La riforma dell’OCM vino
Il regolamento sull’organizzazione comune del mercato vitivinicolo, non ancora pubblicato sulla GUCE al momento della redazione delle presenti note, ma definito nei suoi elementi essenziali con l’accordo politico raggiunto dal Consiglio dei Ministri il 19 dicembre 2007, ed attualmente disponibile nel testo integrato del 23 gennaio 2008 predisposto dal Comitato speciale agricoltura (1), si iscrive in un generale percorso di riforma, che muove lungo linee da ultimo confermate anche dal regolamento sulla “OCM unica” del 2007 e dal nuovo regolamento sui prodotti ortofrutticoli, anch’esso del 2007.
Seguendo questo percorso, la PAC, a lungo considerata come terreno privilegiato di elaborazione ed applicazione di modelli economici scarsamente attenti alla coerenza e sistematicità degli istituti giuridici, va enfatizzando la componente giuridica delle regole adottate, con un sostanziale passaggio da una politica redistributiva e di spesa ad un intervento di natura prevalentemente regolatoria (Albisinni-Sorrentino, 2008).
Già la Commissione europea, nei primi progetti del 2006, aveva indicato come necessaria una radicale riforma dell’organizzazione comune del mercato vitivinicolo (2), e questa indicazione è stata confermata nel 5° considerando del regolamento approvato dal Consiglio, sulla base di una valutazione di inefficacia del regolamento n. 1493/1999 «nel guidare il settore verso uno sviluppo competitivo e sostenibile», ed in ragione di una pluralità di obiettivi, che spaziano dai temi economici (migliorare la competitività dei produttori di vino comunitari e rafforzare la notorietà sui mercati mondiali dei vini comunitari di qualità), a quelli sociali (rafforzare il tessuto sociale delle zone rurali), storici (salvaguardare la tradizione delle produzioni vitivinicole), ed ambientali (produrre nel rispetto dell’ambiente).
In realtà non sussisteva un generalizzato consenso sulla necessità di una radicale riforma e sull’inefficacia della precedente disciplina, fra l’altro difesa proprio da talune delle organizzazioni dei produttori che - secondo le posizioni della Commissione - avrebbero dovuto dolersene (Ricci Curbastro, 2007). E la stessa congruità delle nuove misure rispetto agli obiettivi dichiarati non è affatto pacifica (Germanò, 2007; Pomarici-Sardone, 2008), laddove le compatibilità finanziarie e di bilancio dell’Europa a 27 sembrano avere giocato un ruolo ben maggiore di quello dichiarato.
Preso atto della radicalità della riforma, giova individuarne alcuni elementi identitari, con riferimento in particolare alla disciplina delle denominazioni e dell’etichettatura. Infatti - secondo un modello che già ha caratterizzato le predenti riforme del RUP e dello SR - alla localizzazione delle concrete scelte redistributive si accompagna una forte centralizzazione delle misure di regolazione, qualificazione e disciplina, che occupano larga parte del regolamento (v. gli artt.18-59 sulle pratiche enologiche e le denominazioni, e gli artt. 75-103 sul potenziale produttivo e lo schedario vitivinicolo). Ed all’interno delle misure regolatorie, rilievo centrale è assegnato alle disposizioni in tema di vini di qualità, denominazioni di origine, ed etichettatura, connotate da forte discontinuità con il regime previgente.
Le nuove regole per i vini di qualità e le denominazioni di origine
Il nuovo regolamento, al 24° considerando, con un breve inciso assertivo, assume che «per permettere l'istituzione di un quadro trasparente e più completo che corrobori l'indicazione di qualità» dei vini, «è opportuno prevedere un regime che permetta di esaminare le domande di denominazione di origine o indicazione geografica in linea con l'impostazione seguita nell'ambito della normativa trasversale della qualità applicata dalla Comunità ai prodotti alimentari diversi dal vino e dalle bevande spiritose nel regolamento (CE) n. 510/2006».
