A ragione della sua diffusa e condivisa multifunzionalità, l’agricoltura ha assunto, ormai definitivamente, una “forma” plurale, le cui radici socio-economiche, a ben osservare, sono rinvenibili già nei risultati dell’Inchiesta agraria Jacini di fine ‘800, da cui emersero le “cento Italie agricole”, espressione di diverse realtà territoriali, non solo ancora oggi vitali, ma corroborate da molteplici combinazioni di elementi materiali ed immateriali, legate alla varietà dei sistemi territoriali (Pennacchi, F., Agricoltura e coesione sociale, in Agricoltura, Istituzioni, Mercati, 2005, 197 ss.): non a caso, sul piano giuridico-istituzionale, lo stesso Jacini osservava, con intrinseca coerenza, che “per ragioni di economia e nell’interesse della buona amministrazione gli organi del potere centrale distaccati dalla capitale allo scopo di poter funzionare localmente [avrebbero dovuto] essere principalmente regionali” (Jacini, S., 57 ss).
Mezzo secolo dopo, il codice civile del 1942, presentandosi “quale codice unitario del diritto privato […] e mosso da un’ansia o ambizione di totalità” (Irti, N., 27), con la sua logica unificatrice riconduce sotto la categoria avvolgente dell’impresa agricola la molteplicità dei fenomeni agricoli (si pensi, ad es., alla vivida e diffusa esperienza delle proprietà collettive, su cui, per tutti, P. Grossi), con una sintesi giuridica che assorbe e semplifica la naturale complessità del settore, sebbene, molto significativamente, consenta la qualificazione dell’impresa agricola come impresa in senso tecnico (su cui, per una sintesi della risalente disputa teorica, cfr. Germanò, A., Riedizione della tesi dell’inesistenza della «impresa agricola» come impresa in senso tecnico: una critica, in Riv.dir.agr., 1993, I, 351 ss.).
E’ il Trattato di Roma a porre, nel 1957, le fondamenta normative di una agricoltura “plurale”, configurandone, all’interno di una propria definizione di agricoltura, sulla base giuridica dell’art. 33, comma 2, una dimensione diversificata, in ragione di differenze strutturali e/o di natura sociale, le quali hanno connotato la normativa comunitaria, fino a giungere, con i regg. Ce n.1782/2003 e 1698/2005 ad una sorta di codificazione delle “agricolture”.
Dunque, davanti alla situazione esistente, la domanda è: di cosa parliamo quando parliamo di agricoltura?
In questo senso, è già significativo osservare che nei testi comunitari e nazionali il termine agricoltura, in molti casi, oggi, non compare nella sua individualità, ma è spesso sostituito da altre espressioni (come sistemi agroalimentari, sviluppo rurale o, ancor più recentemente, nel quadro finanziario della programmazione comunitaria 2007/2013, sviluppo compatibile), “così evidenziando l’affermarsi di una visione più generale che si espande in più direzioni: verso lo sviluppo produttivo integrato, la qualità e la sicurezza del consumatore, la gestione del territorio e dell’ambiente” (così Desideri, C., Oltre l’agricoltura: nuovi segnali dalle Regioni, in Agricoltura Istituzioni Mercati, 2004, 114).
Di più. Nella nuova normativa costituzionale ex legge n.3/2001, la materia “agricoltura” non è più esplicitamente riportata, ma ricondotta alla competenza delle Regioni per via della cd. “clausola residuale”, ex comma 4, art. 117 (su cui vedasi…) dunque, generale e, pertanto, concepibile in una prospettiva integrata ed in espansione dello “sviluppo regionale locale”, secondo un approccio innovativo e di forte impatto, promosso dalla politica regionale della Comunità europea (cfr. Desideri, ult. cit., ivi). Si tratterebbe, in sostanza, non tanto di un problema di incertezza sul confine della materia “agricoltura”, ma del fatto che abbia senso cercare ancora dei confini, perlomeno, negli stessi termini del passato (ancora Desideri, op.loc.cit.).
