I riflessi della riforma dell’OCM ortofrutta sulla filiera del pomodoro da industria in Italia

I riflessi della riforma dell’OCM ortofrutta sulla filiera del pomodoro da industria in Italia
a Università della Tuscia, Dipartimento di Studi Aziendali, Tecnologici e Quantitativi

La riforma: un triennio di transizione verso il disaccoppiamento totale

La riforma della PAC del 2007 è stata applicata in Italia al pomodoro destinato alla trasformazione con la soluzione del disaccoppiamento parziale temporaneo: l’attuale sistema di aiuti diretti è stato sostituito da pagamenti disaccoppiati, ma per evitare cambiamenti improvvisi dell’attuale sistema di intervento che potrebbero destabilizzare la filiera del pomodoro da industria, tenuto conto della forte incidenza dell’aiuto – circa il 50% del fatturato (1) degli agricoltori (Bunte 2007) – il disaccoppiamento totale sarà introdotto in modo graduale. Infatti, è stato fissato un triennio di disaccoppiamento parziale, con una ripartizione al 50% fra quota accoppiata e disaccoppiata. Alla fine dei tre anni l'aiuto sarà totalmente disaccoppiato e i produttori storici potranno rientrare in possesso anche della percentuale accoppiata.
In pratica, per il pagamento unico aziendale si è scelto il cosiddetto modello "storico aziendale": tutti gli agricoltori che hanno coltivato il pomodoro nel periodo di riferimento (il triennio 2004-2006) ricevendo i previsti aiuti comunitari, hanno diritto all’assegnazione dei titoli disaccoppiati, il cui valore sarà abbattuto al 50% nel corso del primo triennio di applicazione della riforma (disaccoppiamento parziale). Al termine di tale periodo, cioè a partire dal 2011, il beneficiario potrà incassare interamente il valore del titolo (disaccoppiamento totale).
Il valore del titolo varierà da azienda ad azienda e sarà calcolato sulla media degli ettari coltivati e sulla media dei premi percepiti da ciascuna azienda durante il triennio di riferimento. Nell’eventualità che nel corso del triennio storico si siano verificate delle circostanze eccezionali che hanno influito sull’entità della produzione e sull’importo degli aiuti percepiti, l’agricoltore ha la possibilità di chiedere il calcolo dei titoli sulla base di dati relativi a un periodo di riferimento diverso, oppure utilizzando solo una parte degli anni di riferimento. La stessa cosa è possibile qualora l’agricoltore abbia avuto una minore produzione per effetto della partecipazione a impegni di natura agro-ambientale previsti nel piano di sviluppo rurale regionale.

La filiera del pomodoro da industria in Italia

L’organizzazione della filiera agro-industriale del pomodoro trasformato è molto articolata e caratterizzata da complesse relazioni funzionali, tecnologiche e organizzative tra le sue diverse componenti. In generale, le accresciute esigenze agronomiche della coltura (diffusione di varietà ibride più produttive e dell’irrigazione), insieme alla necessità di un coordinamento tra la fase agricola, quella di trasformazione industriale e quella dell’industria sementiera (Marasi 2007), hanno favorito la nascita di veri e propri poli di produzione-trasformazione.
La coltivazione del pomodoro da industria in Italia si concentra in due bacini geograficamente ben definiti: il bacino settentrionale, costituito da Emilia-Romagna – soprattutto le province di Piacenza, Ferrara e Parma – Piemonte e Lombardia; e il bacino meridionale, formato da Campania e Puglia – soprattutto le province di Bari e Foggia – cui si aggiungono alcune zone di Molise e Basilicata (Agrosynergie 2006).
I due bacini produttivi, oltre ad essere distinti dal punto di vista geografico, sono anche caratterizzati da un differente assetto organizzativo e strutturale della produzione:

  • nel bacino settentrionale, la dimensione media delle aziende che coltivano pomodoro è superiore a quella nazionale. Inoltre, si tratta di aziende con un alto livello di meccanizzazione, che fanno un ampio ricorso al lavoro esterno e all’affitto di terreni. Tali aziende sono riuscite a ridurre progressivamente i costi di produzione, sicchè la coltivazione del pomodoro da industria garantisce un buon livello di redditività rispetto alle alternative potenziali;
  • il bacino meridionale, invece, è caratterizzato da aziende mediamente più piccole, caratterizzate da una minore dotazione di capitali investiti e da un ricorso maggiore alla manodopera – spesso di provenienza extra-comunitaria, disponibile in quelle zone a costi molto bassi – soprattutto per le operazioni di raccolta.