Il richiamo al regolamento n. 510/2006 sembrerebbe operato esclusivamente con riferimento ai profili procedimentali di esame e di approvazione delle domande. Nulla si dice quanto al merito della disciplina.
I successivi considerando da 26° a 30° sembrano confermare questo disegno, lì ove insistono sugli elementi che devono caratterizzare la procedura di registrazione, senza dare indicazioni sugli aspetti sostanziali, se non per quanto attiene alle politiche di controllo.
Il testo del regolamento, in realtà, andando ben oltre quanto indicato dai considerando, non si limita a riformare procedure e competenze, ma modifica radicalmente anche definizioni e merito della disciplina.
Quanto ai procedimenti di registrazione delle denominazioni, l’art. 27 introduce rilevanti novità rispetto al recente passato, lì ove prevede che il riconoscimento avvenga in sede comunitaria e non nazionale - come è avvenuto per anni e come era stato confermato ancora pochi anni fa dal regolamento n. 1493/1999 (3). Si tratta di un approccio che si iscrive nel processo sopra richiamato, per il quale il diritto europeo dell’agricoltura va accentuando l’attenzione a profili sistematici, che importano un accentramento delle scelte di regolazione, lungo linee che quanto alle definizioni ed ai provvedimenti privilegiano l’unificazione e l’uniformazione attraverso il centralismo (dunque con forte innovatività rispetto al ricorso ai principi di equivalenza e mutuo riconoscimento), quale logico contrappunto alla localizzazione dei momenti redistributivi.
A queste incisive riforme istituzionali (sulle quali non sembra si sia levata alcuna voce di opposizione da parte degli Stati Membri in sede di negoziato, a conferma di quanto avanti si sia ormai collocata l’accettazione di momenti e sedi centralizzati di decisione dei profili di qualificazione), si accompagnano significative novità nella concreta conformazione e definizione dei vini di qualità e delle denominazioni di origine (ed è su questo terreno che il confronto è stato vivace, anche se scarsamente efficace, rispetto ai modelli proposti dalla Commissione e sostanzialmente recepiti nel testo finale del Consiglio).
Le innovazioni nel merito della disciplina involgono anzitutto l’abbandono di formule consolidate sul piano della comunicazione simbolica con il consumatore (VQPRD e IGT), in favore dell’adozione, anche nel settore dei vini, delle formule di DOP e IGP, sinora esclusivamente riservate ai prodotti diversi dai vini e dalle bevande spiritose (4). Una siffatta mutuazione ed unificazione dei segni distintivi non era imposta dagli accordi internazionali. Al contrario, proprio l’accordo TRIPS, prevedendo differenziate tutele per le indicazioni geografiche per i vini e gli alcolici (art. 23) e per gli altri prodotti alimentari (art.22), e sottolineando la “protezione aggiuntiva” accordata ai vini e agli alcolici, ben giustificava anche una differenziazione dei segni distintivi.
D’altro canto, l’ unificazione non è soltanto linguistica e simbolica, e non si limita ai possibili esiti sul piano della comunicazione commerciale, certamente rilevanti ma tuttora controversi. In realtà, è sul piano della disciplina giuridica che si contano le novità più rilevanti. Nel modello disegnato dal regolamento n. 1493/1999, i vini di qualità erano appunto i VQPRD e ad essi era dedicata una disciplina (il Titolo VI del regolamento), ben distinta da quella assegnata ai vini da tavola, quand’anche questi ultimi fossero ammessi a beneficiare di un’indicazione geografica ai sensi dell’art. 51 del regolamento del 1999 e dell’art.28 del regolamento della Commissione n. 753/2002 (5). Con la nuova OCM (artt. 27 ss.), i vini DOP e IGP partecipano invece ad un’unica categoria disciplinare, pur con talune differenze tra loro, con la conseguenza che l’ambito dei vini di qualità si estende a comprendere gli IGP, cioè vini che, come i vecchi IGT, possono essere ottenuti anche con uve provenienti per l’85% e non esclusivamente da un certo territorio (peraltro escludendo anche la possibilità, che il regolamento n. 1493/99 assegnava agli SM, di adottare norme più rigorose per gli IGT).