Certamente, stiamo assistendo alla “cedevolezza” del prodotto agricolo, che ha costituito il punto di riferimento dell’insieme delle norme agricole del Trattato di Roma, e, contemporaneamente, all’affermarsi, da un lato, della “centralità” del territorio, rispetto a quella dell’impresa e, dall’altro, della pluralità delle figure soggettive (non necessariamente imprenditoriali ed in rapporto non necessariamente produttivistico con la terra).
A fronte, dunque, di una agricoltura “plurale” nelle fonti, nei contenuti e nei soggetti e di una molteplicità delle sue definizioni legali (già Costato, L. [9], 5), l’alternativa sembra essere tra una “riformulazione” dell’ “agricoltura”, legata alle novità introdotte dalla progressiva attuazione di un nuovo modello europeo di agricoltura ( secondo l’opinione di L. Bodiguel e M. Cardwell, Nuove definizioni di
Dobbiamo, cioè, imparare a convivere con un pluralismo definitorio, nel senso “che l’ampliamento o il restringimento della nozione di agricoltura riscontrabili dal confronto tra le diverse nozioni o definizioni hanno sempre rispecchiato aggregazioni diverse degli interessi da disciplinare e/o da promuovere, secondo quella pluralità di scopi che ciascun segmento della legislazione mira volta a volta a perseguire” (così, Jannarelli, A., Pluralismo definitorio dell’attività agricola e pluralismo degli scopi legislativi: verso un diritto post-moderno?, in Riv. dir. agr., 2006, 188).
In sostanza, se, in questo quadro mobile, un criterio unificante della agrarietà può trovarsi nella individuazione/definizione di agricoltura, al fine precipuo di un trattamento giuridico distintivo, esso non può che fare particolare riferimento al rapporto derivante tra dimensione agricola e spazio territoriale, all’interno del quale è ricompreso anche il fondo (Il futuro del mondo rurale, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo ed al Consiglio del 1988, Guce (1988) 501 def. del 29 luglio 1988, 15), poiché esso consente di identificare le molteplici diversificazioni del fenomeno agricolo, dalla tutela delle risorse naturali alla biodiversità, dal patrimonio culturale all’ambiente rurale nel suo complesso; parametro ancor più significativo sol se si pensi che il territorio, essendo il contenitore delle risorse produttive stesse, valorizza l’identificazione tra prodotto e milieu, apportando un forte contributo alla competizione sui mercati.
In conclusione, sono proprio le agricolture a valorizzare l’agricoltura nel suo complesso e nei suoi nuovi profili distintivi. Orientamento, peraltro, supportato, sul piano costituzionale, da una più aggiornata ricostruzione interpretativa dell’art. 44 Cost., del quale le letture più attente hanno consentito di interpretare la formula «razionale sfruttamento del suolo» in chiave non solo produttivistica, come pure sembrerebbe desumersi dalla presenza del (poco opportuno, ma storicamente comprensibile) sostantivo «sfruttamento», ma anche nella prospettiva della tutela ambientale, con un’apertura in tal senso consentita dalla presenza dell’aggettivo «razionale» (Desideri, C., Costituzione economica ed agricoltura, in Nuovo dir. agr., 1985, 301 ss), fino a giungere ad una formulazione sostanziale che, capovolgendo la dizione letterale, può intendersi come «ottimale utilizzazione del territorio» (in tal senso, Graziani, C.A., Sull’attualità dell’art. 44 della Costituzione, in Nuovo dir. agr., ult. cit., 316), nella sua accezione più complessiva.
Riferimenti bibliografici
- Jacini, S. , per la riforma della Pubblica Amministrazione, Milano, 1919.
- Irti, N. , I cinquant’anni del codice civile, Milano, 1992.
- Grossi P., Un altro modo di possedere, Firenze, 1979.
- Bauman, Z.,, Modernità liquida, Bari, 2006.
- Alpa, G., La cultura delle regole. Storia del diritto civile italiano, Bari, 2000.
- Rossi, G Il gioco delle regole, Milano, 2006.