4
  • Banterle A. (2008), “Tracciabilità, coordinamento verticale e governance delle filiere agro-alimentari”, Agriregionieuropa, n. 15, anno 4
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