Ne deriva che, in conseguenza della riforma, gli elementi di regolazione e identità, che in passato marcavano nettamente la differenza fra IGT e VQPRD assegnandoli a due classi di prodotto fortemente distinte, sono oggi molto attenuati fra vini IGP e DOP, in ragione della comune appartenenza ad un unico ambito disciplinare. Si aggiunga che, già per i prodotti DOP e IGP diversi dai vini, i relativi simboli comunitari sono estremamente simili e facilmente confondibili agli occhi dei consumatori (6). Sicché sembra prevedibile che analoga confondibilità possa determinarsi quanto ai simboli comunitari adottati per i vini DOP e IGP, destinati ad essere largamente assimilati tra loro nella possibile comunicazione di mercato.
Il rischio di dilatazione della classe dei vini di qualità (e quindi di banalizzazione dei prodotti di maggior pregio, a vantaggio di quelli più economici, che possono però vantare l’appartenenza al medesimo ambito disciplinare) appare ancora più grave, ove si consideri l’ulteriore incisiva novità introdotta dalla OCM, quanto alla possibilità di indicare l’annata e la varietà delle uve anche sui vini da tavola privi di indicazione geografica (v. art. 50 del nuovo regolamento); possibilità che non era consentita dal regolamento n. 1493/99 per i semplici vini da tavola, ma solo per gli IGT.
Se ne può concludere che le linee perimetrali della qualità dichiarata al consumatore sono state complessivamente ritracciate, a più livelli ma con un segno comune, che muove nel senso dell’allargamento quantitativo delle categorie dei possibili beneficiari di indicazioni di qualità, e dunque in una direzione che premia le produzioni di quantità ed i grandi produttori, assegnando loro segni di qualità, che la previgente disciplina sinora riservava a produzioni (e produttori) quantitativamente minori:
- con l’assegnazione di una categoria di qualità superiore a vini, gli IGP, che non vedono soltanto una sostituzione di sigla rispetto alla precedente IGT, ma lasciano la categoria dei vini da tavola e sono ammessi nel prestigioso recinto unitariamente identificato dei prodotti DOP-IGP;
- con l’attribuzione di possibili segni di qualità anche a semplici vini da tavola, cui in passato era negata tale rivendicazione, consentendo la presenza in etichetta di indicazioni avvertite dal consumatore come decisivo segno di qualità, quali l’annata e la varietà delle uve, anche per prodotti privi di qualunque elemento di territorialità, e dunque consentendo l’utilizzo di potenti mezzi di competizione nel mercato ai produttori di tali vini, per loro natura offerti sul mercato in grandi quantità.
Marchi e denominazioni
In riferimento al rapporto fra marchi e denominazioni, le disposizioni contenute nel regolamento in corso di pubblicazione segnano, almeno sul piano delle indicazioni generali, un arretramento della protezione accordata alle denominazioni di origine ed alle indicazioni geografiche, rispetto alla precedente disciplina.
Il regolamento n. 1493/99, all’Allegato F prevede la possibilità che titolari di marchi commerciali, registrati ed utilizzati prima del 31 dicembre 1985, ed utilizzati regolarmente dopo tale data, continuino ad utilizzare tali marchi, subordinatamente ad alcune condizioni, ma dispone comunque che «I marchi conformi alle condizioni del primo e del secondo comma non possono essere opposti all'utilizzazione dei nomi delle unità geografiche utilizzati per la designazione di un VQPRD o di un vino da tavola». Nel sistema ad oggi vigente il regime delle denominazioni geografiche risulta dunque privilegiato rispetto a quello dei marchi commerciali.
