L’acquisto di carne è divenuto nell’ultima decade un’esperienza particolarmente impegnativa per il consumatore italiano. Dopo essere stato terrorizzato dal rischio della “mucca pazza” (ampiamente ridimensionato a 10 anni di distanza), è passato attraverso il panico da carni alla diossina, l’angoscia da influenza aviaria (cfr. Mazzocchi, Agriregionieuropa 6 [link]) e varie afte epizootiche, giusto per citare i casi più eclatanti. Questa serie di eventi ha trasformato un bene cosiddetto “di esperienza”, valutato dopo il consumo, in un bene soggetto a “ricerca”, nella speranza di desumere qualità e sicurezza da informazioni precedenti all’acquisto. Operazione non facile, che ha in realtà esaltato le caratteristiche “fiduciarie”, cioè quelle su cui è possibile informarsi non direttamente durante l’acquisto o il consumo del prodotto, ma solo indirettamente tramite una serie di fonti di informazione (mass media, ecc.). Sostanzialmente il consumatore, rassegnato all’impossibilità di valutare oggettivamente il rischio che corre durante i suoi pasti, si affida alla fiducia e alle informazioni a priori per fare la sua scelta.
Il ruolo del rischio percepito e le differenze culturali
Tutto ciò ha colpito sensibilmente le dinamiche di mercato, non solo per quanto riguarda i consumi, ma anche e soprattutto in termini di prezzi e differenziazione dei prodotti. In questo terreno minato, quella che un tempo era pura comunicazione pubblicitaria è ora soggetta alle regole della comunicazione del rischio (Ragona e Mazzocchi, 2008). In estrema sintesi, conta davvero poco quale sia il rischio effettivo di incorrere in conseguenze dannose consumando carne, quanto soprattutto la percezione soggettiva e individuale. Come per la sicurezza delle nostre città o per l’evoluzione dell’economia, più che fatti e statistiche, sono tenute in considerazione percezioni e aspettative.
Tra le ricerche che hanno affrontato il legame tra fiducia, percezione del rischio e scelte di consumo, l’indagine del progetto Trust svolta nel maggio 2004 ([link], cfr. anche Mazzocchi, Agriregionieuropa 6 [link]) ha prodotto alcuni risultati interessanti. Innanzitutto ha evidenziato alcune differenze a livello nazionale. La Tabella 1 mostra la percezione del rischio per diversi tipi di carne e altri alimenti nei cinque paesi europei analizzati dal progetto.
Tabella 1 - Percezione del rischio alimentare
* Da notare che l’avversione generale al rischio è stata misurata in una scala che va dalla minima (=1) alla massima (=7) avversione al rischio, quindi il paese che ha un valore maggiore è il più avverso al rischio. La percezione del rischio alimentare, invece, è stata riportata in una scala che va dalla massima (=1) alla minima (=7) percezione del rischio, quindi il paese che ha il valore più basso è quello che percepisce un rischio maggiore rispetto agli altri.
Fonte: progetto Trust (www.trust.unifi.it)
I dati parlano chiaro: in Italia abbiamo più paura e siamo meno inclini ad affrontare rischi. Rispetto a Regno Unito, Germania, Olanda e Francia, per sei degli undici gruppi alimentari considerati (incluse le categorie improprie di OGM e prodotti biologici), gli italiani percepiscono un rischio maggiore. Nelle rare occasioni in cui gli stranieri ci sopravanzano, ci manteniamo comunque in un solido secondo posto.
La reazione dei consumi
Qual è dunque l’impatto di questa “paura di mangiare”? La Figura 1 mostra l’evoluzione della spesa reale per consumi e dei prezzi di vari tipi di carne.
Anche se i dati sui consumi risalgono al periodo successivo alla prima crisi della mucca pazza (l’indagine Istat sui consumi è stata ristrutturata nel 1997), l’effetto delle crisi successive sui consumi di carne è chiarissimo (in particolare quella che ha interessato l’Italia nel 2001). Evidente anche il decrescente appeal della carne di pollo, in risposta sia a prezzi crescenti (unico tipo di carne che ha riscontrato aumenti reali) che all’effetto negativo delle notizie sull’influenza aviaria. Hanno guadagnato in quantità acquistate salumi e carne suina (anche grazie a prezzi fortemente in calo), mentre la carne bovina ha recuperato solo in parte quanto perso nel 2001.