Il prodotto agricolo, commercializzato soprattutto attraverso le Organizzazioni di produttori (Duponcel 2006), sia direttamente (produttori associati) che indirettamente (intermediari) viene destinato interamente alle industrie di trasformazione che si possono classificare in funzione del tipo di prodotto finito commercializzato (Agrosynergie 2006):

  1. prodotti semi-finiti (soprattutto concentrato, ma anche polpe) destinati alle imprese di seconda trasformazione che a loro volta producono alimenti a base di pomodoro. Le strategie competitive di queste imprese sono basate sul prezzo e, dunque, su efficienza produttiva, innovazione di processo e riduzione dei costi di produzione;
  2. prodotti finiti (pelati, passata, cubettato, salse, ketchup) destinati – con accordi di sub-fornitura – a grandi imprese industriali o alle catene della Grande Distribuzione Organizzata (GDO) che li commercializzano con marchio proprio. Le strategie commerciali di queste imprese sono basate non solo sul prezzo ma anche sulla capacità di soddisfare la domanda dei consumatori (differenziazione e innovazione di prodotto);
  3. prodotti finiti commercializzati direttamente attraverso la GDO o sui mercati all’ingrosso e al dettaglio. Rientrano in questa categoria imprese sia di grandi che di piccole dimensioni che commercializzano con marchio proprio il prodotto, sia su grande che su piccola scala (mercati locali) e che puntano sulla diversificazione del prodotto e sulla fidelizzazione del consumatore;
  4. prodotti di seconda trasformazione, derivati da semi-finiti (doppio e triplo concentrato proveniente da paesi extra-Ue) e sottoposti a trasformazione e condizionamento per essere esportati (in forma di concentrato) verso paesi terzi (soprattutto in Africa), a prezzi competitivi.

In generale, a causa dell’elevata incidenza dei costi di trasporto sul valore della materia prima agricola, non è economicamente conveniente, per le imprese di trasformazione, rifornirsi di materia prima da aree di produzione fisicamente lontane dai siti di trasformazione. In una logica di filiera, dunque, ai due bacini di produzione si affiancano due poli industriali: il polo settentrionale, con un numero piuttosto limitato di impianti di trasformazione di dimensioni relativamente grandi, tradizionalmente orientati alla produzione di semi-lavorati (soprattutto pomodoro concentrato); ed il polo meridionale, caratterizzato invece da numerosi impianti (circa 200) di dimensioni decisamente inferiori, in cui prevale la produzione di pelati. Il polo meridionale è caratterizzato da un forte ritardo in termini di strutture produttive e logistiche, mentre le imprese del nord presentano segni di debolezza in tema di strategie commerciali: esse infatti operano sul mercato dei semilavorati e non hanno investito, salvo alcune eccezioni, nello sviluppo di marchi industriali propri, risultando particolarmente sensibili alla competizione di prezzo internazionale (Canali 2007).
La debolezza della filiera è anche il risultato di un contesto di protezione e sostegno fino ad ora assicurato dalla PAC, che con i pagamenti accoppiati ha indirettamente fornito all’industria la possibilità di disporre di materia prima acquistabile a prezzi contenuti. In questa situazione di debolezza strutturale e di scarsa competitività è forte, in tutte le componenti della filiera, la preoccupazione circa i possibili effetti del disaccoppiamento.

I possibili effetti della riforma sulla filiera del pomodoro trasformato in Italia