La nuova OCM, invece, all’art. 36, tra i motivi di rigetto della protezione, include quello del rischio di confusione con un precedente marchio commerciale, disponendo: «Un nome non è protetto in quanto denominazione di origine o indicazione geografica se, a causa della notorietà e della reputazione di un marchio commerciale, la protezione potrebbe indurre in errore il consumatore quanto alla vera identità del vino».
La formula riproduce, quasi alla lettera, quella contenuta all’art. 3 par. 4 del regolamento (CE) n. 510/2006 sulle DOP e IGP, così assegnando prevalenza ai marchi commerciali preesistenti rispetto alle denominazioni di origine dei vini, a differenza di quanto avveniva con il richiamato regolamento n. 1493/99.
Anche sotto questo rilevante profilo, l’assimilazione della disciplina dei vini a quella degli altri prodotti alimentari DOP e IGP finisce per restringere in misura significativa l’area di protezione delle denominazioni di origine dei vini.
La questione del rapporto fra marchi commerciali preesistenti e denominazioni di origine è stata già affrontata in sede WTO (Germanò, 2007) ed il Panel del 15 marzo 2005 ha concluso, ai sensi degli artt. 16 e 17 dell’Accordo TRIPS, per la legittimità della norma comunitaria, contenuta nel regolamento n. 2081/92 sulle DOP e IGP e ripresa oggi dalla nuova OCM vino.
La dichiarata legittimità comunitaria della norma contenuta nel regolamento n. 2081/92 non comportava, peraltro, in sé l’obbligata estensione di identico regime alle denominazioni di origine dei vini, tenuto conto che l’Accordo TRIPS – come si è già ricordato – agli artt. 22, 23, e 24 assegna alle indicazioni geografiche dei vini e degli alcolici una protezione aggiuntiva rispetto a quella degli altri prodotti alimentari. In particolare, quanto al rapporto con i marchi commerciali, mentre l’art. 22 per gli altri prodotti preclude la registrazione «di un marchio che contiene o consiste in un’indicazione geografica in relazione a prodotti non originari del territorio» soltanto «se l’uso dell’indicazione del marchio per tali prodotti nello [Stato] membro in questione è tale da ingannare il pubblico sull’effettivo luogo d’origine», per i vini e gli altri prodotti alcolici l’art. 23 vieta tout court «La registrazione di un marchio per vini che contenga o consista in un’indicazione geografica che identifichi dei vini …, per i vini … la cui origine non corrisponda alle indicazioni».
Sicché, nel sistema dell’Accordo TRIPS, la protezione dei vini contro l’uso di marchi geografici non corrispondenti al luogo dichiarato non è subordinata alla verificata capacità decettiva del marchio (come per gli altri prodotti alimentari), ma è riconosciuta ex se, in termini obiettivi di semplice assenza di corrispondenza con il territorio menzionato nel claim.
Sarebbe stato dunque forse possibile mantenere, anche nella nuova OCM, una diversità di regime dei vini rispetto agli altri prodotti, nel rapporto fra preesistenti marchi commerciali e denominazioni di origine.
E l’arretramento della protezione oggi operato non sembra derivare da effettivi obblighi maturati in sede internazionale, ma esprime, piuttosto ed ancora una volta, scelte politiche risultate prevalenti nel confronto europeo, rispetto alle quali il richiamo agli impegni internazionali appare funzionale a celare la sostanza di scelte comparative fra interessi dietro un non persuasivo fondamento tecnico-giuridico.
In realtà, la modifica introdotta rispetto al regolamento n. 1493/99 avrà forse conseguenze meno rilevanti di quanto possa apparire ad una prima lettura, ove si consideri che l’art. 37 del regolamento sulla nuova OCM, al par.2 subordina la facoltà di continuare ad utilizzare marchi preesistenti all’assenza di «motivi di nullità o decadenza del marchio previsti dalla direttiva 89/104/CEE del Consiglio o dal regolamento (CE) n. 40/94 del Consiglio».