Figura 1 - Consumi reali di carne e prezzi reali al consumo
Fonte: ns elaborazioni su dati Istat (indagine sui consumi delle famiglie, aa. vv. e indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività nazionale)
Diventa quindi importante capire in quali termini la fiducia del consumatore possa rendere più “oggettiva” la percezione del rischio, mitigando gli effetti negativi dell’incertezza. Utilizzando un particolare modello di simulazione che lega acquisti a fiducia e percezione del rischio (oltre ad altre determinanti psicologiche ed economiche), è stata valutata la relazione tra fiducia nelle fonti di informazione sulla sicurezza degli alimenti e la propensione ad acquistare. Il lavoro è limitato alla carne di pollo, ma è presumibile che i risultati siano almeno in parte generalizzabili. Rimandando a Mazzocchi et al. (2008) per i dettagli tecnici, i consumatori del campione sono stati suddivisi in tre gruppi, rispetto al grado di fiducia in diverse tipologie di fonti di informazione, cioè rispetto a mass media (es. televisione, radio, quotidiani, Internet, ecc.), operatori della filiera alimentare (es. produttori, supermercati, gastronomie, etichetta del prodotto), esperti (es. ricercatori, medici, autorità nazionale ed europea per la sicurezza alimentare, ecc.), fonti alternative (es. associazioni di consumatori e ambientaliste), altre fonti ( es. gruppi politici, pubblicitari, ecc.), come illustrato nella tabella 2.
La porzione di coloro che si fidano delle informazioni indipendentemente dalla loro fonte è stata etichettata come “fiduciosi”, coloro che si fidano meno rispetto alla media sono indicati come “sfiduciati”, mentre i “parzialmente fiduciosi” accreditano particolare fiducia a mass media ed esperti, mentre si fidano meno delle altre fonti. Come prevedibile, l’Italia è il paese con meno fiduciosi (il 42,1% della popolazione).
Anche se la quantificazione della tabella 3 va intesa in termini relativi e non assoluti (percezione del rischio e intenzioni di acquisto misurate su scala qualitativa), l’impatto di un miglioramento nella fiducia sul rischio percepito e sulle intenzioni di acquisto è particolarmente interessante. In generale, un livello maggiore di fiducia ha un effetto quasi nullo sui consumi in una situazione ordinaria, mentre fa aumentare in modo sostanzioso i consumi in una situazione di crisi alimentare. Aumentare la fiducia negli operatori della filiera alimentare ha l’effetto più ampio, sia in una situazione ordinaria, che nel caso il consumatore sia informato di una crisi alimentare, con l’eccezione dei “parzialmente fiduciosi”. I consumatori appartenenti a tale categoria rimangono sostanzialmente ancorati al loro livello per tutte le fonti di informazione, con una leggera diminuzione dei consumi in situazione di crisi, ad eccezione della fonte costituita dagli esperti, per i quali si registra un aumento abbastanza consistente. Per gli “sfiduciati, aumentare la fiducia in qualsiasi fonte di informazione – eccetto quelle alternative - produce un cambiamento dei consumi in caso di crisi che risulta molto più marcato rispetto a quello dei “fiduciosi” e dei “parzialmente fiduciosi”; da notare la discreta diminuzione dei consumi nel caso di un aumento della fiducia negli esperti. Per i “fiduciosi” l’effetto è sempre positivo, indipendentemente dalla fonte di informazione che riceve più fiducia, e in particolare risulta più sostanzioso se le fonti sono gli operatori della filiera e gli esperti.
Tabella 2 - Gruppi di individui secondo il livello di fiducia nelle fonti di informazione sulla sicurezza alimentare
Fonte: Mazzocchi et al. (2008)
Tabella 3 - Variazione nel rischio percepito e nelle intenzioni di acquisto in risposta ad un aumento della fiducia verso le fonti di informazione
Fonte: Mazzocchi et al. (2008)
Conclusioni
Il messaggio è sufficientemente chiaro: se la costruzione della fiducia non ha particolare impatto in tempi ordinari, è un’autentica “assicurazione” rispetto alla comunicazione di notizie allarmanti, soprattutto se la fiducia è indirizzata ai diretti attori della produzione alimentare, dall’agricoltore al distributore. Le implicazioni politiche sono numerose e maggiori indicazioni potrebbero essere tratte considerando altri aspetti particolarmente importanti al momento della scelta del consumatore. Ad esempio, l’effetto negativo di una crisi è generalmente mitigato nel caso di marchi conosciuti o di altre certificazioni di qualità. Inoltre, approfondimenti mirati potrebbero aiutare a spiegare la crisi di fiducia del consumatore italiano rispetto a quelli stranieri, ad esempio guardando alle differenze nel comparto della distribuzione o nella struttura produttiva, ma anche alla fiducia generale nelle istituzioni.
L’indicazione di fondo è comunque che la fiducia va costruita e mantenuta dagli attori della filiera alimentare proprio in quelle situazioni ordinarie in cui il suo effetto positivo sui consumi è probabilmente ridotto rispetto ai costi sostenuti.
Riferimenti bibliografici
- Mazzocchi, M. (2006), “Avicoli e volatilità: è peggio l’influenza aviaria o quella mediatica?”, Agriregionieuropa, n.6 (settembre 2006)
- Mazzocchi M., Lobb A.E., Traill W.B., Cavicchi A. (2008), “Food scares and trust: A European Study”, Journal of Agricultural Economics, n. 59(1), pp. 2-24.
- Ragona M., Mazzocchi M. (2008), “The economics of food risk communication”, CAB Reviews: Perspectives in Agriculture, Veterinary Science, Nutrition and Natural Resources, in corso di pubblicazione.