Il riorientamento al mercato stimolato dal disaccoppiamento avrà effetti sulle due principali componenti della filiera, le aziende agricole e le industrie di trasformazione. Le prime saranno spinte a scegliere le colture che offrono maggiore redditività e migliori prospettive commerciali. Dal momento che l’aiuto non è più correlato alla produzione, ma si consolida nel pagamento unico aziendale assieme agli altri aiuti disaccoppiati, l’imprenditore cercherà di recuperare il reddito perduto modificando gli ordinamenti produttivi introducendo colture in grado di competere con il pomodoro da industria per i più bassi costi di produzione: cereali, semi oleosi e foraggere nel bacino settentrionale, cereali (soprattutto frumento duro) in quello meridionale (Agrosynergie 2006).
Un’alternativa possibile è rappresentata anche dalle superfici destinate a buone pratiche agricole, anch’esse eleggibili ai fini del mantenimento dei diritti al pagamento unico aziendale.
Non c’è dubbio che il calo nell’offerta di materia prima per le industrie di trasformazione conseguente alla riduzione delle superfici coltivate avrà effetti sull’intera filiera. L’interesse delle aziende a mantenere la coltivazione del pomodoro rispetto alle possibili alternative dipenderà non solo dalla capacità di aumentare l’efficienza produttiva (adozione di tecniche colturali in grado di aumentare le rese produttive e ridurre i costi di produzione), ma anche dal livello dei prezzi sul mercato liberalizzato. In particolare, nell’ipotesi che l’industria accetti di aumentare il prezzo della materia prima, gli effetti di contrazione delle superfici coltivate saranno probabilmente limitati alle aziende più marginali e meno produttive. Inoltre, il periodo temporaneo di disaccoppiamento parziale dovrebbe consentire al settore agricolo di recuperare una parte delle superfici che l’imprenditore non destinerebbe più a pomodoro da industria se il disaccoppiamento fosse totale e concedere alla filiera il tempo di aggiustarsi alla nuova situazione.
Al fine di garantire la stabilità dei bacini di approvvigionamento delle nostre imprese di trasformazione appare cruciale, dunque, la capacità per l’industria di pagare un prezzo sensibilmente superiore per la materia prima di origine nazionale. In generale, è del tutto logico pensare che vi sia uno spazio per un aumento dei prezzi della materia prima agricola in un contesto modificato a seguito del disaccoppiamento. Tuttavia, si deve anche considerare che la pressione competitiva sui mercati internazionali per i prodotti trasformati è in continuo e rapido aumento, in particolare per i prodotti semi-finiti (pomodoro concentrato), che sono assai influenzati dalla concorrenza internazionale. In particolare, la forte specializzazione verso la produzione di concentrati dell’industria del Nord potrebbe esporre molte imprese di quest’area al rischio di perdere forza competitiva sui mercati internazionali. In quest’ultimo caso l’effetto sulle attività economiche locali sarebbe molto rilevante e il ruolo della produzione agricola locale nella filiera risulterebbe fortemente ridimensionato.
Solo le industrie che saranno in grado di rafforzarsi seguendo un percorso di innovazione dei processi produttivi e ristrutturazione degli impianti, e adotteranno specifiche strategie di differenziazione del prodotto – sviluppando nuove linee per la produzione di passata, cubettato, sughi e altri prodotti a maggiore valore aggiunto – potranno spuntare, nel tempo, prezzi per il prodotto finale più elevati e tali da permettere una maggiore remunerazione anche del prodotto agricolo utilizzato.

Conclusioni

La riforma dell’OCM ortofrutta potrebbe portare nel complesso ad un sensibile ridimensionamento delle superfici coltivate a pomodoro da industria, a meno di un forte aumento del prezzo pagato dall’industria di trasformazione (Arfini et al. 2007). La possibilità di tale aumento, tuttavia, risulta limitata dalla forte concorrenza sul mercato dei prodotti trasformati semilavorati e finiti – forse con qualche parziale eccezione per il comparto dei pelati – soprattutto da parte dei produttori extra-Ue.
Il disaccoppiamento parziale potrebbe limitare la caduta degli investimenti a pomodoro da industria da parte delle aziende agricole e dare il tempo alla filiera di adattarsi alle mutate condizioni di competitività.
Perchè ciò accada, tuttavia, è necessario che, nel periodo transitorio 2008-2010, l’industria sia disposta ad avviare un deciso processo di ristrutturazione ed ammodernamento per ridurre i costi di trasformazione e per orientare la produzione verso i prodotti a maggiore valore aggiunto, oltre ad aumentare il prezzo pagato per la materia prima agricola. Al tempo stesso, le aziende agricole saranno chiamate ad intervenire sui processi produttivi al fine di ridurre ulteriormente i costi di produzione, creando le condizioni per sopportare meglio la perdita del residuo aiuto accoppiato.

Note

(1) Il fatturato comprende le vendite dei prodotti dell’azienda agricola, gli introiti per le lavorazioni agricole eseguite per conto terzi e le prestazioni di servizi. Viene richiesto al lordo di tutte le spese addebitate ai clienti (trasporti, imballaggi, assicurazioni e simili) e di tutte le imposte indirette (fabbricazione, consumo, ecc.), ad eccezione dell'IVA fatturata ai clienti, al netto degli abbuoni e sconti accordati ai clienti e delle merci rese.

Riferimenti bibliografici

  • Agrosynergie (2006), Evaluation des mesures concernant les tomates transformées. Rapport final, ottobre, [link]
  • Arfini F., Donati M., Giacomini C. (2007), Possibili impatti della nuova OCM Ortofrutta sulla filiera del pomodoro da industria in Italia, Working Paper n. 23, INEA, Roma, agosto, [link]
  • Bunte F. (2007), “Pomodori <pelati> 
    dai sussidi
    ”, Agriregionieuropa, n. 8, [link]
  • Canali G. (2007), La nuova OCM ortofrutta e la sua applicazione in Italia, Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione, Gruppo 2013, Working paper n.4, luglio, [link]
  • Duponcel M. (2006), Role and importance of producer organizations in the fruit and vegetable sector of the EU, Presentation for the CAL-MED second workshop, Washington, December, 2006 [link]
  • Marasi V. (2007), “Pomodoro remunerativo solo programmando l’offerta”, L’informatore agrario, n. 2, [link]
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