Ora, la Direttiva 89/104/CEE sull’armonizzazione delle discipline sui marchi nazionali, all’art. 3 prevede che «Sono esclusi dalla registrazione, o, se registrati, possono essere dichiarati nulli: … g) i marchi di impresa che sono di natura tale da ingannare il pubblico, per esempio circa la natura, la qualità o la provenienza geografica del prodotto o del servizio», ed il regolamento (CE) n. 40/94 sul marchio comunitario, come modificato dal regolamento n. 3288/94 proprio in ossequio all’Accordo TRIPS, dispone all’art. 7: «Sono esclusi dalla registrazione: … j) i marchi dei vini che contengono o consistono in indicazioni geografiche che identificano vini, o degli alcoolici che contengono o consistono in indicazioni geografiche che identificano alcoolici, rispetto ai vini o alcoolici che non hanno tale origine».
Ne segue che, mentre la direttiva comunitaria sull’armonizzazione della discipline nazionali sui marchi richiede, per il divieto di registrazione del marchio geografico, il requisito della sua verificata capacità decettiva (così allineandosi alla richiamata normativa sui prodotti DOP e IGP), il testo vigente di regolamento sul marchio comunitario vieta specificamente per i vini e gli alcoolici la registrazione di marchi commerciali geografici che evochino un’origine non veritiera, sempre, e non soltanto quando l’evocazione è tale da indurre in errore il consumatore.
Considerata la ben maggiore incidenza sul mercato interno europeo del marchio comunitario rispetto ai singoli marchi nazionali, sembra di poter concludere che anche in futuro la soglia di protezione delle denominazioni di origine dei vini resterà più alta di quanto potrebbe apparire da una prima lettura dell’art. 36 della nuova OCM vini. Va detto, tuttavia, che la complessa stratificazione di norme che regolano la materia, e la loro possibile interazione, non consentono allo stato risposte definitive, e muovono il problema dal piano delle disposizioni generali a quello delle prassi interpretative ed applicative. Sarà quindi decisivo in argomento il ruolo giocato nei prossimi anni dall’Ufficio europeo sul marchio comunitario e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.
I nuovi sistemi di controllo
La OCM in corso di emanazione introduce novità rilevanti anche quanto ai sistemi di controllo, lì ove prevede, all’art. 40: «Gli Stati membri designano l'autorità o le autorità competenti incaricate dei controlli in relazione agli obblighi stabiliti dal presente capo secondo i criteri fissati nell’articolo 4 del regolamento (CE) n. 882/2004», ed all’art. 41: «Gli Stati membri designano l'autorità o le autorità competenti incaricate dei controlli in relazione agli obblighi stabiliti dal presente capo secondo i criteri fissati nell'articolo 4 del regolamento (CE) n. 882/2004».
Anche in questo caso le formule riprendono quelle del regolamento n. 510/2006 sulle DOP e IGP, ed in particolare gli artt. 10 e 11 di quest’ultimo, sia pure con qualche significativa differenza testuale, elaborata nel corso degli ultimi mesi all’interno del faticoso processo di messa a punto della bozza di OCM vino (7).
Il regolamento n. 882/2004 (8), però, ha matrice ed oggetto strettamente legati ai profili igienico sanitari di sicurezza dei prodotti, tanto che l’art. 1, par. 2 di questo regolamento espressamente precisa: «Il presente regolamento non si applica ai controlli ufficiali volti a verificare la conformità alle norme sull'organizzazione comune del mercato dei prodotti agricoli».
Il regolamento n. 510/2006, così come in precedenza il regolamento n. 2081/1992, pur essendo entrambi adottati sulla base giuridica dell’art. 37 (già 43) del Trattato e dunque nell’ambito della politica agricola, non avevano per oggetto una OCM, diversamente dal nuovo regolamento sul mercato vitivinicolo, che già nella sua intestazione dichiara espressamente tale natura.
In assenza del richiamo esplicito operato dagli artt. 40 e 41 della bozza di nuovo regolamento sui vini, il regolamento n. 882/2004 si sarebbe dunque applicato ai vini, come a tutti gli altri prodotti alimentari, esclusivamente in riferimento ai profili di sicurezza igienica e sanitaria, ma non sotto il profilo della conformità ai disciplinari di produzione, che involgono controlli e professionalità ben diversi.
Va detto che la tendenza ad unificare in un unico procedimento l’intero sistema di controlli degli alimenti, sia sotto il profilo igienico-sanitario che sotto quello commerciale e qualitativo, risponde per certi versi alle stesse esigenze dei produttori, i quali altrimenti rischiano di doversi confrontare con una moltiplicazione di adempimenti e di costi.
Tuttavia, la generalizzazione, anche in riferimento ai controlli di conformità al disciplinare, del sistema dei controlli previsto a finalità igienico-sanitarie dal regolamento n.882/2004 (non a caso facente parte di quel gruppo di regolamenti comunitari, comunemente designati come “pacchetto igiene”), rischia di sbilanciare tale sistema sui profili appunto igienico-sanitari, sottovalutando quelli di qualità, aventi decisivo rilievo per i vini.
In Italia il sistema di controllo sui VQPRD, affidato agli SM dall’art. 72 del regolamento n. 1493/1999 e dall’art. 2 del regolamento n. 2729/20009, negli ultimi anni ha visto l’interessante esperienza dell’affidamento ai Consorzi di tutela dei controlli c.d. “erga omnes”, vale a dire nei confronti di tutti gli appartenenti alla filiera produttiva, anche non iscritti ai Consorzi, al fine di garantire congiuntamente la conformità ai disciplinari e la tracciabilità in tutte le fasi del processo produttivo.
Dopo alcune controversie, tradottesi anche in contenziosi amministrativi su iniziativa di produttori non associati ai Consorzi di tutela, questa esperienza è stata confortata da una serie di concordanti favorevoli decisioni dei giudici amministrativi (Carretta, 2007), ed ha avuto conferma anche nell’alternanza dei governi e dei diversi responsabili del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, trovando da ultimo articolata formulazione nel D.M. 29 marzo 2007 (10).
Significativo ricordare in proposito che, sia nella motivazione dei decreti ministeriali sia nelle decisioni dei giudici amministrativi, l’affidamento di tali generali responsabilità ai Consorzi di tutela, anche nei confronti dei produttori non iscritti ai Consorzi, è stato ritenuto legittimo, alla stregua del principio di diritto comunitario, enunciato dalla Corte di giustizia nel noto caso relativo al vino spagnolo Rijoca (11), secondo cui l’affidamento di compiti di diretta vigilanza alla collettività dei produttori costituisce legittima «misura di tutela della “denominacion de origen calificada” di cui gode la collettività dei produttori e che per essi riveste un’importanza decisiva» (punto 75 della decisione), poiché: «il controllo sistematico da parte di tale collettività» è elemento essenziale per assicurare «…la fiducia di cui la denominazione gode presso i consumatori convinti che tutte le fasi della produzione di un VQPRD rinomato debbano essere effettuate sotto il controllo e la responsabilità della collettività interessata» (punto 77 della decisione della Corte di giustizia).
Gli artt. 40 e 41 del regolamento sui vini in corso di emanazione, affidando il controllo del rispetto del disciplinare ad organismi designati secondo criteri elaborati a fini essenzialmente igienico-sanitari, e conseguentemente collocati all’interno di una linea di responsabilità amministrativa ed istituzionale che fa capo agli uffici pubblici di tutela della salute anziché a quelli competenti in tema di amministrazione dell’agricoltura, rischia di fare un percorso inverso rispetto a quello praticato nell’esperienza italiana di questi ultimi anni, e così rischia di appiattirsi su modelli di certificazione e controllo propri della grande industria di trasformazione, mettendo in ombra la dimensione collettiva di appartenenza delle denominazioni di origine di vini, strettamente legate per loro natura ad una collettività di produttori territorialmente radicati e non a logiche individuali di singoli produttori, per quanto rilevanti.
Sarà decisiva, per evitare tale esito, la capacità dei singoli SM di utilizzare gli spazi lasciati alle scelte nazionali dal testo più recente degli artt. 40 e 41, tenendo conto che i complessivi obiettivi della legislazione alimentare, quali individuati dall’art. 1 del regolamento 178/200212, comprendono l’insieme delle norme, volte a: «garantire un livello elevato di tutela della salute umana e degli interessi dei consumatori in relazione agli alimenti, tenendo conto in particolare della diversità dell'offerta di alimenti compresi i prodotti tradizionali, garantendo al contempo l'efficace funzionamento del mercato interno».
Sicché anche i sistemi di controlli ex regolamento n. 882/2004, sin qui declinati per la generalità dei prodotti alimentari sul versante igienico-sanitario, ben potrebbero (e dovrebbero) essere declinati, in riferimento ai vini di qualità, assegnando adeguato rilievo e corretta collocazione istituzionale alle competenze ed agli interessi collettivi, che si esprimono nel sistema delle denominazioni di origine e che strettamente si legano alla diversità dell'offerta di alimenti compresi i prodotti tradizionali, ed alla garanzia di efficace funzionamento del mercato interno.
Note
(1) Proposta di regolamento del Consiglio relativo all'organizzazione comune del mercato vitivinicolo e recante modifica di alcuni regolamenti, doc. 11361/07 - COM(2007) 372 defin. del 23 gennaio 2008.
(2) Comm. 22.6.2006.
(3) Regolamento (CE) n. 1493/1999 del Consiglio del 17 maggio 1999, relativo all’organizzazione comune del mercato vitivinicolo; v. in particolare gli artt. 54-58.
(4) V. già l’art. 1 del regolamento (CEE) n. 2081/92, ed oggi l’art. 1 del regolamento (CE) n. 510/2006.
(5) Regolamento (CE) n. 753/2002 della Commissione del 29 aprile 2002, che fissa talune modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 1493/1999 del Consiglio per quanto riguarda la designazione, la denominazione, la presentazione e la protezione di taluni prodotti vitivinicoli.
(6) V. il Regolamento (CE) n. 1726/98 della Commissione del 22 luglio 1998, che ha modificato il regolamento (CEE) n. 2037/93 della Commissione del 27 luglio 1993.
(7) Il regolamento n. 510/2006 rinvia alle autorità incaricate dei controlli “a norma” del regolamento n. 882/2006, mentre l’ultima versione della bozza di regolamento sulla OCM vino rinvia ad autorità di controllo incaricate secondo i criteri fissati nell’art. 4 del regolamento n. 882/2006, così prefigurando una maggiore flessibilità nell’applicazione della normativa di riferimento.
(8) Regolamento (CE) n. 882/2004 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere degli animali.
(9) Regolamento (CE) n. 2729/2000 della Commissione, del 14 dicembre 2000, recante modalità d'applicazione per i controlli nel settore vitivinicolo.
(10) Disposizioni sul controllo della produzione dei v.q.p.r.d., in G.U. 17 aprile 2007, n.89.
(11) Sentenza 16 maggio 2000, causa C-388/95 12 Regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l'Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare.
Riferimenti bibliografici
- Albisinni F. – Sorrentino A. (2008), Il primato delle istituzioni nella riforma della PAC, in AIM, 1
- Carretta E. (2007), Consorzi di tutela dei vini e controlli erga omnes, in Riv.dir.alim., n. 2, p. 41
- Germanò A. (2007), La disciplina dei vini dalla produzione al mercato, in Riv.dir.alim., n. 2, p.3
- Pomarici E. – Sardone E. (2008), in q. Rivista; Ricci Curbastro R. (2007), I punti di forza del vino europeo di fronte alla globalizzazione, in Riv.dir.alim., n. 2, p. 29